martedì 30 giugno 2020

Far East Film Festival: Impetigore (2019)

Come ho scritto su Facebook (piacciate la pagina, per favore) mi sono imbarcata nell'impresa di abbonarmi all'edizione on line del Far East Film Festival. Perché impresa, direte voi? Beh, perché non ho praticamente tempo per vedere film, tra lavoro e menate di palle casalinghe, quindi se riuscirò a guardarne due in una settimana sarà già molto. Per la cronaca, ho cominciato con gli horror, mio genere preferito, e il primo è stato Impetigore (Perempuan Tanah Jahanam), diretto e sceneggiato nel 2019 dal regista Joko Anwar.


Trama: dopo essere sopravvissuta all'attacco di un uomo, la giovane Maya scopre che nel suo passato si celano dei segreti e decide di andare nel villaggio sperduto dove hanno abitato i suoi genitori per indagare...


Domenica ho miracolosamente guardato due horror di fila. Uno era Soul, di cui parlerò prossimamente, l'altro era questo Impetigore, molto apprezzato a una prima visione ma uscito sconfitto dal confronto impari col suo collega, assai più raffinato. Detto ciò, anche Impetigore è molto interessante, benché d'impianto più "classico"; la sceneggiatura, infatti, è interamente imperniata sul passato, orribile e segreto, di una ragazza in apparenza normale che, a un certo punto, si ritrova vittima delle mire omicide di un uomo in una sequenza di apertura tra le più concitate viste di recente. Dopo l'attacco, Maya scopre che qualcosa non va, non solo in un presente in cui lei e la migliore amica si arrabattano per sopravvivere, ma anche nel passato, al quale Maya si avvicina non solo per curiosità ma anche attirata dalla possibilità di avere in eredità un'enorme villa in stile occidentale, possibile panacea di tutti i suoi problemi economici. L'azione si sposta dunque dalle caotiche città della Malesia a uno sparuto villaggio fatto di sentieri battuti nelle foreste e piccole casette che paiono stare in piedi con lo sputo, un villaggio che farebbe invidia alla sfigatissima cittadina di Dead Silence, dove una misteriosa maledizione ha messo in ginocchio gli abitanti e un abile burattinaio spadroneggia indisturbato assieme alla madre. Ovviamente, Maya e l'amica si ritroveranno invischiate in un'inquietante atmosfera fatta di diffidenza, odio e superstizione, là dove gli spiriti irrequieti dei morti popolano case e foreste, cicciando fuori quando uno meno se lo aspetta; se non altro, Anwar è onesto e gioca più di suggestioni che di jump scare, senza lesinare sequenze più gore e altre immagini di rara crudeltà, soprattutto nel momento in cui la trama comincia a svelare la natura della maledizione calata sul villaggio.


Nonostante il film venga dalla lontana Malesia, ad accomunare Impetigore agli horror occidentali c'è l'idea del villaggio isolato dal quale è impossibile uscire, con gli abitanti tanto gentili e tanto onesti in apparenza ma pronti a tirare fuori coltellacci affilati; la sequenza finale, che vede la protagonista correre strillante nei boschi per poi saltare su una provvidenziale camionetta, richiama alla mente quella di Non aprite quella porta mentre altre scene si portano sulle spalle lontani echi di Hostel e simili, benché le attrici siano molto meno cagne (anzi, in un paio di occasioni mi hanno messo il magone, anche perché Anwar si impegna a renderci subito simpatiche sia Maya che Dini, caratterizzandole con tratti molto umani). Accanto a questi elementi più "universali" ve ne sono però altri più particolari, che rendono Impetigore molto affascinante. Al di là della raffinatezza efferata degli spettacoli dei burattini (in realtà silhouette di carta che proiettano ombre su uno schermo) c'è anche da considerare l'aspetto sociale rappresentato, che non fa molto onore alla Malesia. Le due ragazze vengono a trovarsi in un contesto di isolamento e arretratezza, in un villaggio in cui il valore della donna è essenzialmente legato alla sua capacità o meno di procreare e dove si fa presto ad abbandonare i deboli e gli svantaggiati, ma la situazione in città non è migliore, basti vedere quante volte si faccia riferimento alla violenza sessuale nel film, a come sia Maya che, soprattutto, Dini, siano consapevoli di essere un anello debole e poco tutelato (sentire una terrorizzata Dini dire "non sono vergine quindi non mi opporrò, ma non fatemi male" mi ha agghiacciata), costantemente prese di mira da uomini che le vedono essenzialmente come oggetto sessuale. Onestamente, nonostante l'indiscutibile potenza di una vecchia malvagia, questa concezione di donna mi ha fatto più orrore dell'intero film, che comunque consiglio in quanto validissimo esponente del genere, se vi piacciono le intricate storie di fantasmi condite da un po' di gore.


Del regista Joko Anwar ho già parlato QUI.

Tara Basro (Maya) e Marissa Anita (Dini) sono anche nel cast del secondo film di Joko Anwar presente al festival, il supereroico Gundala, che chissà se riuscirò a guardare. Detto ciò, se Impetigore vi fosse piaciuto consiglio la visione di Satan's Slaves, altro horror dello stesso regista. ENJOY! 




domenica 28 giugno 2020

Pitch Black (2000)

Qualche sera fa passavano in TV Pitch Black, diretto nel 2000 dal regista David Twohy, e siccome ne ho sentito sempre parlare benissimo ho deciso di dargli un'occhiata.


Trama: dopo un incidente, gli occupanti di un'astronave si ritrovano dispersi su un pianeta sconosciuto, con due enormi problemi da affrontare. Uno, tenere a bada il pluriomicida Riddick, imprigionato proprio all'interno dell'astronave, e due, sopravvivere a fameliche ed implacabili creature.



Guardando Pitch Black mi è tornato tutto alla mente, nemmeno fosse una madeleine proustiana. Correva l'anno 2000 e una Bolla diciannovenne era letteralmente DISGUSTATA da ciò che leggeva su Ciak e affini: Vin Diesel celebrato come il nuovo Bruce Willis, anche se st'informe zamarro pelato non aveva un briciolo del fascino dell'adorato Bruno. Così come, a pelle, avevo provato subitaneo disgusto per Take That, Leonardo di Caprio (poi rivalutato), Titanic et similia, così come ancora oggi quando sento nominare Adam Sandler mi viene la pellagra, così all'epoca avevo bollato ogni film che avesse per protagonista Vin Diesel come indegno di essere guardato in quanto Puttanata Galattica. Ecco perché sono passati vent'anni prima che io decidessi di guardare Pitch Black, e solo perché ne ho sentito parlare benissimo da gente di cui mi fido. Quindi, direte voi, questa è l'illuminazione bollesca sulla via di Damasco che porta alla rivalutazione di Vin Diesel? Ehm, no. Mi dispiace ma ho trovato Pitch Black di una noia mortale e visivamente brutto come il peccato, con l'unico pregio di una protagonista donna che sarebbe stata benissimo a fianco di Ripley e che invece è finita ad avere le caldane davanti al Gigioni (cit. Leo Ortolani), granitico concentrato di smorfie da piacione dispensante sguardi minacciosi a la qualsiasi, costretto ad affrontare bestie più pericolose di lui. Sì, Pitch Black è un sci-fi horror e solo per questo avrei dovuto apprezzarlo molto, avrei dovuto adorare una trama che infila dei desperados su un pianeta decisamente inospitale (o tre soli o buio pesto, per l'appunto, o un caldo porco e zero acqua oppure un freddo culo e bestie che cercano di affondare i denti nel suddetto) e poi li costringe a fuggire da alieni famelici avvantaggiati dalla loro possibilità di vedere al buio mentre le povere vittime brancolano impossibilitate a vedere... tutte, ovviamente, tranne il Gigioni, dotato di occhi bionici che lo rendono ancora più cool, come se non bastassero gli occhialetti che gli hanno piazzato in faccia. Purtroppo, il potenziale di un film cupissimo, dalle atmosfere inquietanti e l'angoscia che avrebbe dovuto tagliarsi col coltello, si è infranto, almeno per me, contro il fatto che i personaggi sono tutti talmente antipatici che di loro non me sarebbe potuto fregare di meno.


In più, come ho scritto sopra, ho trovato la regia, il montaggio e la fotografia francamente orribili. Tanto quanto, l'incidente dell'astronave lasciava ben sperare e se l'intero film si fosse ambientato "indoor", per così dire, forse ne avrebbe giovato visto che le scenografie interne sono molto belle. Il problema comincia quando una luce azzurrastra di ben tre soli viene smarmellata su tutte le immagini, roba da causare più mal di testa della psichedelia di Mandy, per non parlare della "riddickvisione"/"mostrovisione", altra schifezzuola da videogame che mi ha fatto venire voglia di cavarmi gli occhi con le lame tanto amate dal Gigioni. Il quale, passando al montaggio, a un certo punto comincia a cicciare fuori nemmeno i realizzatori stessero giocando a "whack-a-Gigioni", senza soluzione di continuità, comparendo sullo sfondo mentre i personaggi si stanno facendo i fatti loro; basta che uno dica "Riddick" ed ecco che il suddetto fa capolino con la pelata scintillante e poi scompare, mentre i suoi compari di sventura passano con disinvoltura da un ambiente all'altro palesando una velocità di spostamento superiore a quella di Bolt. Ciò, ovviamente, succede quando ci sono ancora abbastanza personaggi, la cosa fortunatamente si appiana quando cominciano a cadere come mosche, fatti fuori in modi nemmeno tanto inventivi, salvo per una tizia fatta fuori da un branco di pipistrelletti volanti. Ma più di tutto, mi dispiace, non ho tollerato Vin Diesel. Riddick è un essere odioso, che se la crede tantissimo, un bonobo mononeuronico che non fa altro che grugnire minacce e dar consigli non richiesti a chiunque. Il momento più alto del film è quando la povera capitana della nave tenta di scassarlo di mazzate, cosa che avrei voluto fare io fin dalla prima inquadratura del film, il secondo è quando ci sono i titoli di coda, che fortunatamente liberano lo spettatore dalla presenza inopportuna di un tizio che nella sceneggiatura originale sarebbe dovuto morire... e invece no, sono usciti ben DUE seguiti. Che, per inciso, non guarderò mai nella vita.


Del regista David Twohy ho già parlato QUI. Vin Diesel (Richard B. Riddick), Radha Mitchell (Carolyn Fry) e Keith David (Abu "Imam" al-Walid) li trovate invece ai rispettivi link.


Poiché lo script originale è stato cambiato e così il destino di Riddick, Pitch Black ha generato tre seguiti: Dark Fury (un cartone animato), Le cronache di Riddick, Riddick: Blindsided (altro corto animato) e Riddick. Esiste anche un prequel, Into Pitch Black, film TV ambientato dopo gli eventi narrati in Pitch Black ma uscito prima, a mo' di materiale pubblicitario. L'anno scorso Vin Diesel aveva parlato dell'uscita di un quarto film, Furya, di cui però non si hanno più notizie, così come della serie Merc City, annunciata già nel 2015 e persasi nell'etere. Poco danno, se posso permettermi. ENJOY!

venerdì 26 giugno 2020

Un giorno di ordinaria follia (1993)

Il 22 giugno è venuto a mancare il regista Joel Schumacher. Potendo scegliere, avrei riguardato 8mm - Delitto a luci rosse ma ovviamente non è presente né su Netflix né su Prime, quindi ho ripiegato su Un giorno di ordinaria follia (Falling Down), da lui diretto nel 1993.


Trama: un impiegato attraversa a piedi tutta la città per raggiungere la figlia nel giorno del suo compleanno. Nel cammino, si impegnerà a raddrizzare tutto ciò che secondo lui non va nella società...


Non avrei potuto scegliere un film "migliore" di questo, visto il periodo in cui, a partire dalla giustissima protesta Black Lives Matter, si è arrivati a pensare che, per non offendere nessuno, quasi quasi sarebbe meglio mettere un disclaimer anche su Indiana Jones e il tempio maledetto, reo di rappresentare i popoli indiani con una connotazione negativa. Che dire dunque di quanti disclaimer bisognerebbe mettere davanti a Un giorno di ordinaria follia? Qui, nell'ordine, Michael Douglas brutalizza un commerciante coreano dipinto come un ladro profittatore (il film è stato in effetti bandito in Corea del Sud), si scontra contro alcuni ragazzi di origine sudamericana rappresentati come criminali e perdigiorno (loro e tutte le loro famiglie) e si incazza all'idea che la tanto amata gelateria sia diventata un negozietto dove gli indiani vendono carabattole; come corollario, ci sono insulti contro donne, omosessuali, italiani e se volessimo cominciare a parlare di Prendergast e della moglie, dipinta come una stronza matta mentre la collega Sandra è comprensiva e mascolinizzata, ci sarebbe da aprire un libro. Considerato che Un giorno di ordinaria follia è stato girato proprio durante le rivolte di Los Angeles, nate dopo l'arresto e il violento pestaggio di Rodney King, davvero non avrei potuto guardare film più in linea col periodo o, ancora dopo oltre 20 anni, più controverso. Al netto di tutti i difetti di una trama "facilona" c'è infatti un sotteso senso di vergogna nell'assistere alle peregrinazioni di Bill "D-Fens"Foster e fare di nascosto il tifo per lui, americano medio costretto a crollare come il London Bridge della canzone sotto il peso delle pretese eccessive di un'intera nazione e di una società squallida, degradata, zeppa di piccole cose che non vanno; quante volte, in effetti, magari dopo una pesante giornata lavorativa, avremmo voluto tirare una testata sul grugno di impiegati privi di flessibilità, gente incazzosa che consuma il clacson in coda, persone che si rivelano ostili senza nessun motivo palese, razzisti e omofobi della peggior specie? Certo, Bill è matto e la sceneggiatura non smette di sottolinearlo nemmeno per un istante, mettendo in mezzo una moglie e una figlia terrorizzate, oltre a una madre non troppo nel chilo, ma a tratti è un matto quasi razionale e in alcuni momenti è difficile volergli male.


Il messaggio del film, almeno per come l'ho inteso io, è quello di tentare, per quanto possibile, di mantenere un equilibrio tra sconsiderata follia e l'atteggiamento passivo di chi si fa mettere i piedi in testa da chiunque, pena cadere nel baratro della pazzia di cui sopra o fare comunque una vita del cavolo, un po' come accade all'altro lato della medaglia Prendergast, uomo anche troppo buono e mite, benché fermo e testardo nei suoi propositi; considerato un codardo e un cretino da colleghi e superiori, in realtà è proprio Prendergast che, con calma e metodo, unisce i puntini dei vari episodi di violenza che vedono D-Fens protagonista e anche a riprendere le redini della sua vita segnata dal dolore. Detto ciò, è sicuramente facile farsi sviare dal carisma di un Michael Douglas iconico e quasi irriconoscibile e bollare Un giorno di ordinaria follia come film un po' fascista, un po' reazionario e un po' trumpiano, tuttavia secondo me basta solo superare le azioni scioccanti del protagonista e aprire bene orecchie ed occhi per scoprire che sotto tutta la superficie rude di un film molto anni '90 c'è un mondo per cui provare pietà, filtrato dall'occhio distorto di chi non ha più nulla da perdere ed è diventato l'ennesimo elemento inutile di una società popolata da persone egoiste e sbrigative, prive di qualsiasi briciolo di umana empatia. Che poi, definire Un giorno di ordinaria follia "rude" non rende giustizia alle interessanti scelte di regia di Schumacher, a partire dalla splendida sequenza introduttiva, presa di pari peso da Fellini, per continuare col parallelo visivo tra il protagonista e l'"uomo economicamente inaffidabile", passando per quel mix di vivace, multietnica arte di strada e squallore canicolare in cui si muove D-Fens, che quasi quasi rischia di fare incarognire lo stesso spettatore. E ci sono altre chicche da cogliere, ovviamente. Basta, come ho scritto, aguzzare un po' la vista e riscoprire così un autore e un film magari ingiustamente caduti nel dimenticatoio.


Del regista Joel Schumacher ho già parlato QUI. Michael Douglas (D-Fens), Robert Duvall (Prendergast), Barbara Hershey (Beth), Rachel Ticotin (Sandra), Tuesday Weld (Mrs. Prendergast) e Vondie Curtis-Hall (Uomo economicamente inaffidabile) li trovate invece ai rispettivi link.


Sheila, la cassiera del Whammy Burger, è interpretata da DeeDee Pfeiffer, sorella di Michelle. Sempre rimanendo in tema Whammy Burger, se vi chiedete dove avete già visto il manager, più o meno negli stessi panni, la risposta è "in un episodio della sesta stagione di Buffy l'ammazzavampiri". Jack Nicholson, Ed Harris, Robert De Niro, Alec Baldwin, Jeff Bridges, Nick Nolte, Mel Gibson, Michael Keaton, Robin Williams, Harrison Ford, Dustin Hoffman e Al Pacino erano tutti papabili interpreti per il ruolo di Bill "D-Fens" Foster mentre Gene Hackman, Walter Matthau, Sidney Poitier, Paul Newman e Jack Lemmon lo erano per quello di Prendergast; alla regia avrebbe potuto esserci invece Dennis Hopper. Se Un giorno di ordinaria follia vi fosse piaciuto recuperate Taxi Driver. ENJOY!

mercoledì 24 giugno 2020

The Vast of Night (2019)

Incuriosita da varie recensioni, qualche giorno fa ho recuperato su Prime Video il film The Vast of Night, opera prima del regista Andrew Patterson, qui anche co-sceneggiatore.


Trama: in una cittadina del New Mexico, durante una partita di basket, un conduttore radiofonico e una centralinista si ritrovano ad avere a che fare con inquietanti fenomeni...


The Vast of Night è un film molto particolare, che non vi consiglio di guardare quando siete molto stanchi. Non che sia particolarmente complesso, ma è assai verboso, perché i realizzatori hanno dovuto sopperire al budget risicatissimo e ogni cosa non mostrata viene evocata nella mente dello spettatore da dialoghi e racconti, spesso al telefono. E voi direte "che noia, un film di fantascienza dove non si vede nulla e dove parlano e basta! Che senso ha?" Ha senso, invece, e non come mera operazione nostalgia. L'atmosfera di The Vast of Night è proprio quella dei drammi radiofonici, prima ancora che dei telefilm anni '50 richiamati fin dalla prima inquadratura della pellicola, un'atmosfera che rievoca tempi innocenti in cui la gente credeva davvero a ciò che veniva detto in radio e non aveva altro modo, per verificare le informazioni ottenute da altri, che credere, ciecamente; in una società razzista, terrorizzata dal comunismo, dove l'evento principale è la finale del campionato di basket scolastico, dove il governo è visto sia come un'entità salvifica che come il crogiolo dei peggiori misteri, dove le prime tecnologie cominciano a fare capolino, è normale che anche delle strane interferenze telefoniche mettano la pulce nell'orecchio, soprattutto quando a captarle sono giovani curiosi. Ma l'avventura in cui si imbarcheranno Fay, centralinista al turno di notte, ed Everett, conduttore di un programma radiofonico, non è un'allegra impresa à la Goonies, quanto piuttosto una graduale presa di coscienza, attraverso testimonianze agghiaccianti di persone costrette al silenzio, di qualcosa di orribile che rischia di mettere in pericolo tutti gli abitanti del paese.


"La vastità della notte" diventa così qualcosa di insondabile, di impossibile da comprimere in uno schermo, ma nonostante questo il film non manca di inventiva, affatto. Anzi, per essere un esordiente Andrew Patterson ha idee molto chiare sul modo in cui tenere desta l'attenzione dello spettatore e superare i limiti di budget, tra piani sequenza geniali e un montaggio intelligente. Tra le sequenze indimenticabili c'è un lungo piano sequenza, per l'appunto, ripreso ad altezza "cane" (e il cane in effetti a un bel momento compare), che segue i personaggi in un lunghissimo giro tra i luoghi toccati dai passi dei protagonisti, apparentemente "seguiti" da qualcosa di sconosciuto nei posti più familiari, che arriviamo a conoscere e forse ad amare con loro; la seconda sequenza che mi ha molto colpita, invece, è quella che vede la brava Sierra McCormick sola al centralino, in un crescendo di suspance offerta semplicemente dai suoi gesti, dai suoni che udiamo, dalle espressioni dell'attrice, per non parlare della conversazione telefonica con Billy, molto più inquietante di qualunque visione "intera" di ciò che si nasconde nelle notti apparentemente tranquille dell'America degli anni '50. The Vast of Night è dunque un film piccolo ma con parecchi assi nella manica e brava Amazon che se l'è accaparrato, facendo così conoscere Andrew Patterson a un pubblico più ampio. Magari la prossima volta gli daranno il budget che merita?



Di Sierra McCormick, che interpreta Fay Crocker, ho già parlato QUI.

Andrew Patterson è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo film d'esordio. Americano, anche produttore, ha 38 anni.


martedì 23 giugno 2020

Nightmare 2 - La rivincita (1985)

Dopo aver guardato Scream, Queen! My Nightmare on Elm Street ho deciso di rivedere Nightmare 2 - La rivincita (A Nightmare on Elm Street Part 2: Freddy's Revenge ), diretto dal regista Jack Sholder nel 1985.


Trama: dopo essersi trasferito con la famiglia nella casa un tempo appartenuta a Nancy Thompson, il giovane Jesse comincia ad essere perseguitato dal demoniaco Fred Krueger, che cerca un modo per tornare a uccidere.


E' inevitabile. Dopo Scream, Queen! la visione di Nightmare 2 - La rivincita ha tutto un altro sapore e molte delle cose che non mi erano saltate all'occhio da ragazzina adesso sono arrivate a mordermi le chiappe. Ha un bel dire il viscido David Chaskin, sceneggiatore di questo mezzo obbrobrio, quando dichiara di non avere idea del perché la gente veda un sottotesto omosessuale all'interno di quasi ogni sequenza della pellicola. Al di là della scelta di Mark Patton, sul quale poi tornerò poverino, quella di Nightmare 2 è palesemente la storia di un ragazzo insicuro sulla sua identità sessuale, circondato da "tentazioni", che tenta di non cedere al "lato oscuro" incarnato da un Fred Krueger più leppegoso ed ambiguo del solito, mentre la fedele, possibile fidanzatina Lisa si ingegna a riportarlo sulla retta via con la forza dell'amore. Più chiaro di così, scusate, si muore. L'ordalia di Jesse, ragazzo appena trasferitosi nell'iconica casa di Elm Street, passa attraverso un segreto da estirpare, qualcosa che non può raccontare a nessuno per timore di non essere capito, mentre il corpo smette di obbedirgli, mosso da qualcosa di alieno e incomprensibile che lo porta a fare cose che i "normali" ragazzi americani non farebbero: i genitori si chiedono se non sia drogato, i poliziotti consigliano di "tenere il guinzaglio corto" dopo averlo beccato nudo in giro per strada (dopo un giro in un locale sadomaso e un'esemplare punizione a tema inflitta al professore, vestito in modo da far invidia ai clienti del Blue Oyster di Scuola di polizia), la potenziale fidanzata si dispera perché lei vorrebbe solo limonare ma 'sto ragazzo è preda della disperazione e continua a nicchiare, finché nel momento esatto in cui si combinerebbe qualcosa non arriva Fred Krueger a metterci lo zampino, o il linguone, fate voi. Non stupisce che Jesse sia diventato una scream queen in cui i ragazzi omosessuali americani potessero riconoscersi, ma è anche vero che Jesse, a differenza delle scream queen, lotta davvero pochissimo per sopravvivere e non mi pare un gran modello positivo, anzi. Laddove Nancy, con rabbia, cercava di fare un mazzo così a Freddie Krueger, Jesse si abbandona alla disperazione e riversa la pur giusta frustrazione su amici e genitori idioti ma, di base, non si ingegna per liberarsi della "maledizione" che l'ha colpito.


Detto ciò, chi accusa Mark Patton di aver reso Nightmare 2 un film brutto perché "troppo gay" lo fa in malafede e sapendo di mentire. Anzi, Mark Patton, assieme a un Robert Englund sempre signorile, è la cosa migliore della pellicola, perché è bello, bravo e si impegna a conferire spessore a un personaggio scritto sul retro di un tovagliolino di carta, a differenza della già citata Lisa, per esempio (c'è da dire che Kim Myers era al suo primo film ma, santo cielo, quando piange lamentosa vien voglia di prenderla a ceffoni fortissimi). Ma poi è proprio stupido il film in sé. Salvo un paio di effetti speciali interessanti, aventi per protagonista Fred Krueger e gli stravolgimenti fisici di Jesse (la scena in cui Fred esce letteralmente dal corpo di Jesse mette i brividi oggi come allora), ci sono cose di un trash fuori scala, come pappagallini esplosivi (!) e cagnolini con la testa di bimbo piangente (?) e soprattutto c'è l'imbarazzante scena della festa in giardino. Ora, quella scena in questione è proprio l'anticlimax, con Robert Englund che palesemente a un certo punto non sa più che fare e si ferma a fissare i convenuti ciondolando, mentre i baldi giovanotti e ragazzette che dovrebbero fuggire davanti alla sua sola vista (stiamo pur sempre parlando di un uomo completamente sfigurato dalle fiamme e con un guanto artigliato, che è uscito da una villa spaccando una vetrata dopo aver minacciato la padrona di casa e averla quasi ammazzata, eh) stanno lì a rimirarselo nemmeno fossero degli umarell davanti a un cantiere. Al confronto di queste idiozie, con una mitologia kruegeriana palesemente stravolta e il povero Fred trasformato in un demone lubrico privato dell'inventiva con cui violenta i sogni delle sue vittime facendoli diventare incubi, il tanto vituperato urlo di Mark Patton, il suo balletto anni '80 e Marshall Bell a culo nudo frustato dalle corde sono degli altissimi pezzi di scuola horror.


Del regista Jack Sholder ho già parlato QUI. Robert Englund (Freddy Krueger) e Marshall Bell (Allenatore Schneider) li trovate invece ai rispettivi link.

Mark Patton interpreta Jesse Walsh. Americano ha partecipato a film come Jimmy Dean, Jimmy Dean e Scream, Queen! My Nightmare on Elm Street. Anche produttore, ha 61 anni e due film in uscita.


Robert Rusler interpreta Ron Grady. Americano, ha partecipato a film come La donna esplosiva, A volte ritornano, FBI - Protezione testimoni 2, Tales of Halloween e serie quali La signora in giallo, 24, Medium e Bones. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 55 anni e un film in uscita.


Clu Gulager (vero nome William Martin Gulager) interpreta Mr. Walsh. Americano, ha partecipato a film come Il ritorno dei morti viventi, L'alieno, Piranha 3DD, C'era una volta a... Hollywood e a serie quali Chips, Supercar, Magnum P.I., La signora in giallo e Walker Texas Ranger; come doppiatore ha lavorato nella serie Beavis and Butt-Head. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 92 anni.


Michael J. Fox era stato considerato per il ruolo di Jesse ma fortunatamente l'attore era già impegnato con le riprese di Ritorno al futuro e Voglia di vincere ed è andata bene anche a Brad Pitt e Christian Slater, entrambi scartati nel corso delle audizioni. Nightmare 2 - La rivincita segue Nightmare - Dal profondo della notte ma devia quasi completamente dalle "regole" oniriche create da Wes Craven, che torneranno fortunatamente in Nightmare 3 - I guerrieri del sogno, Nightmare 4 - Il non risveglio, Nightmare 5 - Il mito, Nightmare 6 - La fine e Nightmare - Nuovo incubo, che vi consiglierei di recuperare, se siete interessati alla saga, assieme a Freddy vs Jason, giusto per completezza. E, ovviamente, non perdetevi Scream, Queen! My Nightmare on Elm Street. ENJOY!

domenica 21 giugno 2020

Shirley (2020)

Sempre grazie alla puntualissima Lucia ho recuperato in questi giorni Shirley, diretto dalla regista Josephine Decker e tratto dal libro omonimo di Susan Scarf Merrell.


Trama: una giovane coppia di neosposi viene invitata da Stanley Hyman, marito della scrittrice Shirley Jackson, a passare il semestre universitario a casa loro. Mentre Fred, il marito, lavora come assistente per Stanley, Rose, la moglie, viene invitata ad occuparsi della Jackson, impegnata a scrivere un romanzo...


E partiamo subito d'ignoranza crassa, altrimenti non siamo contenti. Pur avendo guardato praticamente tutte le versioni cinematografiche di Incubo a Hill House (per non parlare della splendida serie Netflix), di Shirley Jackson non so praticamente nulla e l'unica altra sua opera che ho letto è stata La lotteria. Un po' poco per capire a fondo Shirley, film che unisce aspetti biografici della vita della scrittrice ad elementi di finzione e immagina una sorta di "what if" all'interno del quale due giovani sposi si ritrovano a dover vivere fianco a fianco con Shirley Jackson e il marito Stanley Hyman, subendone l'influenza non sempre positiva. Il film mostra una scrittrice in lotta con problemi di salute e soprattutto preda di attacchi d'ansia fortissimi, che le impongono di fare una vita da reclusa, sotto l'occhio attento e "padronale" del marito, un professore universitario con velleità di critico, un parassita nell'accezione peggiore del termine, il quale mira a mantenere in salute la moglie quanto basta per consentirle di scrivere libri, mantenere la fama di eccentrica, ergersi a unico possessore di un tesoro tanto strano quanto prezioso. Rose e Fred, lei incinta e lui pronto a spiccare il volo come futuro professore universitario, si ritrovano invischiati nelle complesse dinamiche che governano la famosa coppia e se lui, tra un rospo inghiottito e l'altro, respira comunque l'aria stimolante e libera dell'ambiente accademico, lei si ritrova a dover far da serva e mogliettina compiacente, alla faccia di tutte le aspirazioni che avrebbe potuto avere. La sofferenza di Rose, la sensazione di soffocamento, risuonano con quelle dell'autrice che arriva a fomentarle, vedendo nella ragazza lo spettro della protagonista inafferrabile del suo ultimo romanzo, un "gioco" mentale che arriva a legare le due in una relazione assai complicata e a cambiarle, a poco a poco.


La regia di Josephine Decker riporta alla perfezione sullo schermo il moto ondivago e un poco onirico di questo rapporto complicato di amore ed odio, vomitando all'interno delle sequenze il mondo mentale di Shirley Jackson, tra immagini offuscate da ansia e alcool e vivide visioni di romanzi in fieri, di personaggi che si muovono fuori dalle asfissianti quattro mura in cui la scrittrice vive relegata; guardando Shirley è molto difficile mettere a fuoco i mille elementi che compongono la scena, si ha una sensazione di movimento costante e di ansia mista a sofferenza, come se il punto di vista della protagonista fosse quello di un animale in trappola (e spesso, in effetti, Hyman compare dal nulla, non visto, prendendo la gente alle spalle, come una presenza costante e infingarda). A una regia molto particolare e una colonna sonora che fa il paio si accompagna la bravura di una Elisabeth Moss alla sua seconda sorpresa quest'anno. Dopo il sublime lavoro fatto in L'uomo invisibile, l'attrice si annulla all'interno di un personaggio scomodo e difficile come quello della Jackson, dotato di moltissimi lati oscuri chiusi all'interno di un involucro sofferente e "brutto", ed eclissa tutti gli altri pur bravi interpreti, a cominciare da Michael Stulhlbarg che adoro per il modo che ha, ogni volta, di camuffarsi fino a rendersi irriconoscibile, per arrivare all'interessante Odessa Young, giovanissima ma già gratificata da ruoli interessanti interpretati magistralmente. In sostanza, Shirley è un bellissimo film; non posso mettermi nei panni di chi adora alla follia la scrittrice americana quindi non so se le rende l'onore che merita ma di sicuro a me ha fatto venire una voglia matta di leggermi tutte le sue opere, a cominciare da quelle citate nel film.


Elisabeth Moss (Shirley Jackson), Michael Stuhlbarg (Stanley Hyman) e Logan Lerman (Fred Nemser) li trovate ai rispettivi link.

Josephine Decker è la regista della pellicola. Americana, ha diretto film come Butter on the Latch, Thou Wast Mild and Lonely e Madeline's Madeline. Anche attrice, sceneggiatrice e produttrice, ha 39 anni.


Odessa Young interpreta Rose Nemser/Paula. Australiana, ha partecipato a film come Assassination Nation e Arrivederci professore. Ha 22 anni e interpreterà Frannie Goldsmith nell'imminente serie TV tratta da L'ombra dello scorpione.





venerdì 19 giugno 2020

Lady Macbeth (2016)

In questo periodo di covid e quarantene anche la TV passa delle opere interessanti e una di queste è stata senza dubbio Lady Macbeth, diretto nel 2016 dal regista William Oldroyd, film tratto dal racconto Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Nikolaj Leskov.


Trama: Katherine è una giovane sposa insofferente ai dettami del marito e del suocero, che pretendono di rinchiuderla nella villa di famiglia. Infatuatasi dello stalliere Sebastian, Katherine decide di eliminare tutto ciò che potrebbe toglierle la libertà...



Chi non conosce Lady Macbeth, uno dei personaggi più efferati di Shakespeare, condotta alla pazzia dalla propria smania di potere e dai consigli "fraudolenti" elargiti al marito? Alla fine della tragedia più cupa del Bardo troviamo Lady Macbeth intenta a lavarsi le mani dal sangue di innumerevoli morti, vinta da un senso di colpa infinito, qui invece la situazione è un po' diversa. Katherine non è una donna assetata di potere, ma una ragazza di umili origini che è stata "venduta" ad un marito che, piuttosto di far l'amore con lei, preferisce guardarla nuda e masturbarsi, coalizzandosi col vecchio suocero per impedirle di uscire di casa e farle condurre una noiosa vita da reclusa in una casa grande ma spoglia e fredda. Ce n'è abbastanza per odiare marito e suocero, di cui in effetti non veniamo a sapere altro oltre alla loro natura pavida, odiosa e conservatrice, e non possiamo che fare il tifo per Katherine nel momento esatto in cui i due, per motivi diversi, devono allontanarsi da casa per qualche tempo e finalmente la ragazza riesce non solo ad uscire ma anche a conoscere l'amore e la passione, benché incarnate in uno stalliere/tuttofare poco di buono. Katherine, vinta prima dalla curiosità, poi da una sete di libertà impossibile da placare, ripiomba nell'incubo nel momento esatto in cui il suocero, informato da serve gelose e preti beghini, la scopre e decide di separare i due amanti: è qui che scatta qualcosa in Katherine, spirito indomito e insofferente, che nasconde col suo aspetto innocente, da "ragazza di campagna", qualcosa di ben più nobile e duro, messo talmente alla prova da corrompersi e diventare marcio, fino a condurla a decisioni estreme per il bene della propria libertà.


La tragedia di Lady Macbeth scaturisce proprio dalla presenza di un personaggio che, per buona parte del film, non riusciamo ad odiare perché vessata da antagonisti deprecabili, a differenza della Lady Macbeth shakespeariana. Siamo noi i primi che vorremmo vedere morti marito e suocero, che vorremmo dar fuoco a quelle quattro mura in cui è costretta Katherine per vederla correre libera nelle brughiere che circondano la sua prigione e ogni immagine e sequenza è realizzata proprio per accrescere in noi questo odio; i capelli imprigionati in una rigida acconciatura, la quasi mancanza di mobilio, le luci cupe, la ripetizione delle sequenze e delle inquadrature che vanno a creare un infinito loop di tedio e, in tutto questo, la sottile ribellione di Katherine, negli sguardi e persino nel sonno, poverella. Eppure, quando il film prende una strada senza via di ritorno, non possiamo fare a meno di rimanere prima interdetti e poi sconvolti, davanti alla speranza infranta di poter scaricare la colpa di ogni azione di Katherine addosso a Sebastian, connotato fin dall'inizio come razzista, violento, misogino e perdigiorno e rivelatosi invece una vittima delle sue stesse brame e, in definitiva, di Katherine; quest'ultima diventa così emblema di un male che si espande e dal quale non nasce nulla salvo nuovo odio, nuova noia, nuova solitudine, in un cerchio della morte che lascia lo spettatore ancor più triste di quando il film è cominciato. Come se non fossero bastati i suoi ruoli recenti a farmela amare alla follia, tutte queste sfumature complesse se le carica sulle spalle Florence Pugh, al suo primo film da protagonista e già più brava di molte altre attrici più esperte o blasonate, dando vita a un personaggio zeppo di sottili ambiguità ed estremamente affascinante a dispetto della sua apparenza semplice e quasi dimessa. Purtroppo Lady Macbeth non si trova né su Netflix né su Prime ed è un peccato, perché avrei tanto voluto vederlo in lingua originale; intanto, se non lo avete mai visto, ve lo consiglio perché è davvero un film splendido e mi pento di averci messo tanto tempo per recuperarlo!


Di Florence Pugh, che interpreta Katherine, ho già parlato QUI.

William Oldroyd è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Inglese, è anche produttore.


mercoledì 17 giugno 2020

Bollalmanacco On Demand: Dèmoni (1985)

L'On Demand di oggi è tutto per Lucia che, nel tempo, è diventata la musa/madrina/quel che di bello volete del Bollalmanacco. La somma gore gore girl mi ha chiesto Dèmoni, diretto e co-sceneggiato nel 1985 dal regista Lamberto Bava. Il prossimo film On Demand sarà La casa di Helen. ENJOY!


Trama: all'interno di un cinema gli spettatori cominciano a trasformarsi in demoni, attaccando le persone e trasformandole in mostri.



Dèmoni è un film che avevo guardato decenni fa, quando mi ammazzavo di qualunque horror italiano becero su cui potessi mettere le mani. Sarà perché me ne avevano sempre parlato come di una roba truce e maledetta, sarà perché ai tempi avevo distrutto la cassetta X-Terror Files, contenente appunto il tema portante di Dèmoni (tra gli altri), ma a prescindere dal motivo rammento di aver spento la TV preda di un sottile diludendo e probabilmente avrò guardato anche Dèmoni 2... l'incubo ritorna ma non ne ricordo nemmeno un fotogramma. Quando qualche sera fa mi sono accinta a rivedere Dèmoni assieme al Bolluomo è stato quindi con la sufficienza di chi sta per propinare una sonora vaccata al fidanzato (il quale, ovviamente, ha concluso la visione non mandandomi a quel paese per mera cortesia, nemmeno per amore), invece, forse causa effetto nostalgia, gli ho voluto più bene di quanto avrei creduto. Sì, è un film recitato col culo, eh. La cumpa di drogati in botta da coca oltrepassa il concetto di imbarazzante e lo stesso vale per quella sorta di zoccolone brasilenji che è il primo a trasformarsi, il resto rientra nella media delle produzioni nostrane dell'epoca, rappezzate giusto col doppiaggio, ma onestamente sono arrivata a un'età in cui tutto questo conta poco se la base di partenza è fantasiosa e interessante. L'idea di un film nel film dove ciò che accade sullo schermo viene riproposto nella realtà può far sorridere oggi e persino risultare "prevedibile" ma immagino che all'epoca sarà stato il non plus ultra delle trame e comunque, ancora oggi, rovescia sullo spettatore un senso palpabile di claustrofobia, enfatizzato dalla struttura stessa del cinema, al cui interno, a un certo punto, parrebbe smettere di esistere qualunque legge architettonica o spaziale; sul finale, poi, accade qualcosa di talmente fuori dagli schemi (qualcosa, tra l'altro, che non ricordavo) da portare il cervello a sbarellare al grido di "ma perchéeee?" salvo poi pentirsi della sciocchezza della domanda nel momento esatto in cui Dèmoni vomita tutto il suo pessimismo cosmico in uno dei più bei finali della storia dell'horror.


Considerato che La casa 2, dove Ash cominciava a diventar personaggione, è uscito nel 1987, bisogna dire che Dèmoni a un certo punto precorre i tempi e trasforma il più insignificante dei personaggi in una creatura che è il trionfo della tamarreide visto il modo in cui brandisce katane sgasando con la moto sulle facce di demoni putrescenti; la sequenza in oggetto, per inciso, è l'unica che ha fomentato il Bolluomo, il quale tuttavia ha vilipeso Argento, Sacchetti, Bava e compagnia cominciando a ridere come se non ci fosse un domani. Ma, per la miseria, Dèmoni NON è un horror DI ridere! E' un horror bastardo, graziato dai bellissimi effetti speciali di Sergio Stivaletti, che in alcune sequenze onestamente mi ha dato non solo il voltastomaco ma mi ha costretta persino a girarmi dall'altra parte per il dolore che mi sembrava di sentire in bocca, un horror che non perdona nessuno (anche se, di base, non ci sarebbe nulla da farsi perdonare visto che i protagonisti sono tutti mediamente minchiette di buon cuore, salvo la stronza che cornifica il povero cieco) e mette angoscia anche grazie al suo ritmo serrato e all'ottimo utilizzo di una fotografia in grado di rendere comprensibili anche le scene più buie. La colonna sonora, poi, è tutta un programma, perché unisce le sonorità del tastierista dei Goblin, Claudio Simonetti, a pezzacci "cattivi" come Save Our Souls dei Mötley Crüe e Dynamite degli Scorpions, assieme ad altre melodie incredibilmente perfette per l'atmosfera di Dèmoni. Mi rendo conto che un film simile possa non essere sia la cup of tea di molti e purtroppo sulle varie piattaforme streaming è disponibile solo il sequel, ambientato in un condominio, ma è arrivata l'estate ed è giunto il momento degli horror zamarri, di cui Dèmoni è un perfetto esempio da recuperare!


Del regista e co-sceneggiatore Lamberto Bava ho già parlato QUI . Michele Soavi (l'uomo in nero e Jerry, uno dei protagonisti del film nel film) e Nicoletta Elmi (Ingrid, la maschera del cinema) li trovate invece ai rispettivi link.


Nei panni di Hannah c'è Fiore Argento, figlia del regista Dario . Il film ha un seguito ufficiale, Dèmoni 2... l'incubo ritorna (che in Germania è stato invece distribuito come il primo capitolo della serie), e uno apocrifo, Demoni 3. Ho visto il primo dei due e non ve lo consiglio, onestamente (anche se mi toccherà guardarlo per l'imminente Notte Horror Blogger Edition 2020), quindi non oso immaginare cosa possa essere Demoni 3. ENJOY!

martedì 16 giugno 2020

Una lucertola con la pelle di donna (1971)

Miracolosamente sono riuscita a non mancare al secondo appuntamento col "ciclo fulciano" iniziato da Cine34 e giovedì ho guardato Una lucertola con la pelle di donna, diretto e co-sceneggiato da Lucio Fulci nel 1971.


Trama: Carol fa incubi allucinanti aventi per protagonista la disnibita vicina di casa. In uno di questi incubi la uccide e il giorno dopo scopre che qualcuno ha davvero ammazzato la donna...


Cine34 ha pubblicizzato Una lucertola con la pelle di donna come "il capolavoro psichedelico di Fulci" ed effettivamente come film è parecchio allucinato e catapulta fin da subito lo spettatore nella mente logorata di Carol, figlia di un potente politico inglese che passa le giornate a raccontare allo psichiatra i suoi vividissimi incubi. Protagonista di questi è la sua vicina di casa, Julia Durer, disnibita ex attrice con problemi di droga, con la quale Carol immagina di fare sesso. Ha un bel dire lo psichiatra, quando si profonde in psicoanalisi legate a desideri repressi, aneliti di libertà e autopunizioni, visto che proprio il giorno in cui Carol sogna di uccidere Julia quest'ultima viene realmente assassinata, secondo le stesse modalità dell'incubo. E' il momento in cui scatta il whodunnit, in cui mezza dozzina di personaggi più o meno ugualmente deprecabili sfilano sotto gli occhi di un investigatore competente e tenace che cerca di dipanare il bandolo della matassa, tra sogni, segreti inconfessabili, ricatti, testimoni inattendibili e piccole ripicche familiari di una ricca borghesia ovviamente marcia fino al midollo e fintamente perbene. Ma non è il piacere di scoprire l'identità dell'assassino il motore che spinge lo spettatore a rimanere incollato allo schermo, quanto piuttosto testimoniare quanta ipocrita perversione si celi dietro apparenze irreprensibili, quanto desiderio di evasione sussurri all'orecchio di questi inglesi con la scopa infilata nel culo, ognuno bloccato nei ruoli di moglie, marito, figlia, padre, ognuno tentato dal colorato mondo di chi sguazza liberamente nel sesso e nella droga, gente che giustamente percepisce la potenzialità di vittime perfette per ricatti e affini e agisce di conseguenza.


Tanto la realtà che circonda Carol è perfettamente british, fatta di cene silenziose, giornate trascorse in salotti mondani ma freddi e uffici eleganti, tanto i suoi sogni sono caotici e coloratissimi, zeppi di elementi all'apparenza normali che vengono trasfigurati in qualcosa di mai visto (ma cos'è quel cigno incazzato che la segue dall'alto? Qualcuno lo riterrà trash, io l'ho trovato assolutamente terrificante), immersi in vividi colori nei quali spicca ovviamente il rosso dell'alcova peccaminosa di Julia Durer, bionda mozzafiato vestita di nera lingerie che contrasta con i colori chiari (non) indossati da Carol; rosso, ovviamente, è anche il colore del sangue che arriverà a macchiare il corpo della protagonista anche nella realtà, rosso è il killer che a un certo punto comincia ad inseguirla, trasformando la stessa realtà in un'allucinazione da incubo fatta di scale a chiocciola vertiginosamente hitchcockiane, pipistrelli folli e poveri cani vivisezionati, protagonisti di uno dei flash più gratuiti e scioccanti mai visti in un giallo (flash accorciato ma non tagliato all'interno di una versione televisiva che, nemmeno a dirlo, ha puntato più sulla rimozione delle scene erotiche a sfondo lesbo, sempre parlando di repressione, "proibito", ecc.). Anche in un giallo all'apparenza soft, connotato fin dal titolo come un'opera dove è il corpo femminile, la femme fatale, a farla da padrone, Fulci insinua qualcosa di più personale, una contaminazione di generi che regala allo spettatore sequenze visionarie e splendidamente girate, oltre a momenti genuinamente horror, sostenuto dalla bravura di una Florinda Bolkan sensuale ma assolutamente signorile e da una colonna sonora, scritta da Ennio Morricone, che spesso travalica la natura di mero accompagnamento per diventare parte integrante dei vezzi e della vita dei personaggi. Nella mia ignoranza, a parte Sette note in nero conoscevo Fulci solo per la sua produzione horror ma come "giallista" devo dire che l'adorato Lucio mi sta dando moltissime soddisfazioni e mi piacerebbe, prima o poi, recuperare queste sue opere prive dei tagli di una sciocca censura.


Del regista e co-sceneggiatore Lucio Fulci ho già parlato QUI mentre Jean Sorel, che interpreta Frank Hammond, lo trovate QUA.

Florinda Bolkan interpreta Carol Hammond. Brasiliana, ha partecipato a film come Metti una sera a cena, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Non si sevizia un paperino e a serie come La piovra, La piovra 2 e La piovra 7. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 79 anni.


domenica 14 giugno 2020

In Fabric (2018)

Mi era rimasto "indietro" ma ultimamente sono riuscita a recuperare In Fabric, diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Peter Strickland.



Trama: una donna acquista nei saldi un abito rosso e da quel momento strani eventi cominciano ad accadere...



In Fabric è uno dei film più strani e affascinanti che mi sia capitato di vedere ultimamente, qualcosa che è difficile ascrivere semplicemente al genere "horror", magari nella nicchia di pellicole che trattano di oggetti maledetti. Si parla anche di oggetti maledetti, sì,  nella fattispecie di un abito rosso acquistato nei saldi, ma all'interno di ogni sequenza di In Fabric c'è letteralmente un mondo di elementi da analizzare, tantissime cose in grado di colpire lo spettatore, non solo per quanto riguarda il misterioso, inquietante negozio (l'inferno? Il purgatorio? Nessuna delle due cose?) dove i protagonisti del film acquistano l'abito, popolato da commesse e direttori assai simili a dei manichini e dotati dell'eloquio più forbito che vi capiterà mai di udire in un film non diretto da Robert Eggers. C'è tutto un concetto di disfatta sociale, affidato alle mani di persone squallide, intristite dalla vita, la cui unica possibilità di riscatto potrebbe risiedere proprio nella stoffa di un vestito di squisita fattura, che potrebbe elevarli dalla miseria, anche d'aspetto, in cui versano. Abbiamo dunque Sheila, madre di figlio "artista" il quale non nasconde il disprezzo che prova nei suoi confronti nonostante, di base, viva come scroccacibo a tradimento nella casa della donna, assieme alla sua "musa" (una splendida Gwendoline Christie), e abbiamo Reg Speaks, tecnico di lavatrici dall'eloquio ipnotico/soporifero e pronto ad andare in sposo a una grezza ragazzotta dei bassifondi inglesi; ad accomunare i due protagonisti, oltre alla surreale banca per cui lavora Sheila, è l'incapacità di realizzare le rispettive aspirazioni sentimentali e lavorative, di venire rispettati e presi sul serio da chi li circonda, di trovare, in generale, soddisfazione all'interno della propria esistenza. Babs, la fidanzata di Reg, è invece una sorta di "collateral damage", lo si vede dalla reazione con la quale la commessa del negozio di abiti cerca di cacciarla in malo modo, ma anche lei vegeta in un limbo, sempre uguale a se stesso, benché pensi di avere la vita sotto saldo controllo.


Messo giù così In Fabric sembrerebbe quasi un film "normale" ma non avete tenuto conto del fatto che questa è solo una mia interpretazione e che Peter Strickland non è così lineare. I momenti comprensibili della pellicola sono davvero pochi e sono inframmezzati da sequenze oniriche, zeppe di colori messi in risalto da una fotografia molto anni '70 (il rosso cosiddetto red artery dell'abito è qualcosa di spettacolare) e personaggi parecchio sopra le righe, tra commesse che indugiano in bizzarri "riti" con manichini mestruati e pubblicità di saldi che sembrano uscite dritte dritte da Videodrome, questo per toccare giusto l'aspetto più horror del film. Ma vi sono anche moltissimi momenti grotteschi, per lo più affidati ai due malefici direttori di banca e a capi officina ai quali basta uno sguardo per comunicare più di mille (volgarissime, lapidanti, terribili) parole, e anche momenti oggettivamente tristi, in cui non è difficile riconoscersi nelle umanissime sconfitte dei protagonisti o nel loro desiderio di sentirsi speciali e desiderati, almeno una volta nella vita. Il tutto è filtrato attraverso un'estetica strepitosa, dove nulla è lasciato al caso e grazie alla quale l'intero film risulta elegante e inquietante come lo splendido vestito rosso protagonista; come l'abito maledetto, In Fabric lascia un marchio sullo spettatore, costretto a rigirarsi nella testa la pellicola di Strickland per i giorni a venire, magari riportando alla mente le inquietanti melodie composte dal duo francese Stereolab, perfette per le atmosfere del film. In Fabric non è un'opera per tutti, soprattutto se cercate un horror da guardare tanto per distrarvi, ma se vi piacciono i film particolari che richiedono un po' di impegno avete trovato sicuramente l'horror perfetto per voi.


Di Steve Oram (Clive) e Gwendoline Christie (Gwen) ho già parlato ai rispettivi link.

Peter Strickland è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Katalin Varga, Berberian Sound Studio e The Duke of Burgundy. Anche produttore, attore e animatore, ha 48 anni.




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