lunedì 30 giugno 2014

NOTTE HORROR 2014 - SPECIAL BLOG EDITION

Ve la ricordate tutti QUESTA sigla (che è il finale ma va  bene lo stesso?).
Io sì e, ovviamente, con me se la ricordano centinaia di ragazzini dell'epoca che, magari di nascosto dalle mamme, magari recuperando il giorno dopo con una bella videocassetta, magari facendo gli spacconi assieme agli amici, ogni caldo martedì d'estate si gustavano un film della celeberrima NOTTE HORROR, storico contenitore di Italia 1.
Ammettetelo, quanto vi manca quel brivido in grado di raffreddare la calura estiva?
A me un casino, così come ad un gruppo di BLOGGER che, sull'onda della nostalgia canaglia, hanno deciso di celebrare NOTTE HORROR con una serie di post a tema che usciranno OGNI MARTEDI' SERA nei mesi di LUGLIO e AGOSTO e ci faranno ripiombare dritti dritti in tempi più paurosi, ingenui e felici.
Ovviamente, non aspettatevi recensioni serie, tecnicismi, paroloni Mereghettiani o peggio: l'amato Zio Tibia, santo patron della nostra Causa, ne sarebbe disgustato.
Ecco il programma definitivo del progettone: cominciano domani Il giorno degli zombi con Dovevi essere morta (uno dei film che più mi ha terrorizzata all'epoca) e Non c'è paragone con Mimic (forse quella sera dovevo essere in giro sulla passeggiata perché non lo ricordo), seguiremo tutti noi fedeli blogger.

E ora.... BU BUUUU, PUBBLICITA'! e, ovviamente, ENJOY!!






domenica 29 giugno 2014

Puella Magi Madoka Magica Parte 1 - L'inizio della storia (2012)

Il 2 luglio verrà proiettato nei soliti due o tre cinema fortunati in tutta Italia e per un solo giorno Puella Magi Madoka Magica Parte 3 - La storia della ribellione. Mi è parso quindi doveroso rendere omaggio ad una delle serie recenti più innovative del panorama nipponico e scrivere un paio di post su quella che è diventata una trilogia, cominciando con  Puella Magi Madoka Magica Parte 1 - L'inizio della storia (劇場版 魔法少女まどか☆マギカ 前編: 始まりの物語 - Gekijōban Mahō shōjo Madoka Magika - Zenpen: Hajimari no monogatari), diretto nel 2012 da Yukihiro Miyamoto e Akiyuki Shinbou.


Trama: Madoka Kaname e la sua migliore amica, Sayaka Miki, vengono attaccate da una strana entità mentre cercano di salvare un ancor più strano essere, un buffo animaletto di nome Kyubey, da una ragazza appena trasferitasi nella loro scuola, Akemi Homura. Le due vengono a loro  volta aiutate da Mami Tomoe, che si rivela essere una Puella Magi, una ragazza magica che combatte le Streghe. Kyubey propone a Madoka e Sayaka di esprimere un desiderio e diventare così a loro volta Puella Magi per lottare assieme a Mami ma Homura cerca in ogni modo di fermare Madoka...


I maschietti probabilmente non ne avranno idea, ma noi ragazzine degli anni '80 e '90 siamo state letteralmente imbevute da storie di maghette giapponesi, prima con lo Studio Pierrot e dopo con la maledetta Sailor Moon che, col senno di poi, ha fatto più danni del colera. Lo Studio Pierrot era specializzato, negli anni '80, nel raccontare storie di ordinarie ragazzine che, grazie all'ausilio di uno o più animaletti parlanti, coronavano per un limitato periodo di tempo il sogno di ogni giapponese che si rispetti, ovvero diventare più grandi, più gnocche e possibilmente famose come cantanti, idol o maghe; ovviamente, quel genere di anime (i cui esempi più famosi in Italia erano Evelyn e la magia di un sogno d'amore, L'incantevole Creamy, Magica Emy e Sandy dai mille colori) aveva come morale di fondo il concetto che le protagoniste fossero in realtà magiche anche senza l'ausilio di bacchette o orpelli e nell'ultima puntata dell'anime le sgallettate lo capivano da sole allorché l'animaletto parlante, scaduto il tempo del "contratto", faceva loro il gesto dell'ombrello e spariva portando seco poteri e gadget, lasciandole più mature e consapevoli della loro reale tempra morale. Negli anni '80 le maghette combattevano i problemi dell'adolescenza e non avevano alcuna intenzione di salvare la Terra, negli anni '90 è arrivata invece Naoko Takeuchi con il suo Pretty Guardian Sailor Moon, praticamente la versione femminile e magica dei Power Rangers, dove un gruppo di studentesse ognuna vestita di un colore diverso si sbatteva a combattere contro i nemici dell'umanità rischiando morte, menomazioni fisiche, follia e chi più ne ha più ne metta. Dopo Sailor Moon c'è stata la tragedia, tra Magica Doremì, Pretty Cures, quegli abominii vestiti da gatto di cui non ricordo il nome (ah sì, Mew Mew, grazie uichipidia) e altre serie che sicuramente non conosco: il genere Maho Shojo era diventato un tripudio di coloratissime bimbeminkia dotate di poteri salvifici, spirito di sacrificio e, soprattutto, di cosplay e gadget da immettere sul mercato internazionale ai danni delle famiglie e della fragile psiche delle bambine che, ammettiamolo, da 'sti anime non avrebbero mai più imparato una beata mazza. Era dunque inevitabile che, prima o poi, questo genere ormai affossato da cloni, cliché e superficialità venisse fagocitato e reinventato da qualche mente brillante e sovversiva, come già era successo con Evangelion e i "robottoni". Ecco quindi la nascita di Madoka Magica.


L'inizio della storia, come si evince dal titolo, racconta i primi passi delle giovani studentesse Madoka e Sayaka all'interno del mondo delle Puella Magi. La pellicola (che poi è il riassunto dei primi episodi della serie Puella Magi Madoka Magica) ci presenta subito la protagonista sommergendoci di cliché kawaii e sdolcinati, come la solita fettina di pane smangiucchiata per strada per non arrivare in ritardo a scuola, l'amichetta tomboy che duetta con quella più raffinata, il personaggio misterioso che arriva portando apparente scompiglio nella vita banale ma perfetta dell'eroina, ecc. ecc. Anche il primo contatto di Madoka e Sayaka con la magia non è molto diverso da quello delle altre serie maho shojo perché c'è il solito animaletto in grado di conferire poteri magici affiancato da una veterana, Mami Tomoe, che per bellezza, fascino e abilità cattura in un attimo l'attenzione delle due povere scemine riempendo la loro testolina vuota di fantasie romantiche ed avventurose. Come infatti insegna Sailor Moon, le protagoniste di questo genere di anime solitamente accantonano in un angolo del loro cervello (se esiste) la possibilità di rimanerci secche combattendo dei mostri disumani, attirate piuttosto dalla possibilità di indossare costumini vezzosi e di utilizzare poteri sbrilluccicosi o, ancor peggio, perché convinte dalla mascotte di turno di essere le reincarnazioni di principesse/guerriere spaziali di dubbia origine; effettivamente, grazie anche a comode sceneggiature, le maghette hanno la fortuna di uscire da queste epiche battaglie con giusto un graffio o due, uno svenimento, una finta morte, ma nulla di più. Madoka Magica segue queste regole non scritte fino ad un certo punto, giocando subdolamente con lo spettatore scafato e piazzandogli a poco a poco, tra una gioiosa trasformazione e l'altra, una serie di colpi allo stomaco da manuale, diventando sempre più serio e "realistico". D'altronde, come diceva l’Uomo Ragno, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”: se questo è vero allora perché i grandi poteri dovrebbero venire regalati da un pupazzetto alla prima mocciosa che passa, senza conseguenze, privando il mondo del suo naturale equilibrio? Il tempo del romanticismo e dei sogni che son desideri è finito e Madoka Magica lo dimostra intessendo una trama fatta di dolore, ambizioni infrante, subdoli inganni e crescente disperazione, alla faccia degli abitini fru fru e dei colori abbinati, svecchiando il genere maho shojo e proiettandolo in una spietata quanto affascinante modernità.


Dire altro sulla trama sarebbe un delitto e, per fortuna, Madoka Magica - L'inizio della storia non ha soltanto una bella ed intelligente sceneggiatura. L'anime è estremamente ben fatto per quel che riguarda il character design delle protagoniste, ognuna con la sua personalità che si ripropone sì nei colori e negli abiti indossati ma anche in piccoli dettagli e "tic", ma è soprattutto un capolavoro per alcune scelte di stile relative alla rappresentazione delle streghe e a un paio di flashback. L'animazione delle streghe è un meraviglioso delirio che combina ogni volta le più disparate tecniche di disegno e che, a tratti, ricorda i più ispirati quadri surrealisti: quando le protagoniste si inoltrano nei labirinti di queste creature può davvero succedere qualunque cosa e sono talmente tanti i dettagli in grado di far capire la natura passata della strega e l'ossessione che la dominava da perderci letteralmente la testa. L'altro picco di genialità (per quanto, sempre, inquietante come raramente accade in un anime "per ragazze") è il flashback che racconta la storia di Kyoko, dove delle figurine stilizzate, talvolta tenute proprio in mano dalla maghetta in questione, vengono mosse su sfondi animati di rara bellezza, talmente cupi da rasentare il sublime. Ultima scelta vincente è la colonna sonora, ennesimo esempio della furbizia dei realizzatori dell'anime, che mescola melodie tipiche di serie più "leggere" (esemplare la canzone tra l'ottimista e lo strappalacrime di Mami o i jingle che accompagnano le rare trasformazioni) a brani sottilmente disturbanti che non sfigurerebbero in un j-horror e che trovano l'apoteosi nella favolosa Magia delle Kalafina, utilizzata sia durante titoli di coda che nei momenti più "pesi" della pellicola. Dovessi proprio trovare un difetto a Madoka Magica - L'inizio della storia punterei il dito contro la perdita dell'effetto scioccante che la serie riusciva ad ottenere spezzando la storia in varie e sempre più drammatiche puntate, mentre qui lo spettatore si ritrova sopraffatto senza soluzione di continuità. Inoltre, c'è da dire che il film, omettendo pochissime sequenze della serie, risulta troppo lungo e sinceramente due ore e fischia di maghette, per quanto weird, rischierebbero di abbattere chiunque... soprattutto perché la protagonista Madoka, con tutti i suoi lamentosi e pigolanti ano... etto... chotto... farebbe perdere la pazienza a un santo e starebbe benissimo con quel mollo di Shinji Ikari. A parte questo, comunque, parliamo di una pietra miliare della moderna japanimation quindi non perdetela assolutamente!

Yukihiro Miyamoto è uno dei due registi della pellicola. Giapponese, ha diretto anche gli altri due film della trilogia, Puella Magi Madoka Magica Parte 2 - La storia infinita e Puella Magi Madoka Magica Parte 3 - La ribellione, nonché alcuni episodi della serie Madoka Magica. Anche animatore, ha 37 anni.


Akiyuki Shinbou è uno dei due registi della pellicola. Giapponese, ha diretto anche gli altri due film della trilogia, Puella Magi Madoka Magica Parte 2 - La storia infinita, Puella Magi Madoka Magica Parte 3 - La ribellione ed episodi delle serie Yu Yu Hakusho e Madoka Magica. Anche animatore e sceneggiatore, ha 53 anni.


L'universo di Madoka Magica non è limitato ai film e alla serie TV. Se non siete ancora saturi di maghette e affini potete recuperare i manga Madoka Magica, Oriko Magica e Kazumi Magica - The Innocent Malice, tutti editi in Italia dalla Planet Manga; il primo è semplicemente la trasposizione della serie, il secondo una ciofeca disegnata malissimo che vede Kyoko tra i protagonisti, il terzo un po' sciocchino ma interessante. Sono ancora inediti invece Puella Magi Madoka Magica - The Different Story, Gekijōban Mahō shōjo Madoka Magica - Shinpen - Hangyaku no monogatari (tratto dal terzo film) e l'antologica Puella Magi Madoka Magica Anthology Comic. ENJOY!

venerdì 27 giugno 2014

Blow (2001)

Dopo un'intensa serie di post quasi interamente dedicati al fantasy, cambiamo genere e torniamo all'inizio del nuovo millennio parlando di Blow, diretto nel 2001 dal regista Ted Demme e tratto dall'omonimo libro di Bruce Porter.


Trama: George Jung riesce, negli anni, a farsi la fama di abilissimo spacciatore, arrivando persino a collaborare con i boss del cartello colombiano. La vita sregolata però non gli ha portato solo fama, denaro e donne, ma anche anni di prigione ed enormi perdite sul piano personale...


Blow è una di quelle solide biografie criminali che tanto adoro guardare e racconta la storia di George Jung, spacciatore realmente esistito che, per la cronaca, è uscito dal carcere giusto questo mese. La pellicola di Ted Demme segue lo schema tipico di questo genere di film, con un inizio frizzante a base di festini, successi, personaggi assurdi e simpatici pur nel loro essere criminali e prosegue con un'inesorabile parabola discendente che vede la progressiva rovina, fisica e morale, del protagonista e di tutti quelli che gli stanno accanto; a differenza di altre pellicole simili, Blow si concentra però sull'immagine distorta che George Jung ha della "famiglia" o, meglio, su un inconfessabile desiderio di perfezione, collaborazione e amore che porterà un criminale scafatissimo per quel che riguarda gli affari a confermarsi invece un povero pirla per quel che riguarda la valutazione delle persone che lo circondano. Jung infatti vive avendo come modello un padre e un lavoratore esemplare, stimato da amici e colleghi benché vessato da una moglie avida e stronza (il cui terrore nei confronti della povertà segnerà per sempre il piccolo George, spingendolo a diventare un criminale) e cercherà di riproporre questo modello in ogni suo passo all'interno del mondo della malavita, dapprima tentando di farsi un nome e affidandosi ad amici e "fratelli" acquisiti che, in un modo o nell'altro, gliela metteranno sempre nello stoppino e poi, una volta nata la figlia, provando ad essere il genitore dell'anno senza rendersi conto che, magari, prima sarebbe meglio creare un ambiente casalingo adatto a un bambino. In poche parole, Blow è l'incredibile e triste storia di un loser che prova a sbarcare il lunario intrufolandosi in un ambiente sconosciuto (a differenza dei gangster scorsesiani, quasi tutti nati e cresciuti imbevuti delle regole della malavita) illudendosi per un po' di essere un vincente, un uomo che ha sprecato gli anni migliori della propria vita inseguendo il sogno sbagliato, perdendo pezzi di anima e cuore lungo il cammino.


Quello che salta maggiormente all'occhio guardando Blow è l'incredibile cura dedicata ai costumi, legati ad un periodo che spazia dagli anni '60 all'inizio degli '80, e alla colonna sonora che mescola Rolling Stones, KC and the Sunshine Band, Ram Jam, Bob Dylan e persino Nikka Costa; non a caso Ted Demme si è fatto le ossa con MTV ma questi, per fortuna, sono gli unici elementi che si è portato dietro dall'esperienza perché Blow non è psichedelico o videoclipparo nella sua estetica, anzi, il regista si concede davvero poco agli eccessi e la pellicola si regge quasi interamente sugli attori. Johnny Depp, nonostante quei capelli biondi che farebbero invidia al Klaus Kinski di Nosferatu a Venezia, è il grande professionista che ricordavo prima del recente declino e offre una convincente interpretazione di Jung, tirandone fuori l'ingenuità, la guasconeria e anche l'inevitabile sfiga di fondo. Rachel Griffiths e Ray Liotta sono fondamentali nei panni dei genitori di George (soprattutto lei, di una perfidia e una pochezza inaudite) mentre Jordi Mollà, che avevo letteralmente schifato in Elizabeth: The Golden Age, qui è uno degli attori migliori della pellicola, in grado di rivaleggiare con lo stesso Johnny Depp. Purtroppo, in tutta questa bravura, c'è anche una mela marcia che risponde al nome di Penélope Cruz la quale, chissà perché, all'epoca veniva sempre presa per ruoli da femme fatale nonostante il sembiante da rattu penigu e quel modo tutto spagnolo di risultare folle e caricaturale nel 90% delle interpretazioni: per fortuna col tempo la situazione è migliorata ma il Razzie che la buona Pénelope si è presa per Blow è totalmente meritato! A parte questa piccola pecca, comunque, il film di Demme è una di quelle pellicole che si lasciano tranquillamente guardare e che val la pena vedere almeno una volta. Anzi, credo che per alcuni rischierà anche di diventare un cult!!


Di Johnny Depp (George Jung), Penélope Cruz (Mirtha Jung), Rachel Griffiths (Ermine Jung), Ethan Suplee (Tonno), Ray Liotta (Fred Jung) e Jaime King (Kristina Jung adulta) ho già parlato ai rispettivi link.

Ted Demme (vero nome Edward Demme) è il regista della pellicola. Americano, è famoso per aver diretto film come C'eravamo tanto odiati, Beautiful Girls e Life, tutti titoli a me sconosciuti, lo ammetto. Anche produttore e attore, è morto nel 2002, all'età 38 di anni.


Franka Potente interpreta Barbara Buckley. Tedesca, la ricordo per film come Lola corre, Anatomy, The Bourne Identity, The Bourne Supremacy e Creep - Il chirurgo, inoltre ha partecipato a serie come Dottor House e American Horror Story. Anche regista e sceneggiatrice, ha 40 anni e due film in uscita.


Paul Reubens interpreta Derek Foreal. Americano, meglio conosciuto come Pee-Wee Herman della serie Pee-Wee's Playhouse, lo ricordo per film come The Blues Brothers, Pee-Wee's Big Adventure, Navigator, Big Top Pee-Wee - La mia vita picchiatella, Moonwalker, Batman - Il ritorno, Buffy l'ammazzavampiri, Matilda 6 mitica; inoltre, ha partecipato a episodi di Mork & Mindy, Hercules, Ally McBeal, 30 Rock e lavorato come doppiatore per la serie Rugrats e i film Nightmare Before Christmas, Il dottor Dolittle, I puffi e I puffi 2. Anche sceneggiatore, scenografo, produttore e regista, ha 62 anni e un film in uscita.


Jordi Mollà (vero nome Jordi Mollà Perales) interpreta Diego Delgado. Spagnolo, ha partecipato a film come Prosciutto prosciutto, Elizabeth - The Golden Age, Innocenti bugie e a serie come CSI: Miami. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 46 anni e sette film in uscita.


Bobcat Goldthwait (vero nome Robert Francis Goldthwait) interpreta Mr. T. Americano, indimenticabile Zed in Scuola di polizia 2: Prima missione, Scuola di polizia 3: Tutto da rifare e Scuola di polizia 4: Cittadini... in guardia lo ricordo anche per film come S.O.S. Fantasmi, Freaked - Sgorbi e Mr. Destiny, inoltre ha partecipato a serie come E.R. - Medici in prima linea, E vissero infelici per sempre, Hercules, Sabrina vita da strega, That's 70's Show e CSI - Scena del crimine. Come doppiatore, ha lavorato nelle serie Capitol Critters, Beavis and Butt - Head e I Simpson. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 52 anni.


Tra gli altri interpreti segnalo inoltre una giovanissima Emma Roberts nei panni della piccola Kristina Jung e il co-sceneggiatore Nick Cassavetes, che compare brevemente come uno dei clienti nel salone di Derek. In una scena eliminata, inoltre, c'era anche la vera figlia di George Jung, Kristina, mentre a John Leguizamo era stata offerta una parte ma ha dovuto declinare perché impegnato con Moulin Rouge!. Se Blow vi fosse piaciuto, infine, recuperate Traffic, Boogie Nights - L'altra Hollywood, Casinò, Carlito's Way, Quei bravi ragazzi e Scarface. ENJOY!








giovedì 26 giugno 2014

(Gio)WE, Bolla! del 26/6/2014

Buon giovedì a tutti! E' estate ormai, fa caldo, nessuno ha voglia di andare al cinema, i distributori lo sanno e fanno diventare questa settimana una delle più sfigate dell'anno. L'unico film degno d'interesse sarebbe il nipponico Thermae Romae ma credete che a Savona sia uscito? Mwahaah! Folli!

Instructions Not Included
Reazione a caldo: Sconosciuto, però...
Bolla, rifletti!: ...però potrebbe essere una visione gradevole. Innanzitutto perché è messicano è spesso da quelle parti arrivano sorprese inaspettate e poi perché il protagonista Eugenio Derbez, che interpreta un latin lover alle prese con le gioie della paternità, ha una faccia davvero buffa. L'unico problema è la paura che la commedia si trasformi in un drammone strappalacrime sul finale...

The Big Wedding 
Reazione a caldo: Mah...
Bolla, rifletti!: Dopo più di un anno arriva anche nelle nostre sale questa commedia dal cast all-star. Francamente, sono tuttora poco convinta di vedere quest'accozzaglia di mostri sacri che si accapigliano per strappare al pubblico qualche debole risata.

Al cinema d'élite danno Only Lovers Left Alive o, se preferite, Solo gli amanti sopravvivono, di cui avevo però già parlato QUI. Ci risentiamo alla prossima settimana!! ENJOY!

mercoledì 25 giugno 2014

Eli Wallach (1915 - 2014)


E saranno belli gli altri, vah.
Ciao, mitico.


Sidney Lumet Day: Equus (1977)


Oggi è il Sidney Lumet Day e a me viene già da ridere. A costo di palesare la mia solita ignoranza crassa, mi tocca ammettere di non sapere assolutamente nulla di questo regista, che oggi avrebbe compiuto ben 90 anni. Credo anzi di non aver mai visto neanche un suo film, tranne forse Sono affari di famiglia la prima volta che era stato passato in TV (non mi era piaciuto, ero piccola) e di sfuggita Serpico, Quarto potere e Il verdetto, pietre miliari cinematografiche che tuttavia non ho mai avuto modo di recuperare degnamente. Quindi oggi ho lasciato che i colleghi blogger più saputi si accaparrassero, giustamente, i loro film preferiti e poi ho scelto a caso, ispirata dalla trama, Equus, diretto da Lumet nel 1977.


Trama: il giovanissimo Alan, in un impeto di follia, acceca sei cavalli. Al Dottor Dysart viene chiesto di capire cos'abbia spinto il ragazzo a compiere un simile gesto e di aiutarlo a liberarsi dai suoi demoni. Purtroppo, man mano che la cura procede, sarà proprio lo psicanalista a mettere in discussione sé stesso...


Equus è un dramma psicologico tratto dall'omonima opera teatrale di Peter Shaffer, che ne ha sceneggiato anche l'adattamento cinematografico, con protagonisti Richard Burton e Peter Firth (entrambi bravissimi e giustamente candidati all'Oscar), presenti anche nell'edizione teatrale con gli stessi ruoli, rispettivamente, di psicanalista e paziente. L'impianto teatrale della pellicola è palese fin dalle primissime immagini, in cui uno sconvolto Dottor Dysart si rivolge direttamente al pubblico manifestando il suo tormento per poi andare a ritroso e raccontare la disturbante storia del giovane Alan. La maggior parte delle sequenze sono girate in ambienti chiusi e con movimenti di macchina assai limitati, con inquadrature concentrate soprattutto sui volti dei personaggi o sulla loro figura intera rapportata, nel caso di Alan, con i protagonisti veri e propri della pellicola, i cavalli. Non mancano ovviamente immagini oniriche, surreali o angoscianti, in particolare nel corso dello scioccante finale interamente virato in rosso, mentre il montaggio alterna con stacchi decisi il presente, in cui i personaggi raccontano le proprie vicende, e il passato, che viene rivissuto nella mente di tutti i testimoni della terribile vicenda. Il risultato è un film a tratti lento e sonnacchioso, soprattutto nella prima parte, che tuttavia cattura a poco a poco lo spettatore grazie alla potenza del mistero che circonda entrambi i protagonisti e l'ambigua figura di Equus, il Dio servo, il terribile cavallo che tutto vede.


Se infatti la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un'opera teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora disturbanti e non oso immaginare come dev'essere stato accolto Equus negli anni '70. Al di là delle abbondanti scene di nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti, privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell'umanità e costringendoli a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall'invidia nei confronti del suo paziente e scopre che, guardando l'abisso, ci si ritrova osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso degli anni. E questa, sinceramente, è un'immagine che mi ha messo più ansia di tutti gli horror visti finora. Provare per credere!

Sidney Lumet viene festeggiato assai più degnamente e con competenza a queste coordinate. ENJOY!

Solaris
Scrivenny
In Central Perk
Recensioni Ribelli
Director's Cult
Montecristo
Non c'è paragone
White Russian

martedì 24 giugno 2014

La città incantata (2001)

Dal 25 al 27 giugno tornerà al cinema La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi - 千と千尋の神隠し) diretto e sceneggiato nel 2001 dal Maestro Hayao Miyazaki. Siccome, molto probabilmente, dalle mie parti non aderiranno all'operazione mi sono consolata col DVD e ho deciso di parlare un po' di questo capolavoro dello Studio Ghibli.


Trama: mentre si stanno recando nella nuova casa, la piccola Chihiro e i suoi genitori sbagliano strada e si ritrovano in quello che sembrerebbe un parco divertimenti abbandonato. All'improvviso papà e mamma vengono trasformati in maiali e Chihiro rimane sola in un mondo che, nottetempo, si popola di spiriti e creature fantastiche...


La città incantata è una delicata favola dalla storia semplice (per quanto affascinante) e dai molteplici significati, sfaccettata e sorprendente come tutte le altre opere del Maestro Miyazaki. Attraverso la rappresentazione di un mondo incantato profondamente radicato nella cultura giapponese ma anche influenzato da atmosfere che, in qualche modo, richiamano le fiabe dell'europa orientale, Miyazaki Sensei offre allo spettatore uno splendido racconto di formazione che parte da un piccolo e comunissimo trauma infantile: quello del primo trasloco. Chihiro è una bimba di dieci anni che si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con un cambiamento notevole, benché assai comune, e che incontriamo per questo colma di tristezza e, comprensibilmente, chiusa a qualsiasi novità, proposta o incoraggiamento da parte dei genitori che invece, com'è tipico degli adulti, prendono la cosa con più filosofia o da un punto di vista meramente pratico. Quando la famigliola arriva in quello che ritengono essere un parco divertimenti sono proprio papà e mamma a incoraggiare l'esplorazione e a rallegrarsi per il cibo trovato per caso e in abbondanza, mentre Chihiro si immusonisce e rifiuta qualsiasi distrazione le venga offerta, con una sensibilità che va a braccetto con testardaggine e paura, tre elementi che sono tratti distintivi del suo carattere e che l'accompagneranno nella sua esperienza presso quello che si rivelerà essere il regno degli spiriti. Infatti, la cosa particolare de La città incantata è che all'inizio Chihiro non è affatto una protagonista simpatica, tutt'altro: è piagnucolosa, diffidente, scorbutica. Per questo diventa ancora più verosimile il suo percorso verso la generosità, l'altruismo e l'amore, tutte qualità necessarie per riuscire a sopravvivere nel bagno pubblico gestito dalla tremenda Yubaba e popolato da personaggi gretti e meschini, interessati solo a soddisfare i loro bisogni più immediati come la gola o il denaro e che toccano l'apice nell'inquietante e triste figura del Senza Volto, destinato ad un'eterna solitudine causata dall'ingordigia.


Il percorso di formazione di Chihiro si accompagna inoltre ad una riflessione non banale sui legami col passato e sull'importanza del rispetto nei confronti della natura. La strega Yubaba diventa proprietaria dei suoi dipendenti rubando il loro nome (o meglio, rubandone un pezzetto visto che il kanji rimane invariato sia in Chihiro che in Sen, nome con cui Yubaba ribattezza la protagonista) e cancellando, di fatto, ogni ricordo della loro esistenza o della loro reale natura; Chihiro però ricorda il proprio grazie al bigliettino di addio regalatole dai suoi compagni di classe, quello stesso biglietto che le provocava tanta tristezza e malinconia durante il viaggio verso la nuova casa. Quello che il Maestro ci vuole dire, in poche parole, è che non è sano rimanere ancorati al passato e guardare ad esso come ad un tempo felice che non tornerà mai più, rifiutando il futuro o il cambiamento, bensì bisogna fare tesoro di tutte le esperienze, belle o brutte che siano (per esempio cadere in un fiume...), e da esse trarre forza per andare avanti e crescere, consapevoli del fatto che le persone importanti troveranno sempre il modo di rimanere accanto a noi, per quanto distanti nel tempo e nello spazio. L'atavico amore di Miyazaki per la natura, invece, viene espresso totalmente nella splendida sequenza che mostra l'arrivo dello "Spirito del cattivo odore" all'interno dell'onsen, altro esempio di come le persone sciocche e limitate non riescano a guardare oltre l'apparenza né riparare ai danni che loro stesse hanno causato all'ambiente che le circonda; più che al denaro facile e alla fama, le persone dovrebbero fare attenzione alla loro salute, inestricabilmente legata a quella di una natura che stiamo rendendo sempre più brutta ed irriconoscibile. Detta così è un orrido pistolotto naturalista ma il Sensei riesce in pochi minuti a rendere questo concetto necessario, meraviglioso e giusto.


Attorno alla piccola Chihiro, Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli creano uno stuolo di personaggi vivaci ed indimenticabili, talmente ben caratterizzati che persino quelli secondari riescono a ritagliarsi quei cinque minuti necessari a bucare lo schermo e fissarsi indelebilmente nella mente dello spettatore, come per esempio lo Spirito del Ravanello o le piccole palle di fuliggine del Signor Kamaji. Le invenzioni visive, neanche a dirlo, si sprecano e si concretizzano in alcune tra le più belle e poetiche sequenze d'animazione mai girate, come l'attacco degli uccellini di carta ai danni di Haku, il viaggio sul treno acquatico, il bagno dello Spirito del Cattivo Odore e il risveglio dei ricordi d'infanzia di Chihiro, in grado tutte le volte di commuovermi fino alle lacrime; questi sono solo gli esempi più eclatanti, ovviamente, potrei elencarne altri mille e non lo faccio solo per non togliere la sorpresa a chi non ha mai visto La città incantata, ma un piccolo dettaglio che mi ha sempre convinta della genialità di Miyazaki e della sua capacità di evocare immagini allo stesso tempo universali e inaspettate è il modo in cui Yubaba si ammanta lasciando spuntare solo il nasone e diventando così identica, in tutto e per tutto, ad un uccello ottuso. Menzione speciale, ovviamente, la merita anche la colonna sonora di Joe Hisaishi, composta da melodie a volte delicate a volte ridontanti, perfette per sottolineare i vari cambiamenti d'atmosfera all'interno della pellicola. Per concludere, a voi non resta che andare a vedere La città incantata al cinema o recuperarlo in DVD e, a questo proposito, ho una piccola precisazione da fare, assieme ad una richiesta. La versione che ho io è uscita con TV Sorrisi e Canzoni nel 2005 (quindi dovrebbe contenere il doppiaggio e, di conseguenza, i sottotitoli del 2004) e ho notato, nonostante la mia ancor limitata conoscenza della lingua giapponese, qualche imprecisione/aggiunta nei dialoghi; leggo tuttavia su Wikipedia che da domani al cinema la Lucky Red ne proporrà una versione riadattata e ridoppiata, più fedele all'originale quindi vi chiederei di raccontarmi in che modo le due edizioni sono differenti così da capire se riacquistare o meno un futuro DVD. E con questo concludo davvero, buona visione!!   


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.

Il film ha vinto l'Oscar come miglior film d'animazione nel 2003, surclassando giustamente (per quanto lo adori) Lilo & Stitch, candidato assieme a L'era glaciale, Il pianeta del tesoro e Spirit - Cavallo selvaggio. Se La città incantata vi fosse piaciuto recuperate Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro, Coraline e la porta magica, Alice nel paese delle meraviglie, Labyrinth, Il mago di Oz, Nel fantastico mondo di Oz e La storia infinita. ENJOY!

domenica 22 giugno 2014

Il signore degli anelli - Il ritorno del re (2003)

Eccoci arrivati alla fine dei post dedicati alla trilogia de Il signore degli Anelli! Si conclude in bellezza con Il ritorno del re (The Lord of the Rings: The Return of the King), diretto nel 2003 dal regista Peter Jackson.


Trama: le forze di Sauron stanno per scagliarsi contro la fortezza di Gondor e la guerra minaccia di segnare la fine dell'era degli uomini. Mentre Aragorn, Gandalf, Merry, Pipino, Legolas e Gimli si preparano per quella che potrebbe essere l'ultima battaglia della loro vita, Frodo, Sam e un sempre più malvagio Gollum devono trovare un modo per penetrare nel cuore di Mordor e arrivare, non visti, al monte Fato per distruggere l'Anello...


Il ritorno del re è sicuramente il film della trilogia che preferisco perché, mentre La compagnia dell'anello fungeva da introduzione ed era in qualche modo più "lieto" e Le due torri era principalmente concentrato su epiche battaglie, quest'ultima pellicola si sofferma maggiormente sulle emozioni dei singoli personaggi ed è pervaso, dall'inizio fino alla fine, da un'intensa atmosfera di ineluttabilità, malinconia e flebile speranza. Ognuno dei protagonisti, infatti, è consapevole della possibilità di stare combattendo una battaglia persa in partenza e di stare letteralmente proseguendo nel cammino a braccetto con la morte e molti, di fronte a questa consapevolezza, scelgono ad un certo punto di arrendersi. In questo senso, la figura che mi ha sempre colpita maggiormente è quella del padre di Boromir e Faramir, Denethor, che si getta a testa bassa nel vortice della follia e della rassegnazione, spinto da un orgoglio fasullo e da una sete di potere senza pari, e solo quando la fine è imminente capisce quanto fossero inutili i valori a cui si è sempre aggrappato; a differenza di Re Theoden, che riesce a trovare nuova linfa vitale nelle situazioni disperate, Denethor soccombe al dolore e decide di abbandonare tutto, distruggere regno e famiglia senza dare battaglia, un po' come un novello Mazzarò che sceglie di portare con sé la sua "roba". Allo stesso modo anche Sam, fino a questo momento la voce della semplicità, dell'innocenza e della saggezza "di campagna", si ritrova a perdere tutto a causa delle macchinazioni di Gollum e per un attimo, un attimo incredibilmente toccante e umano, perde di vista la via rischiando così di condannare quella povera oloturia di Frodo nonché l'intera Terra di Mezzo. Il ritorno del re inoltre (almeno all'epoca, prima che arrivasse Lo Hobbit) significa dare l'addio a meravigliosi personaggi a cui ci siamo affezionati, creature che, inevitabilmente, sono rimaste toccate nel profondo dai terribili, per quanto epici, eventi raccontati. Ritornare senza pensieri alla vita di prima non è umanamente pensabile, perché il male assoluto può aiutare a cambiare in meglio ma lascia anche cicatrici profonde e un'altrettanto profonda stanchezza; il finale de Il ritorno del re tira sì ogni filo lasciato in sospeso ma devasta lo spettatore con una malinconia infinita, lasciandolo nella triste consapevolezza che il tempo delle favole, della magia e delle epiche battaglie appartiene a un mondo che ormai non esiste più e che può tornare, di tanto in tanto, solo in forma di racconto.


E il racconto in questione Peter Jackson e i responsabili della WETA l'hanno realizzato talmente bene che, ad ogni fotogramma, ad ogni evento, ad ogni inquadratura, veniamo risucchiati nello schermo e viviamo sulla nostra pelle tutto ciò che accade ai protagonisti. La tremenda Shelob, nascosta nel ventre della montagna, rischia di annidarsi negli incubi dello spettatore anche a distanza di anni, il confronto tra il Re dei Nazgul ed Eowyn è semplicemente da applauso, la rabbia con cui i "buoni" si scagliano disperati contro le forze di Mordor fa venire voglia di impugnare una spada e affiancarsi a loro nella battaglia, la scalata di Frodo e Sam al Monte Fato è in grado di fiaccare l'animo e lo spirito, il geniale montaggio che mostra il destino di Faramir e, contemporaneamente, il disgustoso banchetto di Denethor è in grado di fomentare un inaudito desiderio di uccidere il Reggente, la riunione finale nella camera da letto di Frodo fa sciogliere in lacrime e risate liberatorie: tutto questo, nonostante Il signore degli Anelli sia commerciale quanto volete, è per me indice di grande Cinema e anche l'Academy ha dovuto chinare il capo e inondare di Oscar l'opera di Jackson (Miglior film, miglior regia, miglior adattamento, miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi, miglior make-up, miglior colonna sonora, migliore canzone, miglior suono e migliori effetti speciali) pur snobbando degli attori che, non stiamocela a raccontare, in tutti quegli anni sono diventati tutt'uno con i personaggi. Ne Il ritorno del re persino Elijah Wood diventa credibile e un po' più espressivo rispetto agli altri due film, Merry e Pipino riescono finalmente ad uscire dalla sorta di anonimato a cui il loro ruolo di "spalle" li aveva condannati assumendo quello di spettatori esterni che vedono due regni andare in rovina e poi risorgere, Aragorn subisce una metamorfosi incredibile da outsider a vero Re di Gondor (perdendo almeno 800 punti fascino ma così è la vita...) e, ovviamente, Sean Astin nei panni di Sam svetta su chiunque grazie alla sua sensibilità e il faccino pacioso, stanco e disperato. Ci sarebbero mille altre cose da dire su quella che è diventata LA trilogia con cui confrontarsi a partire dal 2000, ci sarebbe da insultare Peter Jackson che ha deciso di cavar sangue da una rapa e sputare sulla sua meravigliosa creatura sperando di replicarla dividendo in tre Lo Hobbit, ci sarebbe anche, ovviamente, da muovere delle critiche da "puristi" rispetto alle diversità tra film e romanzo... ma rischierei di dilungarmi e diventare noiosa. Secondo me, c'è solo da riprendere in mano i DVD o i BluRay e immergersi senza pensieri in questa splendida Trilogia, seguendo l'affascinante ed ipnotico richiamo dell'Unico Anello.


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson (che compare anche durante la battaglia al Fosso di Helm) ho già parlato quiElijah Wood (Frodo Baggins), Sean Astin (Samwise "Sam" Gamgee), Sean Bean (Boromir), Cate Blanchett (Galadriel), Orlando Bloom (Legolas), Billy Boyd (Peregrino "Pipino" Tuc), Bernard Hill (Theoden), Ian Holm (Bilbo), Ian McKellen (Gandalf il grigio), Dominic Monaghan (Meriadoc "Merry" Brandybuck), Viggo Mortensen (Aragorn), Miranda Otto (Eowyn), John Rhys-Davies (Gimli), Andy Serkis (Gollum/Smeagol), Liv Tyler (Arwen), Karl Urban (Eomer), Hugo Weaving (Elrond) e David Wenham (Faramir) li trovate invece ai rispettivi link.

Durante il film riusciamo finalmente a vedere Andy Serkis "quasi" al naturale, nei panni di Smeagol. La cosa buffa è che, all'inizio, i realizzatori pensavano di utilizzare un altro attore per interpretarlo! Tra le comparse segnalo invece lo stesso Peter Jackson (il corsaro colpito dalla freccia di Legolas), il figlio di Viggo Mortensen, Henry, il pronipote di J.J.R. Tolkien, Royd, e la figlia di Sean Astin, Alexandra. Il ritorno del re segue La compagnia dell'anello e Le due torri quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate il primo capitolo e il secondo capitolo della trilogia, leggete assolutamente Il Signore degli anelli cartaceo e, se vi va, proseguite guardando i primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit. ENJOY!

venerdì 20 giugno 2014

Il signore degli anelli - Le due torri (2002)

Dopo aver parlato de La compagnia dell'anello oggi si prosegue con Il signore degli anelli - Le due torri (The Lord of the Rings - The Two Towers), seconda parte della trilogia diretta nel 2002 dal regista Peter Jackson.


Trama: la Compagnia dell'anello si è divisa. Mentre Frodo e Sam incontrano Gollum e si dirigono verso Mordor per distruggere l'Anello, Pipino e Merry vengono salvati dal misterioso Barbalbero; Aragorn, Gandalf, Legolas e Gimli vengono invece coinvolti in un'epica battaglia tra le forze del malvagio Saruman e gli abitanti del regno di Rohan.



Le due torri, di fatto una sorta di raccordo tra il primo e il terzo capitolo de Il signore degli anelli, è la parte di trilogia che meno preferisco, sebbene la versione estesa sia molto più completa e piacevole da vedere rispetto a quella che era passata nei cinema italiani. All'epoca l'avevo trovata eccessivamente lunga e lievemente tediosa perché il fulcro della sceneggiatura è l'epica battaglia finale al Fosso di Helm, una mezz'ora buona di frecce, esplosioni, orchi e cavalli che, nonostante fosse stata realizzata in maniera impeccabile, al limite della commozione, non era riuscita comunque ad entusiasmarmi come avrebbe dovuto. Altra pecca della pellicola (ma lì la "colpa" risiede nella natura del personaggio, ereditata dai libri di Tolkien) è l'introduzione del noiosissimo Ent Barbalbero, un'enorme quercia semovente amante degli spiegoni e incarnazione dello spirito ecologista che anima questa parte della pellicola, quasi interamente imperniata sulla battaglia tra tradizione e progresso, natura e industria. Il crudele Saruman, ormai completamente asservito a Sauron, non esita a distruggere foreste o deviare fiumi, affidandosi totalmente all'"industria" del fuoco, del metallo e della magia nera per ottenere il potere portando morte ed oscurità nella Terra di Mezzo, mentre invece gli sparuti membri della Compagnia dell'Anello continuano a preferire la comunione con la Natura e l'unione "corretta" delle forze, ottenuta attraverso la difficile ricostruzione di vecchie alleanze. Se la grandiosa battaglia al Fosso di Helm, diretta conseguenza di questi scontri, è la parte più importante dell'Opera, non bisogna comunque dimenticare che il successo della missione di Frodo e Sam è ciò da cui dipende la vittoria del bene o del male e ne Le due torri le vicende dei due Hobbit compiono un importantissimo passo avanti grazie soprattutto all'arrivo di Gollum.


Gollum è uno dei tre personaggi nuovi introdotti nel secondo capitolo della trilogia e, neanche a dirlo, è uno dei migliori della saga. Interpretata magistralmente da un Andy Serkis completamente nascosto da un sembiante digitale, questa creatura è il terribile esempio del potere dell'Anello, un essere tormentato dalla bramosia, dalla sete di vendetta e da una follia che lo sdoppia in due distinte personalità, da una parte l'infantile e timoroso Smeagol e, dall'altra, il freddo e crudele Gollum, che compirebbe ogni sorta di nefandezza per rimettere le zampe sul Tessoro. Gollum ovviamente rappresenta ciò che potrebbe diventare Frodo se si lasciasse sedurre dalle lusinghe dell'Anello ed è quindi inevitabile che tra i due si instauri una connessione da cui il povero Sam rimane escluso; ed ecco che, di fatto, diventa  proprio Samvise Gamgee il lato fondamentale di questo particolare triangolo, l'unico ad essere riuscito a mantenere una dimensione umana, una mentalità semplice in grado di toccare il cuore e l'animo di persone ormai troppo immerse nel dolore e nell'odio, come si può vedere nello splendido, commovente dialogo tra lui e Faramir. L'altro stupendo personaggio a venire introdotto è Eowyn, femminile e forte allo stesso tempo, la "dama sfortunata" che rischia di perdere l'amato zio Theoden a causa delle macchinazioni di Saruman (e della new entry Vermilinguo, meravigliosamente interpretato da un viscidissimo Brad Dourif) e che, per quanto si sforzerà, non potrà mai essere alla pari dell'elfa Arwen e scalzarla dal cuore di Aragorn; sarà perché sono donna e perché la mia dose di due di picche immotivati me la sono presa ma ogni volta che Eowyn compare mi viene voglia di prendere a ceffoni sul coppino l'erede di Isildur per il modo in cui si ostina a rendere triste la poveretta, già segnata da mille sofferenze. Questi personaggi nuovi, ai quali aggiungo anche Faramir e re Theoden, sono talmente ben tratteggiati da riuscire tranquillamente a rivaleggiare con quelli conosciuti nel primo capitolo (sicuramente surclassano Gimli e Legolas) e saranno a dir poco fondamentali per il terzo, ovviamente.


Tecnicamente parlando, anche Le due torri è un capolavoro. Barbalbero, per quanto risulti odioso come personaggio, è comunque realizzato in maniera divina e sembra davvero che porti in spalla di due hobbit quando cammina ma l'olifante che si vede ad un certo punto non è da meno e, ovviamente, Gollum è qualcosa di inimmaginabile. Per quel che riguarda le sequenze invece, il fiore all'occhiello della pellicola è sicuramente la delirante battaglia al fosso di Helm, che ha richiesto mesi di riprese e innumerevoli aggiustamenti fatti al computer (tanto che il cast alla fine portava delle magliette con su scritto "I survived Helm's Deep") per poter essere completata al meglio, tuttavia io sono molto più affezionata alla vertiginosa carrellata che, finalmente, svela quale inferno si nasconda sotto la torre di Saruman e a due sequenze "statiche" che mi mettono sempre i brividi: una è il primo piano del viso di Vermilinguo solcato da una singola lacrima, peraltro vera e frutto dell'abilità di Brad Dourif, mentre l'altra mostra una solitaria Eowyn che si staglia contro Edoras, disperata e vulnerabile ma allo stesso tempo fiera, mentre il vento porta via la bandiera con lo stemma della sua casata e l'evocativa musica di Howard Shore riempie le orecchie e il cuore dello spettatore. Per quel che riguarda il cast, fortunatamente, valgono le stesse parole dette nel post precedente. Si vede che tutti gli attori tenevano particolarmente alla riuscita della trilogia e l'atmosfera di amicizia ed intesa, reciproca e rivolta verso il regista Peter Jackson, traspare da ogni gesto, sguardo o fotogramma del film. Mi rendo conto di aver scritto un papiro che farebbe invidia a Tolkien, quindi concludo qui lo sproloquio relativo a Le due torri e mi preparo perché domenica tocca a Il ritorno del re!!


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson (che compare anche durante la battaglia al Fosso di Helm) ho già parlato qui. Elijah Wood (Frodo Baggins), Sean Astin (Samwise "Sam" Gamgee), Sean Bean (Boromir), Cate Blanchett (Galadriel), Orlando Bloom (Legolas), Billy Boyd (Peregrino "Pipino" Tuc), Brad Dourif (Grima Vermilinguo), Bernard Hill (Theoden), Christopher Lee (Saruman), Ian McKellen (Gandalf il grigio), Dominic Monaghan (Meriadoc "Merry" Brandybuck), Viggo Mortensen (Aragorn), John Rhys-Davies (Gimli ma da anche la voce a Barbalbero), Andy Serkis (Gollum), Liv Tyler (Arwen), Karl Urban (Eomer), Hugo Weaving (Elrond) e David Wenham (Faramir) li trovate invece ai rispettivi link.

Miranda Otto interpreta Eowyn. Australiana, ha partecipato a film come La sottile linea rossa, Le verità nascoste, Il signore degli anelli - Il ritorno del Re, La guerra dei mondi, Locke & Key, I, Frankenstein e a serie come The Flying Doctors. Ha 47 anni e un film in uscita.


Il film ha vinto due Oscar, uno per il miglior sonoro e uno per i migliori effetti speciali; a tal proposito, purtroppo, Andy Serkis non ha potuto ricevere una meritata nomination per gli Oscar perché il suo personaggio era stato generato al computer. Per quanto riguarda invece i nuovi personaggi introdotti in questo secondo capitolo, il ruolo di Eowyn era stato offerto a Kate Winslet, che già aveva lavorato con Peter Jackson nel meraviglioso Creature del cielo; addirittura, durante le prime fasi di pre-produzione si era pensato ad Uma Thurman per il ruolo di Eowyn e a Ethan Hawke per quello di Faramir. Le due torri segue La compagnia dell'anello e precede Il ritorno del re quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate il primo capitolo della trilogia, proseguite col terzo, leggete assolutamente Il Signore degli anelli cartaceo e, se vi va, proseguite guardando i primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit. ENJOY!

giovedì 19 giugno 2014

(Gio)WE, Bolla! del 19/6/2014

Buon giovedì a tutti!! Come si vede che è arrivata l'estate, visto che di film decenti neanche l'ombra. O forse no? Dal recente passato qualcosa s'affaccia (martedì ri-esce anche La città incantata, di cui parlerò nei prossimi giorni) e potrebbe arrivare Clint Eastwood a salvarci tutti... ENJOY!

Tutte contro di lui
Reazione a caldo: Oh, chiamatemi scema...
Bolla, rifletti!: ...ma adoro Cameron Diaz. Sicuramente questa storia di tre sgallettate che si riuniscono per dare una lezione al fedifrago (e figo!!) Nikolaj Coster-Waldau è una belinata mostruosa ma per l'estate ci sta. Spero di recuperarlo presto!

Pane e burlesque
Reazione a caldo: Anche no!!
Bolla, rifletti!: d'altra parte, invece, quando la belinata mostruosa è italiana di solito passo oltre. Il burlesque come antidoto contro la crisi? Non ce la posso fare..

La sedia della felicità
Reazione a caldo: Hmm...
Bolla, rifletti!: Una caccia al tesoro tutta italiana? Perché no. Di Mazzacurati non ho mai visto nulla ma la recensione del blog Solaris (che vi consiglio di leggere) mi ha convinta ad andare a vedere il suo ultimo lavoro. Spero solo di trovare compagni disposti ad immolarsi!! (sì, da noi i film ci mettono un po' ad arrivare... si vede, eh?)

Jersey Boys
Reazione a caldo: Incognita.
Bolla, rifletti!: Clint Eastwood si da al musical? Accipicchia. Il vecchio Clint negli ultimi anni si è rivelato un'incognita, in grado di regalare enormi capolavori o abbattere con tediose mattonate; in questo caso, non saprei davvero cosa aspettarmi, sono sincera. Probabilmente, tanta bella musica e una classica biografia alla J. Edgar. L'indecisione permane...

Al cinema d'élite proiettano invece un gradito e tardivissimo recupero della solita, maffa distribuzione italiana...

Synecdoche, New York
Reazione a caldo: E vabbé, è giunta l'ora di recuperarlo!
Bolla, rifletti!: Charlie Kaufman è un Dio, Philip Seymour Hoffman un idolo che se n'è andato troppo presto. Unendo i due, dev'essere uscito un capolavoro surreale ed incomprensibile che, vista l'occasione, non posso esimermi dal recuperare e, finalmente, godermi come merita!

mercoledì 18 giugno 2014

Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello (2001)

E' arrivato il momento di "affrontare" una delle trilogie chiave del nuovo millennio, quella de Il signore degli anelli. Cominciamo oggi con La compagnia dell'anello (The Fellowship of the Ring), diretto e co-sceneggiato nel 2001 da Peter Jackson e tratto dalle opere di J.R.R. Tolkien.


Trama: nel giorno del suo compleanno, l'hobbit Bilbo Baggins decide di andare via dalla Contea. Al cugino prediletto Frodo lascia in eredità un anello trovato anni prima durante un'avventura con lo stregone Gandalf e proprio quest'ultimo scopre, dopo qualche tempo, che il monile non è altro che l'Anello del Potere forgiato dal malvagio Sauron, in grado di soggiogare l'intera Terra di Mezzo e farla sprofondare nelle Tenebre. Saputo che i servi di Sauron hanno cominciato a cercare l'Anello, Frodo è costretto a fuggire assieme al fido giardiniere Sam e agli amici Pipino e Merry, cominciando così un viaggio disperato e periglioso..



Il mio rapporto con Il signore degli Anelli comincia durante l'infanzia, grazie ad un libro ereditato da qualche cugino più grande che raccontava, attraverso immagini e didascalie, le vicende mostrate nel film di Ralph Bakshi del 1978. Di quel libro (e quanto vorrei averlo sottomano ora!!) ricordo solo l'orrida figura di Gollum e il senso di inquietudine e disgusto che mi provocava; un ricordo che, probabilmente, assieme al titolo dell'opera era rimasto comunque in attesa di venire richiamato perché molti anni dopo, alle superiori, trovai nella libreria della madre di una compagna di classe l'imponente tomo Tolkieniano e, incuriosita, chiesi alla gentile signora di poterlo leggere. In tempo zero ero rimasta conquistata dalle vicende di Frodo e compagnia, affascinata dalla grandezza degli Elfi, dalla saggezza di Gandalf, dalla dolcezza e dal coraggio di Sam. Immaginate quindi l'incredibile gioia quando, nel 2001, ho saputo dell'uscita de La compagnia dell'Anello, riproduzione fedelissima della prima parte di quella storia che avevo tanto amato, solo con qualche piccolo "aggiustamento" per renderla più scorrevole e adatta a un pubblico che, presumibilmente, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare un romanzo così ponderoso. Nel primo film di una (necessaria, questa sì, non come quella de Lo Hobbit) trilogia il regista ci prende per mano e ci introduce all'universo di Tolkien, alla terribile storia dell'Anello e ai personaggi che, volenti o nolenti, entreranno in contatto con questo potentissimo artefatto: gli hobbit Frodo, Sam, Pipino e Merry, il saggio ed enigmatico stregone Gandalf, il misterioso e nobile Aragorn, gli audaci Legolas e Gimli, il tormentato Boromir. Nonostante ci sia tanta di quella carne al fuoco da farci barbeque per 13 generazioni, gli sceneggiatori riescono a rendere la storia comprensibilissima senza perdersi in spiegoni eccessivi e, soprattutto, riescono a scolpire in tempo zero ogni personaggio nel cuore dello spettatore, che non può fare a meno di entusiasmarsi e volerne sapere di più, tifando spudoratamente per la riuscita della perigliosa impresa e struggendosi davanti alle poche, necessarie morti, anche dopo averne letto sui libri di Tolkien. I toni della pellicola si alternano, come in una perfetta sinfonia, tra i momenti divertenti e bucolici ambientati nella Contea, le concitate fughe dai terribili servi di Sauron, la maestosità degli incontri con gli Elfi, le epiche battaglie nel ventre di Moria, i terribili ed umanissimi momenti di dubbio e terrore dei protagonisti, granelli di sabbia davanti ad una tempesta impossibile da fermare.


Al rispetto profondo per l'opera di Tolkien, Jackson aggiunge una perizia tecnica da far tremare i polsi e un'incredibile conoscenza del territorio neozelandese, indispensabile per ricreare una perfetta Terra di mezzo fatta di verdi colline, sterminate pianure e maestosi fiumi, un ambiente in grado di diventare protagonista alla pari degli esseri umani (e non) che lo attraversano. Poi, ovviamente, ci sono gli immancabili, preziosissimi effetti speciali della WETA, capaci di creare dal nulla sequenze e personaggi ormai rimasti nell'immaginario cinematografico collettivo come la terribile battaglia tra Gandalf e il Balrog e, ovviamente, la creatura Gollum che, a dire il vero, ne La compagnia dell'anello rimane un po' sullo sfondo, deciso a lasciare spazio alla bravura degli attori in carne ed ossa. Tra tutti gli interpreti spiccano, neanche a dirlo, il meraviglioso Ian McKellen e il bellissimo Viggo Mortensen (ah quanti sospiri all'epoca, altro che quegli elfi effemminati!!!), due mostri di incredibile bravura favoriti anche da due personaggi scritti benissimo in partenza; si collocano appena sotto di loro il tormentato, ormai iconico Boromir di Sean Bean che da il meglio di sé durante il terribile confronto con Frodo e, neanche a dirlo, l'ex goonie Sean Astin che, per quel che mi riguarda, col suo ciccionissimo Sam da vita al personaggio più sfaccettato e reale dell'intera saga. A distanza di anni invece (e purtroppo) devo dire che Elijah Wood non mi fa impazzire nei panni di un Frodo quasi monoespressivo (Ian Holm compare solo per pochi minuti e se lo mangia letteralmente) e che anche i personaggi di Legolas, Gimli, Merry e Pipino sembrano messi lì a mo' di riempitivi e, soprattutto in questo primo episodio della saga, non riescono ad bucare lo schermo, rimanendo monodimensionali. Quisquilie che, ovviamente, vengono cancellate dalla meraviglia di vedere portato su schermo un mondo antico e magico, come se gli elfi stessi avessero infuso la loro luce nell''intera pellicola, trasformandola per magia nell'ultima, grande saga epica della storia del Cinema. Imperdibile, che siate o meno amanti di Tolkien in particolare e del fantasy in generale.


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson (che compare anche nei panni dell'hobbit che sgranocchia una carota a Brea) ho già parlato qui. Elijah Wood (Frodo Baggins), Sean Astin (Samwise "Sam" Gamgee), Sean Bean (Boromir), Cate Blanchett (Galadriel), Orlando Bloom (Legolas), Marton Csokas (Celeborn), Ian Holm (Bilbo Baggins), Christopher Lee (Saruman), Andy Serkis (Gollum), Ian McKellen (Gandalf il grigio), Dominic Monaghan (Meriadoc "Merry" Brandybuck), Viggo Mortensen (Aragorn), Liv Tyler (Arwen) e Hugo Weaving (Elrond) li trovate invece ai rispettivi link.

Billy Boyd (vero nome William Boyd) interpreta Peregrino "Pipino" Tuc. Scozzese, ha partecipato a film come Il signore degli anelli - Le due torri, Master and Commander - Sfida ai confini del mare, Il signore degli anelli - Il ritorno del re e Il figlio di Chucky. Anche produttore, ha 46 anni e un film in uscita.


John Rhys-Davies interpreta Gimli. Inglese, lo ricordo per film come I predatori dell'arca perduta, Victor Victoria, Sahara, 007 - Zona pericolo, Indiana Jones e l'ultima crociata, Il signore degli anelli - Le due torri Il signore degli anelli - Il ritorno del re, inoltre ha partecipato a serie come Chips, La signora in giallo I viaggiatori. Come doppiatore, ha lavorato in episodi di Animaniacs, Gargoyles, Freakazoid!, Pinky and the Brain, Spongebob Squarepants e per il film Aladdin e il re dei ladri. Anche sceneggiatore e produttore, ha 70 anni e sei film in uscita.


I retroscena alla base della trilogia di Jackson sono infiniti, ovviamente, quindi riporterò solo quelli che mi hanno colpita di più. Per esempio, Christopher Lee è stato l'unico membro del cast ad avere incontrato Tolkien, con cui ha mantenuto persino una corrispondenza mentre era in vita: è stato lo stesso Tolkien ad averlo designato come Gandalf nel caso di una trasposizione cinematografica de Il signore degli anelli, tuttavia alla fine a Lee è stata offerta la parte di Saruman e, piuttosto che rischiare di rimanere fuori dalla produzione, l'attore si è dovuto rassegnare (e ha dovuto anche sopportare il fatto che il ruolo di Gandalf, ambito anche dal padre di Sean Astin, John, fosse stato offerto a Sean Connery che, però, aveva rifiutato perché "non capiva la storia". Brutta cosa l'Alzheimer). Nulla di fatto anche per Stuart Townsend, scritturato per il ruolo di Aragorn (nonostante le prime scelte per la parte fossero Russel Crowe, Daniel Day-Lewis e, orrore! Nicolas Cage) e mandato a stendere dopo pochi giorni di riprese perché Jackson si era reso conto che sarebbe stato meglio utilizzare un attore più "anziano". Il giovane Orlando Bloom aveva invece fatto il provino per Faramir e alla fine è stato richiamato per interpretare Legolas mentre, rimanendo in tema di elfi, sia Lucy Lawless che Uma Thurman hanno dovuto rinunciare a partecipare al film (la prima come Galadriel e la seconda come Arwen e poi Eowyn) a causa della loro improvvisa gravidanza mentre si dice che David Bowie sarebbe stato molto interessato al ruolo di Elrond, mannaggia! Per quanto riguarda gli hobbit invece, Jake Gyllenhaal aveva fatto il provino per il ruolo di Frodo, a cui peraltro ambiva anche Dominic Monaghan. La compagnia dell'anello, lo sanno anche i sassi, è il primo film di una trilogia che include Le due torri e Il ritorno del re; quindi, se vi fosse piaciuto, continuate nella visione, leggete assolutamente Il Signore degli anelli cartaceo e, se vi va, proseguite guardando i primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit. ENJOY!

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