mercoledì 30 agosto 2023

Oppenheimer (2023)

Affrontando il guasto da aria condizionata, domenica pomeriggio sono andata a vedere Oppenheimer, diretto e sceneggiato dal regista Christopher Nolan a partire dalla biografia scritta da Kai Bird e Martin Sherwin.

Trama: ascesa e caduta del fisico J. Robert Oppenheimer, dai frenetici e visionari anni giovanili, alla consacrazione come "padre della bomba atomica", per arrivare all'indagine su possibili coinvolgimenti coi comunisti...

Avevo il TERRORE di questo Oppenheimer. Tre ore biografiche su una figura storica al cui riguardo non ho mai letto nulla, gestite da un regista che, nonostante l'indubbia bravura, ama sbrodolarsi addosso e farla più lunga e difficile di quello che è, tra l'altro viste (tappatevi gli occhi, saltate un paio di righe, andate oltre soprattutto se siete tra quelli che hanno prenotato un viaggio a Londra solo per andare a vedere Oppenheimer) SENZA 70mm, SENZA IMAX, DOPPIATE, per l'amor d'iDDio!!! Qualcuno potrebbe dirmi che, a queste condizioni, qualunque cosa io possa scrivere sul film non varrebbe. Questo qualcuno si beccherà, oltre al mio dito medio alzato e un invito a pagarmi viaggio + biglietto verso il primo cinema valido disponibile, anche la stilettata di sapere che l'aria condizionata del Multisala (come avevo già intuito durante la visione de La casa dei fantasmi) era guasta e che quindi ho visto l'intero film col suono del condizionatore morente sparato nell'orecchio sinistro. "Now I Am Become Death, the Destroyer of Ears", come se non fosse bastata l'avvolgentissima colonna sonora di Ludwig Göransson ad insinuarsi nei padiglioni auricolari, nella mente e nel cuore, spesso sovrastando persino i dialoghi. Eppure, nonostante ciò, Oppenheimer mi è piaciuto davvero molto. Per me non è e non sarà mai un capolavoro necessario, come ho letto da più parti, perché per quanto mi riguarda pecca di lungaggine eccessiva e l'appendice del processo annacqua un po' la questione pressante del dilemma morale del protagonista contrapponendo a quest'ultimo una "nemesi" quasi puerile nelle sue machiavelliche macchinazioni, ma sicuramente è un film interessante, che fa riflettere. E, nella sua alternanza di stili, tiene desta l'attenzione dello spettatore ben più di quanto è riuscito a fare Ari Aster, di solito più nelle mie corde, con Beau ha paura (giusto per paragonare due film dalla durata elefantiaca usciti nello stesso anno). 

L'inizio, per esempio, è ipnotico. L'inquadratura della donna dalle braccia incrociate di Picasso, il quale dichiarava "Dipingo gli oggetti come li penso, non come li vedo", carica di significato tutte le visioni giovanili di Oppenheimer, la dolorosa intrusione nella realtà comunemente conosciuta di flash fatti di fiamme, esplosioni e scie luminose; sembra quasi di guardare un film di Malick, e il montaggio che alterna e mescola presente e passato è a malapena "aiutato" dallo stacco tra immagini a colori e un bianco e nero che è raffinato specchio di un mondo privo di quella vitale e frenetica pulsione (di quell'inarrestabile reazione a catena) che ha spinto Oppenheimer ad arrivare dove nessuno sarebbe mai dovuto giungere. Una volta esplosa la bomba, tutto si esaurisce, si "scarica". Il protagonista ha letteralmente dato forma a ciò che era solo pensiero, è rimasto disgustato dal suo egoismo e dalla sua cieca sconsideratezza, cerca di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati, rimettendoci la carriera in un parossismo punitivo; di conseguenza, al pensiero creativo si sostituisce la squallida realtà distruttiva di chi, imperterrito, continua a pensare solo al successo materiale e al prestigio, anche a costo di condannare l'umanità intera. Lo stesso film, a quel punto, si adagia sul sentiero stra-battuto del courtroom movie, dove contano più le interpretazioni della regia, e lo fa come se Nolan fosse stato fiaccato dallo sforzo di costruire la sequenza per me più emozionante di Oppenheimer, quella dove, a Los Alamos, la bomba viene fatta esplodere per la prima volta. La magia di Nolan, lì, è stata quella di farmi dimenticare che l'esperimento era riuscito, di farmi stare sulle spine assieme a tutti i membri del Progetto Manhattan, di spazzare via la sala del cinema tanto che mi sembrava di essere lì, un tutt'uno con la colonna sonora soverchiante e le immagini frenetiche, tanto che quando il suono della bomba è arrivato ho fatto un salto di un metro. L'unica cosa che Nolan non mi ha fatto dimenticare, neppure per un istante, è la conseguenza del successo di Oppenheimer, che mi ha strappato una dolorosa lacrima ben prima che l'orrore (costruito con tutti i terrificanti stilemi di un film di genere) travolgesse il protagonista con visioni di un terribile futuro. Una visione pessimista, un monito che chiude inequivocabilmente il film con lo sguardo allucinato di chi potrà venire riabilitato dalla storia, ma non da se stesso, e che ci ricorda quanto la spada di Damocle di un olocausto nucleare sia sempre lì a penderci sul capo, cosa che mi ha stretto di nuovo la gola in un magone angosciato.


Cillian Murphy, poverino, sembra caricarsela tutta addosso questa visione, dà l'idea che se lo sia spolpato fino alle ossa, trasformandolo in uno scheletro tutto occhi, a cui pendono i vestiti di dosso. Lo sguardo febbrile di Murphy diventa il film stesso, tanto che l'attore si annulla e scompare, più vero della realtà, ed inevitabilmente spiccano accanto a lui l'ambiguo Robert Downey Jr. ed Emily Blunt i quali, invece, "interpretano" ed affascinano, diventando punte di diamante di un cast all star dove il meno conosciuto si è comunque fatto anni come co-protagonista in E.R oppure fa Skarsgård di cognome (ah, lo scrivo qui sperando che legga. Non ricordo in quale gruppo di cinema su Facebook qualcuno ha scritto "lo spettatore medio nemmeno riuscirà a capire chi interpreta Truman". Gianfresc*, col cuore, vai a giocare in autostrada. E' colpa di invasati spocchiosi come te se il cinema, lentamente, muore). La Blunt, in particolare, è ammirevole per il modo in cui ha messo anima e corpo nel tentativo (riuscito) di rendere tridimensionale un personaggio la cui unica funzione è quella di fungere da alcolizzata bussola morale del marito, in contrasto con l'altra donna presente nel film, che invece ha il solo scopo di destabilizzare il protagonista e fungere da gancio per tutte le accuse di comunismo ai danni di Oppenheimer (ma tanto Florence Pugh è splendida comunque e affronterebbe con grazia anche il ruolo di un cassonetto). Altri interpreti che ho adorato o che mi hanno colpita, in ordine sparso: un irriconoscibile ed agghiacciante Casey Affleck nei panni dell'"inquisitore" russo, il sempre bravo Matt Damon, un David Dastmalchian che vorrei finalmente vedere protagonista di un film che ne metta in risalto il carisma magnetico, il "fidanzatino" ebreo di Mercoledì Addams invecchiato ed imbolsito e, ovviamente, un Dane DeHaan sempre meravigliosamente merda. Quindi, come avete potuto vedere, Nolan mi ha convinta. Oppenheimer non è un film che riguarderò presto, anche se mi piacerebbe, appena sarà disponibile, godermelo in lingua originale, ma è sicuramente un'opera splendida, nata e pensata per il grande schermo, fatta per chi non è ancora pronto a soccombere allo strapotere dei film usa e getta e visti con un occhio sullo smartphone. A tal proposito, dal giorno dell'uscita gli spettacoli di Oppenheimer al multisala di Savona hanno fatto sempre il tutto esaurito, e anche Barbie ha fatto sfracelli sia lì che nel cinema all'aperto. Spero proprio non sia un trend limitato a questi due "colossi" accompagnati da battage pubblicitari assurdi e che la gente abbia riscoperto l'amore per la sala, perché ce n'è bisogno!


Del regista e sceneggiatore Christopher Nolan ho già parlato QUI. Cillian Murphy (J. Robert Oppenheimer), Emily Blunt (Kitty Oppenheimer), Robert Downey Jr. (Lewis Strauss), Alden Ehrenreich (l'assistente del Senato), Scott Grimes (il consulente legale), Jason Clarke (Roger Robb), Tony Goldwyn (Gordon Gray), Macon Blair (Lloyd Garrison), James D'Arcy (Patrick Blackett), Kenneth Branagh (Niels Bohr), David Krumholtz (Isidor Rabi), Josh Hartnett (Ernest Lawrence), Alex Wolff (Luis Alvarez), Florence Pugh (Jean Tatlock), Matthew Modine (Vannevar Bush), David Dastmalchian (William Borden), Matt Damon (Leslie Groves), Dane DeHaan (Kenneth Nichols), Jack Quaid (Richard Feynman), Benny Safdie (Edward Teller), Rami Malek (David Hill), Casey Affleck (Boris Pash), Steve Coulter (James Conant) e Gary Oldman (Harry Truman) ho già parlato ai rispettivi link.

Dylan Arnold interpreta Frank Oppenheimer. Americano, ha partecipato a film come Mudbound, Halloween, Halloween Kills e a serie quali The Purge. Anche produttore, ha 29 anni e un film in uscita. 


Tra le mille altre facce più o meno conosciute presenti nel film segnalo Harry Groener (Senatore McGee, era il sindaco Wilkins della serie Buffy l'ammazzavampiri), Matthias Schweighöfer (Werner Heisenberg, era il tedesco di Army of the Dead nonché protagonista dello spin-off Army of Thieves), Emma Dumont (Jackie Oppenheimer, era la Polaris di The Gifted) e Gustaf Skarsgård (Hans Bethe, ha partecipato alla serie Vikings). La storia raccontata in Oppenheimer era stata già portata sullo schermo con L'ombra di mille soli, film che non ho mai visto, dove Paul Newman interpretava Leslie Groves; se l'argomento vi interessasse, potreste recuperarlo assieme a I Giorni Dell'Atomica, mentre se amate le biografie di geni controversi potete buttarvi su La teoria del tutto, Il diritto di contare, The Imitation Game e A Beautiful Mind. ENJOY! 

martedì 29 agosto 2023

Cobweb (2023)

Altro horror agostano che avevo sul radar da prima ancora che ne parlasse Lucia è questo Cobweb, diretto dal regista Samuel Bodin.


Trama: il piccolo Peter, ragazzino schivo e solitario, comincia a sentire una voce di notte, che gli apre a poco a poco gli occhi su una terribile realtà...


Il post su Cobweb sarà assai breve, in quanto il film trova il suo punto di forza in una trama ambigua che intorta lo spettatore un po' come vuole, lasciandolo spiazzato anche nel momento in cui, se un po' più scafato della media, si convince di aver capito proprio tutto, com'è successo a me. In soldoni, Cobweb è una deliziosa, cattivissima fiaba nera di Halloween, avente per protagonista Peter, un bimbetto solitario che a scuola viene bullizzato e a casa viene riempito di affetto da genitori iperprotettivi. Una notte, il piccolo Peter comincia a sentire una voce provenire dai muri della sua camera e da quel giorno la sua vita cambia... in che modo, ovviamente, non vi sto a dire. Sulla trama non posso ricamare troppo, anche se a un certo punto ho pensato che lo sceneggiatore (tra l'altro lo stesso di quella schifezza dell'ultimo Non aprite quella porta) si sia letto con attenzione il racconto breve da cui era stato tratto Antlers per trarne ispirazione, soprattutto per quanto riguarda Miss Devine, la maestra che prende a cuore Peter, ma vi assicuro che vi affezionerete al giovanissimo protagonista e odierete molti altri personaggi, facendovi contagiare dal veleno contaminante della solitudine e della tristezza.


Posso invece dire qualcosina di più relativamente alla realizzazione e agli attori. Se non avete mai visto la serie Netflix Marianne, purtroppo interrotta stupidamente alla fine della prima stagione, vi consiglio di farlo perché Samuel Bodin ci si è fatto le ossa per bene ed arrivato pronto al salto verso il mondo dei lungometraggi: Cobweb ha infatti un'ottima gestione non solo degli ambienti, del buio e dei jump scare ma soprattutto di quei momenti in cui è il confronto tra personaggi a generare inquietudine, quell'intersecarsi di parole, sguardi e piccoli dettagli che la cinepresa coglie e riporta allo spettatore, alimentandone l'ansia senza ricorrere ad immagini scioccanti. A tal proposito, Cobweb non è comunque timido per quanto riguarda le scene più horror e ha, inoltre, l'indubbio pregio di non ricorrere a una CGI invasiva nei momenti "rivelatori", ma ciò in cui eccelle e l'atmosfera inquietante e claustrofobica generata dalle scenografie, tra campi di zucche, cupe magioni, luoghi bui e stretti e arredi vetusti. Una luce generalmente malata e giallognola fotografa gli ambienti e i volti di attori bravissimi: la Caplan e Starr sono ormai due garanzie quando si tratta di interpretare un certo tipo di personaggi (e Starr è imponente anche senza i capelli biondi e il fisico statuario di Homelander) ma è il quattordicenne Woody Norman a reggere buona parte del peso del film, risultando molto più piccolo e fragile della sua età anagrafica, il che concorre ad alimentare l'empatia dello spettatore verso uno dei rari bimbi non odiosi presenti all'interno di un horror. Purtroppo, non posso aggiungere altro, tranne che Cobweb è uno degli horror che ho preferito quest'anno e che spero di vederlo presto distribuito in Italia, magari per Halloween. Considerata la presenza di Evan Goldberg e Seth Rogen tra i produttori, magari finirà dritto su Prime, anche se mi piacerebbe tantissimo vederlo al cinema!


Di Lizzy Caplan, che interpreta Carol, ho già parlato QUI

Samuel Bodin è il regista della pellicola. Francese, ha diretto la serie Marianne, che potete vedere su Netflix. E' anche sceneggiatore, attore e produttore.


Antony Starr interpreta Mark. Diventato giustamente famoso per il ruolo di Homelander/Patriota nella serie The Boys, ha partecipato a film come Without a Paddle, The Covenant e alla serie Xena principessa guerriera. Neozelandese, ha 48 anni. 


Cleopatra Coleman, che interpreta Miss Devine, era la moglie del protagonista James Foster in Infinity Pool. Se Cobweb vi fosse piaciuto, recuperate Somnia e Antlers - Spirito insaziabile. ENJOY!


venerdì 25 agosto 2023

La casa dei fantasmi (2023)

Mercoledì ho fatto ciò che nessun cinefilo mi perdonerà mai, ovvero sono andata a vedere La casa dei fantasmi (Haunted Mansion), diretto dal regista Justin Simien, e ho saltato a pié pari Oppenheimer per vari motivi. Tranquilli, sono già stata punita!


Trama: Gabbie e il figlioletto sono costretti a chiedere aiuto ad un eterogeneo gruppo di presunti esperti del paranormale quando la loro nuova casa si rivela infestata...


Quando parlo di punizione, non è perché La casa dei fantasmi non mi sia piaciuto, quanto piuttosto perché, proprio in questi giorni di caldo record, la sala del cinema aveva un'aria condizionata ridottissima o forse addirittura non funzionante (il che mi porterà a tenere conto delle temperature domenica, per decidere se andare a vedere Oppenheimer questa settimana o la prossima, ché tre ore immersa nel sudore non le merito). Questo, lo ammetto, ha condizionato non poco la mia fruizione del film, tanto che, a metà del secondo tempo, devo essere praticamente svenuta per la pressione bassa perché ricordo pochissimo di tutto ciò che accade dopo la guest appearance di Winona Ryder e prima del ritorno di Ben e company alla magione. Mi è dispiaciuto abbastanza, perché La casa dei fantasmi, pur non essendo un capolavoro, è una di quelle pellicole all star e molto curate che regalano due ore di divertimento per tutta la famiglia e che potrebbero diventare il primo passo di un bambino/preteen all'interno del favoloso regno dell'horror. Remake (o reboot, fate voi) dell'omonimo film uscito nel 2003 e ugualmente ispirato a una delle più famose attrazioni di Disneyland, La casa dei fantasmi mette in scena la lotta di un gruppo di "esperti" del paranormale contro gli innumerevoli fantasmi che hanno infestato la casa di Gabbie e di suo figlio; come già accadeva in Ju-On, gli spettri non si limitano a perseguitare le persone nei confini della magione ma si accozzano alle loro vittime, seguendole, anche se queste ultime sono così intelligenti da fuggire, e ciò spiega perché i protagonisti del film non agiscono mossi da dabbenaggine o curiosità ma per mero spirito di autoconservazione che, con l'evoluzione della trama, si trasforma in sincera preoccupazione per i propri compagni. Il "cuore" del film è Ben Matthias, brillante fisico quantistico che, per vicende che verranno spiegate e non vi spoilero, si ritrova a fare da disillusa e misantropa guida turistica a New Orleans (splendida città purtroppo utilizzata solo per dare un vago tocco di colore). Attraverso lui, la pellicola veicola l'immancabile messaggio Disneyano di dialogo e crescita, inserendo all'interno di una trama molto avventurosa e, a modo suo, inquietante, un percorso di formazione capace di rendere quasi tutti i personaggi abbastanza tridimensionali, e non dei meri portatori di skills necessarie per sconfiggere il cattivone finale. In questo senso, il cast all star giova. Tolti Danny DeVito e Jamie Lee Curtis, abbastanza carismatici e amati da permettersi il ruolo di adorabili "strambi" di lusso, LaKeith Stanfield, Rosario Dawson, Owen Wilson e Tiffany Haddish si alternano con elegante equilibrio tra momenti di stupidera assoluta e serietà quasi commovente, palesando quanto si siano divertiti sul set senza mai prendere sottogamba un film che, a livello di profondità di trama, non brilla particolarmente.


E' evidente, infatti, che i realizzatori si siano concentrati principalmente sull'aspetto visivo della pellicola. Non conoscendo il film del 2003 (e non essendo mai stata a Disneyland!) non so quanti dei fantasmi, ambienti e trappole che costellano il film siano frutto della farina del sacco di Justin Simien e della sceneggiatrice Katie Dippold, ormai abbonata alle commedie con fantasmi, ma dal basso della mia ignoranza mi è sembrato sia stato fatto un lavorone. Avrei paura, sinceramente, di guardare un backstage e capire quanto della casa infestata sia effettivamente stato costruito in qualche studio o location da manovalanze esperte e quanto sia stato generato da computer mentre gli attori erano costretti a recitare davanti a un green screen ma, anche così, le scenografie mi sono piaciute moltissimo e lo stesso vale per i costumi non solo indossati dai fantasmi, ma anche per le mise di LaKeith Stanfield, Tiffany Haddish e quel trionfo messo addosso a Jamie Lee Curtis, che mi ha ricordato tantissimo gli abiti dell'adorato Grosso guaio a Chinatown. Mi sono sembrati buoni anche gli effetti speciali. Non ho avvertito il solito "mal di testa da CGI" nemmeno nelle scene in cui è stata utilizzata in modo più invasivo, specie quando si è trattato di rendere, almeno in parte, un'idea di altromondo, e l'unico appunto che faccio all'intera operazione è che manca un po' di coraggio nell'imbroccare scelte di sequenze, montaggio e make-up che siano davvero spaventosi o memorabili, considerato quanto erano terrificanti per noi bambini pellicole come Qualcosa di sinistro sta per accadere, Nel fantastico mondo di Oz, Gremlins o lo stesso Ghostbusters. Anche se molte recensioni lo stroncano e lo additano come prodotto pensato per venire programmato su Disney + , il mio consiglio è quello di andarlo a vedere comunque in sala con figli o nipoti, perché potrebbero divertirsi molto, soprattutto sarebbe carino se fosse la loro prima volta al cinema!  


Di LaKeith Stanfield (Ben Matthias), Rosario Dawson (Gabbie), Owen Wilson (Padre Kent), Danny DeVito (Bruce Davis), Tiffany Haddish (Harriet), Jamie Lee Curtis (Madame Leota), Jared Leto (Crump/Hatbox) e Winona Ryder (non accreditata, interpreta Pat) ho già parlato ai rispettivi link.

Justin Simien è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Dear White People e Bad Hair. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 40 anni.


Il film avrebbe dovuto essere prodotto e diretto da Guillermo del Toro, che alla fine non ha avuto a che fare col progetto, per motivi sconosciuti. Il film è il remake de La casa dei fantasmi con Eddie Murphy (che avrebbe voluto un compenso spropositato per un cameo, quindi è stato estromesso dal film di Simien) che, a dire il vero, non ho mai visto. Se avete curiosità, recuperatelo! ENJOY!

mercoledì 23 agosto 2023

Marry My Dead Body (2022)

Era un titolo che puntavo già dal Far East Film Festival, che purtroppo quest'anno ho perso anche nella versione online, quindi quando è arrivato su Netflix l'ho recuperato abbastanza velocemente per i miei standard. Sto parlando di Marry My Dead Body (關於我和鬼變成家人的那件事), diretto e co-sceneggiato nel 2022 dal regista Cheng Wei-hao.


Trama: un poliziotto raccoglie per caso una busta rossa da terra e si ritrova sposato con un ragazzo gay, morto per un incidente stradale. La strana coppia si ritroverà a dovere sopportare una convivenza forzata e ad indagare non solo sull'incidente ma anche su un boss della droga.


Non scrivo da due settimane, anche se dalla programmazione non si direbbe, e ho qualche problemino di schiena/spalle, quindi non so cosa uscirà da questo post su Marry My Dead Body, perdonatemi se sarò più raffazzonata del solito. Il film è una simpatica commedia con sfumature poliziesche e sentimentali, solo vagamente horror, che racconta, come da titolo originale, di come il poliziotto omofobo Wu Ming-han riesca a creare una sorta di famiglia col fantasma del giovane Mao Mao, ragazzo omosessuale morto investito da una macchina. I due sono particolarmente incompatibili, non solo perché uno è vivo e l'altro è morto, ma soprattutto perché Wu Ming-han è un lupo solitario che pensa solo alla carriera e ha atteggiamenti improponibili sia nei confronti del collega gay che della collega donna, mentre Mao Mao è un ragazzino che, comprensibilmente, non vede più in là della sua situazione sfortunata ed è condizionato da tutti i pregiudizi di cui era oggetto in vita. Il rapporto tra i due si evolverà nel corso di una storia che intreccia molteplici stili e punti di vista, sfruttando una sottotrama a base di imprendibili narcotrafficanti e corruzione per consegnare allo spettatore un messaggio di tolleranza e dialogo; nei momenti più commoventi (sul finale consiglio di armarsi di fazzoletti) Marry My Dead Body parla del coraggio necessario per abbattere non solo le barriere tra persone completamente diverse, ma anche quelle che ci creiamo da soli per infantile egoismo oppure, paradossalmente, per tenere lontani gli altri a causa del troppo amore che proviamo per loro. 


Come molti film asiatici, Marry My Dead Body unisce momenti di stupidera esilarante a situazioni di una tristezza inenarrabile, quindi a livello di trama non mi è dispiaciuto, anche se forse è un po' troppo lungo e a rischio di qualche tempo morto che, a mio avviso, si poteva evitare. Quello in cui il film è un po' carente è invece l'aspetto realizzativo. L'ingerenza della computer graphic si avverte fortissima non solo in qualche sfondo troppo finto e colorato per essere vero, ma soprattutto durante un paio di inseguimenti in macchina che feriscono gli occhi per quanto sembrano usciti da un (brutto) videogame, inoltre l'utilizzo di effetti digitali non giova ai pochi momenti "horror", che sarebbero stati migliori ricorrendo a qualcosa di più artigianale. Mi ha lasciata abbastanza freddina anche l'attore Greg Hsu, che interpreta Wu Ming-han e che ho trovato spesso totalmente inespressivo o fuori parte; i momenti davvero drammatici li regge bene, forse meglio del pur tenerissimo Austin Lin, ma quando servirebbe qualcosa di più giocoso o "duro", l'impressione è quella di avere davanti un pupazzo. Un'altra cosa che mi ha lasciata un po' perplessa è la caratterizzazione degli omosessuali presenti nel film. Taiwan ha reso legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso già nel 2019, quindi mi sarei aspettata un po' più di cura nella rappresentazione di Mao Mao, invece troppo spesso il co-protagonista è connotato come una checca isterica dalle reazioni esageratissime e caricaturali. Ciò non inficia il mio generale giudizio positivo sul simpatico e poco impegnativo Marry My Dead Body ma, a mio parere, è uno scivolone che si poteva evitare.

Wei-Hao Cheng è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Taiwanese, ha diretto un altro film presente su Netflix, The Soul. Ha 39 anni.



martedì 22 agosto 2023

Calibre (2018)

Il caldo estivo e l'abbonamento Netflix invogliano a qualche recupero e stavolta è toccato a Calibre, diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Matt Palmer.


Trama: due amici partono per una tranquilla battuta di caccia ma vengono coinvolti in terribili eventi...


Non so perché ho fatto passare ben cinque anni prima di vedere Calibre, né ricordo come mai lo avessi inserito in watchlist per poi abbandonarlo, ma non importa, i bei film basta vederli, prima o poi. E Calibre, all'interno dello sterminato e spesso deludente catalogo Netflix, rientra nella categoria. Magari non è una pellicola eclatante, anche perché la sua cifra stilistica è un silenzioso minimalismo che fa il paio col carattere stundaio del popolo scozzese, ma è sicuramente un film che, a un certo punto, ho dovuto interrompere perché mi stava mettendo un po' troppa ansia. La cosa divertente, tra l'altro, è che Vaughn e Marcus, i due protagonisti, non sono proprio delle bellissime persone, quindi ritrovarsi a temere per il loro destino è un po' da scemi, ma tant'è: Calibre lavora sui nervi dello spettatore mettendolo di fronte a una situazione iniziale tremenda (che non vi spoilero) e, da lì, prosegue in caduta libera prendendo alla lettera ogni singola legge di Murphy mai inventata, tanto che la domanda che nasce spontanea è "cosa potrà ancora accadere di peggio??" Viste le premesse, il finale di Calibre ha un po' il sapore dell'anticlimax e ammetto che a un certo punto la mia fantasia era andata in tutt'altra, terrificante e folkloristica direzione, ma lo sguardo in macchina di uno degli attori poco prima dei titoli di testa compensa ogni infantile delusione horrorofila. Miseria quanto è difficile parlare di un film senza dire nulla della trama, passiamo un po' a qualcosa di meno spoileroso.


A livello di regia e scenografie, Calibre sfrutta alla perfezione il paesaggio naturale e urbano scozzese. Pur non essendo gigantesca e sperduta come l'Australia, la Scozia ha dalla sua la presenza di paesini spersi in stradine di campagna e ampie foreste immerse nel clima uggioso e plumbeo di quelle zone, tutti ambienti perfetti per una storia che fa della claustrofobia e della paranoia i suoi punti di forza. All'interno di pub male illuminati dove tutti si conoscono o sono imparentati, in più (oltre ad essere stundai come scrivevo sopra) sono spesso anche ubriachi, è facile da "foresto" ritrovarsi nell'angoscia di non capire se gli autoctoni ci odiano a prescindere (fun fact: in Liguria non ponetevi nemmeno la domanda, odiamo tutti, soprattutto i turisti!), se gli stiamo sulle palle noi in particolare o se invece sono fatti così e magari dentro stanno meditando di offrirci una pinta, e ovviamente Calibre sfrutta moltissimo questa incertezza. L'ansia è garantita anche da un ottimo parterre di attori, che vanno ad affiancare i due bravissimi protagonisti, già di loro molto espressivi; il cast è infatti popolato da "ordinarie facce da pub", volti per lo più insondabili di persone ingrigite e diffidenti sui quali spiccano il veterano Tony Curran e il durissimo Ian Pirie, interpreti di due personaggi che difficilmente dimenticherete. Altro non vi posso dire, se non: fidatevi e recuperatelo, tanto sta su Netflix. Poi ci riaggiorniamo! 


Di Tony Curran, che interpreta Logan McClay, ho già parlato QUI.
 
Matt Palmer è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo e finora unico lungometraggio. Inglese, è anche produttore.


Jack Lowden interpreta Vaughn. Inglese, ha partecipato a film come Dunkirk e Maria regina di Scozia (sul set di questo film, per la cronaca, si è messo insieme a Saoirse Ronan!) Anche produttore, ha 33 anni.  


Se Calibre vi fosse piaciuto recuperate Il rituale, sempre su Netflix. ENJOY!




venerdì 11 agosto 2023

Fenómenas - Indagini occulte (2023)

Nonostante sia stato pessimamente pubblicizzato su Netflix, ci ha pensato Lucia a segnalare Fenómenas - Indagini occulte (Fénomenas), diretto dal regista Carlos Therón.


Trama: tre membri di un'associazione parapsicologica investigano sugli strani eventi accorsi in un negozio di antiquariato, dopo che il prete fondatore del gruppo è stato colpito da un ictus proprio lì dentro...


Prima di leggere il post di Lucia e guardare Fenómenas - Indagini occulte, non conoscevo il gruppo Hepta né i vari casi di fenomeni paranormali investigati da quest'associazione fondata nientemeno che da un prete, Padre Pilón, e attiva ancora oggi. Se vi interessa documentarvi sull'argomento e masticate un po' di spagnolo vi rimando QUI e QUI ma, in soldoni, il film di Carlos Therón si ispira a fatti realmente accaduti a Madrid alla fine degli anni '90 e vede protagoniste queste tre signore già in età un po' avanzata (nel film Sagrario, Paz e Gloria, nella realtà Sol Blanco-Soler, Piedad Cavero e Paloma Navarrete) le quali, guidate da Padre Pilón, mettono al servizio di chi ne ha bisogno i loro talenti: Sagrario è il "volto" della squadra e partecipa da studiosa a vari programmi sull'occultismo, Paz si occupa dell'aspetto tecnologico delle operazioni e Gloria è una sensitiva. La trama del film parte dalla disperata richiesta dei proprietari di un negozio di antiquariato apparentemente infestato ed entra nel vivo nel momento in cui, dopo un sopralluogo a ranghi ridotti, Padre Pilón decide di investigare da solo e viene colpito da un ictus, cosa che spinge le tre donne ad indagare più a fondo, con tutto ciò che ne consegue. Fenómenas si sviluppa quindi come una "classica" storia di fantasmi à la Warren, con fenomeni sempre più invasivi e pericolosi per le tre protagoniste, ma a differenza delle pellicole della saga The Conjuring si concentra molto anche sulle loro personalità, prendendosi tempo (nonostante la brevissima durata) di confezionare gustose sequenze "comiche" imperniate sui frequenti battibecchi di tre persone diversissime tra loro. Questa apertura alla commedia non è atta a ridicolizzare le tre signore, anzi, è un modo per permettere allo spettatore di affezionarsi ed empatizzare, soprattutto quando le cose cominciano a farsi terribilmente serie e le ironiche punzecchiature lasciano il posto a un cameratismo fatto di rispetto, amicizia sincera e ricordi dolorosi. 


Il motivo principale per cui il film, pur essendo una piccola produzione destinata al cestone Netflix, risulta una visione assai piacevole, è proprio la bravura delle interpreti e il modo in cui i tre personaggi principali sono stati scritti. Vedere interagire Sagrario, Paz e Gloria, con tutti i loro tic e la loro pungente ironia, è un vero spasso, e anche prese singolarmente le signore hanno il loro perché, tanto da mangiarsi senza problemi tutto il resto del cast (la cosa che mi ha veramente perplessa è l'introduzione dei due studiosi, quello più anziano e il ragazzino della prima parte, come personaggi potenzialmente importanti, peccato che vengano messi da parte dopo pochissimo tempo), anche se le sequenze ambientate nel negozio di antiquariato, aventi per protagonista il povero e problematico Señor Chimichurri, mi hanno fatta spanciare. A livello di realizzazione, il film non è male. I limiti di budget si vedono, soprattutto nel make-up e negli effetti speciali, ma regia e montaggio riescono, in perfetta sinergia, a realizzare sequenze dinamiche ed equilibrate per quanto riguarda il "registro" della scena, passando da commedia a horror e viceversa, inserendo anche una punta di dramma, senza che si avverta quel senso di stridente fastidio che si prova guardando un Thor di Waititi, per esempio. Riprendo qui il post di Lucia e mi unisco alla sua speranza: il potenziale per un Heptaverse, considerati tutti i casi investigati dal gruppo, c'è eccome, e non mi spiacerebbe affatto vedere tornare le tre signore all'opera, perché secondo me potrebbero ancora darci delle gioie! Magari guardate Fenómenas e pompàtelo un po', così Netflix ci ascolterà! 


Di Belén Rueda, che interpreta Sagrario, ho già parlato QUI.

Carlos Therón è il regista della pellicola. Spagnolo, ha diretto film come Lo dejo cuando quiera, il remake spagnolo del nostro Smetto quando voglio. Anche produttore, montatore, sceneggiatore e attore, ha 45 anni. 


Gracia Olayo, che interpreta Paz, ha partecipato ai film La ballata dell'odio e dell'amore e Musarañas. Se Fenómenas - Indagini occulte vi fosse piaciuto recuperate L'evocazione - The Conjuring, The Conjuring - Il caso Enfield e The Conjuring - Per ordine del diavolo. ENJOY!


mercoledì 9 agosto 2023

Ant-Man and the Wasp: Quantumania (2023)

Parliamo oggi di un altro film Marvel che avevo evitato di vedere al cinema, ovvero Ant-Man and the Wasp: Quantumania, diretto dal regista Peyton Reed.


Trama: Ant-Man e famiglia vengono risucchiati all'interno dell'Universo Quantico e sono costretti a combattere contro Kang il Conquistatore...


Ant-Man and the Wasp: Quantumania (da qui in poi, per comodità mia, "Quantumania" e basta) si era beccato talmente tante recensioni negative che la mia voglia di andarlo a vedere era finita sotto i piedi, soprattutto dopo la visione del noiosissimo Wakanda Forever. L'ho recuperato quindi su Disney +, in una calda serata estiva in cui io e il Bolluomo cercavamo qualcosa di leggero che non gravasse sul nostro cervello già sciolto e, date le premesse, è stata anche una buona scelta. Non mi sentirete MAI dire che Quantumania è un bel film ma non è neppure un abominio inguardabile; purtroppo, il suo difetto principale è quello di essere un pigro collage rimasticato e privo di fantasia di stili e franchise che risalgono agli anni '60, dotato dell'ingrato compito di introdurre il prossimo Thanos della nuova fase del MCU, ovvero Kang il Conquistatore, villain legato a doppio filo a quel multiverso di cui, fino all'anno scorso, sapevamo spaventosamente poco ma che ora comincia un po' a spaccare le palle. E' un film, per inciso, che si porta sulla schiena un carico di sfiga non indifferente: se alla DC hanno Ezra Miller col god complex, il nuovo super villain della Marvel è stato accusato di violenza domestica e a breve finirà a processo, quindi che Jonathan Majors continui a giocare un ruolo fondamentale nel futuro del MCU è tutto da vedere e Quantumania rischia di diventare ancora più inutile e dimenticabile. Tolte queste considerazioni postume, Quantumania è un film Marvel come tanti altri e, ormai, anche Scott Lang se lo semo giocato. Sì, il suo è sempre il punto di vista di un "eroe suo malgrado", ma nulla di ciò che fa nel corso della sua ultima avventura lo rende tanto diverso dai colleghi Avengers e anche il suo desiderio di normalità, che fa a pugni con la volontà della figlia ormai cresciuta di mettere poteri e conoscenze scientifiche (eccola qua, un'altra che a 16 anni è diventata un genio in virtù di cosa non si sa) al servizio dei deboli, si rivela nulla più che un tratto caratteriale superficiale, che poco aggiunge all'economia della storia. La trama, a dire il vero, si regge quasi interamente sulle vicende passate di Janet Van Dyne, la quale guadagna dunque lo scettro non solo della più gnocca del mucchio (il confronto tra la 65enne Michelle Pfeiffer e la 44enne Evangeline Lilly è nuovamente impietoso, sempre per quest'ultima) ma anche del personaggio più interessante e cazzuto, mentre è di nuovo il buon Michael Douglas a raccogliere lo scettro di elegante e sagace comic relief.


Il resto della trama è "rilassante" perché già vista mille volte. Ci sono i ribelli di Star Wars contro i trooper di Star Wars e il supercattivo impossibile da sconfiggere fino a tre minuti dalla fine, c'è un bestiario talmente variegato e strano che, alla fine, la creatura più assurda è proprio Bill Murray in un cameo brevissimo ma meno svogliato rispetto ai suoi standard (anche lì, potere del fascino della Pfeiffer?), c'è un mondo da scoprire di cui, alla fine, non si viene a sapere praticamente nulla e c'è un potentissimo oggetto da recuperare, quindi nulla di originale o inaspettato. Se si vuole un film medio va benissimo così, d'altronde dalla Marvel non mi aspetto granché di più ormai. Piuttosto, il problema vero di Quantumania è la devastante quantità di CGI che mi ha ferito gli occhi in più di un'occasione, asservita al desiderio di mostrare 'sto maledetto Universo Quantico che di naturale non ha nemmeno, chessò, la fogliolina di un albero; almeno, lo avessero fatto talmente psichedelico da vomitare ad ogni scena avrei apprezzato le abbondanti dosi di droga assunta dagli animatori, ma così è tutto cupo, ravvivato giusto da sporadici sprazzi di neon e qualche triste pennellata di viola/arancione. Insomma, bruttino e non ci vivrei. La palma però dell'effetto speciale demmerda la vince M.O.D.O.K.  Da alcune interviste è trapelato che le vere risorse per gli effetti speciali sono state destinate al "cavallo di punta" Wakanda Forever (girato in contemporanea a Quantumania e Thor: Love & Thunder, declassati a prodotti minori) ma vorrei che guardaste lo stesso il film solo per spiegarmi perché NESSUNO ai Marvel Studios si è alzato per dire "ragazzi, comunque abbiamo speso ugualmente 200 MILIONI di dollari e sembra di guardare un film della Asylum, vi prego, eliminiamo questo orrore dal film, tanto non fa neppure ridere". Il Bolluomo sostiene che più di metà budget sia andato solo per gli attori, Bill Murray compreso, e potrebbe anche avere ragione, ma allora anche Corey Stoll si sarà preso dei bei soldoni o non capisco perché avrebbe accettato una figura di tolla così epica. Vabbé, avanti il prossimo, che se non sbaglio dovrebbe essere The Marvels. Ho già paura, anche perché di Captain Marvel non ricordo nulla tranne il gatto, tanto che già ai tempi di Wanda/Vision non avevo capito da dove fosse spuntata Monica Rambeau, e con Secret Invasion mi sto facendo due palle cubiche, ma se non altro Kamala Khan e la sua Ms. Marvel mi sono rimaste abbastanza impresse. Ci riaggiorniamo a novembre!


Del regista Peyton Reed ho già parlato QUIPaul Rudd (Scott Lang/Ant-Man), Evangeline Lilly (Hope Van Dyne/Wasp), Michael Douglas (Dr. Hank Pym), Michelle Pfeiffer (Janet Van Dyne/Wasp), Kathryn Newton (Cassie Lang), Corey Stoll (M.O.D.O.K.), Bill Murray (Lord Krylar) e David Dastmalchian (Veb) li trovate invece ai rispettivi link.

Jonathan Majors interpreta Kang il Conquistatore. Americano, ha partecipato a film come Creed III e a serie quali Lovecraft County e Loki. Anche produttore, ha 34 anni.


Le due scene post-credit sono pesantemente legate alla serie Loki, quindi, se Ant-Man and the Wasp: Quantumania vi fosse piaciuto, vi direi di recuperarla oltre a guardare, ovviamente, Ant-Man e Ant-Man and the Wasp. Li trovate su Disney + assieme a tutto il resto del baraccone MCU, se avete tempo QUI trovate tutta la cronologia che vi serve per farvi un quadro dettagliato della situazione finora! ENJOY!

martedì 8 agosto 2023

Influencer (2022)

Attirata dal nome del regista e co-sceneggiatore Kurtis David Harder, ho deciso di recuperare Influencer, film del 2022 da poco uscito su Shudder. Cercherò di non fare spoiler.


Trama: in vacanza da sola in Tailandia, l'influencer Madison incontra una misteriosa ragazza che si offre di farle da guida per il Paese, ma non è tutto oro quello che luccica...


Negli ultimi anni, i social media e gli influencer sono diventati sempre più protagonisti all'interno del genere thriller horror che, come ben sapete, è forse il più pronto ad assorbire le novità sociali (nel bene e nel male) e trasformarle in materiale per nuovi incubi, o ad accentuarne le caratteristiche negative sottolineandole. Il nuovo film di Kurtis David Harder introduce l'argomento fin dal titolo e, sfruttando uno schema thriller neppure troppo innovativo, ci offre una riflessione sul significato dell'essere influencer e su ciò che si cela dietro tonnellate di foto, sorrisi e messaggi positivi scritti "col cuore". L'esistenza dei social e la possibilità di vivere sfruttando i like e le visualizzazioni per fare soldi infonde ad ogni singolo utente (ciò vale soprattutto per gli influencer ma pensate anche a tutti gli opinionisti improvvisati, me compresa, che si sentono in diritto di commentare cose giusto per il gusto di lasciare un segno della propria esistenza, per non parlare poi dei leoni da tastiera, ma qui esuliamo completamente dall'argomento del film, per fortuna) l'ingannevole convinzione di essere importante, che sia "tutto intorno a noi", come strillava anni fa la pubblicità della Vodafone. Questa aumentata consapevolezza dell'Ego ci induce a pensare che nulla di brutto potrà mai succederci, perché siamo noi i protagonisti della storia, 100% indispensabili a un'umanità che pende dalle nostre labbra; nel caso degli influencer, essi diventano presenze costanti del nostro distratto tempo libero, modelli di vita a cui aspirare e da cui farsi cullare tramite vuote ostentazioni di vacanze paradisiache, con foto accompagnate da messaggi positivi tirati fuori direttamente dai Baci Perugina o, peggio, da qualche manuale di autoaffermazione. Buoni giusto per qualche ora, insomma, e d'altronde fateci caso: quante delle pagine che seguite su Facebook o Instagram (spesso assai simili l'una all'altra e "figlie" di accurati studi sull'attività degli utenti, quindi per nulla personali e genuine), sono state per un po' presenze irrinunciabili della vostra quotidianità per poi sparire all'improvviso e diventare niente più di un vaghissimo ricordo nella vostra mente bombardata da mille stimoli diversi ogni giorno? 


Ecco, Influencer si fa portavoce di tutti questi ragionamenti, sfruttandoli in maniera elegante ed ironica anche a livello strutturale (c'è un motivo per cui i titoli di testa arrivano dopo una ventina di minuti), senza tuttavia diventare una critica feroce del sistema. Anzi, l'occhio con cui il regista riporta le vicende di Madison è quasi indulgente con una ragazza entusiasta ma non stupida, che comincia ad essere dolorosamente consapevole non solo del glamour fasullo dietro le sue stesse parole, ma anche di una solitudine profonda, che nessuno username o falso amico attirato dalla fama potrà mai attenuare; l'ipocrisia di chi circonda Madison è palese fin dal primo minuto e anche la figura di CW inciampa, a lungo andare, nelle stesse dinamiche che scatenano la condanna di chi è tanto sfortunato da incontrarla, con ovvie conseguenze. L'uso intelligente di tutti i topoi legati al social networking si unisce a un budget un po' più consistente del solito, che permette al regista di sfruttare le bellezze naturali della Tailandia e svariati ambienti lussuosi ma effimeri, all'interno dei quali si muove con abilità consumata Cassandra Naud, ballerina-attrice caratterizzata da un'enorme voglia nera che le copre metà viso. La Naud si carica sulle spalle tutto il film, diventando l'inquietante ed affascinante Virgilio delle influencer decise a visitare la Thailandia, e concorre ad alimentare l'atmosfera thriller che altrimenti rischierebbe di affievolirsi un po' per problemi di ritmo iniziale (mentre da metà in poi il film fila come un treno!), confermandosi attrice da tenere d'occhio per il futuro. Sperando che prima o poi la distribuzione italiana decida di far arrivare Influencer anche da noi, vi consiglierei di segnarvi il titolo e di non perderlo!


Del regista e co-sceneggiatore Kurtis David Harder ho già parlato QUI.

Sara Canning interpreta Jessica. Canadese, ha partecipato a film come The War - Il pianeta delle scimmie, The Banana Splits Movie e a serie quali Smallville, Supernatural, Una serie di sfortunati eventi e C'era una volta. Anche produttrice, ha 36 anni e cinque film in uscita.


Emily Tennant
, che interpreta Madison, aveva già partecipato al film Open 24 Hours. Se Influencer vi fosse piaciuto recuperate Ingrid va a Ovest. ENJOY!

venerdì 4 agosto 2023

Hanno clonato Tyrone (2023)

Incuriosita da un titolo originale che mi suonava abbastanza sciocchino, ho recuperato su Netflix il film Hanno clonato Tyrone (They Cloned Tyrone), diretto e co-sceneggiato dal regista Juel Taylor.


Trama: lo spacciatore Fontaine, assieme a due improbabili alleati, scopre che nel quartiere dove vive stanno accadendo cose al limite del paradossale e decide di investigare...


Hanno clonato Tyrone
sarebbe stato un film perfetto per le mani d'oro di Jordan Peele, il quale però, stranamente, non ha avuto nulla a che fare con l'opera in questione. Dico questo perché il nuovo film distribuito da Netflix sfrutta un genere "poco nobile" (in questo caso la fantascienza) per esprimere il disagio della comunità afroamericana e sottolineare il persistente stato di oppressione per mano di una classe dirigente formata principalmente da bianchi, ai quali non importano né l'integrazione razziale né la comprensione di una cultura altra, tantomeno una qualche forma di sostegno e sviluppo per quartieri lasciati decadere e trasformati in ghetti. Ciò che importa, di solito, sono mantenimento dello status quo, repressione o controllo capillare e da qui parte la trama di Hanno clonato Tyrone, che (non è spoiler poiché si evince già dal titolo) parla di clonazione e quindi richiama, a tratti, le atmosfere paranoiche de L'invasione degli ultracorpi e di una depersonalizzazione voluta da misteriose e malevole entità governative. A contrastare questa cospirazione c'è un improbabile trio che sembra uscito da una barzelletta, formato da uno spacciatore, un pappone e una prostituta, il che definisce il mood del film virandolo, spesso e volentieri, verso i territori del mistery ironico e volgarotto. L'idea non sarebbe affatto male, non fosse che, come spesso accade, Hanno clonato Tyrone risulta una di quelle pellicole dove le due anime che la compongono, invece di compenetrarsi creando un'opera ricca e sfaccettata, cozzano dando l'idea di vedere due film diversi, uno troppo stupido per l'argomento trattato e l'altro troppo serio per la quantità di gag e battute che contiene. 


Benché abbia del potenziale innegabile, Juel Taylor non è Jordan Peele e, quel che è peggio, è privo del dono della sintesi. Hanno clonato Tyrone ha una durata proporzionalmente elefantiaca per quel che deve raccontare, e si perde in dettagli e ripetizioni reiterate che lo spettatore medio può tranquillamente afferrare in un paio di sequenze; inoltre, una volta scoperto il mistero, la storia perde in qualche modo di fascino e mordente e si trascina stancamente verso la risoluzione finale. Di fatto, è più intelligente l'estetica del film rispetto alla trama, e centra molto di più la questione di fondo. La fotografia è infatti volutamente sgranata e retrò, così come la scelta di rendere incerti i contorni temporali della vicenda, con costumi e scenografie privi di elementi specifici di un determinato periodo storico e, al limite, più virate sul vintage (cosa che fa deliziosamente a pugni coi dialoghi zeppi di citazioni moderne e scompensa lo spettatore) e, soprattutto, sull'idea "bianca" di come dovrebbe vestirsi un afroamericano strettamente legato a un quartiere povero e degradato. Quest'ultimo aspetto si rispecchia anche nelle personalità e nel modo di parlare dei personaggi principali, che abbracciano allegramente stereotipi reiterati nel tempo, con risultati diversi. Jamie Foxx e Teyonah Parris incarnano infatti l'aspetto più ironico della pellicola e sono frizzantissimi, insieme o separati (anche troppo, a tratti sfociano nell'irritante), mentre a John Boyega è toccata la parte del duro muto, con quella faccia un po' così che induce al sonno anzitempo, il che mi fa pensare che anche lui sia uno di quegli attori che necessitano di un buon regista per brillare, pena l'essere mangiati dal resto del più carismatico cast. Per quanto mi riguarda, Hanno clonato Tyrone è l'ennesima occasione sprecata infilata nel cestone Netflix, carica di potenzialità andate perse in un mare di brodo allungato che ha privato di sapore anche quei pochi aspetti originali. 

Di John Boyega (Fontaine), Jamie Foxx (Slick Charles) e Kiefer Sutherland (Nixon) ho già parlato ai rispettivi link. 

Juel Taylor è il regista e co-sceneggiatore del film. Americano, ha diretto un altro film, Actors Anonymous. E' anche produttore e attore.

Teyonah Parris interpreta Yo-Yo. Americana, ha partecipato a film come Se la strada potesse parlare, Candyman e serie quali CSI - Scena del crimine e Wanda/Vision. Anche produttrice, ha 36 anni e due film in uscita tra cui The Marvels, dove tornerà a vestire i panni di Monica Rambeau.


Se Hanno clonato Tyrone vi fosse piaciuto recuperate Get Out e Noi. ENJOY! 


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