mercoledì 29 dicembre 2021

Bolla's Top 5: Best of 2021

E dopo le cose veramente brutte passiamo per fortuna a quelle belle! Il 2021 è stato un anno cinematografico parecchio soddisfacente, si è tornati un po' più tranquilli nelle sale, i distributori hanno ripreso a deliziarci con ottimi film. Qualche delusione, ovviamente, c'è stata, così come ci sono stati molti film che, causa mala distribuciòn e tempo mancante (mai avuto così poco tempo come quest'anno per vedere film) non sono riuscita a guardare, cito i primi due che mi vengono in mente, In the Earth e Silent Night, quest'ultimo il caso natalizio 2021, che chissà quando recupererò. Ma bando alle ciance e, come sempre, parliamo prima dei film non horror che ho preferito; ho cercato di spaziare un po' tra i generi, di conseguenza sono rimaste fuori pellicole che ho amato moltissimo come Promising Young Woman, Luca, Time, The Last Duel, The French Dispatch, The Green Knight e ovviamente il recentissimo Don't Look Up, tutte opere che vi consiglio di recuperare immantinente!


5. I Mitchell contro le macchine

Per me, tra i cartoni animati quest'anno ha vinto il demenziale che, sotto il guscio di follia citazionista nasconde un cuore pulsante in cui tutti possiamo tranquillamente riconoscerci. I Mitchell contro le macchine è uno di quei film che valgono l'abbonamento Netflix, morirete dal ridere e vi commuoverete vergognandovi anche un po'. Provare per credere. 


4. Freaks Out

La follia supereroistica vintaggia di Mainetti, che si conferma un trionfo di effetti speciali, personaggi memorabili e tanto, tantissimo cuore. E' un vero peccato che al botteghino sia stato un flop, spero che col tempo ottenga il riconoscimento che merita, perché se è vero che Lo chiamavano Jeeg Robot è stato un instant cult, questo, ben più complesso, forse necessita di sedimentare un po' di più.


3. Shiva Baby

La versione migliore di Diamanti grezzi e una folgorazione sulla via di Damasco. Un film piccolo, veloce ma molto ansiogeno e profondo, che lascia col fiato sospeso dall'inizio alla fine trascinando lo spettatore in un turbine di condivisibilissime emozioni. Lo trovate su Mubi, non perdetelo!


2. Ultima notte a Soho

Ultima notte, ultimo capolavoro di Edgar Wright. Non l'ho messo negli horror perché, come al solito, volevo lasciare uno spazietto in più nell'altra classifica e perché Ultima notte a Soho non è solo horror: è splendida musica, è glamour, è una messa in scena meravigliosa, è uno splendido lavoro di introspezione su una ragazza che perde di vista se stessa e non sa più come rimettere assieme i suoi cocci. Da vedere e rivedere.


1. Limbo

L'amore nato dal Far East Film Festival. Purtroppo la pellicola di Soi Cheang non ha ancora trovato una distribuzione nazionale, il che è ingiusto perché questo noir fradicio e puzzolente, zeppo di violenza e personaggi disperati fotografati in un bianco e nero talmente nitido da essere commovente, merita di essere visto su grande schermo. Ne uscirete probabilmente devastati e zuppi, oltre che con la voglia di sciacquarvi il cervello dal disagio, ma ne varrà la pena.


Se già è stato difficile scegliere solo cinque film "vari", per l'horror sarà quasi impossibile. Quest'anno, tra uscite importanti a livello internazionale, Shudder, Netflix, produzioni indipendenti, scoperte casuali e passaparola, è stato impossibile stare dietro a tutto. Ci ho provato e questo è il (misero) risultato. Menzioni speciali come se piovessero: Il sabba, Saint Maud, The Empty Man, A Classic Horror Story, Censor e The Feast. Buona fine anno, date fuoco al 2021 e ci risentiamo nel 2022!! ENJOY!

5. Jakob's Wife

Ebbene sì, è in classifica perché l'ho adorato. Già parto appassionata di film a tema "vampiro", se in più fai interagire alla perfezione due mostri sacri come Barbara Crampton e Larry Fessenden non posso fare altro che applaudire. Adorabilissimo, ripeto.


4. Titane

Il delirio che ha sbaragliato la concorrenza a Cannes, tra echi Cronenberghiani e il desiderio della Ducournau di scavare nella psiche di esseri umani soli, incapaci di comprendere loro stessi, persi in un mondo folle. Lo stile psichedelico e violentissimo dell'inizio, che si smorza progressivamente su toni estremamente malinconici, me lo ha fatto amare ancora di più.


3. Fear Street Trilogy

Il regalo più bello fatto da Netflix nel 2021 dopo quel trionfo di Black Mass che non inserisco in prima posizione solo perché trattasi di miniserie. Tre film fruibili in un'unica soluzione, tre stili diversissimi, tre omaggi a svariate incarnazioni del genere, uniti da un fil rouge sanguinoso e anche molto triste. Non ho letto i vari Fear Street ma credo non potesse esserci adattamento migliore!


2. Malignant

La locura di James Wan, che mi ha regalato l'unico horror visto al cinema in grado di lasciarmi a bocca spalancata sotto la mascherina. Gli ultimi venti minuti sono da antologia, il resto è ugualmente molto ma molto bello. 


1. We Need To Do Something

Un film piccolissimo ma angosciante, che mi ha messo il terrore di essere sola in casa e mi ha dato da pensare (e da essere inquieta) per parecchi giorni a seguire. Girato con tre lire e quattro attori, merita di venire conosciuto, distribuito ed apprezzato e per me è stata la visione più godereccia e sorprendente dell'anno!



martedì 28 dicembre 2021

Bolla's Top 5: Worst of 2021

E' arrivato il momento delle consuete classifiche di fine anno, signori! Il 2021 è stato un altro anno terrificante, sia dal punto di vista globale di una pandemia che non accenna a dare segni di voler sparire, sia dal punto di vista personale, tra stress, problemi di salute, sfighe assortite. Sono stata indecisa fino all'ultimo se sfogare la mia disgustata cattiveria sparando sulla croce rossa, ovvero su quei film veramente orribili di cui potevo intuire la natura anche prima della visione, oppure se fare una classifica di film non così inverecondi ma comunque indegni per via del battage pubblicitario sproporzionato ed ingannevole o per via di autori e attori coinvolti e... sì, nulla, alla fine hanno vinto i poteri forti, nel senso che non è onorevole fare a pezzi i prodotti che già si potevano intuire essere scadenti. Dunque vi consiglio di evitare come la peste gli ideali vincitori  Nero come la notte (parte della terrificante seconda ondata di Blumhouse originals di Amazon Prime Video), Midnight in a perfect world (vincitore del ToHorror Film Festival, ma pensa te...) e Non dormire nel bosco stanotte 2 (abominio made in Netflix), dopodiché... vediamo chi sono i primi 5 in classifica quest'anno! ENJOY!


5. L'uomo nel buio - Man in the Dark

Perso nei meandri distributivi estivi, è ricicciato fuori intorno a Novembre e, se date retta a me, poteva rimanere dove si trovava. A tapparsi il naso non sarebbe neppure un brutto film, non gli manca nulla come thriller-horror e Stephen Lang è sempre un bel vedere, tuttavia la trama è talmente scorretta nei confronti del pubblico e del film precedente, che ho finito la visione con un senso di vergogna palpabile. Se volete capire meglio i motivi del mio odio, li trovate QUI.


4. Old

Il 2021 è stato l'anno infelice in cui Shyamalan, dopo un breve periodo di rinsavimento, è tornato ad essere Shyabadà. Nulla da dire a livello di regia e fotografia, alcune scene sono parecchio coinvolgenti, ma siccome ho riso quasi dall'inizio alla fine, da tanto la sceneggiatura è stupida e inutilmente pretenziosa, direi che l'operazione Old è miseramente fallita. 


3. Army of the Dead

Non è un film questo: è un meme, interamente imperniato sulle lacrime al ralenti di Bautista. Non che mi aspettassi un capolavoro da Snyder, ma Army of the Dead è una cacirrata indegna persino di lui, scritta col c*lo, diretta spesso coi piedi, zeppa di momenti à la Sharknado. E ci hanno fatto sopra anche una serie spin-off!


2. Il principe cerca figlio

Trent'anni abbiamo aspettato (?) per sapere come se la fosse passata Akeem dopo aver preso moglie in America ed essere tornato al suo paese natale. Trent'anni, per venire a sapere che tutte le idee di modernità americana sono state gettate alle ortiche in favore di una vita comoda, misogina, razzista, da barbogio. Trent'anni, per avere un sequel imbarazzante, fatto di umorismo da cinepanettone e residuati bellici degli anni '80. Eew.


1. Spiral - L'eredità di Saw

A questo punto, penserete che non mi piacciano i comici di colore. In effetti, ho sempre disprezzato Chris Rock e vederlo "recitare" come Braccio di Ferro nel reboot della saga di Saw ha fatto su di me lo stesso effetto delle unghie sulla lavagna. Imbarazzante dall'inizio alla fine, nato vecchio e prevedibilissimo, Spiral vince il premio di film più brutto del 2021!



venerdì 24 dicembre 2021

E' stata la mano di Dio (2021)

Non sono riuscita ad andare al cinema a vederlo, causa operazione, convalescenza e impennata di coviddi, quindi ho approfittato della sua uscita su Netflix per guardare E' stata la mano di Dio, scritto e diretto dal regista Paolo Sorrentino.


Trama: Fabio vive a Napoli coi genitori e il fratello, in un momento di pura fibrillazione, quando non si sapeva ancora se Maradona sarebbe andato a giocare nella squadra della sua città. La sua storia si snoda tra problemi familiari, tragedie e un futuro nebuloso...


Nel 1984, anno in cui è ambientato E' stata la mano di Dio, avevo tre anni. Di Messico '86 ricordo soltanto la mascotte, Pique, perché ho passato l'estate a giocare con una palla decorata proprio col buffo omino baffuto, ma della Mano di Dio ho saputo, credo, giusto un paio di anni fa. Per me, Maradona è sempre stato associato alla cocaina, forse perché nel frattempo erano arrivati gli anni '90, quelli dei vari scandali, ed ero abbastanza cresciuta per recepire le notizie dei TG ed essere permeabile agli sguardi disgustati dei miei genitori. Se si aggiunge a tutto ciò il fatto che sono nata e vissuta in Liguria e che del calcio non me n'è mai importato nulla, capirete come abbia sempre fatto un'enorme fatica a comprendere l'influenza di Maradona su Napoli e i napoletani, perché questo sportivo neppure troppo "limpido" sia stato elevato al ruolo di divinità e di speranza per più di una generazione, e benché non sia stupida e, crescendo, mi siano stati chiariti i motivi di questo amore, mi arrivano tuttora come guardando un documentario: annuisco, capisco, ma non mi sento partecipe, impossibilitata come sono a vivere il contesto di tutto ciò. Guardando l'ultimo film di Sorrentino sono partita, come sempre, svantaggiata, perché anche la napoletanità, passatemi il termine, mi è avulsa: quel mix di commedia spesso triviale, di tragedia, di esternazioni teatrali, di sacro che va a braccetto col profano, sono tutte cose che non arrivano al mio cuore stundaio di ligure pronta ad odiare il mondo e a farsi i fatti suoi, così come non mi sono mai "arrivati" i film di Troisi né il suo umorismo. Purtroppo sono fatta così, non posso farci nulla (i miei non amavano nemmeno Sordi e Totò, per dire, da qualcuno avrò preso anche se a me piacciono entrambi). E purtroppo, stavolta non è riuscito neppure Sorrentino a cambiarmi.


Ci sono molte, anzi, moltissime cose che mi sono piaciute, mi hanno affascinata o mi hanno divertita guardando E' stata la mano di Dio. Dal punto di vista tecnico, innanzitutto, non c'è nulla da dire, bisogna solo levarsi il cappello: l'ultimo film di Sorrentino è una "cartolina" di Napoli che tuttavia cartolina non è, perché celebra la città con immagini splendide, spesso iconiche ma mai banali, neppure una volta, né posticce. Emozionano i viaggi in moto di notte, i bagni nel'acqua del mare, i luoghi nascosti e misteriosi dove, nottetempo, può accadere qualunque cosa, le icone turistiche e cittadine svuotate e trasformate in universi paralleli dove possono decidersi i destini delle persone, emoziona persino un luogo come lo stadio, che ho sempre trovato squallido a livelli inverosimili. Per quanto riguarda i protagonisti del film, ci sono dei personaggi indimenticabili. L'intera famiglia di Fabietto è formata dalle persone più assurde del creato, capaci di interagire tra loro in modi esilaranti, surreali e persino drammatici, e nulla mi toglierà mai dalla testa che, in un'ideale classifica di personaggi di finzione del 2021, lo zio avvocato e la nonna volgarissima di Fabietto sarebbero ai primi posti assieme all'elegantissima, enigmatica e "spiccia" Baronessa, coi suoi modi aristocratici e la sua sensibilità tutta particolare. Lo stesso Fabietto, alter ego del regista, nella sua "normalità" è di una tenerezza infinita, perso com'è nei suoi sogni e paure di ragazzo che ancora non sa cosa fare nella sua vita e che è allo stesso tempo attirato e terrorizzato da un'infinita serie di possibilità; un ragazzo che sta ancora scoprendo il sesso, un ragazzo troppo sensibile e responsabile per vivere con serenità, un ragazzo che si ritrova tra le mani i cocci della sua esistenza dopo una tragedia terribile e non riesce a capire come rimetterli insieme. Toccato dalla mano di Dio, sì, ma senza alcun aiuto materiale, Fabietto (interpretato splendidamente da Filippo Scotti), non può fare altro che tuffarsi, come fa il fratello in mare, e sperare che tutto il suo bagaglio di esperienze e la sua voglia di raccontarle bastino per ricrearsi una vita.


Come scrivevo nel primo paragrafo, dunque, non è che non abbia capito dove volesse andare a parare Sorrentino, anche se metterla giù così è davvero brutta, però nonostante le molte cose oggettivamente belle di E' stata la mano di Dio, il suo ultimo film non mi ha toccata né coinvolta salvo in rarissimi momenti. La cosa mi fa sentire oltremodo in colpa perché scrivere ciò che vorrei, ovvero "le emozioni della tragedia vissuta dal regista non passano e si perdono in una serie di immagini poetiche ma poco coese e momenti di tragedia che paiono slegati dal contesto", mi porta a pensare "ma che ca**o ne sai tu? Hai perso i genitori com'è successo a Sorrentino? No, e allora perché vorresti dirgli di non essere stato in grado di esprimere il suo dolore, che nemmeno riesci a tenere dritto il cellulare quando fai le foto?". Per l'appunto, non posso dire una cosa simile, perché sarei "deludente" come tutti i familiari di Fabietto e meriterei tutte le botte toccate in sorte alla vecchia. Ciò detto, prendete questo post non come una recensione o una critica, ma come un monologo in cui cerco di capire un film che comunque non mi ha lasciata indifferente e che vorrei rivedere una seconda volta, magari tra qualche tempo, per capire se sono stata vittima di un momento di stanchezza o se davvero questo modo di raccontare non fa per me; il fatto che non mi abbia toccata, non significa che il film di Sorrentino sia brutto o inefficace, anzi, ed è sicuramente una delle visioni più interessanti che ci siano adesso su Netflix. A prescindere che piaccia o meno, sono felice per Sorrentino, un Autore vero che è riuscito, dopo tanti anni, a raccontare la SUA storia, sperando che sia servito ad esorcizzare un dolore impensabile. Glielo auguro davvero.


Del regista e sceneggiatore Paolo Sorrentino ho già parlato QUI mentre Toni Servillo, che interpreta Saverio Schisa, lo trovate QUA

mercoledì 22 dicembre 2021

Night Tide (1961)

Era da un annetto nella mia watchlist di Letterboxd e, approfittando della sua presenza su Mubi e della sua breve durata, ho recuperato Night Tide, diretto e sceneggiato nel 1961 dal regista Curtis Harrington e inserito da Lucia nell'elenco dei migliori horror di quell'anno.



Trama: un marinaio incontra una ragazza che, per lavoro, fa la sirena all'interno di un luna park e se ne innamora. La ragazza però nasconde davvero un segreto...


Faccio outing? Ok. Non avevo mai visto un film di Curtis Harrington sebbene conosca, di fama, Queen Of Blood, Chi giace nella culla della zia Ruth? e, soprattutto, Il cane infernale, must dei bambini della mia epoca che tuttavia a me era proibito guardare; soprattutto, non ho mai visto (vergogna, lo so) Il bacio della pantera di Tourneur, uno dei film preferiti di Harrington nonché quello che ha funto da ispirazione per Night Tide. Non aspettatevi quindi da me un'analisi consapevole di questa pellicola (per quella vi rimando QUI), ma giusto due pensieri sparsi di una spettatrice che da anni non guardava un horror che fosse precedente al 1980. Night Tide, in realtà, più che un horror è una favola nera e molto triste, diciamo più un film fantastico a base di leggende che si fanno carne. Racconta la storia di un marinaio, interpretato da un Dennis Hopper giovanissimo, che in una sera di licenza incontra la bella Mora e subito se ne invaghisce. Dopo qualche titubanza da parte di lei, i due cominciano a frequentarsi ma Mora non è una banale ragazza americana: proviene da un'isola della Grecia, lavora come sirena al luna park e ha la brutta fama di portare sfortuna o peggio, perché i suoi ultimi fidanzati sono morti in circostanze assai misteriose. Inoltre, sembrerebbe venire perseguitata da una donna in nero e il suo passato è legato a doppio filo alla leggenda della "Gente del mare", un popolo di creature che risiedono negli abissi e da cui lei è convinta di discendere. A causa di tutto ciò, Mora sembra sempre un po' distaccata da Johnny, timorosa di ferirlo o peggio, mentre lui, dal canto suo, non vorrebbe fare altro che vivere in pace la sua storia d'amore e proteggere Mora da tutti i misteri che sembrano circondarla e che le condizionano in negativo la vita. 


La bellezza di Night Tide risiede essenzialmente nella capacità di Harrington di creare una perenne atmosfera di irrealtà a circondare i protagonisti anche all'interno di ambienti che non faticherei a definire tristi, popolati da personaggi molto malinconici. Il Johnny di Dennis Hopper, giovane marinaio spaesato e solitario, si offre letteralmente a Mora col cuore in mano e non si accorge, inesperto com'è e proveniente da un paesino di campagna, di avere messo un piede in un universo che non comprende appieno e che, a tratti, lo terrorizza; la "favola" ambientata in un luna park di Santa Monica, dove la vita scorre sempre uguale e dove un barlume di prosperità si coglie solo d'estate, pare stridere con lo squallore prosaico che circonda Mora e tutti gli altri abitanti del luna park, per quanto anch'essi assai peculiari, e tutti i personaggi del film sembrano essere mossi o dalla solitudine o dalla speranza di diventare "altro" o da un immenso senso di privazione. Night Tide potrebbe quindi anche essere una normale, triste storia di due amanti sfortunati, non fosse per quei tocchi di weird che Harrington utilizza per arricchire il suo particolare quadro (vedi il capitano Murdock ma soprattutto la misteriosa donna in nero interpretata da Marjorie Cameron oppure Madame Romanovich, per non parlare degli incubi terrificanti che cominciano a funestare le altrimenti pacifiche notti di Johnny) e, ovviamente, non fosse per il mistero di Mora, che rimane tale fino alla fine... o forse no, dipende da come decidete di prendere un paio di rivelazioni verso la conclusione, o se magari conoscete il greco. A prescindere, Night Tide è disponibile on line gratuitamente su parecchi siti e se vi piace questo genere di horror vintage (o se siete fan di Hopper e volete vederlo in una versione inedita) potrebbe essere una visione gradevole! 


Di Dennis Hopper, che interpreta Johnny Drake, ho già parlato QUI

Curtis Harrington è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Queen of Blood, Chi giace nella culla della zia Ruth?, Il cane infernale, Ruby ed episodi di serie quali Charlie's Angels, Wonder Woman, Dynasty, I Colby e Ai confini della realtà. Anche attore e produttore, è morto nel 2007 all'età di 80 anni. 


Per il ruolo del Capitano Murdock si era pensato a Peter Lorre, ma i realizzatori hanno dovuto rinunciare per l'alto cachet dell'attore. Nicolas Winding Refn possiede il negativo originale della pellicola ed è grazie a lui che il film è stato restaurato e reso visibile a tutti; per ringraziarlo potreste recuperare i suoi film o, se Night Tide vi fosse piaciuto, guardare Il bacio della pantera. ENJOY!

martedì 21 dicembre 2021

Diabolik (2021)

Domenica abbiamo saltato a pié pari Spider-Covid e ci siamo infilati in una sala più sicura per vedere un altro dei film che aspettavo da mesi, ovvero Diabolik, diretto e co-sceneggiato dai registi Antonio e Marco Manetti.


Trama: dopo aver tentato di rubarle un diamante, Diabolik si innamora dell'ereditiera Eva Kant, che diventa così complice del re del terrore, aiutandolo a fuggire dall'ispettore Ginko...


Disclaimer: non ho MAI letto un Diabolik in vita mia. So che il criminale creato dalle sorelle Giussani è un esponente di quegli "eroi" neri, cupissimi, tutti con nomi dalle connotazioni negative contenenti almeno una K che andavano di moda negli anni '60 in Italia, conoscevo ovviamente Eva Kant e Ginko, sapevo che Diabolik è un maestro di veleni, armi bianche e travestimenti e che non esita a uccidere i nemici ma anche semplici "vittime collaterali" innocenti, a differenza di Lupin III. Nonostante questo, pensare di vederlo portato su grande schermo (cosa che aveva già fatto Bava) dai Manetti Bros, col volto di Marinelli, mi aveva caricata di aspettative e sono entrata nel cinema col cuore colmo di grandi speranze, ahimé in buona parte deluse. In questo periodo ho guardato tre film che mi hanno lasciata perplessa, tutti tra l'altro diretti e recitati non certo da scemi, quindi non vorrei che con l'operazione mi abbiano tolto anche il giusto senso critico, ma sia Diabolik che Il potere del cane che E' stata la mano di Dio, di cui scriverò nei prossimi giorni, mi hanno lasciata tra il freddo e l'indifferente, di conseguenza vi chiederei di prendere i miei post con le pinze, che vi devo dire. Nel caso di Diabolik, non è che non abbia apprezzato buona parte di ciò che si vede su schermo: lo stile di regia, scenografia e montaggio scelto dai Manetti Bros, "finto", naif e molto anni '60, mi è parso perfetto per la storia narrata, e anche la prima parte del film, almeno fino al punto in cui Diabolik evade, per inteso, è intrigante e a modo suo piena di suspance. La colonna sonora poi l'ho trovata strana, sì, (soprattutto i due brani cantati da Manuel Agnelli) ma comunque affascinante e adatta alle atmosfere vintagge dell'intera operazione, e anche il Ginko di Mastandrea l'ho trovato valido, tutto d'un pezzo e costretto ad ingoiare moltissimi rospi ma in qualche modo degno di stima. Poi, ovviamente, l'incensatissima Miriam Leone è un'Eva Kant bellissima, elegantissima, sexyssima e... no, ok, qui cominciano le note dolenti, mi dispiace.


Miriam Leone
è gnocca. Incredibilmente. Tuttapatata al confronto non era nulla. Però non è un motivo valido per farle ruotare attorno tutta la trama, suvvia, anche perché, diciamolo, la Leone ha preso lezioni da Corinna Negri e questo l'avevo capito fin dal trailer. Il problema è che se la Leone ha preso lezioni da Corinna, il mio povero Marinelli stavolta ha avuto come musO il vecchio Stannis La Rochelle: un blocco di tufo con l'occhio (ceruleo, bellissimo) spento, il viso di cemento e la parrucchetta di Bela Lugosi in Dracula. Hai voglia a parteggiare per Diabolik, quando ha la gamma emozionale di un tavolino da the e l'unico momento in cui sembra provare qualcosa è quando la Kant biascica le banalità tipiche della scrittrice di fanfiction che vorrebbe farsi Voldemort perché è oscuro ma "chissà cosa nasconde dietro quella oscurità". E cosa vuoi che nasconda, probabilmente l'animo di Furio e Raniero, visto il modo in cui tratta tutte le donne che gli passano per le mani (un applauso per lo spreco di Serena Rossi. Ho capito, è una storia tratta da un fumetto anni '60 e sì, alla fine la Kant si "emancipa", ma miseria, Elisabeth Gay ridefinisce il significato stesso di zerbino!)! Inoltre, se posso permettermi, più di due ore sono troppe per un film simile. Il colpo finale ha una scenografia splendida ed è molto ben realizzato a livello di regia e montaggio ma è noioso da morire e rispetto al confronto tra Diabolik e Ginko quelli tra Lupin e Zenigata sono dei capolavori di approfondimento dei personaggi, senza contare che ci sono almeno un paio di momenti di involontario umorismo in cui ho dovuto guardare altrove imbarazzata (l'armadio, Gesù. La ghigliottina!). Ribadisco che questo è il punto di vista di una ormai brutta persona, che comunque non ha mai letto un numero di Diabolik, quindi non so se le mie impressioni facciano ridere i fan del fumetto e se effettivamente il personaggio ritratto nella pellicola sia identico a quello storico delle Giussani, ma personalmente non sono rimasta granché soddisfatta. Ciò detto, il film ha comunque molti pregi ed è una produzione coraggiosamente italiana, quindi sarebbe ingiusto non consigliarvi una visione disimpegnata. Magari potreste innamorarvene, chissà.


Dei registi e co-sceneggiatori Antonio e Marco Manetti ho già parlato QUI. Luca Marinelli (Diabolik), Miriam Leone (Eva Kant), Valerio Mastandrea (Ginko), Claudia Gerini (Signora Morel) e Serena Rossi (Elisabeth Gay) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film è tratto dal terzo albo della serie a fumetti, L'arresto di Diabolik; probabilmente lo avrete già letto, nel caso abbiate visto Diabolik, ma se siete come me e avete la curiosità di cercare differenze e somiglianze recuperatelo, magari assieme al Diabolik di Mario Bava. ENJOY!

lunedì 20 dicembre 2021

Il Bollodromo #83: Lupin III - Parte 6 - Episodio 10

Buon lunedì a tutti! Sta diventando sempre più difficile rispettare l'appuntamento con i mini-post sulla sesta serie di Lupin, anche perché nel weekend ho davvero troppo da fare, ma ci proviamo, tanto su questo episodio (ダーウィンの鳥 - L'uccello di Darwin) c'è molto poco da dire. Dubito che lunedì prossimo riuscirò a parlare dei ben DUE episodi che usciranno in Giappone il giorno di Natale ma mai dire mai! ENJOY!


L'uccello di Darwin è interamente imperniata su Fujiko, che riceve dal misterioso Mihail il compito di rubare (per il suo "signore") un fossile di archaeopteryx conservato al Museo di storia naturale di Londra, scoperto due anni dopo la pubblicazione de L'origine della specie di Darwin.  Mihail specifica di volere l'originale, conservato in un caveau, e Fujiko chiede ovviamente aiuto a Lupin e Jigen. Quest'ultimo li manda entrambi a stendere, ché lui ruba solo per soldi o giustizia, non certo per la bellezza o per uno di cui non si conosce neppure il nome, mentre Lupin, neanche a dirlo, accetta. Il giorno del furto, Lupin ammette di non essere riuscito a scoprire l'identità di Mihail e una sempre più perplessa Fujiko, attorno alla quale accadono cose quantomeno peculiari, riesce comunque ad arrivare al caveau. Lì trova ad attenderla un Lupin ben diverso dal ladro gentiluomo a cui siamo abituati e la storia prende una svolta sovrannaturale che non sto a spoilerarvi, finché il tempo non si riavvolge su se stesso e Fujiko, davanti a Mihail, rifiuta l'incarico.


L'uccello di Darwin è probabilmente la puntata più genuinamente noiosa vista finora, considerato che per metà del breve minutaggio si vedono Fujiko e Mihail seduti a discutere sulla natura dell'archaeopteryx. L'episodio si riprende quando i realizzatori decidono di spingere un po' l'acceleratore su dettagli inquietanti e stranianti, per poi sbragare con un finale degno di un thriller horror, ma in definitiva L'uccello di Darwin è un filler terrificante, e non in senso buono, valido solo per gli irriducibili fan della pettoruta Fujiko. Anche in questo caso la storia principale non va avanti e, a questo punto, posso dire che la Parte 6 è decisamente squilibrata in tal senso, perché anche nella Parte 5 c'erano i filler, ma davano un po' di respiro tra uno story arc e l'altro mentre qui sembrano veramente messi solo per allungare la broda di una storia portante sfilacciata e troppo tirata per le lunghe. Gesù, che fatica anche quest'anno riuscire a farsi piacere una serie attesa da mesi!

Lo so, Jigen. Avrei voglia di andarmene anche io...


venerdì 17 dicembre 2021

Il potere del cane (2021)

Dopo un po' di convalescenza si torna a scrivere, almeno ci si prova. Arrugginita come sono potrei anche non riuscire ad esprimermi bene per quanto riguarda Il potere del cane (The Power of the Dog), film diretto e sceneggiato dalla regista Jane Campion partendo dal romanzo omonimo di Thomas Savage


Trama: Phil Burbank è un ranchero rude e tutto d'un pezzo che vede il mondo crollare sotto i suoi piedi quando il fratello si sposa, portando a casa una donna e suo figlio. Phil decide di rendere la vita impossibile ai due nuovi arrivati, ma qualcosa comincia a cambiare...


Sono rimasta stupita quando ho visto che Il potere del cane era già disponibile su Netflix dopo nemmeno due settimane dall'uscita al cinema d'élite di Savona e mi dispiace dire che ho gioito della cosa, vista l'impossibilità che avevo avuto di sfruttare anche uno solo dei tre giorni di programmazione. Di base, credo però che un film come quello della Campion vada necessariamente visto su un grande schermo in quanto, a livello di "potenza" registica, è un trionfo di paesaggi naturali brulli e campi lunghissimi in perfetto stile western e dà proprio l'idea di praterie sconfinate e distanze difficili da percorrere in tempi brevi, elementi che accrescono quell'enorme senso di solitudine da cui vediamo venire schiacciati uomini dotati di moltissima terra e discrete ricchezze ma sicuramente privi di contatti umani. A scanso di equivoci, posso dire che per quanto mi riguarda (ma contate che mi hanno operata due giorni prima, quindi forse non ero proprio dell'umore giusto per apprezzare appieno un film simile) la bellezza della regia, l'incredibile fotografia e la bravura di Benedict Cumberbatch sono le uniche  cose che "salvano" Il potere del cane dall'essere un lavoro freddo e a mio avviso superficiale, che inanella un cliché dietro l'altro e non consente allo spettatore di empatizzare con nessuno dei personaggi che compaiono sullo schermo, men che meno a provare qualsiasi tipo di umana pietà nei loro confronti; l'idea di questa "distanza", fisica e mentale ma anche temporale, dal mondo e dagli affetti (questi ultimi, almeno per Phil, irraggiungibili per ovvi motivi), che crea rocce in guisa di uomini, esseri stundai che basta un niente per mandare in frantumi, è ben chiara nella mente della regista e sicuramente comprensibilissima per lo spettatore, eppure non penetra nel cuore quanto dovrebbe.


L'idea che mi ha dato Il potere del cane, premettendo che non ho letto l'opera da cui è stato tratto, è quella di un film anche troppo trattenuto nei momenti dove avrebbe dovuto correre un po' più a briglia sciolta, e inutilmente melodrammatico in altri punti, come quando Rose comincia a darsi all'alcoolismo per "sopravvivere" alle cattiverie di Phil, che in una scala da uno ad Iriza Legan non arriva neppure a baciare le scarpe della perfida nemesi di Candy Candy; per contro, l'idea di poter anche solo pensare di provare pena per Phil in quanto represso, privo di amore e condannato a ripensare quotidianamente alla leggendaria figura dell'adorato Bronco Henry, si scontra con la natura di inutile(mente) stronzo del personaggio in questione. Ci si ritrova così davanti a un'accozzaglia di personaggi solitari, muti, paurosi o crudeli (sicuramente una scelta voluta ma, cribbio, penso che un minimo di evoluzione sarebbe servita in tal senso) che verrebbe voglia di lasciare lì, ad annegare nel loro brodo di disagio, tra i quali forse si salva vagamente giusto il Peter di Kodi Smit-McPhee per la sua distaccata visione del mondo e la capacità di fare fessi uomini fatti e finiti che si riempiono la bocca di paroloni e "consigli su come si sta al mondo". Di sicuro, come finale ho preferito quello de Il filo nascosto, che almeno dalla sua aveva un minimo di nerissima ironia, mentre Il potere del cane a me è sembrato algido e represso come il pur bravissimo Cumberbatch. So però che molti lo hanno adorato, quindi dategli un'occhiata e sentitevi liberi di mandarmi a quel paese!


Di Benedict Cumberbatch (Phil Burbank), Jesse Plemons (George Burbank), Kodi Smit-McPhee (Peter Gordon), Kirsten Dunst (Rose Gordon), Thomasin McKenzie (Lola), Frances Conroy (Old Lady) e Keith Carradine (Il Governatore) ho parlato ai rispettivi link.

Jane Campion è la regista e sceneggiatrice del film. Neozelandese, ha diretto film come Lezioni di piano (per il quale ha vinto l'Oscar per la miglior sceneggiatura), Ritratto di signora, Holy Smoke e In the Cut. Anche produttrice e attrice, ha 67 anni. 


George Burbank avrebbe dovuto essere interpretato da Paul Dano, purtroppo già impegnato come Enigmista nell'imminente Batman mentre Elizabeth Moss ha dovuto rinunciare al ruolo di Rose perché impegnata nelle riprese del prossimo film di Taika Waititi. Ciò detto, se vi fosse piaciuto Il potere del cane, recuperate Lezioni di piano. ENJOY!

martedì 14 dicembre 2021

Non dormire nel bosco stanotte 2 (2021)

Per il 2022 ho un ottimo buon proposito: MAI più guardare film solo perché ho poco tempo e questi durano solo un'ora e mezza, come Non dormire nel bosco stanotte 2 (W lesie dziś nie zaśnie nikt 2), diretto e co-sceneggiato dal regista Bartosz M. Kowalski.


Trama: dopo gli eventi accorsi nel primo film, Zosia finisce in prigione assieme ai due fratelli deformi responsabili della morte di tutti i suoi amici. Ma qualcosa di ancora peggiore la attende...


Non sarò io a dire che Non dormire nel bosco stanotte fosse il Quarto potere dell'horror, per carità, però era una supercazzolona divertente che omaggiava i film splatter anni '80 e '90 con i quali il regista Bartosz M. Kowalski era cresciuto, un festival del gore di grana molto grossa, buono per una serata tra il divertito e il disgustato. Quando ho saputo che Netflix aveva fatto uscire il seguito non sono stata a catapultarmi nel recupero, è capitata l'occasione qualche sera fa per i motivi di cui sopra e ho pensato "ma sì, dai, sarà divertente come il primo!". Ed effettivamente, per la prima mezz'ora o poco più, Non dormire nel bosco stanotte 2 mantiene quanto promesso nel capitolo precedente; la storia comincia esattamente dov'era finita l'anno scorso e vediamo un terzetto di poliziotti di una tristezza inenarrabile cercare di tirare le fila della mattanza perpetrata dai mostruosi gemelli del film precedente ai danni di un gruppo di "scout" ignari. L'unica sopravvissuta, Zosia, torna sui luoghi del misfatto e da lì il film prende una piega inaspettata e parecchio splatter, che lì per lì mi ha fatta ben sperare, tra personaggi sopra le righe, squartamenti assortiti e tantissima bruttezza. Ho apprezzato persino il momento Conte Uguccione Vampire Hunter con citazione (a sproposito) di Maniac Cop, covando l'insanissimo desiderio che l'atmosfera del film, a poco a poco, potesse diventare trash a livello Iron Sky... e invece, il sommo diludendo. 


Gli ultimi lunghissimi, pesantissimi 40 minuti di Non dormire nel bosco stanotte 2 sono il "Benone!" di Venom fatto a film, una roba così triste ed imbarazzante che ritengo dovrebbe essere vietata nell'anno domini 2021. Quando ho cominciato a pensare che il film potesse diventare un body horror à la Cronenberg... ecco che Non dormire nel bosco stanotte 2 è diventato la versione scabeccia di Twilight, senza vampiri ma con mostri, un enorme scherzo tirato per le lunghe che si trascina con dialoghi vergognosi e situazioni ad altissimo livello di cringe, una roba che ha costretto me e il povero Mirco (scusa, amore!) a guardarci di tanto in tanto per distogliere lo sguardo subito dopo, in tacito imbarazzo per noi, il regista, gli attori coinvolti e Netflix che ha distribuito quello che, in tempo zero, è diventato il film più brutto dell'anno. Non bastano una morte a effetto e un finale "esplosivo" per salvare la stantìa baracca creata da un autore che, evidentemente, non sa affatto giostrarsi tra generi e che pensava di diventare il nuovo Adam Green convinto che la commedia horror fosse una cosa facile; mi spiace per te, ciccio, ma è davvero tanto, tanto difficile azzeccare i tempi comici, molto più di quelli horror, e il risultato finale mi ha messo sì i brividi, ma come le prime due puntate di LOL, serie che non sono riuscita a finire per l'imbarazzo. Evitate come la peste, gente, sono MOLTO meglio i Welcome to the Blumhouse, il che è tutto dire. 


Del regista e co-sceneggiatore Bartosz M. Kowalski ho già parlato QUI

Julia Wieniawa-Narkiewicz interpreta Zosia. Polacca, ha partecipato a film come Non dormire nel bosco stanotte, The Hater e All My friends Are Dead. Anche cantante e compositrice, ha 23 anni e due film in uscita. 


Come già Julia Wieniawa-Narkiewicz, anche Mateusz Wieclawek, che interpreta il poliziotto Adas, ha partecipato a All My Friends Are Dead, che vi consiglio di recuperare se avete voglia di guardare un film polacco su Netflix che non vi metta addosso la voglia di morire. ENJOY!

lunedì 13 dicembre 2021

Il Bollodromo #82: Lupin III - Parte 6 - Episodio 9

Nonostante le imminenti festività natalizie, la TMS continua puntuale a mandare in onda nuovi episodi di Lupin the IIIrd - Part 6 e chi sono io per far finta di nulla? Oggi parliamo però, purtroppo, dell'ennesimo filler, ovvero 漆黒のダイヤモンド - Il diamante nero. ENJOY!


Perché ho scritto "purtroppo"? Perché dopo lo splendido episodio della settimana scorsa, Il diamante nero risulta un altro di quei filler senza scopo, non particolarmente entusiasmante e, soprattutto, pieno di difetti a livello di caratterizzazioni, tempistiche, luoghi ecc. Tutto ruota attorno al fantomatico tesoro del Re dei Pirati Zeke, che avrebbe lasciato in Brasile un Diamante Nero dal valore incommensurabile (non è l'unica citazione di One Piece e Gold Roger, visto che Goemon esordisce arrivando in Brasile a cavallo di un calamaro gigante che, alla fine, taglia in due, nemmeno fosse Zoro coi re del mare); per trovarlo, servono due bambole kokeshi, una delle quali è in possesso di una vecchia sulla sedia a rotelle, accompagnata dalla nipote. Voi ora direte, Lupin vuole disperatamente il tesoro, no? In realtà, non gliene frega una mazza e persino Jigen rimane perplesso dopo tutta la fatica fatta per recuperare in fondo al mare una delle due kokeshi (ecco già uno di quei buchi di trama, di "perché sì" di cui l'episodio è costellato), ma il povero pistolero non sa che, di lì a breve, verrà spedito in Brasile per aiutare Fujiko, nientemeno, a capire come trovare il tesoro.


Non ci state capendo nulla, eh? Probabilmente perché non ci hanno capito una mazza nemmeno gli sceneggiatori i quali, non sapendo bene cosa far fare a due personaggi come Goemon e Fujiko che non si vedevano da almeno tre episodi, hanno deciso di infilarli in questo filler riducendo Lupin al ruolo di comparsa a distanza e Jigen a quello di perplesso minchione di Milwakee, il quale sul finale arriva giustamente a chiedersi a cosa sia servito che lui e Goemon andassero in Brasile, quando Fujiko, il drone di Lupin e soprattutto la vecchia erano perfettamente in grado di recuperare il tesoro del pirata Zeke senza il loro aiuto. Quanto al tesoro in sé, non sto a dirvi cosa sia il Diamante Nero. Vi basti sapere che dietro c'è tutta una melensa storia d'aMMore, morte e legami fraterni di personaggi che vi rimarranno nel cuore quanto la cimice che avete distrattamente spappolato tirando su la zanzariera. L'unica cosa "interessante" del filler è venire a sapere che Lupin è dotato di una misteriosa "polverina" che utilizza ogni volta che vuole essere trovato da Zenigata. E con questo, signori, io esco! dicendovi che la settimana prossima Fujiko avrà a che fare.. ehm... con l'uccello di Darwin. Secondo me è un po' troppo stagionato anche per lei e dopo questa battutaccia me ne vado davvero. Alla prossima!


Ecco le altre puntate di Lupin III - Parte 6:

venerdì 10 dicembre 2021

An Unquiet Grave (2020)

Proseguendo coi recuperi della Summer of Chills di Shudder sono arrivata a An Unquiet Grave, diretto e co-sceneggiato dal regista Terence Krey.


Trama: dopo la morte della moglie, un uomo convince la sorella gemella di lei a tentare uno strano rito per riportarla in vita...


An Unquiet Grave
è uno di quei film che, pur essendo incredibilmente brevi, su di me hanno lo stesso effetto di un mattone di tre ore. Per dire, non mi vedrete MAI guardare un film mentre gioco col cellulare o controllo Facebook, al limite se proprio arrivano 700 messaggi su Whatsapp metto in pausa e controllo chi diamine è morto, ma modi per distrarsi ce ne sono sempre, eh: per esempio, guardando An Unquiet Grave ho pensato per buona parte della sua breve durata ad almeno una mezza dozzina di soggetti per eventuali disegni da realizzare e a come organizzare il weekend. Mi è dispiaciuta questa cosa, sono sincera, anche perché il film di Terence Krey aveva tutte le carte in regola per potermi piacere e l'assunto iniziale, con l'alone di mistero che circonda le scelte del protagonista e il suo comportamento in seguito al rito, non erano affatto male. Purtroppo, una trama come quella di An Unquiet Grave dal mio punto di vista va sviluppata o con un corto/puntata di una serie TV antologica, così da colpire lo spettatore spiazzandolo con rivelazioni continue e una rapida risoluzione, oppure, se l'intenzione era quella di trattare l'elaborazione del lutto, aumentare la durata dell'opera permettendo al pubblico di entrare in sintonia con Jamie ed Ava, due personaggi che, nonostante l'abbondante quantità di dialoghi, faticano ad acquistare tridimensionalità.


Così sembra che Terence Krey (coadiuvato dall'attrice che interpreta Ava, anche co-sceneggiatrice) non sia stato in grado di gestire il tempo a sua disposizione; ci sono momenti dilatati a dismisura, come quello della dissepoltura finale o l'interesse morboso di Ava per la ferita al braccio, altri che lasciano invece perplessi per la faciloneria e facilità con cui avvengono, mi viene in mente proprio la natura "unquiet" della tomba del titolo, per non parlare del modo in cui vengono eseguiti i due riti cardine della pellicola, nel secondo dei quali un personaggio scompare senza motivo plausibile, quasi come se dopo un'introduzione lentissima Krey avesse dovuto pigiare sull'acceleratore per concludere il film. Il risultato è che, in questo modo, non solo An Unquiet Grave non fa paura (ormai all'horror non lo chiedo quasi nemmeno più) ma veicola anche riflessioni troppo superficiali per riuscire a rimanere impresso e crearsi una nicchia all'interno di pellicole indie ben più interessanti. Peccato, perché gli effetti speciali del corpo nascosto nella tomba non sono per niente male e anche Christine Nyman offre una bella interpretazione, quindi a mio avviso ci voleva davvero pochissimo per realizzare un film che non avrei esitato a consigliare. In questo modo, posso solo dirvi di dedicarvi a pellicole più interessanti. 

Terence Krey è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, ha 35 anni.


Sia Christine Nyman (anche co-sceneggiatrice del film) che Jacob A. Ware hanno partecipato alla web serie Graves, creata proprio da Terence Krey. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Cimitero vivente. ENJOY!

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