venerdì 29 aprile 2016

The Witch: A New-England Folktale (2015)


In questo 2016 che si sta avvicinando a grandi passi alla stagione estiva, gli horror pregevoli stanno spuntando come funghi. Il più chiacchierato al momento è sicuramente The Witch: A New-England Folktale (anche conosciuto semplicemente come The Witch), diretto e sceneggiato dal regista Robert Eggers nel 2015.


Trama: nell’America del diciassettesimo secolo una famiglia di coloni inglesi viene cacciata dall’insediamento e i suoi membri sono costretti a metter su casa al limitare del bosco. Lì la famiglia viene colpita da una serie di sventure che farebbero pensare alla presenza di una strega…


Se mi avessero detto che a 35 anni non avrei dormito la notte per colpa di un film recitato in inglese antico, all’interno del quale le scene ad effetto sono dosate col contagocce, non ci avrei creduto. Allo stesso modo, ho affrontato The Witch col sopracciglio alzato di chi ormai non si aspetta più miracoli da nessuna parte, non dopo essere rimasta perplessa davanti ad un buon numero di horror magnificati dalla critica di tutto il mondo (sarò ignorante ma, per fare un esempio, It Follows mi è sembrato “soltanto” un buon film, non uno dei più belli mai visti), solo per asciugare una lacrima di commozione alla fine di una pellicola splendida, che sceglie un approccio assolutamente impopolare di fronte al tema trattato. The Witch traspone in immagini una storia di stregoneria e demoni senza quasi utilizzarli, sfruttando l’iconografia tipica di un “racconto popolare” ambientato in un New England non ancora preda della caccia alle streghe che sarebbe culminata nei processi di Salem; la bellezza del film di Eggers è il modo in cui si prende tutto il tempo di contestualizzare la vicenda tratteggiando con pochi, importantissimi dettagli ogni membro della famiglia di William, padre e marito dotato di un’incrollabile, testarda ed ignorantissima fede verso Dio e tutti i precetti della Bibbia, cosa che, a quanto pare, gli è costato l’esilio dall’insediamento coloniale. Accanto a lui c’è la moglie Kate, fedele compagna strappata alla terra natìa e costretta non solo a seguire un marito privo di tenerezza ma anche a venire sempre più “eclissata” agli occhi di lui e del figlio maggiore da una figlia, Thomasin, giovane e bella. Thomasin, da par suo, comincia giustamente a mal tollerare il clima repressivo presente in famiglia e la costante condanna presente negli occhi del padre, fervente sostenitore della teoria del peccato originale, per la quale chiunque è naturalmente malvagio, spinto al peccato ed indegno, mentre il figlio Caleb, poverino, sopporta stoicamente cercando di mettere da parte i dubbi e confidando in un Dio un po’ più misericordioso rispetto a quello invocato costantemente dal padre. Poi, ahimé, ci sono i gemelli. Due orribili bambini che, quando la famiglia viene colpita dalla tragedia, cominciano ad instillare il germe del dubbio “stregonesco” e a comunicare con tale Black Phillip, ovvero l’amichevole capro nero che bruca in cortile.


L'incredibile attenzione dedicata al background culturale dei personaggi fa sì che lo spettatore provi sulla pelle, ancor prima che compaiano creature inquietanti come Black Phillip, il disagio di un'epoca in cui le persone vivevano di superstizioni ed ignoranza, affidando sé stessi e il proprio benessere ai capricci di un Dio che ha scelto di creare l'uomo peccatore e di condannarlo ad un'esistenza di spietata e costante autocritica, letteralmente all'insegna del "mainaGGioia", per dirla in termini meno aulici. E' la mentalità dei coloni del New England in generale e di William in particolare a creare terreno fertile per l'elemento sovrannaturale, tanto che dopo un inizio lento e ragionato gli eventi cominciano a susseguirsi uno dietro l'altro finché la tensione diventa quasi intollerabile; Eggers gioca per la maggior parte della durata sul "non visto", sulle implicazioni nascoste nei dialoghi tra i personaggi e nelle filastrocche dei gemellini terribili, sull'iconografia tipica della strega, tanto che non si ha quasi mai la certezza che le adepte del demonio stiano effettivamente prendendo di mira la famiglia. The Witch non è uno di quei film dal finale aperto o ambiguo, comunque, come mi è capitato di vedere ultimamente in Hellions. Nella seconda parte della pellicola le carte vengono scoperte e le immagini diventano brutali, in aperto contrasto con la reticenza iniziale, dove la fanno da padrone le inquadrature degli inquietanti boschi che circondano la casa di Thomasin e i cupi interni della stessa (fotografia e scenografie sono splendide ed accurate, non ve lo sto nemmeno a dire); quando il sangue comincia a scorrere, le urla diventano quasi cacofoniche e i bravissimi attori arrivano a dare letteralmente il bianco (o il nero, fate voi), The Witch subisce un'altra frenata che ha lo stesso effetto di una pugnalata al petto dello spettatore, perché non serve "vedere" per rimanere pietrificati dall'orrore, basta soltanto ascoltare ed immaginare, che è anche peggio. E quel finale, agghiacciante ma allo stesso tempo estremamente liberatorio, è uno dei più belli che mi sia capitato di vedere in un horror, permeato da una raffinatezza tale che persino il pur gradito Rob Zombie dovrebbe andare a nascondersi con tutti i suoi caproni e i Signori di Salem. Ho già detto "che meraviglia"?    
 
Robert Eggers è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, anche scenografo e costumista, ha 34 anni.


Ralph Ineson interpreta William. Inglese, ha partecipato a film come Big Fish, From Hell, Harry Potter e il principe mezzosangue, Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 1, Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 2, Intruders, Grandi speranze, Guardiani della galassia, Kingsman: Secret Service e a serie come Il trono di spade. Ha 47 anni e un film in uscita.


Se The Witch vi fosse piaciuto recuperate The Blair Witch Project e A Field in England. ENJOY!

giovedì 28 aprile 2016

(Gio)WE, Bolla! del 28/4/2016

Buon giovedì a tutti!! Nell'attesa che arrivino la Guerra Civile, l'Apocalisse e la Squadra Suicida abbiamo davanti un'altra settimana di limbo cinematografico, aggravata dal fatto che a Savona 10 Cloverfield Lane non è uscito. Ma UFFA!!!! Odio tutti. Detto questo, ci sarà qualche valida alternativa? ENJOY!

The Dressmaker - Il diavolo è tornato
Reazione a caldo: Mh.
Bolla, rifletti!: Ammetto che a questo film non avrei dato un euro e invece, anche solo per il cast e l'ambientazione australiana, quasi quasi andrei a vederlo. Sperando che non sia una di quelle pellicole da donnicciole frustrate...

La foresta dei sogni
Reazione a caldo: Eh!
Bolla, rifletti!: Anche solo perché un film di Gus Van Sant è arrivato a Savona VA visto. In più c'è un cast della Madonna ed è ambientato in Giappone, nella "foresta dei suicidi", quindi non lo perderò!

Fuga dal pianeta terra
Reazione a caldo: No, dai.
Bolla, rifletti!: Uno dei pochi cartoni animati che non mi ispira, sarà per l'ambientazione spaziale o perché il character design mi convince davvero poco. E poi è rimasto nel limbo distributivo per tre anni, qualcosa vorrà dire...

Il cinema d'élite s'impegna, invece!

Lo Stato contro Fritz Bauer
Reazione a caldo: Perché no?
Bolla, rifletti!: Dopo la storia del processo al nazista Eichmann arriva quella sull'uomo che si è impegnato per farlo catturare, un procuratore ebreo ed omosessuale che è stato osteggiato dallo Stato. Potrebbe essere MOLTO interessante!

mercoledì 27 aprile 2016

The Boy (2015)

Nonostante la maggior parte delle persone si chieda come sarà QUESTO The Boy, io sono andata controcorrente e ho scelto di guardare il The Boy diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista Craig William MacNeill a partire dal romanzo Miss Corpus di Clay McLeod Chapman (al momento impossibile da trovare non solo in italiano ma persino in versione digitale inglese).


Trama: Ted e suo padre John vivono da soli gestendo un motel sull'orlo del fallimento, mentre la madre è scappata già da tempo in Florida. Per raccogliere i soldi necessari a raggiungerla, Ted ripulisce la pericolosa strada davanti al motel dalle carogne degli animali investiti ma un giorno il suo desiderio di aumentare gli introiti causerà un incidente a un misterioso uomo...


Non so se qualcuno di voi si ricorda L'innocenza del diavolo, film in cui un Macaulay Culkin giovanissimo e ancora sulla cresta dell'onda dava del filo da torcere all'altrettanto giovane Elijah Wood palesandosi come serial killer in erba, un piccolo stronzetto a cui nessuno avrebbe addossato le colpe per le quali l'amichetto lo accusava a gran voce. Il film di Joseph Ruben era un thriller senza infamia né lode che puntava molto sulla spettacolarizzazione della cattiveria del personaggio di Culkin e sulla tensione causata da ogni sua apparizione e ovviamente si soffermava poco sui risvolti psicologici della questione, mentre The Boy mi ha stupita per il modo in cui "priva" la storia proprio dell'elemento che più attirerebbe il pubblico, ovvero quello thriller. William MacNeill, regista e sceneggiatore, ci racconta la lenta e graduale nascita di un serial killer non già partendo dalle sue azioni, che pure vengono mostrate con dovizia di particolari macabri, ma dall'ambiente in cui è cresciuto, insistendo molto sullo squallore del motel gestito da un padre palesemente inadatto ad essere genitore, sul paesaggio brullo e privo di attrattiva alcuna, sull'assenza di coetanei con i quali Ted potrebbe rapportarsi e anche sull'apparente vuoto educativo che circonda il piccolo protagonista (Ted sa fare di conto e leggere ma perché non lo si vede mai andare a scuola o fare dei compiti?). La follia di Ted, se di follia poi si tratta, si sviluppa affondando le radici nella terribile solitudine a cui è costretto e nella mancanza di una figura materna che ha scelto di portare via le suole rifugiandosi nell'assolata e più attraente Florida, e i suoi primi, timidi esperimenti con la morte sono strettamente legati alla necessità di ottenere il denaro per raggiungere questa madre lontana; il piccolo, infatti, passa il tempo a raccogliere carcasse di animali dalla strada, per ognuna delle quali il padre lo paga ben 10 centesimi, ed è proprio il bisogno di aumentare gli introiti che lo spinge a non aspettare più il fato crudele ma a farsi ingannatore di bestiole affamate, con metodi di "cattura" sempre più elaborati e, ça va sans dire, pericolosi anche per eventuali automobilisti.


La storia, ovviamente, non si limita a raccontare le gesta di uno "spazzino di carcasse", anche perché sarebbe impossibile parlare di serial killer in questo modo. Altro non aggiungo, se non che la fascinazione di Ted nei confronti della morte e la consapevolezza di avere potere sulle vite degli altri aumenta mano a mano che la squallida realtà da lui conosciuta si disgrega o viene "invasa" da pochi ospiti più molesti e pericolosi di altri, eventi che fanno letteralmente scoccare la scintilla della sua psicosi. MacNeill si prende tutto il tempo necessario prima di arrivare al deflagrante finale, giocando con lo spettatore proprio approfittando delle sue convinzioni, anche grazie all'utilizzo particolarmente infingardo dell'inquietante colonna sonora, dilatando le tempistiche tipiche del genere per catturare il pubblico in un mix di ansia e frustrazione ugualmente soddisfacenti. Lo sguardo che il regista rivolge al piccolo Ted non è impietoso, anzi; la maggior parte delle inquadrature sono fatte per portarci sì ad aver paura di quello che il protagonista potrebbe fare ma anche, in qualche modo, ad empatizzare con lui e ad odiare quell'ameba che si ritrova per padre (interpretato egregiamente dal mio adorato David Morse, che è poi il motivo che mi ha spinta a recuperare il film), catapultandoci di fatto nei panni degli stessi cretini che o sottovalutano Ted, ritrovandosi poi a pentirsene amaramente, oppure scelgono di non vedere oltre l'apparenza di bambino lasciandolo libero di portare la sua finta innocenza come una maschera. Proprio perché privo di quell'espressione da furbetto viziato che aveva Macaulay Culkin all'epoca, il volto triste e il fisico mingherlino di Jared Breez gli consentono di bucare lo schermo e di toccare le corde più tese dell'animo dello spettatore, facendosi ricordare a lungo sia nei panni del demone cornuto mostrato nella spoilerosissima locandina sia nei lunghi silenzi che accompagnano il suo solitario percorso verso gli abissi della pazzia. Quindi, se amate questo genere di thriller "riflessivi", non potete proprio lasciare The Boy a prendere polvere in qualche solitario e fatiscente motel nei recessi della distribuzione italiana.


Di David Morse (John Henley), Rainn Wilson (William Colby) e Mike Vogel (il padre di Ben) ho già parlato ai rispettivi link.

Craig William MacNeill è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, anche produttore, è al suo secondo lungometraggio, dopo aver girato una serie di corti che comprende anche Henley, da cui è stato tratto The Boy.


Bill Sage interpreta lo sceriffo Deacon Whit. Americano, ha partecipato a film come American Psycho, We Are What We Are e serie come Sex and the City, Melrose Place, CSI, CSI: Miami, Numb3rs e Hap and Leonard. Ha 54 anni e sette film in uscita.


Il piccolo Jared Breeze, che interpreta Ted, aveva già partecipato al film Cooties e lo stesso vale per Aiden Lovekamp, ovvero Ben (quest'ultimo ha anche preso parte agli ultimi due episodi della serie Paranormal Activity). Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Henley, corto da cui è stato tratto The Boy, il già citato L'innocenza del diavolo, ... E ora parliamo di Kevin e aggiungete quel Goodnight Mommy che ancora devo vedere. ENJOY!

martedì 26 aprile 2016

Manuale scout per l'apocalisse zombie (2015)

Era un po' di tempo che non parlavo di qualche simpatica supercazzola horror, quindi rimedio oggi con un post su Manuale scout per l'apocalisse zombie (Scouts Guide to the Zombie Apocalypse), diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista Christopher Landon.


Trama: tre scout si ritrovano coinvolti loro malgrado nello scoppio di un'epidemia zombi che sta decimando gli abitanti della città. Tra spogliarelliste non morte, mostruosi capi-scout e quant'altro, per loro non sarà facile stavolta guadagnare le tanto agognate medaglie...



Manuale scout per l'apocalisse zombie è una commedia horror senza troppe pretese, l'ideale per passare una serata in allegra demenza tra zombie mordaci e umorismo di grana grossa. La storia è quella della solita cittadina americana che in tempo zero viene invasa da famelici morti viventi mentre un pugno di sopravvissuti lotta per evitare di soccombere all'epidemia, tuttavia cambia il target a cui è rivolta e, conseguentemente, anche il registro utilizzato dagli sceneggiatori. La pellicola è destinata ad un pubblico di adolescenti o poco più e non a caso i protagonisti sono tre scout che stanno attraversando la fase di transizione tra ultimo anno di superiori e college; da una parte c'è il cicciottino e un po' sfigato Augie, che vorrebbe rimanere scout per sempre assieme ai suoi due migliori amici, dall'altra ci sono Ben e lo stupidissimo Carter che invece hanno capito di essere arrivati ad un punto della loro vita in cui sarebbe meglio dismettere badge, fazzoletto al collo e pantaloncini corti, veri e propri biglietti da visita per assicurarsi la verginità perpetua. Il pericolo mortale degli zombi acuirà questa loro "crisi esistenziale" ma li porterà anche ad aprire gli occhi sull'importanza delle esperienze acquisite e, soprattutto, sul piacere di fare quello che ci diverte e ci completa a prescindere da come ci giudicano gli altri (un bell'insegnamento soprattutto per chi, come me, si chiede come possa qualcuno rimanere scout una volta superati i dodici anni). Non che il corpo degli scout non venga messo alla berlina, ci mancherebbe, il film è zeppo di prese in giro atte a colpire soprattutto chi eleva lo stile di vita scout a bibbia della sfiga, rendendosi ridicolo anche agli occhi dei suoi stessi "sottoposti", ma alla fine tra un fiotto di sangue e scenette di umorismo becero il messaggio che traspare dalla pellicola è sostanzialmente tollerante e positivo.


Dite che il post sta diventando troppo serio, vero? Avete ragione. Manuale scout per l'apocalisse zombie è innanzitutto la sagra dello stereotipo scorretto e del materiale da pippe adolescenziali, basti solo pensare a quello che si nasconde in casa del capo scout Rogers, al basso sfruttamento delle poppe di una vera attrice porno e, ovviamente, alle due scene che mi hanno fatto prima ridere come una pazza poi vergognarmi per averlo fatto, caratterizzate rispettivamente da un paio di chiappe ciucciate (giuro!) e una cippa utilizzata a mo' di fune (ri-giuro). Se siete uomini, come ho detto, troverete abbastanza carne per i vostri denti, anche perché le comprimarie sono tutte parecchio gnocche, mentre eventuali fidanzate potranno consolarsi con l'uso improprio di canzoni come Baby One More Time di Britney Spears e con la simpatia dei maschi, uno più sfigato ed esilarante dell'altro, a partire dalla guest appearance iniziale del comico televisivo Blake Anderson per arrivare al sempre adorabile David Koechner, il cui poco tempo sullo schermo è l'unico, enorme difetto di un film che, probabilmente, se lo avessi visto a 14/15 anni sarebbe diventato uno dei miei cult trash al pari di Giovani diavoli o Il cavaliere del male (a proposito di Koechner: guardatevi i titoli di coda, in primis perché sono zeppi di simpatici in-jokes, poi perché c'è una scenetta mid-credits). Considerato come il regista Christopher Landon si sia fatto conoscere soprattutto per il suo lavoro in cosette mediocri come la saga di Paranormal Activity (sue sono le sceneggiature dal secondo capitolo in poi, ovvero le peggiori), il fatto che sia riuscito a portare una ventata di simpatia sfruttando un tema ormai abusato come quello dell'apocalisse zombie merita il doppio plauso: Manuale scout per l'apocalisse zombie non è di sicuro un capolavoro ma si lascia guardare e potrebbe farsi ricordare più di altre commedie horror guardate ultimamente, come per esempio il surreale Zombeavers. Se amate le supercazzole al gusto di sanguinaccio e frattaglie non potete esimervi dal dargli un'occhiata!


Di David Koechner, che interpreta il capo scout Rogers, ho già parlato QUI.

Christopher Landon è il regista e co-sceneggiatore del film. Americano, ha diretto film come Il segnato, spin-off della serie Paranormal Activity. Anche produttore, ha 41 anni.


Tye Sheridan interpreta Ben Goudy. Americano, lo ricordo per film come The Tree of Life, Mud e Dark Places - Nei luoghi oscuri. Ha 20 anni e cinque film in uscita tra cui X-Men: Apocalypse, dove interpreterà un giovane Ciclope.


Cloris Leachman interpreta Miss Fielder. Indimenticabile Frau Blucher del mitico Frankenstein Junior, ha partecipato a film come Butch Cassidy, L'ultimo spettacolo (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attrice non protagonista), Ecco il film dei Muppet, Herbie sbarca in Messico, Babbo bastardo, Scary Movie 4 e a serie come Lassie, Ai confini della realtà, Alfred Hitchcock presenta, Perry Mason, Wonder Woman, Love Boat, La tata, Two and a Half Men e Malcom; come doppiatrice ha lavorato nei film Mio Mini Pony - Il film, Il castello nel cielo, Beavis & Butt-Head alla conquista dell'America, Il gigante di ferro, Ponyo sulla scogliera e nelle serie I Simpson e Phineas e Ferb. Americana, ha 90 anni e un film in uscita.


Il figlio di Arnold Schwarzenegger, Patrick, interpreta lo stronzetto Jeff, quello che decide di gabbare i due poveri scout desiderosi di imbucarsi alla festa; peraltro, Patrick era già comparso in un episodio di Scream Queens nei panni del fratello minore del mitico Chad Radwell, Thad. Detto questo, se Manuale scout per l'apocalisse zombie vi fosse piaciuto recuperate Cooties, Deathgasm, The Final Girls e Krampus - Natale non è sempre Natale. ENJOY!

domenica 24 aprile 2016

Legend (2015)

Un altro film che avrei voluto vedere ma che ovviamente non è arrivato dalle mie parti è Legend, diretto e sceneggiato nel 2015 dal regista Brian Helgeland e tratto dal libro The Profession of Violence: The Rise and Fall of the Kray Twins dello scrittore John Pearson.


Trama: alla fine degli anni '50 i gemelli Kray, Reggie e Ron, raggiungono i vertici della malavita londinese, almeno finché la follia di Ron non comincia ad attirare morte, guai e polizia...



Nonostante adori i film "di gangster" e sia abbastanza interessata a quei media che gravitano attorno al mondo della malavita più o meno internazionale (no, non sono come il protagonista di The Wannabe, tranquilli), ammetto di non avere mai sentito nominare i gemelli Kray, sebbene Legend non sia il primo film che ne parli. Ben venga dunque la pellicola di Brian Helgeland, che getta luce sul mondo oscuro della criminalità dell'east end londinese focalizzandosi su questi due gemelli (dimenticandosi un fratello per strada, ahimé) di cui viene descritta la parabola prima ascendente poi discendente attraverso il punto di vista della prima moglie di Reggie, Frances Shea. Come spesso accade in questo genere di film, la narrazione passa dal tono ammirato e speranzoso dell'inizio, che pur lascia presagire la direzione disastrosa che avrebbero preso le vite dei coinvolti, al sentimento tragico e rancoroso di una giovane ragazza che è stata incantata dai modi affascinanti di quello che sarebbe diventato il suo futuro marito e si è ritrovata coinvolta in una vita di criminalità, follia, violenze ed abusi. La diversità tra i due gemelli viene esplicata fin dalle prime battute del film: Reggie era quello apparentemente "normale", almeno dal punto di vista della sanità mentale, mentre Ron era quello dichiaratamente pazzo, probabilmente affetto da schizofrenia paranoide e quant'altro. Legend si premura di sottolineare spesso e volentieri il saldo legame di sangue che legava i due nonostante le mattane di Ron, atti di pura follia che sono arrivati a costare il "regno" ad entrambi, e l'impossibilità per Reggie di tranciare quel cordone ombelicale che, di fatto, lo condannava a tenere in vita Ron e dargli anche modo di prosperare negli affari. La "rettitudine" di Reggie e la follia di Ron diventano quindi il fulcro di ogni avvenimento presente nel film, il punto da cui si dipanano gioie e dolori per Frances e per tutti quelli che hanno avuto la sventura di incrociare i due gemelli, che fossero poliziotti come Nipper Read o biechi uomini d'affari come Leslie Payne.


A portare interamente sulle spalle questa dicotomia nonché la bellezza della sceneggiatura di Brian Helgeland è stato chiamato Tom Hardy, che interpreta ovviamente sia Reggie che Ron. Vedere recitare Hardy in questo film è una gioia non tanto per gli occhi, quanto per le orecchie, visto che la differenza tra i due personaggi risiede più nel loro modo di parlare che in quello di vestire, portare gli occhiali o pettinarsi: accanto alla parlata sicura di Reggie, affabulatore ed affascinante guascone dall'accento cockney, c'è quella strascicata e lagnosa di Ron, il "brutto anatroccolo" della famiglia nonché l'unico gangster che abbia mai visto al cinema pronto a dichiararsi orgogliosamente gay (o, meglio, bisessuale, come raccontano le cronache dell'epoca). Accanto a Hardy c'è uno stuolo di ottimi caratteristi che paiono essere stati tirati fuori dritti dalla mala londinese di quell'epoca e sono anche abbastanza viscidi da rafforzare il senso di istintivo disgusto provato da Frances davanti a Ron (vedere i suoi due lacché/amanti per credere), oltre a due attori come Emily Browning e David Thewlis, ingaggiati per interpretare due ruoli molto importanti. La Browning mi è sempre molto piaciuta come attrice ma ultimamente veniva chiamata solo per parti da mollusco addormentato, mentre in Legend riesce a tirare fuori tutta la sua bravura e a reggere il confronto con le adorabili, sfortunate mogli di gangster scorsesiani, condannate ad un tristissimo destino; David Thewlis invece, dopo essersi fissato nella mia memoria come dolce professor Lupin, si è fortunatamente riciclato come favoloso interprete di personaggi dalla dubbia moralità e sta diventando uno degli attori che più apprezzo sul grande schermo. Legend è anche curatissimo dal punto di vista della colonna sonora, che inanella una serie di brani d'epoca che riprendono furbescamente il tema di ogni sequenza che accompagnano, rendendo così le immagini ancora più piene di significato. Detto questo, se vi piace il genere non potete assolutamente perdere Legend: vi consiglio solo di recuperarlo in lingua originale, anche perché i dialoghi portano un paio di commoventi esempi di "rhyming slang" inglese che rischiano di perdersi nell'edizione italiana.


Di Tom Hardy (Reggie e Ron Kray), Christopher Eccleston (Nipper Read), Emily Browning (Frances Shea), David Thewlis (Leslie Payne), Chazz Palminteri (Angelo Bruno) e Paul Bettany (Charlie Richardson) ho già parlato ai rispettivi link.

Brian Helgeland è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Payback - La rivincita di Porter, Il destino di un cavaliere e un episodio della serie Racconti di mezzanotte. Anche produttore e attore, ha 55 anni e nel 1998 ha vinto un'Oscar per la sceneggiatura di L.A. Confidential.


Se Legend vi fosse piaciuto recuperate Quei bravi ragazzi, Black Mass - L'ultimo gangster, Lock & Stock -  Pazzi scatenati, Snatch - Lo strappo e The Krays - I corvi (anche se non l'ho mai visto è comunque una biografia dei fratelli Kray). ENJOY!

venerdì 22 aprile 2016

PPZ: Pride and Prejudice and Zombies (2016)

Nonostante fosse una di quelle supercazzole che a Savona avrebbero spopolato, PPZ: Pride and Prejudice and Zombie (film diretto e co-sceneggiato dal regista Burr Steers a partire dal libro Orgoglio e pregiudizio e zombie di Seth Grahame-Smith) non è arrivato nella mia città e sono riuscita a recuperarlo solo ora.


Trama: le sorelle Bennet, tra le quali spicca Elizabeth, sono maestre nelle arti mortali e difendono l'Inghilterra dall'epidemia zombie che sta flagellando il Paese. La loro madre tuttavia vorrebbe vederle sposate e l'intera famiglia va in subbuglio quando arrivano nel vicinato il ricco signor Bingley e, soprattutto, l'orgoglioso ed intrattabile signor Darcy...



Avendo letto un paio di volte il romanzo di Seth Grahame-Smith sapevo già cosa aspettarmi da Pride and Prejudice and Zombie e devo dire che durante la visione mi sono divertita tanto quanto mi era successo durante la lettura. La pellicola di Burr Steers condensa un pochino il libro ed impone una svolta ancora più peculiare rispetto alla "parodia" zombesca del famoso romanzo di Jane Austen, arrivando a scomodare persino l'Anticristo e i quattro cavalieri dell'apocalisse, ma fondamentalmente rispetta la natura di romzomcom ottocentesca propria dell'opera originale. Per tutta la durata la pellicola mantiene infatti in miracoloso equilibrio la sua parte romantica, accontentando di fatto quella parte di pubblico femminile che non vede l'ora di sapere come finiranno le tormentate storie d'amore rappresentate, la sua parte di parodia sociale, ancora più divertente in quanto le convenzioni e le frivolezze dell'alta borghesia vengono applicate in un mondo popolato da zombie o persone che stanno per diventarlo, e infine, ovviamente, quella horror. Il risultato è un gradevole pastiche capace di catturare lo spettatore solleticandolo con personaggi ben costruiti ed una trama avvincente che stimola la curiosità non solo di chi non ha mai sentito parlare dell'"omaggio" di Grahame-Smith (o, Dio non voglia, neppure della fonte originale) ma anche di chi ha letto il libro in questione; la sceneggiatura racconta la pericolosa situazione in cui si trova l'Inghilterra senza ricorrere a verbosità eccessive, affidando buona parte delle spiegazioni a dialoghi frizzanti e ad un paio di ironiche sequenze di raccordo nelle quali viene mostrato l'effetto dell'epidemia sulla società inglese, tutto il resto è fatto di combattimenti all'arma bianca (con l'ausilio di qualche fucilata ben piazzata) e balli dal finale inaspettato, mentre i sentimenti delle coppie prese in esame si sviluppano naturalmente, tra una decapitazione e un sorso di the.


E tutto questo, onestamente, da un regista come Burr Steers non me lo sarei mai aspettata visti i polpettoni mielosetti confezionati nel corso della sua carriera (forse che le minacce di Samuel L. Jackson lo abbiano finalmente riportato alla ragione? Mah!); Pride and Prejudice and Zombies ha delle belle scene d'azione, delle ancor più belle ed eleganti coreografie a base di lame e corsetti e oltretutto azzecca anche i tempi horror, piazzando apparizioni di zombi ben imputriditi quando meno ce lo si aspetta. Devo dire che il trucco degli zombi in questione non è proprio dei migliori, ho ravvisato anche troppe ingerenze "computerizzate", tuttavia la sequenza iniziale, durante la quale viene spiegata la genesi dell'epidemia con l'ausilio di un carinissimo teatrino di figurine, fa tranquillamente perdonare alcune imperfezioni. Lo stesso vale, ovviamente, per la carismatica Lily James, che nei panni di Elizabeth Bennet riesce ad essere femminilmente volitiva e a guidare il resto del cast femminile, sicuramente superiore alle quote "azzurre" capitanate da due bietoloni come Sam Riley e Jack Huston: il primo pare affetto dal morbo di Maurizio Costanzo, ha la stessa voce di un uomo senza collo (ora ricordo di averlo visto in Maleficent e il suo è uno dei rari casi in cui il doppiaggio migliora parecchio la situazione...) e per me è uno degli attori più brutti in circolazione, il secondo è un po' più belloccio ma ahimé insipido. Fortunatamente ci pensa Matt Smith a portare un po' di vivacità tra i maschietti e, nonostante il personaggio del Pastore Collins sia probabilmente il più irritante dell'opera, è anche vero che ci vuole della maestria ed interpretarlo, in bilico com'è tra nera ironia e spietata parodia. Nel complesso comunque Pride and Prejudice and Zombies è un film davvero godibile, che consiglio anche a chi non mastica molto il genere horror e vuole qualcosa di un po' più blando, magari prima di passare a zombi "veri".


Di Sam Riley (Mr. Darcy), Bella Heathcote (Jane Bennet), Charles Dance (Mr. Bennet) e Lena Headey (Lady Catherine De Bourgh) ho già parlato ai rispettivi link.

Burr Steers è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Igby Goes Down, 17 again - Ritorno al liceo e Segui il tuo cuore. Anche attore (era il "frangettone" di Pulp Fiction) e produttore, ha 51 anni.


Lily James (vero nome Lily Chloe Ninette Thomson) interpreta Elizabeth Bennet. Inglese, la ricordo per il film Cenerentola, inoltre ha partecipato alla serie Downton Abbey. Ha 27 anni e due film in uscita.


Matt Smith (vero nome Matthew Robert Smith) interpreta il Pastore Collins. Inglese, famoso per essere stato l'undicesimo dottore della serie Doctor Who, ha partecipato anche a film come Womb e Terminator Genesys. Anche regista e stuntman, ha 34 anni e due film in uscita.


Natalie Portman, produttrice del film, avrebbe dovuto interpretare Elizabeth Bennet ma è stata costretta a rinunciare a causa di altre riprese. Il ruolo è stato poi proposto a Lily Collins, che ha però rifiutato; è andata bene a Lily James che, durante la realizzazione del film, si è anche fidanzata con Matt Smith. Per quel che riguarda il regista, invece, la pellicola era stata affidata a David O. Russel, che a sua volta ha lasciato il progetto perché impegnato con altri film. A questo punto, più che consigliarvi la visione di altre pellicole, se Pride and Prejudice and Zombies vi fosse piaciuto vi direi di recuperare il libro da cui è stato tratto, un romanzo divertente che si legge in due giorni. ENJOY!

giovedì 21 aprile 2016

(Gio)WE, Bolla! del 21/4/2016

Buon giovedì a tutti!! Passata l'euforia dei David (Daje Jeeg Robot!!!!) speravo ci fosse la possibilità di rivedere il film di Mainetti a Savona ma ciccia e quindi con cosa posso consolarmi? Mah, con poca roba...

Zona d'ombra - Una scomoda verità
Reazione a caldo: Boh.
Bolla, rifletti!: Un mix tra film a tema sportivo, pellicola d'inchiesta e dramma medicale, il tutto tratto da una storia vera. Già non rientrerebbe molto nelle mie corde ma il vero problema è che Will Smith mi sta proprio sullo stomaco, ahimé.

Codice 999
Reazione a caldo: Mh.
Bolla, rifletti!: Questo parrebbe l'ideale per una serata ad alto tasso di ignoranza, tra poliziotti corrotti e viulenza. Purtroppamente, non c'è UNA sola cosa che mi spingerebbe a spendere dei soldi per un biglietto, quindi lo recupererò più avanti. Forse.

Le confessioni
Reazione a caldo: Oddio.
Bolla, rifletti!: Ci sono Servillo e Pierfrancy ma mi sa di una pesantezza rara. Visto l'argomento trattato e la scelta di mettere di fronte i potenti della terra alla semplicità di un monaco potrebbe anche essere interessante, però. Insomma, riassumendo, attendo nuove da chi avrà il coraggio di affrontare il film di Roberto Andò.

Il cinema d'élite si fa elegantemente frivolo!

Una notte con la regina
Reazione a caldo: Sembra carino!
Bolla, rifletti!: In onore del novantesimo compleanno di Her Majesty, questo film sembra proprio uno di quelli in grado di piacermi! Tra storia vera e simpatici "rimaneggiamenti", il film racconta di una principessa in incognito che festeggia la fine della guerra in mezzo al popolo, quindi c'è da aspettarsi un'ora e mezza di wit britannico... per questo e per il fatto che non sarò fisicamente presente a Savona nei giorni di proiezione, conto di recuperarlo al più presto in lingua originale!!

mercoledì 20 aprile 2016

Bolle di ignoranza: Intruders (2011)

Qualche sera fa mi è capitato di guardare Intruders, diretto nel 2011 dal regista Juan Carlos Fresnadillo. Siccome il sonno mi ha vinta per buona parte della visione, mi pare quantomeno scorretto propinarvi un post di lunghezza normale, quindi ho scelto di far rientrare le poche righe di “recensione” nell’ambito della rubrica Bolle di Ignoranza, anche perché sicuramente quest’aburrimiento di film non lo riguarderò mai più nella vita.


Trama: due bambini vengono perseguitati dal fantasma “senza faccia”, un essere che si nasconde tra le ombre ed è alla costante ricerca di volti da rubare...


Questa sono io. Durante la visione.
Clive Owen non ha molta fortuna sul Bollalmanacco. Dopo Elizabeth – The Golden Age, in cui se non rammento male faceva la parte del capitano gnocco, tocca ad Intruders finire nelle Bolle di Ignoranza. O forse sarebbe meglio dire Bolle al Naso. Sì perché durante la visione di Intruders ho dormito come non mi era mai successo prima, da tanto il film era “entusiasmante” e “terrificante”. Sono riuscita a svegliarmi nei momenti topici, per carità, tanto da potervi raccontare, se volessi, quello che avrebbe dovuto essere il twist capace di far gridare al miracolo oltre che la trama in generale, ma sinceramente all’ennesima scena buia col tizio incappucciato che minaccia i pargoli da un armadio o da un soffitto gocciolante melma il mio cervello ha scelto consapevolmente di spegnersi. Oltre alla noia imperante ho ravvisato una generale incapacità del regista e degli sceneggiatori non soltanto di creare tensione o di sfruttare al meglio gli attori a disposizione (Daniel Bruhl non è sprecato: di più!) ma anche di gestire la doppia narrazione che dovrebbe rappresentare la peculiarità stilistica della pellicola; tra mocciosi che scrivono racconti interminabili, genitori che non capiscono una mazza o combinano solo casini, agenti esterni che vorrebbero riportare tutti i coinvolti al raziocinio e un fantasma che si limita a imporre le proprie mani sui giovani virgulti o a nascondersi, non visto, alle loro spalle, Intruders è davvero la sagra del cliché fatto a tirar via. Peccato perché, viste le sequenze finali, con un po’ più di coraggio e un regista maggiormente capace (un autore asiatico con del materiale simile avrebbe fatto faville) sarebbe potuta uscire fuori una bella favola nera, un po’ come è stato per La madre, magari non memorabile ma comunque gradevole. Vabbé, se avete problemi di sonno potreste prendere in considerazione Intruders come una sorta di terapia d’urto quindi alla fine non è un film proprio totalmente inutile!



martedì 19 aprile 2016

Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein (2015)

Nonostante l'universo incombesse per non farmelo vedere, sono riuscita finalmente a recuperare Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein (Victor Frankenstein), diretto nel 2015 dal regista Paul McGuigan e molto liberamente tratto dal Frankenstein di Mary Shelley.


Trama: il gobbo Igor viene liberato dal circo in cui era tenuto prigioniero e curato dal giovane dottorando in medicina Victor Frankenstein. Affascinato dalle inaspettate conoscenze anatomiche dell'ex gobbo, Frankenstein decide di collaborare con lui per realizzare l'esperimento definitivo onde sconfiggere la morte...


Mi sto rammollendo? Ma sì, ragazzi, che vi devo dire. Dopo ormai 8 anni di Bollalmanacco temo che il mio spirito critico si sia spento se mi sono ritrovata a non inveire alla fine della visione di Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein, un fumettone divertente che non rende assolutamente giustizia alla creatura (anzi: allE creature) di Mary Shelley ma che perlomeno aiuta a passare una serata a tratti esilarante tra gobbi che si raddrizzano, gobbi raddrizzati che limonano con in testa extention improbabili e dottori che si impetroliano allegri tra un sezionamento e l'altro. Uh, aspettate, colgo dell'ironia nelle mie stesse parole! Gaudeamus, non tutto è perduto! Dicevo. L'importante, guardando Victor Frankenstein (ché il titolo italiano è lungo e fuorviante come al solito), è dimenticare che sia esistita un'opera dall'altisonante sottotitolo di Il Prometeo moderno ed accettare che il già citato servo gobbo nato nei film di James Whale col nome di Fritz fosse un genio al pari del ben più famoso dottore, un eroe romantico e tormentato chiamato a far da coscienza ad un Frankenstein ormai fuori come un balcone. Il gobbo che gobbo non è (sulla questione non voglio spoilerare nulla ma sappiate che se riuscirete a superare il momento WTF riguardante la trasformazione di Igor allora forse potrete anche arrivare alla fine del film, altrimenti rinunciate sereni) è il vero protagonista della pellicola e attraverso la sua narrazione arriviamo a scoprire la follia che alberga nella mente di Victor, un genio talmente avanti col pensiero da non riuscire nemmeno a tradurre le sue teorie in parola, incapace di comportarsi in modo urbano all'interno della società. Tra un esperimento fallito e l'altro, il figlio di John Landis, ovviamente in veste di sceneggiatore, riesce persino ad introdurre qualche complotto per la conquista del mondo o, perlomeno, dell'Inghilterra, e una stoccatina lieve lieve contro il fanatismo religioso di stampo cattolico, cercando di mitigare la cattiveria e la noncuranza verso la vita umana che Frankenstein pare mostrare per tutta la durata del film e arrivando a rendercelo persino simpatico.


E, obiettivamente, non ci sarebbe film senza la presenza di un James McAvoy infuso di uno spirito Franchiano che lo porta a gigioneggiare, matto come un cavallo, per tutto il film e senza ritegno alcuno: il capelluto Xavier urla, si infervora, gesticola, ride, piange e ostenta un'impareggiabile sicumera condita da un sexy accento inglese che rende la visione di Victor Frankenstein meno irritante di quanto altrimenti sarebbe stato. Sicuramente risolleva lo spirito davanti all'ennesimo ruolo imbarazzante (nel senso che il ragazzo manca proprio del physique du role, come già accaduto per Horns e The Woman in Black) che si è ritrovato ad interpretare l'ex maghetto occhialuto Daniel Radcliffe, letteralmente ingessato negli abiti di Igor ma molto simpatico da vedere in guisa di gobbo circense: il miscasting è ancora più clamoroso se si pensa che la storia viene raccontata per l'appunto dall'assistente di Frankenstein e, detto proprio sinceramente, l'idea di infilarci la storia d'amore "perché sì" o perché Radcliffe viene assurdamente considerato un sex symbol da stormi di ragazzine urlanti ed infoiate è talmente blasfema che darei anche ragione alla Shelley se volesse rivoltarsi nella tomba. Il resto non è nemmeno tanto male, almeno registicamente parlando e per quel che riguarda gli effetti speciali. McGuigan lo ricordo per opere migliori e più legate ad amori della mia generazione di vecchiacci ma il suo riciclo come regista baracconesco poteva andare peggio: le sequenze molto anni '80 in cui viene rianimato uno scimpanzé e il delirio finale sono obiettivamente d'impatto mentre l'inizio ambientato nel circo (a tal proposito c'è da dire che l'aspetto migliore del film sono le scenografie) è in qualche modo affascinante. Insomma, il mio spirito critico è morto, spero arrivi qualche novello Frankenstein a resuscitarlo, nel frattempo se voleste recuperare questo film non sarò io ad impedirvelo.


Di Daniel Radcliffe (Igor), James McAvoy (Victor Frankenstein) e Charles Dance (Frankenstein) ho già parlato ai rispettivi link.

Paul McGuigan è il regista della pellicola. Scozzese, ha diretto film come The Acid House e Gangster n°1. Anche produttore, ha 53 anni e dovrebbe dirigere alcuni episodi dell'imminente serie Luke Cage.


Andrew Scott, che interpreta l'ispettore Turpin, è il Moriarty della famosissima serie Sherlock. Il film invece avrebbe dovuto essere diretto da Shawn Levy (già regista di Real Steel e dei vari Una notte al museo) che però ad un certo punto si è ritirato dal progetto. Detto questo, se Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein vi fosse piaciuto recuperate Pride and Prejudice and Zombies e magari anche La mummia. ENJOY!

domenica 17 aprile 2016

Il libro della giungla (2016)

Alla fine l'unico film che sono andata a vedere in occasione dei Cinema Days è stato Il libro della giungla (The Jungle Book), diretto dal regista Jon Favreau e ovviamente tratto dall'omonima raccolta di racconti di Rudyard Kipling.


Trama: il "cucciolo d'uomo" Mowgli viene trovato nella giungla dalla pantera Bagheera e dato in affidamento al branco di lupi guidato da Akela. Il piccolo cresce sano e forte finché il ritorno della tigre Shere Khan, assetata di vendetta nei confronti degli esseri umani, non lo costringe a fuggire ed intraprendere un pericoloso viaggio per tornare al villaggio degli uomini...


Io devo essere una delle poche persone in tutto il mondo ad aver guardato la versione Disney de Il libro della giungla giusto un paio di volte e ad aver letto l'opera di Kipling talmente tanto tempo fa da non ricordarla nemmeno più. La conseguenza di tutto ciò è stata, ovviamente, che Il libro della giungla non si è radicato nel mio immaginario infantile né si sono sviluppati nei suoi confronti sentimenti tali da storcere il naso davanti all'ennesimo live action sfornato da una Casa del Topo ormai alla canna del gas per quanto riguarda le idee. Un'altra conseguenza è stato l'inaspettato sorrisone col quale sono uscita dopo la visione del film di Favreau, che al momento merita la palma di miglior adattamento da cartone animato a film con esseri "in carne e ossa" (benché di reale, nella pellicola, ci sia solo il piccolo attore che interpreta Mowgli, il resto è stato interamente realizzato al computer, location comprese); la sceneggiatura di Justin Marks è infatti fondamentalmente rispettosa delle opere originali, non ricerca origini strappalacrime alla cattiveria della tigre Shere Khan come accadeva in Maleficent né si limita a riproporre una storia ormai anacronistica soffocandola con barocchismi scenografici o sontuosi costumi à la Cenerentola di Branagh. Certo, Il libro della giungla ha dalla sua l'incredibile universalità e attualità dei temi che tocca, quindi parte già avvantaggiato. L'accettazione dell'altro, il senso di appartenenza a un gruppo che non deve essere necessariamente la famiglia, la capacità di capire ciò che ci rende unici ed arrivare a usarlo per il bene degli altri sono solo alcuni dei mille messaggi positivi che da sempre la storia di Mowgli può trasmettere a grandi e piccini e, ovviamente, se questi messaggi vengono inseriti all'interno di un racconto avventuroso e popolato da personaggi indimenticabili quali l'orso Baloo, il scimmiesco Re Luigi, il cattivissimo e carismatico Shere Khan e la saggia pantera Bagheera, vincere facile è quasi inevitabile.


C'è anche da dire che Favreau, benché non concorrerà mai alla Palma d'Oro o all'Oscar né come regista né come attore, non è assolutamente l'ultimo arrivato in campo action e gran parte del piacere durante la visione de Il libro della giungla deriva direttamente dalla sua capacità di girare scene fluide, dinamiche e a dir poco spettacolari, sequenze alle quali ovviamente giova un valido montaggio. Per quanto gli effetti speciali compongano il 95% dell'opera è raro che si avverta quel fastidioso senso di "finto" che mi ha colpita come un maglio durante la visione del trailer dell'orrido ed imminente Alice attraverso lo specchio: luci ed ombre sono particolarmente realistiche, i paesaggi accolgono naturalmente sia il piccolo Mowgli che gli animali virtuali "indossati" dai pupazzi creati dallo studio di Jim Henson o addirittura dallo stesso Favreau, e le fondamentali bestiole sono realizzate divinamente, soprattutto il bellissimo orsone Baloo (stendo un leggero velo pietoso su Bagheera, l'unico animale che purtroppo non sono riuscita a farmi piacere, troppo rigido il muso e palesemente fasullo). Poi, ovvio, da un film come questo non si può pretendere il realismo assoluto e ci mancherebbe, così com'è giusto che l'originale Libro della giungla non vada dimenticato, nonostante l'intrigante scelta di realizzare un Kaa femmina ahimé poco sfruttato. Ecco quindi perché ho accolto con moltissimo piacere l'altra furberia di Justin Marks, ovvero quella di integrare parte dei testi delle canzoni del cartone animato nei dialoghi tra i vari personaggi, per poi travalicare in pochi ed azzeccati momenti musical durante i quali Baloo e Mowgli prima, Re Luigi poi, fanno scendere la lacrimuccia a chi, come me, ancora non ha dimenticato le accattivanti Lo stretto indispensabile e Voglio essere come te. A tal proposito vi consiglierei, nonostante NON CI SIANO SCENE POST CREDITS, di rimanere a vedere i titoli di coda: primo, perché per buona parte degli stessi ci sono delle simpatiche scenette all'interno di un pop up, poi perché potrete sentire un paio di canzoni in lingua originale, tra cui la sensuale The Python's Song cantata da Scarlett Johansson... anche se nulla batte un inedito Giancarlo Magalli in versione cantante jazz, sappiatelo!


Del regista Jon Favreau (che doppia anche il cinghiale nano) ho già parlato QUI. Bill Murray (voce originale di Baloo), Ben Kingsley (Bagheera), Idris Elba (Shere Khan), Scarlett Johansson (Kaa), Christopher Walken (King Louie) e Sam Raimi (lo scoiattolo gigante) li trovate invece ai rispettivi link.

Lupita Nyong'o è la voce originale di Raksha. Messicana, la ricordo per film come 12 anni schiavo (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attrice non protagonista) e Star Wars - Il risveglio della forza. Anche produttrice e regista, ha 33 anni e tre film in uscita tra cui Star Wars: Episode VIII.


Giancarlo Esposito (vero nome Giancarlo Giuseppe Alessandro Esposito) è la voce originale di Akela. Danese, ha partecipato a film come Changeling, Una poltrona per due, Cercasi Susan disperatamente, Brivido, I soliti sospetti, Derailed - Attrazione letale e a serie come Miami Vice, Ghost Whisperer, Bones, CSI: Miami, Breaking Bad e C'era una volta. Anche produttore e regista, ha 58 anni e quattro film in uscita.


Tra le voci dei lupetti ci sono quelle di Emjay Anthony, il giovane protagonista di Krampus - Natale non è sempre Natale, dei due figli di Naomi Watts e Leiv Schreiber, Sasha e Kai, e di Max Favreau, figlio del regista (la figlia Madeleine invece doppia uno dei rinoceronti); i doppiatori italiani invece contano il già citato Giancarlo Magalli (Re Luigi), Neri Marcoré (Baloo), Toni Servillo (Bagheera), Violante Placido (Raksha) e Giovanna Mezzogiorno (Kaa). La Disney sta già pensando ad un sequel della pellicola con lo stesso team creativo; nell'attesa, se Il libro della giungla vi fosse piaciuto recuperate ovviamente il cartone animato del 1967. ENJOY!

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