Appena possibile ho recuperato Salem's Lot, diretto e sceneggiato dal regista Gary Dauberman e tratto dal romanzo Le notti di Salem di Stephen King.
Trama: Ben Mears, scrittore in crisi d'ispirazione, torna a Salem's Lot, suo luogo di nascita. Lì scopre che la città e i suoi abitanti sono presi di mira da un antico vampiro...
Uno dei grandi misteri dell'horror recente sarà il motivo per cui questo Salem's Lot è rimasto nel limbo distributivo per ben due anni. Girato nel 2021, completato nel 2022, ha aspettato fino a fine 2024 per vedere l'uscita, per di più direttamente in streaming, sul servizio americano Max. Va bene il Covid, va bene lo sciopero SAG-AFTRA, ma secondo me è un ritardo comunque eccessivo. Sia come sia, Salem's Lot è finalmente arrivato, quindi com'è? Meno peggio di quanto pensassi ma comunque non un lavoro memorabile né capace di rendere finalmente giustizia a uno dei miei romanzi preferiti del Re. Il problema è sempre quello, probabilmente impossibile da evitare per chiunque non sia Mike Flanagan e non abbia a disposizione miniserie di almeno sei puntate: Salem's Lot manca di anima. E non parlo del film, ma della cittadina. Questa però è anche una delle note di merito che darei a Dauberman, perché, memore delle mattonate sui coglioni de Le notti di Salem televisive, lo sceneggiatore non ci ha nemmeno provato ad approfondire la natura della città, degli abitanti e le tante piccole magagne che fanno sì, come dichiarato dallo sceriffo Gillespie, che Salem's Lot fosse già morta "dentro" prima ancora dell'arrivo di Barlow. Questi approfondimenti, appunto, o si fanno bene o è meglio evitarli. Purtroppo, così facendo si hanno anche dei protagonisti e comprimari con lo spessore emotivo di un foglio di carta, al punto che la loro sopravvivenza o meno diventa poco importante (perlomeno, poco sentita dallo spettatore), per non parlare poi dei legami che arrivano a crearsi tra gli stessi. Nel nuovo Salem's Lot, l'unico personaggio leggermente tridimensionale è Matt Burke, gli altri sono dotati di maggior vivacità rispetto ad altre loro controparti televisive/cinematografiche ma è il loro unico pregio (anche stavolta, il mio personaggio preferito, il doloroso, cinico padre Callahan, è una macchia di colore che passa e va) quanto al Dr. Cody dà talvolta l'impressione di essere poco più di un comic relief. Barlow e Straker risultano invece cartonati, e il primo funziona nello stesso modo in cui funzionava quello del 1979, ovvero come mero veicolo di jump scare. L'intenzione di Dauberman era quella di privare la figura del vampiro di attrattiva, e la trovo lodevole, così purtroppo l'ha però prosciugata anche di carisma, ma c'è da dire che, per quanto riguarda Straker e il suo destino, lo sceneggiatore ha avuto un'unica, buona idea originale (che non vi spoilero), perfettamente in tema con la poetica kinghiana e il suo parterre di personaggi ai quali basta una spintarella minima per diventare matti in culo.
Dunque il Dauberman sceneggiatore ci è andato cauto, tenendosi abbastanza fedele al testo da cui ha preso un paio di note di colore, ma senza allontanarsi troppo dai cliché dell'horror medio recente. A livello di regia ha un paio di belle intuizioni, come l'introduzione di Barlow attraverso la visione limitata di un bambino terrorizzato e il precedente rapimento dello stesso, oppure l'elegantissimo momento in cui basta il riflesso di una finestra per svelare un'umanità già perduta, e in generale è bravo quando si tratta di creare atmosfera e giocare a carte coperte. Più aumenta la consapevolezza dei personaggi, più a me è sembrato però che certe finezze si perdessero, e che Dauberman puntasse esclusivamente a "fare paura", con risultati discontinui, anzi più fallimentari che altro. I jump scare sono infatti prevedibili, lo showdown finale abbastanza sciocco (SPOILER: Nascondersi nei cofani delle macchine al drive-in? Ma mi tiri il belino, esistono le cantine, che senso ha? Alla faccia del caldo!) e il distacco emotivo derivante da personaggi poco approfonditi rende difficile il coinvolgimento anche nei momenti più concitati. Lì la colpa è anche di un casting poco efficace, forse. Lewis Pullman è un Ben Mears ancora più moscio di Hutch, con la differenza che David Soul a 36 anni sembrava già mio nonno, Mears all'epoca delle riprese non ne aveva nemmeno 30 e sembra un ragazzino al college, quindi risulta anche poco credibile. A parte il giovanissimo attore che interpreta Mike e il bravo Bill Camp, poi, appaiono tutti un po' spaesati o pronti a recitare col pilota automatico, anche se il vero spreco, per quanto mi riguarda, è aver ingessato quel gran bel fanciullo di Pilou Asbæk nei panni di old fart britannica, sprecandone il potenziale. Detto ciò, non posso dire che Salem's Lot non sia un prodotto ben confezionato, zeppo di difetti evidenti oppure noioso al punto da indurre al sonno, ma la mancanza di anima lo rende l'ennesimo horror dimenticabile e, passatemi il termine, inutile di questo 2024.
Lewis Pullman interpreta Ben Mears. Americano, figlio di Bill Pullman, ha partecipato a film come The Strangers: Prey at Night, 7 sconosciuti a El Royale e Top Gun: Maverick, Ha 31 anni e un film in uscita, Thunderbolts.
Nicholas Crovetti, che interpreta Danny Glick, è il gemello di Cameron, che interpreta il figlio di Homelander in The Boys, e assieme a lui aveva partecipato al dimenticabile remake di Goodnight Mommy. Derek Mears ha partecipato col ruolo di Hubert Martens, ma le sue scene sono state tutte tagliate in fase di montaggio. Se Salem's Lot vi fosse piaciuto recuperate Le notti di Salem, It e It - Capitolo 2. ENJOY!