venerdì 20 febbraio 2009

Venerdì 13 (2008)

Forse l’ho già detto ma ripeterlo non fa mai male: per me gli slasher sono fuffa. Maniaco (fornito di oggetto tagliente di varia foggia e fattura) entra, maniaco uccide, maniaco esce, solitamente senza motivazioni e perpetuando la stessa carneficina con due, tre variazioni sul tema e sempre ai danni di una manica di imbecilli che segue alla lettera ogni clichè dei film horror. Nonostante tutto, altri horror al cinema non ce n’erano e da parecchio non andavo a vederne uno col mio compare storico. Ed ecco palesarsi davanti ai miei occhi il mascherone da hockey di Jason Voorhes in Venerdì 13 di Marcus Nispel, ennesimo prequel/sequel/newquel di una saga storica (ormai solo quello sanno fare…).

 


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La trama è sempre la stessa, da più di 20 anni (non a caso questo sarebbe il dodicesimo film…). Tanti infatti ne sono passati da quando la mammina di Jason sterminò gli ospiti del Crystal Lake camp per vendicarsi della morte del figlio, tempo prima. E il figlio, io non l’ho mai capito, o non è mai morto o è diventato una sorta di enorme zombie che porta avanti il vizietto di famiglia e stermina chiunque si avvicini all’amena località di villeggiatura e, per buona pace degli spettatori, anche coloro che poveracci lì nelle vicinanze ci vivono!


 


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Gli attori sono ovviamente da dimenticare, sia le vittime sacrificali che quelli che interpretano i protagonisti. La regia è classica, senza troppi orpelli da videoclip, fotografia nitida e pulita anche nelle parti girate nei sotterranei. La colonna sonora è inesistente, se non fosse per il solito verso Jasoniano (chi ha visto almeno un film della serie mi capirà, quello che è un incrocio tra un maniaco sessuale e un serpente a sonagli, forse la cosa più inquietante di tutta la saga..). E’ apprezzabile il tentativo di fare una sorta di “compendio” di tutti gli eventi più importanti accorsi in vent’anni, per poter ricominciare la saga da capo a beneficio delle nuove generazioni: dalla morte della madre, agli esordi di un Jason con una maschera fatta di stoffa, per poi giungere alla tanto agognata maschera più o meno ad un terzo del film. Se dovessi dire la verità la pellicola poteva fermarsi tranquillamente all’ultima morte del primo gruppo, ovvero dopo 10 minuti: ritmo serrato, inizio in grande stile, un Jason più cattivo e furbo che in passato. Poi il tutto si ammoscia nella banale prevedibilità.


 


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Questo film è un for Fans only. Se non ve ne è mai fregato un tubo di Jason e della saga di Venerdì 13 non andate nemmeno a vederlo. E’ come se fosse un’enorme, lunghissima pubblicità dedicata ad un’icona degli anni ’80: niente è cambiato, Jason è cattivo, indistruttibile, ha la maschera, anche se, come dice Ale, in realtà la trova nel terzo capitolo della saga, si mette in pose plastiche per captions che poi verranno sicuramente prese dagli appassionati di tutto il mondo per farne wallpapers e quant’altro (vedi la scena in cui sta in agguato contro la luna piena, molto d’effetto) e non si impegna neppure troppo per regalare morti ad effetto, tutto sa molto di già visto, persino io che non ho seguito tutti i film della saga sapevo quando saltare sulla poltrona e quando tutelarmi dall’ingresso “a sorpresa”. Anche il finale era telefonato, miseriaccia. Lo sanno tutti che per eliminare Jason bisognerebbe smembrarlo, bruciarne i pezzi, mettere le ceneri in almeno quindici contenitori d’amianto e seppellirli nei luoghi di culto più sacri al mondo. Altrimenti torna…


 


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C’è da dire che anche questa volta Jason agisce da paladino della morale, manco fosse il Repo Man di Papa Ratzinger. Le giovani vittime sono infatti la quintessenza del vizio e della perversione! Innanzitutto gli piantano della marijuana nel territorio (e pretenderebbero che, dopo avere abbandonato le pianticelle alle sue cure, lui gliele lasciasse anche.. ma dico!), poi gli adolescenti d’oggi nemmeno più indugiano in atti impuri come il sesso di coppia per amore, ma, orrore!, per piacere e tradendosi anche a vicenda. E vogliamo parlare del cinese ubriaco, il nero e il campagnolo che si fanno le pippe MENTRE fumano, e non sigarette, e i due che addirittura RUBANO la barca dell’amico per commettere ulteriore peccato sessuale? Assolutamente, non si fa. E per questo devono essere puniti. Gratta gratta anche quelli che parrebbero i più morigerati sono abissi di turpitudine: una tradisce col pensiero il fidanzato, un altro ha avuto una gioventù dissipata, l’ultima cerca persino di divertirsi un pochino nonostante abbia la mamma gravemente malata.. e quindi venga Jason con il machete e sia cacca su tutti loro!! Unbelivable, come i tempi e gli USA non cambino affatto…




Marcus Nispel è il teutonico regista della pellicola, il suo secondo lungometraggio. Inizialmente si occupava solo di videoclip, poi ha esordito per il grande schermo con il francamente orribile remake di Non aprite quella porta. Ha 46 anni.


 


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Derek Mears interpreta nientemeno che Jason Voorhes, sebbene il suo volto non si veda mai nel film. Il bestione californiano non è un novellino, ha collezionato partecipazioni in pellicole come Man in Black II, l’orrendo Cursed – Il Maleficio, Le colline hanno gli occhi 2. E’ un assiduo frequentatore anche di serie televisive: ER, Alias, My Name Is Earl, Masters of Horror, CSI: Miami, solo per citarne alcune. Ha 37 anni.


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Questo è MMostro già di per sé... o___O


Vi lascio con il trailer del Venerdì 13 originale, che inizia proprio con quel famigerato verso di cui vi parlavo! Se vi capita ritrovatelo... c'è anche il buon Kevin Bacon al suo esordio come vittima sacrificale, nonostante, come capirete dall'urlo della tizia che viene minacciata con l'accetta, il livello degli attori è da dimenticare!


 


lunedì 16 febbraio 2009

Repo! The Genetic Opera (2008)

Le parole Paris Hilton e musical horror, possono fare pensare o ad un giusto orrore musicale partorito dall’immonda creatura oppure a qualcosa di talmente trash da non poter nemmeno essere immaginato. Ebbene, non solo questo film è stato immaginato ed esiste, ma non è neppure troppo trash… meglio definirlo kitch, e si tratta di Repo! The Genetic Opera, film del 2008 diretto Darren Lynn Bousman.


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La trama, condita da almeno una cinquantina di canzoni il cui genere spazia dal rock, al punk, all’opera, al j-pop, fino a giungere allo stile tipico di Broadway, è questa: in un futuro non troppo distante un’epidemia porta alla disfunzione degli organi più importanti, e quindi alla morte. La Gene.co, guidata dall’ambiguo Rotti Largo, offre la soluzione: trapianti di organi con comodi pagamenti da effettuare una volta guariti. Se una volta recuperata la salute non si riesce a recuperare anche il denaro, è pronta un’altra soluzione: la requisizione legalizzata degli organi impiantati, per mano del misterioso e crudele Repo Man, agente e chirurgo della Gene.co. E mentre questo spauracchio continua a mietere vittime, assistiamo alla storia di Shilo, una ragazzina malata assillata dalle cure del padre che ricerca strenuamente la libertà , storia che si intreccia a quella dello stesso Rotti Largo, morente e deciso a non lasciare in eredità la Gene.co ai tre figli degeneri e degenerati…


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Che dire, ammetto che dal momento stesso in cui ho letto gli interpreti ed il genere non ho avuto altro pensiero in testa che di vedere questo Repo! The Genetic Opera. E l’aspettativa è stata ripagata da un film innanzitutto elaboratissimo e quasi barocco dal punto di vista visivo. Più delle canzoni sono i colori, le scenografie, il trucco e i costumi che colpiscono lo spettatore e catturano completamente la sua attenzione. A cominciare dall’ambientazione steampunk, che ricorda molto film come Blade Runner e Matrix, oppure opere come Akira ed Alita, e che si mescola con luoghi gotici, come il cimitero e la casa di Shilo, e dichiaratamente rinascimentali, come l’Opera e i suoi quartieri. I costumi sono uno splendore, soprattutto gli abiti della protagonista che sembra una sorta di Alice nel Paese degli Orrori, ma anche la cantante Blind Meg, interpretata dalla splendida Sarah Brightman, sembra uscita dalla fantasia malata e gotica di Kaori Yuki: una bambola cantante dagli occhi bionici color azzurro elettrico e dalle lunghissime ciglia. Gli effetti speciali sono ovviamente all’altezza, impressionanti ogni volta che Repo Man colpisce le sue vittime recuperando organi con tanto di codice a barre applicato, ma anche quando vengono mostrati tutti gli effetti della dipendenza dalla chirurgia estetica e dalla droga anestetica direttamente estratta dai cadaveri.



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Le canzoni come le coreografie sono molto belle, seppur non eccelse. Qui non siamo ai livelli del Rocky Horror Picture Show o de La piccola bottega degli orrori, ovviamente, però alcuni pezzi come Seventeen, cantata da una punkissima Alexa Vega ad un Anthony Head palesemente sconvolto, o l’italianissima aria finale cantata da Blind Meg sono bellissimi anche per merito delle due cantanti: su Sarah Brightman non avevo dubbi visto che il ruolo di Christine Dae nel Phantom of The Opera è stato scritto per la sua voce, ma anche Alexa Vega è bravissima e la sua voce percorre piacevolmente tutto il film. Il mitico Anthony Head interpreta un personaggio che è degno erede dei mostri tormentati dei vecchi e storici horror, ugualmente deliziato e disgustato dalla sua vena sadica, costretto ad uccidere per amore; peccato che la sua splendida voce sia penalizzata da canzoni che sono tra le più banali della pellicola, anche se vederlo interpretare una doppia personalità anche in musica è uno spettacolo affascinante. L’altro ottimo cantante è Paul Sorvino anche se gli si richiedono virtuosismi da tenore italiano che lo ingolfano tanto quanto Pierce Brosnan in Mamma mia! Da dimenticare le performances di Paris Hilton, sebbene il personaggio di Amber Sweet le calzi a pennello, e anche quella di Bill Moseley: i tre figli di Rotti Largo sono tre pagliacci, delle caricature, e vanno recitati come tali, ma sono davvero strazianti da ascoltare quando cantano.



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Ho molto apprezzato l’introduzione e gli intermezzi esplicativi a fumetti, molto vintage e accompagnati da una melodia assai carina. Intermezzi di nero umorismo (girati in 16 mm a differenza del film che è interamente girato in digitale) che spiegano con delle didascalie, come in un film muto, tutti i tragici retroscena che hanno portato i personaggi alla vita che conducono; a differenza della maggior parte dei musical, infatti, in Repo! The Genetic Opera le canzoni rivelano solo in parte i veri pensieri dei protagonisti. Alcuni pensieri non vengono mai esposti al pubblico, segreti troppo dolorosi per essere espressi con delle canzoni.


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In definitiva Repo! The Genetic Opera è un film da vedere, anche se non potrà piacere a tutti: lo consiglio agli amanti del musical, di Buffy The Vampire Slayer e del kitch, assolutamente.




Darren Lynn Bousman è il regista sia di questo film che del cortometraggio del 2001 e dell’opera teatrale dallo stesso titolo, da cui la pellicola è tratta. Ha realizzato tre dei quattro seguiti di Saw: Saw II, III e IV. Ha 30 anni.



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Anthony Stewart Head interpreta Repo Man in persona. Mentre sbudella povere persone indifese troverete difficile riconoscerlo come il buon Mr. Giles della serie Buffy The Vampire Slayers, la figura paterna che ogni ragazza vorrebbe avere. L’attore inglese, anche ottimo cantante e artista teatrale (ha interpretato anche Frank’n Furter nel Rocky Horror Show a teatro), ha partecipato, per la TV, a telefilm come Highlander, NYPD Blue, Doctor Who, l’ormai cult Little Britain e Merlin. Ha fatto una comparsata nello Sweeney Todd di Tim Burton. Ha 55 anni e un film in uscita.



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Alexa Vega interpreta Shilo Wallace, la piccola protagonista. Ha partecipato a pellicole come Nine Months – Imprevisti d’amore, Twister, Spy Kids, Spy Kids II e Missione 3D: Game Over. Per la TV ha recitato in ER. Ha 21 anni e tre film in uscita.



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Paul Sorvino interpreta Rotti Largo, il padrone morente della Gene.co. Il buon Paul, padre della ex fiamma tarantiniana Mira Sorvino, è un attore di un certo spessore, ha lavorato innanzitutto con registi come Martin Scorsese in Quei bravi ragazzi, e Baz Luhrmann in Romeo + Giulietta. Opere minori, ma non meno importanti, sono The Stuff – Il gelato che uccide (devo recensirlo…!), Dick Tracy e Il socio. Per la TV ha partecipato a Moonlighting, La signora in giallo e Law and Order. Ha 70 anni e tre film in uscita.



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Bill Moseley interpreta Luigi Largo, uno dei tre figli degeneri. Il buon Bill ce lo ricordiamo tutti nei panni del cattivissimo Otis B. Driftwood nei due film che compongono la deviata saga familiare di Rob Zombie, La Casa dei 1000 corpi e La casa del Diavolo, ma ha partecipato a moltissimi altri film. Cito solo alcuni titoli, tra i più conosciuti: Non aprite quella porta 2, Il fluido che uccide, Pink Cadillac, Pentragram - Pentacolo, La notte dei morti viventi, Tesoro mi si è allargato il ragazzino, L'armata delle tenebre, Grindhouse, Halloween: The Beginning. Ha recitato anche in telefilm come Freddy's Nightmares ed ER. Ha 57 anni e otto film in uscita tra cui il seguito di 2001 Maniacs.


 


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Vi risparmio la biografia di Paris Hilton, francamente... di lei, meno si sa e meglio è!  E ora vi lascio con il trailer del film... un paio di canzoni si sentono, e la realizzazione si intuisce! ENJOY!





















venerdì 13 febbraio 2009

A l'interieur (2007)

Da un po’ di tempo a questa parte è giunto ad imporsi sul mercato cinematografico un modo di fare horror prettamente d’Oltralpe. Registi come Alexandre Aja sono stati esportati in USA, film come Ils hanno ispirato uno gli ultimi successi commerciali americani (The Strangers, appunto) e in generale le pellicole horror francesi, a cominciare dall’ormai “antico” Alta Tensione sono diventate molto famose: per il loro gusto estremo, l’alta percentuale di gore e scene splatter, le trame crudelotte e soprattutto maledettamente realistiche. Non fa eccezione il terribile À l’interieur, girato dal regista Alexandre Bustillo nel 2007.






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La trama è questa: la sera della vigilia di Natale Sarah, una fotografa in procinto di partorire, rimane sola in casa poco dopo essere sopravvissuta all’incidente stradale dove ha perso la vita il suo fidanzato. Ad un certo punto una donna misteriosa suona alla sua porta, una donna che conosce tutto di Sarah e che, soprattutto, non si fermerà davanti a niente per avere il bambino che lei porta in grembo, lasciando dietro di sé una lunga scia di sangue.

 


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Da parecchio tempo un film non mi infastidiva fin dalla prima scena, o mi faceva stare in agitazione costante sulla sedia, o non mi lasciava un tale senso di depressione addosso da sperare di poter un giorno fracassare di legnate regista ed interpreti. A’ l’interieur è devastante da vedere per una donna perché parte da un tema delicato e dolce come quello della maternità e già lo fa dal punto di vista distorto ed impaurito di una madre/vedova, sotto shock per la morte del fidanzato e comprensibilmente terrorizzata all’idea di avere un bambino tanto da avere orrendi incubi pre-parto, ma non solo. Il regista mostra come viene vissuta la violenza, a partire dal giorno dell’incidente, “all’interno” come dice il titolo, dal punto di vista cioè del piccolo che deve ancora nascere e si trova placido e sonnacchioso nella placenta: vedere il feto che sbatte contro le pareti dell’utero e perde il sangue dal nasino, oppure mentre sembra urlare nel momento in cui la follia della donna sconosciuta si manifesta nell’attacco contro Sarah fa stare davvero male per il realismo con cui la scena è realizzata. Il terzo punto di vista è quello della donna sconosciuta. Ora, costei incarna tutto ciò che esula dalla natura femminile: nonostante l’aspetto decisamente dark e sensuale (visivamente ricorda quasi la Fata Morgana, l’incarnazione del vizio e del male ingannevole, affascinante e disturbante insieme) è infatti violenta, pazza, iraconda, soprattutto è sola per colpa d’altri, e da quest’ultimo difetto nasce il desiderio malato di possedere il bambino di un’altra, eliminando chiunque osi impedirglielo.

 

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L’ambientazione è claustrofobica e ridotta all’osso perché la vicenda principale si svolge nella casa a due piani di Sarah, soprattutto in bagno, sulle scale e nel salotto. La fotografia è fumosa e tutta sui toni del nero e dell’ocra, tranne nelle scene girate nel bagno, dove il bianco ed il rosso sono abbacinanti e molto vividi. Così come l’ambientazione, anche la musica è essenziale, ricorda molto quella di Funny Games, con picchi di suoni isterici nelle scene più splatter.

 


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Al di là della banale e scontata violenza presente in un simile film, quello che mi sconcerta è l’inutilità di questa pellicola e la cattiveria perversa. A l’interieur si mantiene a livelli di “realismo” per tutta la sua durata, ma ovviamente il realismo non poteva giustificare l’orrendo e stomachevole finale. Pur di non risparmiarlo allo spettatore subentra anche l’assurdità di un poliziotto zombiezzato (!) ed impazzito che si accanisce contro la protagonista nel momento esatto in cui, presa finalmente in mano la situazione, poteva tranquillamente e giustamente fare a fette la maledetta antagonista. Seh, magari. Perché evitare di mostrare una scena che farebbe chinare il capo in segno di umiltà al già bastardissimo Antropophagus di Aristide Massaccesi? Beh, perché, come da intervista ai due idioti responsabili di cotanto scempio, “il gore è divertente, si devono vedere litri di sangue”. Per carità di iddio, io adoro gli horror, ma serve un minimo d’ironia. Il finale di A l’interieur, invece, DOVEVA essere serio e cattivo proprio perché il sangue diverte. Quando capirò dove sta il divertimento nel vedere una scena così schifosamente orrenda e crudele allora rinchiudetemi pure in una casa di cura. In conclusione, un film ben fatto, ma da evitare se si ha un minimo di sensibilità ancora.

 


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Alexandre Bustillo è alla sua prima (e per ora unica) opera come regista e sceneggiatore. Nato a Saint-Cloud in Francia, ha 34 anni.

 

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Alysson Paradis interpreta Sarah. La giovane attrice francese è sorella della più popolare attrice/cantante Vanessa Paradis, la mogliettina di Johnny Depp. Ha 26 anni e due film in uscita.

 

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Béatrice Dalle interpreta, molto banalmente, “la donna”. Famosa attrice francese bella e maledetta, dalla vita sregolata e dalla fedina penale non proprio immacolata, ha partecipato a film come Betty Blue, Taxisti di notte, Il tempo dei lupi. E’ stata fidanzata con il nostrano Alessandro Gassman e ha 45 anni.  

 


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Dopo tutto quello che ho scritto, io metto il trailer, per chi volesse vederlo. Si può dire ENJOY? Provateci...!





giovedì 5 febbraio 2009

The Happiness of the Katakuris (2001)

Correva l’anno 2006, e una sera come tante altre, in quel di Mildura, Australia, la sottoscritta costrinse il povero Toto, compagno di mille sventure, a piazzarsi innanzi al televisore preso ovviamente in prestito come la metà del mobilio e a guardarsi, alle 11 di sera, un film di Takashi Miike intitolato The Happiness of The Katakuris (Katakuri-ne no kofuku). Fermo restando che metà film, complice l’ora tarda, la lingua ostica, i sottotitoli inglesi, me lo hanno fatto vedere a metà (rammento che alla fine mi svegliò un Toto decisamente sconvolto), è rimasto impresso nella mente come uno dei film più assurdi che io abbia mai visto. E ovviamente, questa è la mia prima recensione “a richiesta”, tanto bramata proprio dal mio compagno di sventura ( e tanto complicata da scrivere…).






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Proviamo intanto a definire la trama: La famiglia Katakuri, composta da un nonno folle ma tradizionalista, un padre ottimista quasi per imposizione, una madre decisamente devota al marito e alla famiglia, una figlia innamorata dell’amore, un figlio malvivente da redimere, una nipotina la cui voce da adulta narra l’intera storia, e ovviamente un cane di nome Pochi, decide di mettere su una Guest House in uno sperduto villaggio giapponese. Inutile dire che nonostante le migliori intenzioni i clienti scarseggiano, finché un giorno arriva un distinto signore, in una notte di pioggia, che sceglie proprio la pensioncina per… suicidarsi. Per evitare la cattiva pubblicità la famigliola decide di nascondere il fattaccio e seppellire il cadavere, ma la sfiga si accanisce sui Katakuri che cercano semplicemente di trovare la felicità, ed ottengono solo morte e rovina.






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La trama è già di per sé esilarante, ma la realizzazione è frutto di una mente perversa. Innanzitutto è bene specificare che questa pellicola non ha un genere ben definito: visto l’inizio e l’alone di inquietudine e morte che permea la vicenda potrebbe essere un horror. Ma è esilarante anche per un pubblico occidentale, quindi andrebbe forse definita commedia… se non fosse per gli abbondanti e trashissimi siparietti musicali, che lo renderebbero, appunto, un musical. In realtà The Happiness of the Katakuris è tutto questo e niente di ciò, ricorda un po’ i primi film di Kitano, gli incubi di ogni spettatore occidentale (tipo Getting Any), ma è assai più curato e in qualche modo lineare, e io penso che ad un pubblico nipponico non crei neppure troppi scompensi psichici.







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Andando più nello specifico, parte del film è girata in claymation (la stessa di Wallace & Gromitt oppure Pingu), con dei pupazzetti di creta dalle fattezze inquietanti che, se ad un certo punto della pellicola sostituiscono i protagonisti nel corso di un paio di scene (soprattutto nel finale, che sarebbe stato difficilissimo da girare con pochi mezzi), all’inizio raccontano invece la storia di una specie di demonietto goloso di ugole, che viene mangiato da un corvo e rinasce come uovo, una sorta di “cerchio della vita” che introduce il film. Una specie di Coro forse, come quello delle tragedie greche :il tema del corvo torna per tutta la pellicola come una sorta di entità che deride la famiglia Katakuris delle sue disgrazie; tuttavia ogni volta loro rinascono più uniti e consapevoli della loro unione nella ricerca dell’osteggiata felicità.

Picchi di delirio trash vengono toccati a ogni scena musicale: dal ritrovamento del primo cadavere, la parodia di un videoclip horror unito ai modi esagerati del teatro giapponese, all’arrivo dell’essere più kitch della storia del cinema, Richard Sagawa, NIPOTE della Regina Elisabetta d’Inghilterra, agente segreto nonché membro della marina militare americana, che cerca con queste panzane di spillare soldi a Shizue Katakuri, con conseguente balletto strappalacrime colmo di coppiette danzanti e innamorati volanti, passando poi per il duetto (con tanto di sottotitoli per consentire al pubblico di fare karaoke, ovviamente) moglie-marito novelli Al Bano e Romina, catafratto di stelline e abiti glamour, per finire con il balletto degli zombie. Inutile dire che la maggior parte delle coreografie sono da mani nei capelli e dilettantesche (appositamente?) e i testi delle canzoni quanto di più melenso e banale si possa ascoltare. Del travestito che canta in TV e della setta spiritica in viaggio, un gruppo di pazze urlanti con gli occhiali da sole, non voglio nemmeno parlare, sono esilaranti.







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Da sinistra in alto: padre, madre, figlio, figlia, Richard Sagawa e nonno!

 

Al di là della realizzazione decisamente “pesante” per un pubblico non abituato, l’amara ironia che pervade la pellicola segue una filosofia ben precisa, che si palesa in tutta la sua durezza nel commovente finale. L’uomo tende a concentrarsi su sé stesso, cercando di piegare la vita, la natura, a sua immagine e somiglianza, ignorando che esistono forze ben più grandi di lui. La ricerca della felicità è legittima e assolutamente necessaria, ma per vivere felici bisogna tenere anche conto che nulla possiamo contro i capricci del destino e della natura, e che la morte, alla fine, arriverà per tutti… l’importante è vivere appieno, tenendosi stretti ciò che più si ama nel breve tempo che ci viene concesso. Ed imparare a ridere, superando il dolore per coloro che invece ci hanno lasciati, vivendo anche per loro.






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Spero che la mia recensione non sia stata assolutamente chiara, e che faccia venire voglia di vedere questo film ai naviganti di passaggio: merita, merita davvero, se non altro per vedere qualcosa di assolutamente diverso e una delle prime opere di un regista tra i migliori ed inquietanti in circolazione. Alla fine me lo sono visto due volte, quindi qualcosa, indubbiamente, resta.






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Takashi Miike è forse il più famoso e “cool” dei registi giapponesi sdoganati anche in Occidente (lo dimostra il cameo in Hostel di Eli Roth) . Famosissimi e molto amati sono i suoi film dalle trame e dalle scene decisamente estreme, a cominciare da Audition, per poi continuare con la serie MPD Psycho, Ichi The Killer, The Call: non rispondere (di cui ho parlato in riferimento al remake USA, One Missed Call), un episodio di Masters of Horror. Ha 49 anni e due film in produzione, tra cui la trasposizione cinematografica del famosissimo anime Yattaman!






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Non essendo affatto esperta, mio malgrado, sorvolo sulle filmografie dei pur bravissimi attori: non saprei quali film consigliare e quali no. Se qualcuno è più esperto, però, accetto consigli!!

Vi lascio con le scene d'inizio di questo assurdo film... se avrete il coraggio di proseguire la visione questo post sarà servito a qualcosa! ENJOY!



 

 

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