giovedì 25 febbraio 2010

Suspiria (1977)

Dopo essermi occupata per un paio di post di film recentissimi, torno ora a parlare di qualche sano horror “vintage” e per certi versi storico. Premesso che non amo molto Dario Argento, tra i suoi film comunque il mio preferito in assoluto rimane non già il più famoso Profondo Rosso ma l’horror Suspiria, da lui diretto nel lontano 1977.


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La trama: Suzie Tanner è una promettente ballerina americana, che decide di iscriversi ad una prestigiosa accademia di danza in Germania. Lì, a mano a mano che i cadaveri e le sparizioni aumentano, scopre che un mistero molto pericoloso si cela tra le mura della scuola.


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Suspiria è il primo film della cosiddetta “trilogia delle tre Madri”, continuata poi nel 1980 con Inferno e conclusasi nel 2007 con La terza madre, appunto. Le tre pellicole rappresentano la principale incursione nell’horror di un regista che, nonostante i luoghi comuni, è sempre stato specializzato in sanguinolenti thriller, a volte contaminati da qualche sprazzo “sovrannaturale”. E senza dubbio Suspiria è il più bello dei tre: Inferno lo vidi ormai un sacco di anni fa, almeno dieci, e ammetto che non mi è rimasto molto impresso, mentre Suspiria ho sempre avuto voglia di rivederlo. Il motivo credo sia da ricercare (oltre che nella mia innata perversione) nel fatto che il film riunisce delle splendide immagini, una trama inquietante e una musica che ti entra nella testa e non ti lascia più.


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Partiamo dalla prima cosa che colpisce, ovvero le immagini. A differenza degli ultimi, orrendi film del nostro, Suspiria è curato da morire, e la mano dell’Autore si vede benissimo, fin dall’inizio. Le luci e i colori sono importantissimi e predominano quelli forti come il rosso sangue, il verde acceso, il blu elettrico, che possono essere scorti nell’illuminazione di ogni corridoio o finestra delle stanze dell’Accademia, ma anche all’Aereoporto, quando Suzy arriva per la prima volta in Germania. Ogni omicidio, per quanto assurdo potrebbe sembrare, è preceduto o seguito da immagini che sembrano fatte ad arte, delle piccole, macabre tele; un esempio eclatante è la morte dell’amica di Suzy, che richiama molto la passione di Cristo e la Sua corona di spine, quando la povera ragazza rimane impigliata in enormi matasse di filo di ferro. Altre immagini inquietanti ed indimenticabili sono le ombre che si stagliano contro una piazza vuota, i terribili occhi che compaiono dal nulla, attraverso un vetro oscurato, la doppia morte iniziale, che si conclude in una macabra pioggia di vetri infranti. Senza contare ovviamente il confronto finale con la strega, dove gli scenografi si sono dati particolarmente da fare per creare un ambiente claustrofobico e al contempo misterioso, prima delle spettacolari deflagrazioni finali.


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Come ho detto, quello che concorre a rendere il film inquietante e che completa degnamente le immagini è la colonna sonora dei Goblin. Ora, io di musica non me ne intendo, quindi perdonatemi se non mi saprò spiegare al meglio, ma non sono nemmeno così arrogante da pensare che, nonostante il pezzo più famoso di Suspiria stia venendo da tempo utilizzato nel gioco di Rai Uno Affari Tuoi, lo conoscano tutti. Immaginatevi quindi tutto il film percorso da un inquietante suono di carillon unito a dei sospiri, al respiro roco di una strega… aggiungeteci un’altra musica incalzante, composta da urla spettrali accompagnate da rulli di tamburi e colpi (si dice così??) di piatti. No, non potete immaginarla perché io mi spiego da cani, ma almeno vi costringerò a guardare il film o a cercarne la colonna sonora! Vi assicuro che è molto efficace e tiene davvero col fiato sospeso.


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Ultima cosa, per una volta la trama non è insensata e piena di buchi logici, e gli attori sono molto bravi, soprattutto la protagonista, delicata e forte allo stesso tempo (i bei tempi in cui Argento non infilava ancora la figlia Asia dappertutto…). Il film scorre senza intoppi dall’inizio alla fine, lasciando intatta la suspence e fornendo allo spettatore delle spiegazioni plausibili, nonostante alcuni ovvi picchi di trash forniti dalla presenza delle due “tate” o badanti, o quel che sono, senza dimenticare la comparsata di Miguel Bosé nei panni di un ballerino che concupisce timidamente la protagonista. Anche i dialoghi sono a volte altrettanto trash, come per esempio il litigio tra due ballerine basato sul fatto che i nomi che iniziano per “S” sono nomi di serpenti (…no comment), mentre invece alcuni personaggi avrebbero potuto essere sfruttati meglio, come per esempio il demoniaco bimbetto che deambula per tutto il film senza che venga mai chiarita la sua origine o la sua funzione. Comunque, Suspiria è un film che in generale consiglio, in primis agli appassionati di horror ovviamente, ma anche a chi ne è digiuno e vuole vedere un bell’esempio di horror italiano.


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Di Udo Kier, che compare come psicologo esperto di esoterismo, e che tornerà come prete ne La Terza Madre, ho già parlato nel post dedicato all’omonimo film, dove ovviamente troverete anche notizie sul regista Dario Argento.


Jessica Harper interpreta la protagonista, Suzie. L’attrice americana, che è anche cantante e compositrice, ha ripreso il ruolo storico di Janet Weiss nel “seguito” del Rocky Horror Picture Show, Shock Treatment, e ha inoltre recitato in Minority Report, mentre per la TV la troviamo in episodi di Moonlighting, Racconti di mezzanotte, Ally McBeal e Settimo cielo. Ha 61 anni.


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Alida Valli interpreta l’ambigua miss Tanner, la direttrice. Attrice italiana diventata assai famosa per la sua interpretazione in Senso, di Luchino Visconti, e attiva fin dagli anni ’30, possiamo ritrovarla in tutta la sua grazia ne Il caso Paradine di Hitchcock, Lisa e il Diavolo di Mario Bava, Novecento, l’altro film della Trilogia delle Madri ovvero Inferno e in Sogni mostruosamente proibiti. L’attrice è morta nel 2006 all’età di 85 anni.


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Di questo film pare che sia in produzione un remake previsto entro la fine dell’anno e diretto da un certo David Gordon Green. Ho già paura, ma non in senso buono. Una piccola curiosità: Daria Nicolodi, storica compagna del regista nonché cosceneggiatrice del film da la voce alla malvagia strega Elena Markos. Inoltre, non so se è una citazione o meno, ma la scena del cane che si rivolta contro il suo padrone cieco è praticamente identica a quella girata da Fulci nel suo E tu vivrai nel terrore... l'Aldilà. E ora vi lascio con l'inquietante colonna sonora dei Goblin e i terribili versi di Claudio Simonetti.. ENJOY!!




martedì 23 febbraio 2010

The Wolfman (2010)

“C’è una lupa nell’armadio”, canta la buona Shakira. Se avessi Benicio del Toro nell’armadio credo che non uscirei più di casa, ma non divaghiamo. Tutto questo sproloquio iniziale per dire che ieri sera ho visto The Wolfman, omaggio ai vecchissimi horror della Universal (e remake dello storico Uomo Lupo con Lon Chaney Jr.), girato quest’anno per mano del regista Joe Johnston.


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La trama è risaputa: Lawrence Talbot torna nel paese dov’è nato e cresciuto, per cercare di capire chi o cosa abbia fatto fuori suo fratello. Quando quella stessa cosa si rivela essere un lupo mannaro e gli morde via un bel pezzo di spalla, lasciandolo comunque in vita, il povero Larry deve sperimentare sulla sua pelle (e su quella degli altri) cosa sia la maledizione della licantropia.


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Questa sarà la recensione più breve che abbia mai fatto in vita mia. C’è effettivamente molto poco da dire su questo Wolfman. La sensazione che lascia, infatti, è quella di trovarsi di fronte una mega confezione di cioccolata piena di trine, lazzi, sete e quant’altro. Una volta aperta si scopre che all’interno c’è del banalissimo cioccolato Kinder, e ovviamente si storce un po’ il naso. Intendiamoci, non è un film brutto Wolfman, però rimane più impresso per la realizzazione che per la storia in sé, che dagli anni ’40 non è cambiata, rimanendo molto statica e priva di qualunque sorpresa, almeno per chi la conosce: Lawrence indaga, viene morso e va incontro al suo ovvio ed ineluttabile destino. Punto. Ci si può ricamare sopra quanto si vuole, ma alla fine quello è e quello rimane.


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Certo, con una confezione come questa mi mangio anche un chilo di cioccolato Kinder. Gli attori sono fenomenali, Anthony Hopkins in prima fila come sempre si mangia il pur bravo Benicio del Toro riproponendo il personaggio del vecchio e bastardo maestro di vita con le palle, mentre Hugo Weaving è forse il migliore tra tutti, con il suo ironico e flemmatico ispettore. Ma oltre gli attori, ci sono delle scenografie stupende e dei paesaggi magnifici che ci catapultano direttamente nell’Inghilterra di fine ‘800 (il maniero dei Talbot è meravigliosamente decadente, la nebbia e la luna piena nei boschi oscuri fanno molto atmosfera, e le scene al manicomio sono le migliori di tutto il film); dei costumi che fanno perdere la bava a chiunque abbia un minimo di interesse nella moda del tempo e che non a caso sono stati realizzati dalla nostrana e bravissima Milena Canonero; delle musiche evocative che richiamano molto il Dracula di Coppola e che sono state firmate nientemeno che dal dio Danny Elfman. Gli effetti speciali ed il trucco, per nulla trash o cacofonici come dovrebbero essere in un film come questo, sono stati fatti dal mago Rick Baker, già responsabile di storiche trasformazioni “mannare” nei capolavori L’ululato e Un lupo mannaro americano a Londra, e richiamano alla mente quelli dell’Uomo lupo originale, risultando molto più artigianali e piacevoli del previsto (come film è parecchio truculento tra l’altro). Però io voglio vedere di questi tempi chi ha voglia di attaccarsi a questi particolari per amare un film. The Wolfman purtroppo, se aveva un target prefissato, di sicuro non lo ha raggiunto: i nostalgici e i puristi preferiranno sempre quello del 1941, i ragazzini deploreranno la mancanza di gente come Blade o Van Helsing a salvare la bella in pericolo, e gli altri, come me, lo prenderanno solo come un film da vedersi in compagnia per una serata senza troppe pretese. Peccato, perché nelle mani del già citato Coppola o in quelle di Tim Burton, sarebbe potuto diventare un capolavoro.


Joe Johnston è il regista della pellicola. Non ha mai messo le mani su film memorabili per la trama, ma su opere che sono entrate momentaneamente nella storia per gli effetti speciali; infatti tra i suoi film figurano il pur mitico Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi (che nostalgia!!), Pagemaster , Jumanji e Jurassic Park III. Inoltre ha realizzato alcune puntate del telefilm Le avventure del giovane Indiana Jones. Ha 60 anni e un film in uscita, The first Avenger: Captain America. Ma anche no…


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Benicio del Toro interpreta Lawrence Talbot. Non nascondo di avere sempre avuto un debole per l’attore portoricano, che è uno dei miei preferiti. Tra i suoi film figurano molte bellissime pellicole come I soliti sospetti, The Fan – Il mito, Fratelli, Paura e delirio a Las Vegas, Snatch, Traffic, Sin City e altre meno belle come The Hunted- La preda; inoltre ha recitato in telefilm come Miami Vice e Racconti di mezzanotte. Ha 43 anni e cinque film in uscita tra cui la riduzione cinematografica di Lunar Park di Bret Easton Ellis!!


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Anthony Hopkins interpreta il padre di Lawrence, John Talbot. Parlare dell’attore gallese è parlare di una moderna icona cinematografica, basti solo pensare alla sua splendida interpretazione di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli Innocenti (e anche l’orribile Hannibal si salvava giusto perché c’era lui…) e di molti altri bei film come The Elephant Man, il già citato Dracula di Coppola, Charlot, Vento di passioni, Vi presento Joe Black, Cuori in Atlantide, Red Dragon e paccottiglia come Instinct – Istinto primordiale, Titus, Mission: Impossibile 2 e l’orrido Beowulf senza dimenticare il suo ruolo nel pregevole Il Grinch come narratore. Ha 73 anni e cinque film in uscita, tra cui l’ennesima pellicola dedicata ad un eroe Marvel, Thor, dove lui interpreterà Odino (!!).


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Hugo Weaving interpreta l’ispettore Abberline. Meglio conosciuto per la sua interpretazione dell’agente Smith nella trilogia di Matrix, l’attore originario della Nigeria ha anche recitato nel geniale Priscilla, la regina del deserto, nella trilogia de Il Signore degli Anelli, in V come Vendetta  e ha inoltre prestato la voce al cane Rex in Babe maialino coraggioso e nel suo seguito. Ha 50 anni e quattro film in uscita, tra cui The Hobbit, dove riprenderà probabilmente il ruolo di Elrond.


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E ora un paio di curiosità. Emily Blunt, che interpreta la fidanzata del fratello di Lawrence, era la povera e vessata “schiava” di Meryl Streep in Il Diavolo veste Prada, mentre la zingara che aiuta il protagonista è interpretata nientemeno che dalla figlia del grande Charlie Chaplin, Geraldine Chaplin. Tra l’altro, a proposito di cammei, anche Rick Baker compare nei panni dello zingaro fischiante che viene accoppato per primo dal mannaro. E aspettando l'ennesimo remake di qualche altro storico MMMostro, vi lascio con il trailer dell'originale Uomo Lupo. ENJOY!




martedì 16 febbraio 2010

Amabili resti (2010)

San Valentino!! Giornata da dedicare al fidanzato o alla fidanzata, magari portandoli al cinema a guardare vaccate come Baciami ancora oppure, ancora peggio, Scusa ma ti voglio sposare. E sepolto in mezzo a tutta la fuffa del periodo, sta allo spettatore attento e furbo cercare il tesoro della settimana, ovvero lo splendido Amabili Resti (The Lovely Bones) di Peter Jackson, tratto dal libro omonimo di Alice Sebold.


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La trama: Susie Salmon (“come il pesce”) è una quattordicenne con sogni, speranze ed illusioni, una ragazza normale con una vita e una famiglia normali. Tutto le viene strappato dall’anonimo vicino di casa che, un giorno, la attira in un rifugio sotterraneo, la sevizia e la uccide. Susie muore, ma non riesce a “passare oltre” e rimane impotente in un limbo ad osservare il destino che attende la sua famiglia, i suoi amici e anche il suo assassino.


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Asciugate le doverose lacrime, posso dire senza ombra di dubbio che Amabili Resti è un’altra piccola perla di un anno cinematografico che sta regalando parecchi bei film. Ora, il libro da cui è tratto ce l’ho sulla scrivania, pronto per essere letto, quindi non posso fare ancora un confronto, ma devo dire che la sceneggiatura scritta da Fran Walsh, la moglie del regista, è di una sensibilità e di una dolcezza rare, nonostante il tema trattato sia estremamente crudo e drammaticamente attuale. Anzi, forse proprio la parte “realistica” è il vero punto di forza del film, visto che la parte legata al limbo in cui è bloccata la protagonista, pur se deliziosa e visivamente splendida, a tratti è anche leggermente kitsch e stona un po’ col resto della storia. Vero è che le due parti si amalgamano perfettamente per il 90 % del film, e che nulla, anche le cose più assurde, sono casuali o slegate dalla trama.


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Se si pensa che Peter Jackson ha cominciato con due pesantissimi splatter demenziali come Fuori di testa e Splatters – Gli schizzacervelli, è incredibile con quanta raffinatezza e delicatezza riesca a mettere in scena il dramma di un’adolescente la cui vita viene bruscamente spezzata, proprio nel momento in cui stava per cominciare davvero. Al di là della trama, sono proprio le sue scelte registiche a lasciare deliziati: il confronto tra l’assassino e l’ispettore, un gioco tra gatto e topo ripreso dall’interno di una delle case per bambole che il killer si diverte a costruire, occhi che si incontrano e si guardano da una finestra all’altra; il lento e cadenzato cammino della cassaforte col suo macabro contenuto verso la discarica; i fiori rossi che sbocciano nelle mani del padre di Susie, rivelandogli la verità; il divertente stacco temporale dall’epoca in cui Susie aveva tre anni a quella in cui ne ha quattordici, rappresentato dalle diverse abitudini “sessuali” dei genitori e dalle diverse letture della madre. Ogni singolo istante del film è curato nel dettaglio, si vede la mano dell’Autore, quello con la A maiuscola, in ciascun fotogramma. E ovviamente la parte incentrata sull’Aldilà è un trionfo visivo, arricchito da una fotografia splendida, dai colori nitidissimi, e dai meravigliosi effetti speciali della Weta. Personalmente, ho particolarmente amato ogni scena girata nel gazebo che diventa un po’ il luogo chiave per Susie, quello da cui osserva il mondo, e che si sfalda man mano che il suo distacco dal mondo terreno si fa più tangibile e consapevole. Notevoli sono anche il “naufragio” delle navi in bottiglia, che si infrangono sulle rocce mentre il padre, nel mondo dei vivi, sfoga la sua rabbia impotente, nonché la splendida, macabra scena iniziale, dove in un miscuglio disgustoso di sangue e pantano, Susie vede in faccia il suo assassino e scompare in un lampo accecante di luce, strappata per sempre al mondo reale.


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È umanamente impossibile non restare toccati da Amabili Resti o non tornare a casa dal cinema con un senso di tristezza dolceamara. Non esiste un lieto fine, non può esistere, e una giustizia divina arriva troppo tardi, come un palliativo. Gli “amabili resti” che si creano dopo la morte di Susie, il rinnovato legame tra la nonna e sua madre, il successo e la felicità che finalmente arridono alla sorellina minore, ingiustamente adombrata da una sorella tanto più carina e vivace di lei e l’unica in grado, coraggiosamente, di capire e scoprire la verità, l’amore che sboccia tra il bel ragazzo di cui si era invaghita, ricambiata, e la strana ragazza che riesce a percepire la presenza dei fantasmi, suggellato da quel bacio tanto desiderato da Susie e mai ricevuto… tutte queste belle cose non riescono a sollevare l’animo dello spettatore, che Jackson ha crudelmente fatto innamorare, fin dall’inizio,di Susie. E non è solo “colpa” del regista, ma anche della splendida Saoirse Ronan che infonde tutta la dolcezza e la gioia di vivere possibili alla protagonista, rendendola incredibilmente viva. A proposito di attori meravigliosi: a fronte di un cast praticamente perfetto bisogna inchinarsi davanti a Stanley Tucci (non a caso nominato tra i migliori attori non protagonisti per gli Oscar di quest’anno) e Susan Sarandon. Il primo è semplicemente empio, abietto. In un ruolo non facile, che potrebbe scadere tranquillamente nella banalità e nei clichè, a Tucci basta stare zitto, e lasciar parlare lo sguardo, la sua mimica facciale, che racchiudono tutta la perversione e l’orrore di un animo perverso in un aspetto falsamente rassicurante, quasi banale. Un personaggio che è ben più terrificante di qualsiasi Paranormal Activity. Susan Sarandon dà vita invece alla nonna che tutti vorremmo avere: smaliziata, divertente, cinica, fin troppo ubriacona ma dal cuore d’oro. Le scene che divide col fratellino di Susie sono indimenticabili, e alleggeriscono un film che avrebbe rischiato di diventare troppo cupo, e che invece, grazie a mille, piccoli tocchi di umorismo e dolcezza, diventa un coraggioso invito a ricreare la vita, anche dopo la morte e la tragedia.


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Di Michael Imperioli, che interpreta l’ispettore, ho già parlato qui.


Peter Jackson è il regista della pellicola. Credo che al mondo nessuno ignori chi sia quest’uomo, visto l’impegno profuso nella realizzazione di una delle più grandi trilogie di tutti i tempi, ovvero quella del Signore degli Anelli. Eppure, tutti i film di Jackson meritano di essere visti: i già citati Fuori di testa, Splatters – gli schizzacervelli, Creature del cielo, Sospesi nel Tempo e King Kong solo per fare alcuni titoli. Il regista neozelandese ha 49 anni. Uno dei film da lui prodotti, District 9, è in lizza per il titolo di miglior film agli Oscar di quest’anno. Quanto a lui, ha vinto il premio per due anni come miglior regista, per La compagnia dell’anello e Il ritorno del Re.


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Saoirse Ronan interpreta Susie Salmon, la sfortunata protagonista. Benché sia giovanissima, e la sua carriera sia appena agli inizi, nel 2008 era già stata candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista per il film Espiazione, premio vinto poi da Tilda Swinton. Quest’anno, ahimé, niente nomination. Newyorchese, ha 16 anni e due film in uscita.


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Stanley Tucci interpreta il disgustoso George Harvey. Attore newyorchese assai eclettico e molto bravo, tra i suoi film ricordo L’onore dei Prizzi, Who’s That Girl, Monkey Shines – Esperimento nel terrore, Beethoven, Il bacio della morte, Una vita esagerata, Sogno di una notte di mezza estate, I perfetti innamorati, Era mio padre, Il diavolo veste Prada, e tra i telefilm Miami Vice, Frasier, E.R. Ha 50 anni e quattro film in uscita.


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Susan Sarandon interpreta la divertente nonna Lynn. Storica attrice dell’America “impegnata”, consacrata dal cult The Rocky Horror Picture Show, che le ha regalato il ruolo di Janet Weiss, la ricordo in altri film come Miriam si sveglia a mezzanotte, lo splendido Le streghe di Eastwick, Thelma & Louise, il deprimente L’olio di Lorenzo, Piccole donne, Dead Man Walking – Condannato a morte (per il quale ha vinto l’Oscar come migliore attrice protagonista),  ed Elizabethtown. Ha prestato la voce ad un episodio de I Simpson e recitato in alcuni episodi delle serie Friends, Malcom e E.R. Newyorchese, ha 64 anni e quattro film in uscita. 


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Mark Wahlberg interpreta il padre di Susie, Jack. Sinceramente, visti i suoi ruoli passati, non mi aspettavo che potesse recitare con tanta sensibilità, anche perché ha più o meno sempre interpretato ruoli di bello, dannato e più o meno piacione, in film come Mezzo professore tra i Marines, Boogie Nights – L’altra Hollywood, Three Kings, Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie e The Italian Job. L’attore americano ha 39 anni e quattro film in uscita, tra cui The Brazilian Job (il ritorno dello scimmiottino verde? *_* speriamo!!)


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Rachel Weisz interpreta la mamma, Abigail. Tra i film dell’attrice inglese ricordo il nostrano Io ballo da sola, La Mummia (con seguito), Constantine ed Eragon. Ha 40 anni e tre film in uscita.


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Per chi se lo fosse chiesto, come ho fatto io siccome suonava familiare: Holly Golightly, che è il nome fittizio usato dalla ragazza che Susie incontra nell’aldilà, è il nome della protagonista di Colazione da Tiffany. Ai nerd, ovvero alla gente come me, farà piacere sapere che nella libreria del centro commerciale dove si svolgono alcune scene del film è appeso un bel manifesto del romanzo Il signore degli anelli, e anche che Peter Jackson compare in un cameo, sempre nel centro commerciale, armato di telecamera. Ah, e le splendide, evocative musiche che accompagnano la pellicola sono di Brian Eno, eclettico musicista già stretto collaboratore di David Bowie. E ora, vi lascio col trailer del film... ENJOY!!


mercoledì 10 febbraio 2010

Paranormal Activity (2007)

E’ proprio vero che il mondo è dei furbi. In Italia, capita che noi non si riesca a vedere l’ultimo film di Dario Argento, per mancanza di distribuzione. Per lo stesso motivo, un sacco di piccole perle cinematografiche vengono passate direttamente in DVD oppure si perdono in un limbo dal quale solo l’”illegalità” di E-mule o del Torrent li può salvare. Ma basta che Steven Spielberg (il quale ha suggerito il commercialissimo finale, vergogna…) se la faccia sotto davanti ad un film, e che la cosa venga sfruttata ed unita all’illusione di uno pseudo documentario alla Blair Witch Project, ed ecco che un’opera costata due lire ottiene (pur se in ritardo) una distribuzione a livello mondiale diventando campione d’incassi. Sto parlando ovviamente di Paranormal Activity, horror già cult ancora prima di uscire, girato nel 2007 da Oren Peli.


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La trama è ridotta all’osso: due fidanzati decidono di riprendere con una telecamera i fenomeni paranormali che paiono avere segnato la vita di lei dall’età di otto anni. Attraverso i filmati vediamo come quelle che all’inizio erano solo delle lievi ed innocue manifestazioni diventano sempre più invasive e pericolose, mano a mano che l’entità viene “stuzzicata”dai maldestri tentativi dei due.


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Prima di continuare a leggere, andate a riguardarvi la trama, e capitemi bene: il film è davvero tutto lì. Non ci sono scene splatter, non ci sono effetti speciali eclatanti, non si vede il “mostro”, quello su cui si basa il film è solo l’atmosfera, un (in)sano ritorno alle storie di fantasmi e demoni che si raccontano da ragazzini a tarda notte, per farsi paura a vicenda. Quello che vedrete sono porte che si muovono, lampadari che oscillano, accompagnati da inquietanti tonfi, rumori, fruscii e chi più ne ha più ne metta. Se non credete che esistano i demoni, che possano in qualche modo arrivare ad infestarci una casa, che le tavolette ouija possano davvero metterci in contatto con il mondo degli spiriti… allora lasciate proprio perdere e non spendete i soldi del biglietto, perché un film simile non vi farebbe né caldo né freddo. Per chi, come me, si lascia impressionare da questo genere di storie, l’importante è non diventare così boccaloni da credere ai fantomatici “malori” che coglierebbero l’incauto spettatore durante la visione e prepararsi a vedere un film molto lento e a tratti ripetitivo, dove l’orrore è intelligentemente dosato col contagocce, ed aumentato a poco a poco.


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Il bello del film, che è anche il suo aspetto più intelligente, è proprio la scelta di non essere troppo esplicito. Lo spettatore ha l’unico vantaggio di vedere “in diretta” quello che i protagonisti vedranno solo il giorno dopo, controllando la registrazione, altrimenti si vive l’esperienza assieme a loro, seguendo quello che avviene sentendosi impotenti e senza la possibilità di sottrarsi ad un destino che, diciamocela tutta, i personaggi si cercano. Sì perché alla fine questo Paranormal Activity è un manuale perfetto su cosa NON si deve fare quando la propria casa è infestata. E l’unico motivo per cui non si riesce a credere appieno all’idea del documentario è che, a differenza di The Blair Witch Project dove i tre idioti si accampavano e, amen, si perdevano nel bosco come succede a tanti sprovveduti, in questa pellicola invece sei in una casa, puoi scegliere di andartene, e il fatto che tu rimanga solo per il fatto che “tanto la presenza mi seguirà” ha un che di pretestuoso, così come è assurdo che due possano continuare a dormire tranquilli quando sanno di avere un demone in camera. Cristo, ma persino i protagonisti di Nightmare prendevano dei sonniferi per stare svegli ,e quella serie di documentaristico non ha proprio nulla! Tra l’altro proprio questa decisione di mostrare i fenomeni mentre i due fidanzatini dormono (elogiata perché ha permesso di minimizzare il budget cavalcando così il mito dei film fatti con due lire e molte idee) concorre purtroppo a rendere il film un po’ ripetitivo e a tratti monotono, più che claustrofobico.


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Nonostante la trama un po’ pretestuosa e la realizzazione un po’ piattina, non è quello che mi ha fatto storcere il naso, ma il fatto che ad un certo punto la storia butti lì un omaggio a L’esorcista che di realistico ha proprio poco (ma figuriamoci se su internet si potrebbero mai trovare storie di esorcismi VERI con tanto di video…) e poi, insomma, anche il finale è abbastanza scontato e per nulla in linea con il resto del film, una bieca concessione a quei finali negativi e “aperti” che vanno tanto di moda ora. Due passi falsi che fan dispiacere, visto che gli attori (esordienti come il regista) sono bravi e molto credibili, soprattutto il ragazzo è il tipico maschio che ha la soluzione pronta a tutto, convinto di avere la situazione sotto controllo anche quando è evidente che non è così, e soprattutto testardo come pochi, visto che ignora tutti gli ottimi consigli che gli vengono dati da chi ha capito che con la Presenza è meglio non scherzare. Anche la regia è ottima, con gli ovvi limiti di soggettiva e di nitidezza dovuti alla scelta di mostrare gli eventi attraverso una telecamera usata da un dilettante. Insomma, io un’occhiata la consiglio, ma ovviamente non aspettatevi l’horror del secolo, né di beccarvi un infarto anzitempo.


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Di regista ed attori non posso lasciare biografie o simili, sarebbe inutile visto che al momento questo è il loro unico lavoro. Ma Oren Peli è già al lavoro su un nuovo horror, al momento in fase di post produzione, dal titolo Area 51, che quindi al 100% parlerà di alieni poco amichevoli, e si sta già pensando ad un seguito di Paranormal Activity. Anche la protagonista Katie Featherston sta per tornare sullo schermo con un horror dal titolo Walking Distance che dopo il successo ottenuto da Paranormal Activity probabilmente cambierà nome in Experimental Activity (giusto per attirare qualche gonzo…), mentre il suo partner cinematografico Micah Sloat è attualmente disoccupato, ahilui. E ora, invece di lasciarvi con l’inflazionato trailer… vi lascio con qualcosa ti ancora più terriBBile… Mia Nonna Activity!!!! ENJOY!


martedì 9 febbraio 2010

Non è un paese per vecchi (2007)

Il Bollalmanacco ha di nuovo subito un lieve arresto, ma non è che la sua padrona non veda film, è che il tempo di recensirli si unisce ad una fondamentale pigrizia della stessa. Ma non stiamo tanto a ciurlar nel manico (o a pettinar le bambole…) e parliamo oggi di un film particolare come tutti quelli dei Fratelli Coen, ovvero Non è un paese per vecchi (No Country For Old Men), del 2007, tratto dall’omonimo e noiosissimo romanzo di Corman McCarthy. Nel 2008 la pellicola in questione si è portata a casa un sacco di Oscar:miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista. E tutti meritatissimi.


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La trama: Llewelyn Moss è un perdigiorno di saldi principi che, durante un appostamento di caccia, si trova in mezzo ad uno scenario da regolamento di conti. Messicani morti, residui di droga.. e poco più in là un altro uomo, anch’esso morto, ma con una valigia piena di soldi. Ovviamente il nostro non ci pensa due volte, prende i soldi e scappa, tradito solo dal suo altruismo che gli mette alle calcagna, oltre ai messicani, il folle e taciturno killer Chigurh e il vecchio sceriffo Ed Tom Bell.


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I Coen riescono a prendere un libro talmente noioso che non sono neppure riuscita a finirlo, a rimanere fedelissimi all’opera e contemporaneamente a creare un film che di noioso non ha proprio nulla. Certo, non aspettatevi, nonostante la trama, un film adrenalinico o pieno di sparatorie. In puro stile Coen, la fanno da padroni i lunghi silenzi, le immagini grottesche, i dialoghi sarcastici e in questo caso anche nostalgici. Non è un paese per vecchi è una lunga ed interessante riflessione sui tempi che non torneranno più, irrimediabilmente corrotti dalla perdita di valori praticamente ancestrali. Questi valori sono incarnati dallo sceriffo Ed Tom, che alla fine della sua carriera è del tutto disilluso, perso in un mondo che non capisce, e che lo fa sentire inadeguato. La razionalità, il senso dell’onore, le vendette “pulite”: niente di tutto questo esiste più, e come ultimo tentativo di essere utile e dare nuovamente un senso a quei valori, lo Sceriffo cerca di salvare la vita a Llewelyn, un bravo ragazzo i cui principi sono stati stravolti dal denaro sporco, frutto di quella droga che è una delle cause per cui il mondo “nuovo” si sta mangiando quello vecchio. Dall’altra parte, come estremizzazione del caos, c’è Chigurh. Un killer che non segue principio alcuno, se non quello del caso (lanciando una monetina quando va bene…), che uccide seguendo i suoi contorti e perversi valori e un senso di fatalismo che ha dell’invidiabile: non una volta in tutto il film lo vediamo arrabbiarsi o agitarsi, né provare una qualsivoglia emozione che non sia una lieve irritazione per non essere capito, e solo una volta lo vediamo agire per vendetta. Chigurh è l’incarnazione della follia dei tempi moderni, una follia incomprensibile e terrificante, che può colpire chiunque in qualsiasi momento, ed è degno erede di quel Gaear Grimsrud, interpretato da Peter Stormare, che compie una carneficina nel più famoso film dei Coen, Fargo.


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Tutto il film ovviamente poggia sulle spalle di attori praticamente perfetti. Javier Bardem, che non a caso ha vinto l’Oscar, è perfetto nel ruolo di Chigurh: voce bassa, sguardo perso nel vuoto, camminata lenta ma inesorabile. L’altra genialata è l’arma che usa per uccidere, una pistola ad aria compressa, silenziosa e mortale proprio come lui. Ogni confronto del killer con la vittima, ignara o meno, regala allo spettatore attimi di ansia palpabile, perché effettivamente il personaggio in questione è assolutamente imprevedibile. Tommy Lee Jones, dal canto suo, mette tutta la sensibilità di un ottimo attore nell’interpretare il vecchio sceriffo, nostalgico, triste e sempre con lo sguardo rivolto ad un tempo lontano che non tornerà più. La chiacchierata finale con la moglie, un sogno raccontato davanti alla colazione, preludio di una lunghissima e noiosa giornata da pensionato, è una scena molto commovente, e racchiude in sé tutto il senso del film.


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La particolarità che, in questo film, ci mostra appieno la maestria e l’attenzione che mettono i Coen nella sua realizzazione, non è da ricercare tanto nelle immagini, che sono comunque degli esempi di altissimo cinema. Quello che salta all’occhio è la scelta di non mostrare, soprattutto nelle scene “clou”. Non scendo nei dettagli per non togliere la sorpresa, ma ad un certo punto lo spettatore si ritrova a capire l’accaduto solo da alcuni dettagli che preludono alla scena (una macchina che sgomma, il suono delle sirene, un cadavere che galleggia sull’acqua, davanti agli occhi impotenti dello sceriffo), e in un altro momento, verso la fine, si intuisce il destino di uno dei personaggi semplicemente dal maniacale comportamento di Chigurh. E’ interessante poi come ogni scena “scioccante”, venga anticipata da un silenzio profondo, irreale, lo stesso silenzio, in effetti, che accompagna l’arma del killer ogni volta che viene usata. In due parole, un film molto bello, tipicamente Coen, che piacerà sicuramente a chi, davanti ad uno schermo, preferisce pensare piuttosto che staccare il cervello.


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Di Joel ed Ethan Coen ho già parlato qui.


Javier Bardem interpreta il killer Anton Chigurh. L’attore spagnolo, dal fascino molto particolare, è salito alla ribalta internazionale, come molti nel suo paese, grazie a Pedro Almodovar, che l’ha voluto nel film Mare dentro. Tra i suoi altri film ricordo Le età di Lulu, Tacchi a spillo, Prosciutto prosciutto, La tetta e la luna, Vicky, Cristina, Barcellona. Ha 41 anni e tre film in uscita.


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Tommy Lee Jones interpreta lo sceriffo Ed Tom Bell. Attore veterano, originario del Texas, lo ricordo per pellicole più o meno interessanti come Love Story, Uccidete la colomba bianca, JFK – Un caso ancora aperto, Il fuggitivo, Il cliente, Assassini nati (splendido film di cui era protagonista un altro attore presente in Non è un paese per vecchi, Woody Harrelson), l’orrendo Batman Forever, Men in Black ( e il suo seguito), Small Soldiers, Space Cowboys, The Hunted – La preda. Ha recitato anche in un episodio di Charlie’s Angels. Ha 64 anni e nel 1994 ha vinto un Oscar come miglior attore non protagonista per Il fuggitivo.


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Woody Harrelson interpreta il loquace killer (?) Carson Welles. Il suo ruolo migliore resta senza ombra di dubbio quello del folle Mickey in Assassini nati di Oliver Stone, ma di tanto in tanto l’attore spunta con la sua faccetta ad arricchire anche film meno interessanti. Tra gli altri, ricordo Pazzi a Beverly Hills, Proposta indecente, Larry Flint – Oltre lo scandalo, La sottile linea rossa, Terapia d’urto, A scanner darkly. Ha partecipato ad alcuni telefilm come Ellen, Frasier, Will & Grace  e doppiato un episodio dei Simpson. Ha 49 anni e due film in uscita.


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Josh Brolin interpreta Llewelyn Moss. Mi mette tanta nostalgia l’idea che l’attore abbia esordito come “fratellone” tutto muscoli e belloccio del protagonista de I Goonies, nell’ormai lontano 1985. La sua carriera poi è proseguita a fasi molto alterne, e si sta riprendendo solo in questi anni, con film come Nightwatch – Il guardiano di notte, Mimic, L’uomo senza ombra, Planet Terror. Ha 42 anni e cinque film in uscita. 


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A proposito di Brolin, doveva essere il compianto Heath Ledger ad interpretare Llewelyn. I Coen non hanno voluto nemmeno fare il provino a Brolin, che sul set di Grindhouse s’è dovuto “arrangiare” e chiedere in prestito una telecamera a Rodriguez, per girarne uno. Siccome il regista di detto provino è stato il buon Quentin, posso solo immaginare cosa deve avere mandato ai Coen! Mi piacerebbe dunque potervi lasciare con il video del provino, ma più banalmente concluderò con il trailer del film… ENJOY!! 




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