domenica 30 giugno 2019

Toy Story 4 (2019)

Credevo non sarei riuscita a vederlo ma, come si suol dire, volere è potere e così giovedì sono andata al cinema per guardare Toy Story 4, diretto dal regista Josh Cooley. NO SPOILER, almeno ci proviamo!


Trama: i giocattoli che erano di Andy passano ora una vita più o meno serena nella cameretta di Bonnie, ormai pronta per andare all'asilo. L'arrivo del "giocattolo" Forky e un'inaspettata vacanza in camper arrivano a scombinare le cose...


Avevamo lasciato Woody e soci nelle amorevoli mani di Bonnie, nell'ormai lontano 2010. Una perfetta quadratura del cerchio, così come perfetto era Toy Story 3, conclusosi con il passaggio di consegne da una generazione a un'altra, con Andy che, diventato adulto, donava i compagni di una vita a una bambina che la sua l'aveva appena iniziata. Non c'era bisogno di un Toy Story 4, questo sia chiaro a tutti, ovviamente, perché la storia aveva già raggiunto la sua naturale conclusione. Però, come viene spesso ripetuto nello stesso film, c'è gente che non riesce ad andare avanti e a lasciarsi alle spalle il passato (soprattutto quando c'era UNA piccola questione in sospeso in Toy Story 3), che passerebbe tutta la vita chiusa in una teca di vetro dove vengono proiettati vecchi film Disney o Pixar 24 ore su 24, e a tutti loro è dedicato questo Toy Story 4. A loro e a chi, come il nuovo personaggio Forky, fatica ad accettare di poter diventare qualcos'altro, al di là dei pregiudizi che lo bloccano precludendogli mille interessanti possibilità. A quelle persone che faticano ad uscire dalla loro confort zone trovando mille scuse per non fare un passo avanti, rasentando una psicosi dannosa tanto per se stessi quanto per gli altri. Toy Story 4 è pieno di questi personaggi, Woody in primis, terrorizzati di perdere quello che pensano essere il loro posto nel mondo, al di là del quale c'è una terrificante oscurità fatta di incertezze e solitudine; è proprio questa incapacità di "evolvere" (specchio della paura della piccola Bonnie di andare all'asilo) il motore di una storia in cui Woody e soci si ritroveranno nuovamente coinvolti in una tipica, rocambolesca missione di recupero all'interno della quale i giocattoli dovranno mettere in mostra tutte le loro abilità senza farsi scoprire e senza mostrare agli umani la sottile vena di follia che li caratterizza. Una storia dove i momenti nostalgici e commoventi sono dietro l'angolo, pronti a colpire a tradimento, spingendo lo spettatore particolarmente cretino (ovvero io) a mettere mano ai fazzoletti, e dove si ride parecchio, anche perché il tasso di demenza dei nuovi personaggi introdotti è assai elevato.


E' tuttavia palese, al di là di tutti questi aspetti positivi, che molti personaggi non avessero più nulla da dire. I vecchi giocattoli, che nei primi tre film riuscivano a ritagliarsi un indispensabile spazio sotto i riflettori e a far da degna spalla a Woody (pezzi grossi come Jessie e Buzz Lightyear) qui sono molto sotto tono, parte del "mucchio" e spesso ridotti a far da tappezzeria, lasciando spazio a nuove creaturine che faranno impazzire gli abituali acquirenti di Funko Pop e prodotti del Disney Store e che, in effetti, sono molto spassose. Avevo molta paura di Forky, lo ammetto. Per i primi 20 minuti è l'equivalente di una gag tirata per le lunghe e non aiuta che a doppiarlo sia Luca Laurenti, dotato ahilui di una voce che mi istiga la violenza, poi per fortuna riesce in qualche modo a sbloccarsi e a rendersi amabile, anche se la palma di migliori personaggi (salvo una Bo-Peep evolutasi in uno dei migliori personaggi femminili Pixar di sempre) vanno agli svampitissimi peluche Ducky e Bunny, con quei loro sogni ad occhi aperti capaci di far la gioia di ogni amante dei film horror. Anzi, io chiederei a gran voce che gli sceneggiatori di Toy Story 4, assieme al regista, realizzassero qualcosa in ambito horror, in quanto hanno una conoscenza del genere (i riferimenti a Shining si sprecano. Chiedetevi, tra le altre cose, dove avete già sentito la canzone Midnight, the Stars and You. Ah, non c'entra nulla ma divertitevi anche a trovare una Boo cresciuta!), dei suoi topoi e dei suoi ritmi superiore a quella di molti registi e sceneggiatori impegnati nel campo, vedere le terrificanti marionette che accompagnano Gabby Gabby per credere ma anche gli inquietantissimi piani d'attacco di Ducky e Bunny. Sugli aspetti tecnici della pellicola c'è poco da dire, le animazioni e il character design sono a livelli superiori come sempre e in generale Toy Story 4 è un film piacevolissimo da vedere, sia per grandi che per piccini, perfettamente inserito all'interno di quel cerchio "chiuso" formato dalle prime tre pellicole. Insomma, quello che partiva come un film "inutile" è un gran bel quarto capitolo, da vedere e rivedere come i predecessori. Sperando, con tutto il rispetto, che sia finita lì, altrimenti tutti gli insegnamenti di Toy Story 4 saranno stati vani.


Di Tom Hanks (voce originale di Woody), Tim Allen (Buzz Lightyear), Annie Potts (Bo-Peep), Christina Hendricks (Gabby Gabby), Jordan Peele (Bunny), Keanu Reeves (Duke Caboom), Jay Hernandez (papà di Bonnie), Joan Cusack (Jessie), Bonnie Hunt (Dolly), Wallace Shawn (Rex), Laurie Metcalf (la mamma di Andy), Mel Brooks (Melephant Brooks), Bill Hader (Axel il giostraio), Patricia Arquette (la mamma di Harmony), Timothy Dalton (Mr. Pricklepants), Carl Weathers (Combat Carl) e Flea (voce dello spot di Caboom) ho già parlato ai rispettivi link.

Josh Cooley è il regista della pellicola. Americano, è al suo primo lungometraggio ma aveva già diretto il corto Il primo appuntamento di Riley. Anche doppiatore, sceneggiatore e animatore, ha 39 anni.


Tony Hale è la voce originale di Forky. Americano, ha partecipato a film come Yoga Hosers e a serie quali Dawson's Creek. I Soprano, Sex and the City, E. R. Medici in prima linea, Numb3rs, Medium e Una serie di sfortunati eventi. Anche produttore, ha 49 anni e un film in uscita.


Keegan-Michael Key è la voce originale di Ducky. Collaboratore storico di Jordan Peele, ha partecipato a film come Parto col folle, Come ammazzare il capo 2, Tomorrowland - Il mondo di domani, Scappa: Get Out, The Predator e a serie quali E.R. Medici in prima linea, How I Met Your Mother e Fargo, inoltre ha già lavorato come doppiatore per The Lego Movie, Hotel Transylvania 2 e Bojack Horseman, Robot Chicken, I Simpson e American Dad!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 48 anni e quattro film in uscita tra cui Il re leone.


La voce originale di Bonnie è della giovanissima Madeleine McGraw che, nella serie Outcast, interpretava la figlia di Kyle Barnes. Nell'armadio di Bonnie si riuniscono un po' di vecchie glorie della commedia americana: assieme al Melephant Brooks ci sono infatti Chairol Burnett (la sedia verde doppiata da Carol Burnett), Bitey White (tigrotta doppiata da Betty White) e Carl Reinoceros (rinoceronte doppiato da Carl Reiner). Tra i doppiatori italiani segnalo invece il già citato Luca Laurenti (Forky) e Corrado Guzzanti (Duke Caboom). Il film segue, ovviamente, Toy Story, Toy Story 2 e Toy Story 3, assieme ai corti Vacanze hawaiiane, Buzz a sorpresa, Non c'è festa senza Rex, Toy Story of Terror e Toy Story - Tutto un altro mondo, tutte cosette che vi consiglio di recuperare. ENJOY!

venerdì 28 giugno 2019

La bambola assassina (2019)

Fresca dell'ennesimo recupero del film originale, mercoledì sono andata a vedere La Bambola assassina (Child's Play), diretto dal regista Lars Klevberg. Siccome seguono SPOILER, se non volete continuare a leggere sappiate che il film è delizioso e merita di essere visto, e tanto vi basti!


Trama: Andy, ragazzino solitario reduce da un recente trasloco, riceve come regalo di compleanno il bambolotto Buddy, un trionfo di tecnologia interattiva. Il bambolotto adora il suo nuovo amico Andy ma ha un difetto fatale, che lo porterà a comportarsi in maniera sempre più inquietante...


La bambola assassina del 2019 ha due falle, diciamolo subito. Un doppiaggio italiano che non rende giustizia alla splendida, seSSissima voce di Mark Hamill (ascoltabile nel corso dei titoli di coda, giusto per far venire il nervoso al pubblico italiano) e un bambolotto dal sembiante orrido. Come si possa, nell'anno del signore 2019, realizzare una bruttura simile quando negli anni '80 Chucky, per quanto terrificante, aveva dei lineamenti regolari, da bambolotto e non da aborto zeppo di rughe, è qualcosa che mi sfugge, tuttavia alla lunga ci si abitua anche alla brutta faccia del nuovo Chucky e a me è sembrato che i realizzatori marciassero molto su questa sua bruttezza inguardabile, facendomi spesso ridere. Bon, difetti finiti, passiamo a parlare di quanto è carino il nuovo La bambola assassina. A livello di trama è interessante vedere come lo sceneggiatore Tyler Burton Smith si sia appoggiato non tanto a quella del film di Tom Holland, quanto piuttosto al concept originale (e poi scartato) del primo La bambola assassina; niente killer incarnati attraverso riti voodoo all'interno di un guscio di pezza ma un bambolotto un po' troppo ligio a quella che è la sua missione, ovvero rendere felice il piccolo padroncino. Andy è un ragazzino solitario e schivo, rifugge il contatto coi suoi coetanei, ha una madre giovanissima dotata di un fiuto particolare per portare a casa fidanzati di dubbio gusto e il bambolotto Chucky si fa carico di liberare Andy dalla tristezza e dalla solitudine, perseguendo intenti assolutamente lodevoli, anche se con metodi discutibili. Ci sono momenti, nel nuovo La bambola assassina, durante i quali si prova pietà per Chucky, bambolotto reo di essere difettoso, più innocente di un bambino e per questo permeabile a qualsiasi suggestione, positiva o negativa che sia: davanti a ragazzini che si spanciano dal ridere guardando Non aprite quella porta 2, perché mai un Candido voltaireano non dovrebbe volerli far divertire armandosi di coltello e tentando di ucciderne uno, così, per ridere? D'altronde, è ciò che sta succedendo a buona parte dei millenials, vittime di una desensibilizzazione che viaggia sul filo dello smartphone (il film è pieno di mocciosi isolati nel loro mondo virtuale) e che li rende sì più furbi di quanto non fossimo noi alla loro età (Andy e i suoi amici conoscono i meccanismi dell'horror e sul finale li mettono in pratica) ma anche, troppo spesso, incapaci di empatizzare col prossimo, perennemente annoiati ed egoisti.


Per fortuna i protagonisti di La bambola assassina, che pur è ambientato in un quartiere talmente squallido e degradato che al confronto il ritrovo di barboni dell'88 è il Ritz, sono tutti simpatici e carini, partendo da Andy e i suoi amici, passando per la tostissima mamma interpretata dall'adorabile Aubrey Plaza, fino ad arrivare ai personaggi secondari, per i quali, salvo giusto due che dovrebbero morire male fin dalla prima inquadratura, si arriva a provare un dispiacere raro per questo genere di film. Lontano dallo sboccatissimo Charles Lee Ray dei vecchi film, il nuovo Chucky interagisce alla perfezione coi piccoli protagonisti, a tratti sembra anche lui un bambino vero oltre che un ottimo compagno di giochi, ed è quindi ancor più scioccante la sua discesa verso la progressiva follia che, a tratti, mi ha ricordato quella raccontata in un altro gran caposaldo delle notti horror estive, ovvero quella del robot B.B. in Dovevi essere morta. A proposito del film di Craven, che aveva un bodycount esiguo ma alcune scene splatter di tutto rispetto, parliamo un po' del tasso di gore presente in La bambola assassina. E' vietato ai minori di 14 anni, penso per la brutta fine fatta dal povero Mickey Rooney e per l'utilizzo creativo di una maschera in pelle umana, ed è sicuramente più splatter rispetto al film di Tom Holland, tuttavia il regista poteva fare molto peggio, soprattutto nel prefinale ambientato all'interno dei grandi magazzini (qualcuno ha detto Phantasm?) ed essere un po' più cattivello e creativo sfruttando appieno tutte le potenzialità multimediali di Chucky, capace di diventare un Grande Fratello di proporzioni nazionali. Nonostante questo, non mi lamento. La nuova Bambola Assassina è un gradevolissimo frullato estivo di sangue ed umorismo (il moccioso che interpreta Pugg, in particolare, è esilarante), capace di superare la soglia minima di ignoranza richiesta a questo genere di operazioni, il che è più di quanto chiederei mai a qualsiasi remake horror. Non perdetelo!


Del regista Lars Klevberg ho già parlato QUI. Mark Hamill (voce originale di Chucky)e Tim Matheson (Henry Kaslan) li trovate invece ai rispettivi link.

Aubrey Plaza interpreta Karen Barclay. Americana, la ricordo per film come Scott Pilgrim vs The World, Damsels in Distress, inoltre ha partecipato a serie quali Criminal Minds, Legion e lavorato come doppiatrice per La collina dei papaveri, Monsters University e Spongebob Squarepants. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 35 anni e un film in uscita.


Gabriel Bateman interpreta Andy Barclay. Americano, ha partecipato a film come Annabelle, Lights Out - Terrore nel buio e a serie quali Grey's Anatomy e Outcast. Ha 15 anni e due film in uscita.


Brian Tyree Henry interpreta il Detective Mike Norris. Americano, ha partecipato a film come Hotel Artemis, Widows: Eredità criminale e Se la strada potesse parlare, inoltre ha lavorato come doppiatore in BoJack Horseman e Spiderman - Un nuovo universo. Ha 37 anni e sette film in uscita, tra i quali Joker e A Quiet Place 2.


Beatric Kitsos, che interpreta Falyn, ha partecipato all'ultima serie de L'esorcista nei panni della piccola Harper. Questo La bambola assassina è un remake dell'originale del 1988 ma non ha alcun legame né con lui né con i sequel, tanto meno con l'imminente serie TV di cui ho parlato QUI. Vi consiglio tuttavia di recuperare la saga de La bambola assassina e vi segnalo anche il crowfunding, ora chiuso, del fan movie Charles, che chissà se vedrà mai la luce. ENJOY!


giovedì 27 giugno 2019

(Gio)WE, Bolla! del 27/6/2019

Dopo una settimana di chiusura riapre il multisala savonese e lo fa, neanche a dirlo, con sommo diludendo, sacrificando l'attesissimo Ma a roba autoriale che, dai, Cristo, non la metti d'inverno e la fai uscire d'estate? Shame on you. ENJOY!

Toy Story 4
Reazione a caldo: Verso l'infinito e oltre!!
Bolla, rifletti!: Premesso che, per me, Toy Story si era concluso in maniera perfetta col terzo capitolo, ovviamente la voglia di rivedere Woody è soci è tanta. Ci sono mille problemi, però. Il Bolluomo non conosce la saga e non c'è il tempo materiale di recuperarla e il buon Toto la settimana prossima porta via i tacchi. Toccherà andare da sola, ma che tristezza vedere un film Pixar in solitudine!!


Nureyev - The White Crow
Reazione a caldo: Uff.
Bolla, rifletti!: Con tutto il rispetto per Ralph Fiennes e Nureyev ma di guardare una biografia del celebre ballerino mi interessa davvero poco.

La mia vita con John F. Donovan
Reazione a caldo: UFF.
Bolla, rifletti!: Mi diverte pensare che il primo film di Dolan distribuito nel multisala di Savona coincide con l'uscita di altri due film per me più interessanti, costringendomi così ad emigrare a Genova per vedere uno dei due. Mi dispiace perché nel film c'è un parterre di attori che adoro ma  perché dovrei guardare su schermo gigante la faccia inespressiva di Kit Harington? Attenderò di recuperarlo, ovviamente.

Arrivederci professore
Reazione a caldo: Ommadonna.
Bolla, rifletti!: Niente, Johnny Depp non mi attira più per nulla. Questo recupero tardivo mi offende, non era meglio buttarsi su Chucky invece di costringere noi poveri sfigati horroromani a correre fino a Genova?

Nemmeno il cinema d'élite va in vacanza quest'anno!

American Animals
Reazione a caldo: Mhh.
Bolla, rifletti!: La storia vera di un gruppo di studenti universitari che progettano di rubare un libro antico e di gran valore, mix tra fiction e documentario avente per protagonista, tra gli altri, Evan Peters. Non fosse che questo weekend sono via, non lo perderei per nulla al mondo!

Bangla
Reazione a caldo: Hm.
Bolla, rifletti!: interessante che sia stato scritto e diretto da un ragazzo di origini bangladesi nato a Roma, meno interessante il fatto che la dizione e i mezzi saranno di una povertà intollerabile. Ve lo lascio, nel dubbio.

mercoledì 26 giugno 2019

La bambola assassina (1988)

In previsione dell'uscita del reboot della saga, in questi giorni ho riguardato La bambola assassina (Child's Play), diretto nel 1988 dal regista Tom Holland.


Trama: il piccolo Andy riceve in regalo per il compleanno il bambolotto Chucky e presto attorno a lui le persone cominciano a morire a causa di strani incidenti.



La bambola Chucky è stata uno degli spauracchi della mia infanzia. Rammento una vacanza in Trentino e l'orrore (misto ad una stupida fascinazione che nei giorni successivi mi ha fatta tornare più volte a guardare quella vetrina) di vedere la collezione completa delle videocassette della serie, con la terrificante bambolaccia in copertina, roba da indurre incubi per settimane nonostante non avessi mai avuto il coraggio di vedere i film in questione. E ammetto che per anni ho stentato a recuperarli, anche quando ormai ero cresciuta, perché Chucky è proprio orrendo, con quei dentini e quella faccia malvagia, quei passetti bastardi che lo portano a colpirti quando meno te lo aspetti e quel coltellaccio in mano che, insomma. Brr. Detto questo, una volta affrontata la paura infantile e scoperto che dopo la visione i pochi pupazzi casalinghi non si sarebbero animati, ho capito che Chucky, per quanto sempre terrificante (altrimenti poi viene a trovarmi a casa...) è anche terribilmente esilarante. Qualche sera fa, per l'appunto, guardando La bambola assassina col Bolluomo, siamo scoppiati a ridere più volte davanti alla bambolotta sboccatissima che copre di insulti le povere vittime, la madre del piccolo Andy in primis; lungi dall'essere ridicolo comic relief, però, questo mezzuccio divertente serve a permettere allo spettatore di tornare a respirare perché La bambola assassina, anche dopo più di 30 anni, continua a mettere ansia NONOSTANTE non vi sia sorpresa alcuna. D'altronde, sappiamo benissimo che il bambolotto Chucky, ospite dell'anima del serial killer Charles Lee Ray, prima o poi rivelerà di essere l'autore di tutte le morti inspiegabili che cominciano ad accorrere attorno ad Andy, tuttavia per la prima metà del film lo sceneggiatore Don Mancini si impegna a metterci una piccola pulce nell'orecchio, ovvero l'idea che Andy, pargoletto assuefatto al programma di Tipo Bello, senza papà, con la mamma spesso assente, potrebbe covare in sé il germe della follia e aver proiettato in Chucky le sue pulsioni omicide.


Il ritmo della pellicola viene dettato con abilità sia da Don Mancini che dal regista Tom Holland, il quale si appoggia, all'epoca in cui i cosiddetti jump scare erano un accessorio dell'horror e non la conditio sine qua non, a primi piani di un Chucky immobile e sorridente che cambia sembiante diventando sempre più umano grazie ad un makeup splendido, a panoramiche di ambienti bui ripresi ad "altezza essere umano" (nessuno mai guarda in basso, dove la bambolotta è lì che aspetta), a riprese di piccole ombre che potrebbero essere proiettate o da una bambola o da un bambino; la scena più bella in assoluto, un piccolo capolavoro di tensione, è quella in cui la madre di Andy, sola in casa, scopre la vera natura di Chucky, una sequenza che gioca col terrore dello spettatore e del personaggio, con le aspettative del primo e con l'incredulità del secondo, per poi esplodere in una cacofonia di insulti e urla proprio quando il filo della tensione è lì lì per spezzarsi (e mi immagino all'epoca quante persone avranno strillato come dei matti al cinema). Lo stesso Chucky non è invecchiato di un giorno. Mix di attori in costume, bambini, bambolotti statici e animatronic, la satanica creatura si muove e uccide senza bisogno di CGI e senza sembrare posticcia in nemmeno una sequenza, anche grazie al doppiaggio dell'agghiacciante Brad Dourif che, diciamocelo, fa più paura in guisa di bambolotto che come essere umano. Menzione d'onore, poi, al piccolo Alex Vincent, l'unico "enfant prodige" horror a non essersi quasi mai staccato dal ruolo che gli ha dato la fama: vi sfido a sentirlo strillare disperato "mi ucciderà", chiuso all'interno di una clinica psichiatrica, e a non sentirvi stringere nemmeno un po' il cuore prima che Chucky arrivi a strapparvelo dal petto. Insomma, La bambola assassina è sempre una visione graditissima. Mercoledì si va a vedere il reboot ma so già che non sarà proprio la stessa cosa, mannaggia.


Del regista Tom Holland ho già parlato QUI. Catherine Hicks (Karen Barclay), Chris Sarandon (Mike Norris), Alex Vincent (Andy Barclay) e Brad Dourif (Charles Lee Ray/Voce di Chucky) li trovate invece ai rispettivi link.


Molto interessante il concept originale del film. In pratica, l'idea era quella di rendere Chucky un bambolotto a grandezza bambino, fatto di carne e sangue artificiali, con la pelle che i bambini avrebbero potuto tagliare per poi applicare cerotti e farlo guarire; Andy avrebbe così mescolato il suo sangue a quello di Chucky, facendo un patto di fratellanza e rendendolo vivo, specchio del disagio interiore del bambino e animato solo di notte, quando quest'ultimo dormiva. Molto psicologico e terribilmente inquietante! Sarebbe anche stato interessante sentire John Lithgow doppiare Chucky anche se ormai sono affezionata a Brad Dourif. Detto questo, nell'attesa di capire com'è il reboot uscito la settimana scorsa, se La bambola assassina vi fosse piaciuto recuperate La bambola assassina 2, La bambola assassina 3, La sposa di Chucky, Il figlio di Chucky, Curse of Chucky e Cult of Chucky... aspettando la serie TV Chucky, prevista per il 2020. ENJOY!


martedì 25 giugno 2019

Rapina a Stoccolma (2018)

Spinta dal trailer accattivante ho deciso di recuperare Rapina a Stoccolma (Stockholm), diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Robert Budreau e uscito proprio in questi giorni in Italia.


Trama: un malvivente fa irruzione all'interno della Kreditbanken di Stoccolma e prende con sé tre ostaggi. Mentre la polizia cerca di risolvere la situazione, con l'aiuto di un altro detenuto, tra rapitori e ostaggi si sviluppa uno strano rapporto di fiducia reciproca.


La cosiddetta Sindrome di Stoccolma, quella per cui delle persone arrivano a dipendere da coloro che hanno abusato di loro in maniera fisica o verbale, arrivando a fidarsi di loro o persino ad amarli, prende il suo nome da una rapina occorsa negli anni '70 a Stoccolma, per l'appunto. Lì, tale Jan Erik-Olsson ha tenuto in ostaggio per alcuni giorni degli impiegati, soprattutto donne, e nel corso di questo pur breve periodo di tempo gli ostaggi sono arrivati a considerare i malviventi gentili, al punto da fidarsi più di loro che della polizia; quando gli agenti sono riusciti a fare irruzione con l'aiuto del gas lacrimogeno, gli ostaggi si sono preoccupati dell'incolumità dei loro carcerieri e anche dopo, a quanto pare, hanno fatto loro visita in prigione. Rapina a Stoccolma si basa proprio su questa storia vera, romanzandola e trasformando Jan Erik-Olsson (qui chiamato Lars Nystrom) in un istrionico malvivente mezzo svedese mezzo americano, appassionato di musica, cinema e motori, un incosciente le cui motivazioni diventano sempre più risibili mano a mano che il film prosegue, anche perché, scopo della pellicola, è riportare su schermo un esempio di Sindrome di Stoccolma. Ecco dunque che, fin dall'inizio, i riflettori vengono puntati sul personaggio di Bianca, moglie e madre di due bambini che finisce (assieme ad altri due colleghi che potrebbero anche non essere presenti vista la loro utilità all'interno della storia) per venire presa in ostaggio da Lars, del quale si innamora senza un perché, seguendo una sceneggiatura disonesta che trasforma il marito in personaggio negativo dopo aver deciso di ignorare le istruzioni di Bianca relativamente alla cena da propinare ai figli e altri piccoli screzi. Bianca, nonostante l'intelligenza e la forza d'animo dimostrata nel corso della rapina, risulta così poco più di una casalinga frustrata in cerca di emozioni, mentre Lars è un povero pirla, punto.


Paradossalmente, il film avrebbe funzionato di più se non fosse stato tratto da una storia vera. Così, quella che poteva trasformarsi in una tragedia è stata resa su pellicola come una superficiale serie di eventi, con qualche eco di weird Coeniano, all'interno della quale i poliziotti ci fanno una ben magra figura ma, a ben vedere, sono molto più divertenti dei rapinatori e dei loro ostaggi, forse perché questi ultimi sono davvero tagliati con l'accetta. Qualche minuto di divertimento, tuttavia, non sopperisce al piattume generale di un film che prometteva di essere "assurdo" come la storia da cui è tratto e che difetta proprio dell'assurdità di cui sopra, visto che è prevedibile dall'inizio alla fine, più concentrato sulla riuscita della sua parte heist che sui fatti veri, quelli sì davvero incomprensibili ed interessanti. Peccato, perché anche i pur bravi attori hanno risentito di questa superficialità. Ethan Hawke sguazza nei panni di un personaggio tragicamente ridicolo riuscendo a renderlo affascinante più in virtù del suo aspetto sempre belloccio che della sceneggiatura; Noomi Rapace stona un po' vestita come un'impiegata, ché di fatto il suo essere badass si intuisce lontano un chilometro, ma è comunque deliziosa; Mark Strong, infine, fa il suo lavoro, anche se non ha occasioni di brillare come meriterebbe, sacrificato alla "follia" del personaggio di Hawke. Tra tutti ho comunque preferito il perfido Capo Mattsson di Christopher Heyerdahl, l'unico tra tutti i personaggi a riservare più di una sorpresa dietro il suo atteggiamento amichevole e dimesso e ad essere realmente "assurdo". Occasione sprecata, dunque? Mah, per me sì. Il film "perfetto" e "vero" sulla Sindrome di Stoccolma deve ancora arrivare.


Di Ethan Hawke (Kaj Hansson/Lars Nystrom), Noomi Rapace (Bianca Lind) e Mark Strong (Gunnar Sorensson) ho parlato ai rispettivi link.

Robert Budreau è il regista e sceneggiatore della pellicola. Canadese, ha diretto film come That Beautiful Somewhere. Anche produttore, ha 45 anni.




domenica 23 giugno 2019

Climax (2018)

Ala fine ho recuperato anche Climax, diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Gaspar Noé, l'ultimo dei tre film usciti la settimana scorsa che avrei voluto vedere a tutti i costi.


Trama: un gruppo di ballerini francesi si riunisce all'interno di un edificio per terminare le prove prima di un tour che li porterà anche in America. I festeggiamenti vengono però rovinati da sangria corretta con LSD, che alimenterà una follia distruttiva...


Oh dai, partiamo con l'ennesimo, vergognoso sfoggio di ignoranza: sapete quanti film di Gaspar Noé ho visto prima di Climax? Zero, bravissimi. Arrivata vergine al cinema di Noé, ho vissuto questo Climax come un delirio puro capace di esaltarmi come pochi altri film, alternato a momenti di noia pesantissimi, non lo nascondo. Il ritmo di Climax è infatti molto altalenante: c'è un lunghissimo, tedioso prologo in cui i personaggi vengono introdotti ed intervistati (su temi quali la danza, gli Stati Uniti, la religione, la droga, il sesso) e i loro volti sono imprigionati nella stasi di un televisore vintage incastrato in mezzo a copie di libri e film ai quali questo Climax deve buona parte della sua atmosfera; questa stessa tediosa stasi viene reiterata, a un certo punto, attraverso dialoghi "di coppia" che precedono il delirio vero e proprio, coi personaggi che parlano di aria fritta e consegnano allo spettatore, per quanto vagamente, altri indizi sulla loro personalità che si riveleranno più o meno utili nel momento in cui esploderà il caos. Dico più o meno utili perché Noé, in tre splendide e lunghe sequenze, svuota i personaggi di qualsivoglia umanità rendendoli "solo" corpi, forme perfette in perenne movimento che spaziano da un'incredibile bellezza a un altrettanto incredibile abominio. E' impossibile non rimanere ipnotizzati davanti alla sequenza di danza iniziale, l'unica coreografata alla perfezione, quando i cuori e i corpi dei ballerini sono un tutt'uno e i loro movimenti sono controllatissimi, pura arte in movimento. Allo stesso modo, è impossibile non lasciarsi sconvolgere dal modo in cui quel controllo, progressivamente, viene meno, e subentra l'allucinato istinto che porta i personaggi a contorcersi, piegare gli arti in modi inimmaginabili, urlare a squarciagola, ferirsi e ferire, abbandonarsi a un piacere sofferto e persino proibito, mentre chissà quali incubi stanno divorando la loro mente. Noé non ce li mostra questi incubi, non ricorre a nessuna distorsione onirica o effetto speciale d'accatto, lascia che la Boutella e il resto del cast (ballerini alla prima esperienza attoriale) improvvisino trasformando corpi splendidi in angoscianti prigioni di carne e sangue che sembrano quasi faticare a contenere tanto orrore.


A noi, di quell'orrore, per fortuna, arriva poco. Ma quel poco è già troppo. Il momento in cui le luci si spengono, immergendo l'edificio dove sono rinchiusi i ballerini in un'angosciante mistura di ombre tinte di rosso, verde e blu, fa accapponare la pelle sia per ciò che è accaduto fuori campo sia per le reazioni di chi ormai è meno che umano; "Nascere è un'esperienza unica" ma l'"impossibilità collettiva che è la vita" si accanisce soprattutto su chi non ha né la coscienza né la capacità di difendersi, con una violenza terribile e sconvolgente, oltre che gratuita, tanto da far venire voglia di urlare anche allo spettatore. Implacabile, la cinepresa di Noé non sta ferma un istante e confeziona piani sequenza dilatati all'infinito, andando dietro ora a un personaggio ora a un altro, perdendosi nei corridoi assieme a questi scarti di umanità terrorizzata, elevandosi per osservarli dall'alto, vorticando al punto da lasciarci confusi e nauseati mentre, come dei voyeur, cerchiamo di capire cosa stia succedendo a chi, in mezzo a quell'intreccio di arti, schiene contorte, capelli e vestiti che copre buona parte dell'infernale seconda parte del film. In tutta onestà, lo devo ammettere: Climax non è proprio my cup of tea, come si suol dire. La deboscia fine a se stessa un po' mi offende e la spersonalizzazione dei protagonisti non rende meno fastidiose un paio di sequenze (imperniate rispettivamente su aborto, morte, incesto), anzi, immergerle in un'atmosfera di allucinata noncuranza le ha rese ancora più insopportabili, almeno per me. Tuttavia, non nego che Noé abbia girato delle scene splendide e che comunque Climax sia un tripudio di musiche azzeccatissime, colori allucinanti e ballerini che danno il meglio (il peggio?) di loro stessi, trascinati da una Boutella sempre talmente sensuale da risultare illegale. Com'è che dicono i cinèfili dell'internet? E' un esperienza disturbante, un pugno nello stomaco? Ecco, appunto. Aggiungo solo: provatelo ma con cautela, ché non è proprio un film da far vedere a tutti.


Di Sofia Boutella, che interpreta Selva, ho già parlato QUI.

Gaspar Noé è il regista e sceneggiatore del film. Argentino, ha diretto film come Seul contre tous, Irréversible e Enter the Void. Anche produttore e attore, ha 56 anni.


Se Climax vi fosse piaciuto recuperate Suspiria, Possession e gli altri film di Gaspar Noé. ENJOY!

venerdì 21 giugno 2019

Il (Gio) WE, Bolla! del diludendo (21/6/2019)

Come avrete notato, ieri la rubrica del giovedì, quella che elenca le poche uscite cinematografiche savonesi, è saltata. Non solo per fare gli auguri a Nicole Kidman ma anche perché questa settimana il multisala di Savona è in ferie. Ma qualcosa avrei voluto vedere (e vedrò, almeno in parte, grazie a un viaggetto genovese), vediamo cosa... ENJOY!


La bambola assassina
Reboot della storica saga avente per protagonista la bambolotta Chucky, terrificante spauracchio d'infanzia e ancora oggi assai poco simpatica, anche se Annabelle l'ha brutalmente spodestata dal primo posto nella classifica dei pupazzi malvagi. A dirla tutta, l'unica cosa che mi attirerebbe del nuovo La bambola assassina è la voce di Mark Hamill ma noi ci beccheremo un doppiatore italiano qualsiasi, quindi speriamo che il film sia perlomeno divertente. Non pretendo altro.


Rapina a Stoccolma
Film dal trailer accattivante che potrebbe essere una supercazzola ma anche no, chissà. Basato sulla strana storia vera da cui è derivata la definizione "sindrome di Stoccolma", vanta un trio di attori di tutto rispetto, ovvero Ethan Hawke, Noomi Rapace e Mark Strong. Se tutto va bene, dovrei riuscire a parlarvi anche di questo film.

Il cinema d'élite è invece ancora aperto, che strano!!


Sir - Cenerentola a Mumbai
Reazione a caldo: Hmmmmah.
Bolla, rifletti!: Lì per lì non parrebbe davvero il mio genere, troppo sentimentale. Il fatto che sia scritto e diretto da una donna potrebbe essere un'incentivo, di sicuro il personaggio femminile non sarà tratteggiato in maniera banale, tuttavia non mi viene voglia di fiondarmi al cinema a vedere il film.

giovedì 20 giugno 2019

Nicole Kidman Day: La donna perfetta (2004)


Oggi cade il compleanno di Nicole Kidman, splendida benché rifattissima cinquantaduenne, e col solito gruppetto di Blogger cinèfili abbiamo voluto omaggiarla. Scartabellando la filmografia della bella hawaiana ho scelto La donna perfetta (The Stepford Wives), diretto nel 2004 dal regista Frank Oz e remake de La fabbrica delle mogli, già tratto dal romanzo omonimo di Ira Levin.


Trama: dopo essere stata licenziata dal network per cui lavorava, Joanna ha un crollo nervoso e il marito decide di abbandonare la città e trasferirsi nei sobborghi, a Stepford. Lì i mariti sono felici e le mogli perfette, tutto sembra idilliaco ma qualcosa comincia ad insospettire Joanna...



Correva l'anno 2004 e Nicole Kidman, diventata una star internazionale nonché una delle attrici più quotate grazie a film come Moulin Rouge!, Eyes Wide Shut, The Hours e The Others, grazie ai quali sembrava che la sua stella non dovesse tramontare mai... cominciava la sua parabola discendente, impantanandosi per parecchi anni in filmetti dimenticabili. Tra questi ultimi farei rientrare anche La donna perfetta e non perché non mi sia divertita molto durante la visione ma perché, passatemi il termine, è "indegno" di un'attrice come la Kidman e probabilmente avrebbe funzionato lo stesso anche con un'altra protagonista. Al momento in cui scrivo queste righe non ho mai guardato né La fabbrica delle mogli né letto il romanzo di Ira Levin quindi non posso fare confronti tra le varie opere (vista la produzione travagliata di La donna perfetta credo sia meglio così o probabilmente avrei odiato questo film visto anche l'abbandono totale della natura horror della storia) ma, da quello che ho colto relativamente alle prime due, mi par di aver capito che Frank Oz abbia optato per un approccio più da commedia satirica, tirando spesso il freno all'inevitabile inquietudine causata da questa cittadina dove tutte le donne sono perfette e servizievoli, mentre i mariti si riuniscono a tessere misteriosi complotti. La mano di Paul Rudnick, sceneggiatore di quelle piccole meraviglie di In & Out, La famiglia Addams 2 e Sister Act è riconoscibilissima grazie al suo gusto per il grottesco, per i personaggi caricati, per l'esagerazione di situazioni e relazioni "normali", che vengono stressate fino a risultare pura fantascienza (quasi) e che puntano il dito su follie e idiosincrasie realmente esistenti all'interno della nostra società; gli improbabili reality creati da Joanna (improbabili per il 2004, ora sono stati praticamente sdoganati identici), il rapporto tempestoso tra Bobbie e il suo stupido marito, la gaiezza al limite della parodia di Roger, sono tutti elementi che sconfinano nel nonsense ma sembrano quasi "normali" se confrontati alla realtà di Stepford, dove le mogli si piegano davanti ad ogni irragionevole richiesta di mariti che a definirli infantili si farebbe loro un complimento.


La donna perfetta non è però una critica al maschilismo imperante, anzi. La sceneggiatura di Rudnick ne ha per tutti: per l'uomo molle e senza palle che non riesce a trovare una sua dimensione nel mondo e passa il tempo a dar le colpe alla moglie nemmeno fossimo rimasti negli anni '50, per la società che costringe le donne o a rimanere ancorate ad un modello retrogrado oppure ad annullarsi come persona per dimostrare di valere tanto quanto un uomo (portando avanti una lotta tra sessi che, di fatto, non dovrebbe nemmeno esistere visto che siamo tutti sulla stessa triste barca che affonda), per le donne che abbracciano completamente questo stile di vita imposto trasformandosi in schiacciasassi prive di sentimento. La perfezione, come si dice alla fine del film, non esiste. Né per l'uomo, né per la donna, né per la coppia (gay o etero che sia) e il segreto di una vita felice o perlomeno "umana", normale, è comprendersi, venirsi incontro e sopportarsi, oltre che sUpportarsi a vicenda, senza pretendere di imporsi sul partner al punto da annullarlo completamente. E questo, ovviamente, vale per donne e uomini in egual misura. Queste riflessioni scaturiscono da un tourbillon di eventi che non lascia allo spettatore neppure un tempo morto durante il quale annoiarsi, tra dialoghi al fulmicotone, situazioni al limite del paradossale, una bella colonna sonora, immagini coloratissime e un mix vincente di costumi, make-up e scenografie capaci di trasformare Stepford nel sogno di ogni desperate housewife che si rispetti, di ogni amante del kitsch e nell'incubo di chiunque pensi anche un minimo fuori dal coro, come i poveri Joanna, Bobbie e Roger.


A proposito di questi tre personaggi. Nicole Kidman nei panni della moglie in carriera prima e trasandata poi è onestamente poco credibile. Troppo bella per essere sciatta, troppo perfetta e signorile per non risultare caricaturale in questa sua interpretazione, anche se in un parterre di macchiette riesce in qualche modo ad amalgamarsi. C'è da dire che lei, assieme a Matthew Broderick e allo stesso Frank Oz ("reo" di essersi messo a novanta davanti alla Paramount e di aver lavorato essenzialmente col pensiero fisso di non scontentare i produttori, tanto da arrivare a litigare con mezzo cast), hanno dichiarato in seguito di essersi pentiti di avere partecipato al film e purtroppo si vede come anche durante le riprese non fossero molto convinti. Tolto Broderick che è praticamente un gatto di marmo, la Kidman è infatti spesso eclissata da una Bette Midler esilarante (la sequenza del Natale mi ha uccisa dalle risate), una Glenn Close perfettamente a suo agio nei panni del boss delle mogli e uno scoppiettante Roger Bart, talmente sissy nel suo essere gay da far vergognare persino il Jack di Will & Grace. Non pervenuto il povero Christopher Walken, ancora più gatto di marmo di Broderick e incapace di conferire al personaggio di Mike quel tocco luciferino che avrebbe meritato e che mi sarei aspettata dall'attore. A parte gli innegabili difetti, comunque, La donna perfetta è un film che mi ha divertita parecchio. Come ho detto, questo "entusiasmo" nasce dal fatto di non aver mai visto La fabbrica delle mogli oltre che dall'amore per lo stile di scrittura di Paul Rudnick, altrimenti penso non sarei stata così indulgente, nemmeno con la festeggiata Nicole.


Nicole Kidman è già comparsa parecchie volte sulle pagine del Bollalmanacco, ecco l'elenco dei post:

Scendi Zac Efron che lo piscio: imbarazzante in The Paperboy (2012)


Elegantissima e angosciante in Stoker (2013)


Altro scivolone: Paddington (2014)


Dimenticabile in La famiglia Fang (2015)


Fuori di testa in Genius (2016)


Dolcemente materna in Lion - La strada verso casa (2016)


Intensa in L'inganno (2017)


Il ritorno recente al cinema con le palle: Il sacrificio del cervo sacro (2017)


Di nuovo madre, di nuovo a lottare per il figlio in Boy Erased - Vite cancellate (2018)


Combattente spaccaculi in Aquaman (2018)


Qui invece trovate l'elenco degli altri omaggi alla brava attrice:

La bara volante - Da morire
Pensieri Cannibali - Destroyer
Non c'è paragone - Il sacrificio del cervo sacro
La fabbrica dei sogni - Il matrimonio di mia sorella
Director's Cut - Moulin Rouge
La stanza di Gordie - The Others
Una mela al gusto pesce - Amori e incantesimi
Stories. - Big Little Lies (stagione 1)

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...