All'alba di mercoledì esce anche il mio post su Chiamami col tuo nome, diretto nel 2017 dal regista Luca Guadagnino, tratto dal romanzo omonimo di André Aciman e candidato a quattro premi Oscar (Timothée Chalamet Miglior Attore Protagonista, Miglior Sceneggiatura Non Originale, Miglior Film e Miglior Canzone).
Trama: nell'estate italiana del 1983 il giovane Elio si innamora, ricambiato, dell'aitante studente universitario Oliver.
Tra venerdì e lunedì la blogosfera è stata letteralmente invasa dalle recensioni di quello che è diventato, in tempo zero, IL film da vedere prima della notte degli Oscar. Mi sono chiesta a cosa diavolo servisse che esprimessi anch'io il mio parere, per di più con un ritardo inqualificabile rispetto ai tempi mordi e fuggi di internet e considerando che la mia opinione rispetta quella del 90% delle recensioni che troverete on line (perciò vi consiglio di leggere QUESTA), quindi la farò breve e poi mi divertirò a riempire il post di castronerie terra terra, facendomi due risate. Allora, SI', Chiamami col tuo nome è bello bello in modo assurdo come dicono tutti. Ivory e Guadagnino si sono dilettati a creare una novella Arcadia dove l'efebico protagonista Elio e il più maschio ma mai volgare Oliver assecondano i loro più reconditi desideri prima rifiutandosi e poi cercandosi con una passione intensa e travolgente, mentre un'estate Italiana fatta non già di gol e tifo sfrenato ma di sole delicato e fiumiciattoli eleganti li coccola e protegge con fare materno, schermandoli da un mondo esterno freddo e crudele; coming of age raccontato attraverso la sperimentazione della sessualità ma con un occhio all'arte, alla musica, alla letteratura e persino all'antica Grecia, Chiamami col tuo nome mette in scena la gioia e il dolore di un ragazzo che cerca la propria identità seguendo le sue pulsioni naturali e abbandonandosi ad esse con rara innocenza, sostenuto silenziosamente da una famiglia particolarmente aperta (il discorso finale del padre merita l'applauso) che tuttavia non può proteggerlo dalla "naturale" (o convenzionale, fate vobis) evoluzione delle cose. Il senso del film è che anche se il cuore si spezza l'importante è comunque nutrirlo di emozioni, pena l'invecchiare male e diventare aridi, godendosi l'attimo in quella che è l'età più importante e anche più effimera dell'essere umano. L'intensa girandola di emozioni del film viene sostenuta magistralmente non solo dalla bellezza di regia e fotografia ma soprattutto da due attori strepitosi come Armie Hammer e Timothée Chalamet, giovanissimo ma già con un bel passaporto per l'Oscar a portata di mano, che a dire il vero si "limita" ad essere bello, tenero e un po' scoglionato per tutto il film ma diventa magistrale nei titoli di coda, accompagnati da un'altra delle splendide, dolcissime canzoni che arricchiscono Chiamami col tuo nome dall'inizio alla fine. E qui finisce l'agile riassunto di ciò che avete letto su tutti gli altri blog, quindi vi invito ad andare a vedere il film di Guadagnino perché è spettacolare, evitando possibilmente un doppiaggio che sicuramente appiattirà tutto il casino linguistico (meraviglioso da ascoltare, by the way) che lo caratterizza. Adesso comincia la parte scema del post, che potete anche evitare di leggere.
Mr. Ivory, Signor Guadagnino, vogliate perdonarmi la volgarità ma ad essere omosessuale così sono buoni tutti, su. Voglio vivere anche io in una specie di Mulino Bianco immerso nella natura italiana dove la cosa più brutta che può capitarmi è che arrivi Armie Hammer ad "usurparmi" la stanza e "molestarmi" con massaggi disturbando così la mia quiete estiva fatta di bagnetti al fiume (ma una belin di sanguisuga? Una PIETRA fuori posto, per la miseria, un TAFANO che arrivi a pungere le chiappe glabre di 'sti giovinetti aitanti, maschi o femmine che siano?), letture auliche, Battiato in radio, sigarette, scopatelle, colazioni pantagrueliche e cene all'aperto con mezzo mondo. Dov'è questo luogo incantato nei pressi di Cremona dove non gira praticamente nessuno per il paese ma dove TUTTI, americani, italiani, francesi, etero e gay si ritrovano magicamente a casa dei genitori di Elio, la cui unica preoccupazione (ché tanto lasciano il figlio in balia del primo tizio che decide di scoparselo al piano di sopra...) è tradurre libri dal tedesco, disquisire di Craxi e Buñuel (su Bettino poi torniamo) e correre a fare del salvage come i signori dell'Amaro Montenegro? Porco schifo ma che snobissimo schiaffo alla miseria! Io sono nata nel 1981 ma un'estate così non la ricordo. Sarà che il mio povero papà durante le ferie lavorava nei campi e mamma rassettava casa, sarà che a me in "vacanza con l'amico" non mi ci hanno mai mandata, ma col piffero che potevo stare 24h sdraiata a leggere, per di più a 16 anni suonati (sento già le urla di mia madre, miseria). Succhi di frutta naturali? Uova fresche tutte le mattine? Vecchi che accettano lo straniero durante la quotidiana partitella a carte e non solo non gli parlano in dialetto ma nemmeno bestemmiano? Non è Italia, signori, nemmeno nei tanto favoleggiati anni '80. Tra l'altro, Chiamami col tuo nome è un film creato e pensato per l'estero, quindi vorrei capire a che pro "contestualizzarlo" con continui, inutili riferimenti a Craxi e piantandoci persino un Beppe Grillo d'annata che lo prende in giro. Davvero, non voglio credere che per gli USA gli anni '80 siano caratterizzati da film e videogame mentre l'unico modo di richiamare l'effetto nostalgia da noi sia evocare il fantasma di Bettino. Ma mettici un gelato Algida, un Topolino (e figurarsi se Elio non leggeva Diabolik invece...), una puntata di Drive In, un BILLY, altro che succo di albicocca. Tutto, ma non Bettino. Last but not least: ma che cristianimento t'hanno fatto le pesche, Guadagnino? Ti faceva così schifo quella roba plebea della torta di mele? Mi immagino quelle povere pesche, avvizzire sull'albero cercando disperatamente di aggrapparsi alla pianta per non cadere e non far la fine delle vittime di Weinstein... #LaPêcheAussi
Comunque il film è bellissimo, eh. Lo ripeto a scanso di equivoci. Voto 8, al momento Miglior Sceneggiatura Non Originale e Miglior Canzone Originale. Daje, che aspetto Suspiria, Guadagnino!
Del regista Luca Guadagnino ho già parlato QUI. Armie Hammer (Oliver) e Michael Stuhlbarg (Mr. Perlman) li trovate invece ai rispettivi link.
Timothée Chalamet interpreta Elio. Americano, ha partecipato a film come Interstellar e Lady Bird. Ha 23 anni e due film in uscita.
Nel 2015 l'idea era che James Ivory, sceneggiatore di Chiamami col tuo nome, fosse anche regista e che ci fosse Shia LaBeouf al posto di Armie Hammer ma alla fine il tempo è passato ed è subentrato Guadagnino. Il regista, tra l'altro, ha progetti bellicosi perché nel 2020 vorrebbe fare uscire un seguito di Chiamami col tuo nome, con gli stessi attori; nell'attesa, se il film vi fosse piaciuto recuperate Carol, La vita di Adele, I segreti di Brokeback Mountain e Moonlight. ENJOY!
mercoledì 31 gennaio 2018
martedì 30 gennaio 2018
Bollalmanacco On Demand: S.O.B. (1981)
Torna, a fatica causa mancanza atavica di tempo, il Bollalmanacco On Demand! Lo fa alla grande, accontentando finalmente l'amico Toto (proprio in occasione del suo compleanno) con un capolavoro di Blake Edwards, S.O.B., da lui diretto e sceneggiato nel 1981. Il prossimo film On Demand sarà Il club delle prime mogli. ENJOY!
Trama: un produttore abbattuto dall'insuccesso della sua ultima fatica cinematografica ha all'improvviso un illuminazione e decide di stravolgere interamente l'opera trasformandola in una storia a base di sesso e perversioni...
Le pellicole che, nel corso del tempo, hanno cercato di appannare un po' lo splendore di Hollywood, tirando fuori tutte le magagne di quella che è più una fabbrica di soldi che di sogni, sono tante quante le stelle in cielo e spaziano in vari registri, dal drammatico, all'horror, alla commedia. In quest'ultima categoria rientra S.O.B., che mette alla berlina i meccanismi hollywoodiani legati alla produzione e distribuzione di un film, con particolare attenzione a tutte le beghe legali e i cavilli che decretano la "proprietà" di una determinata opera e anche al compiacimento del pubblico, somma e volubile divinità dai gusti indiscutibili oggi come allora. In trent'anni quest'ultimo aspetto non è cambiato molto, lo dimostrano le petizioni volute dai fanZ per togliere dal canon l'ultimo episodio di Star Wars oppure il calcio in culo dato a Kevin Spacey per questioni più economiche/d'immagine che di reale preoccupazione per le sue vittime, e ciò rende S.O.B. un film senza tempo, invecchiato alla perfezione. Ho scritto all'inizio che S.O.B. è una commedia ma forse sarebbe meglio definirlo una tragicommedia, permeata da un umorismo nero che si affaccia fin dalle prime sequenze, dove un uomo (che si scoprirà poi essere un grande attore quasi dimenticato) muore sulla spiaggia nell'indifferenza generale, almeno finché la gente comincia ad accorgersi del suo cane disperato; l'attore in questione diventa così l'emblema di una macchina economica che mastica e sputa chi è tanto (s)fortunato da finire nei suoi ingranaggi, dove tutti sgomitano per avere un minimo di attenzione senza preoccuparsi troppo del prossimo e dove ognuno deve pensare non solo al proprio godimento ma anche e soprattutto a parare le proprie chiappe nella previsione di tempi bui. La follia di Felix, produttore messo in ginocchio dall'insuccesso commerciale del suo ultimo film, è quella di un uomo che si dibatte per non annegare e che sceglie di mettere in gioco tutto per compiacere il pubblico, dalla moglie simbolo di innocente purezza ai soldi, fino ad arrivare alla vita ("Forse così il film venderà di più!"), sfruttando nel più paradossale dei modi dinamiche realmente esistenti: non vorrei sempre mettere in mezzo il povero Kevin Spacey ma quanti spettatori "non cinefili" sarebbero andati a vedere l'ultimo film di Ridley Scott se non fossero stati incuriositi dal caso che gli è stato montato sopra? Appunto.
Nel dipingere questa critica corrosiva verso il sistema Hollywoodiano Blake Edwards va ben oltre la mera presa in giro impersonale e ci mette del suo, soprattutto dal punto di vista autobiografico, arrivando persino a scegliere la moglie Julie Andrews per il ruolo di Sally Miles, protagonista del film di Felix nonché moglie in procinto di chiedere il divorzio. In questo caso, personaggio e attrice reale si sovrappongono in quanto anche Sally è considerata da tutti il simbolo immacolato del cinema per famiglie e l'idea di vederla mostrare il seno in un film a sfondo sessuale è la provocazione massima sia di Felix che dello stesso Edwards (dev'essere stato un tale shock all'epoca che persino Seth MacFarlane ha ricordato la visione di "Mary Poppins con le tette al vento" in un episodio de I Griffin). E' esilarante vedere il numero musicale che apre entrambi i film, uno zuccheroso sogno disneyano in cui la protagonista si ritrova in un mondo da fiaba, venire completamente stravolto e trasformato in un incubo a base di simboli fallici e diavoli infoiati, una sequenza che Sally riesce ad affrontare solo perché completamente in botta ed è effettivamente sconvolgente l'immagine di Mary Poppins che si "abbassa" al livello delle altre signorine (e signorini) compiacenti che popolano le ville hollywoodiane, all'interno delle quali sesso, droga e alcool diventano allegre monete di scambio e veicolo di favori reciproci. Nonostante tutta la depravazione che viene mostrata nel film, tuttavia, Edwards riesce a non essere mai volgare e a diventare persino poetico sul finale, dove le Standard Operational Bullshit del titolo originale vengono smascherate da tre adorabili cialtroni ubriachi (William Holden, Robert Preston e Robert Webber, semplicemente favolosi), gli unici ad avere davvero a cuore Felix come amico e persona; l'amara conclusione di S.O.B. è l'affermazione dello spettacolo che deve continuare, della realtà che si fa essa stessa spettacolo e viene scandita da riti sempre più vuoti, per il mero gusto del gossip e di una celebrazione ipocrita dei cosiddetti "grandi nomi", dove tutti vissero felici e contenti come in una fiaba e zeppi di soldi e premi Oscar... almeno fino al prossimo film o al prossimo scandalo, ovviamente.
Del regista e sceneggiatore Blake Edwards ho già parlato QUI. Julie Andrews (Sally Miles), William Holden (Tim Culley), Marisa Berenson (Mavis), Shelley Winters (Eva Brown) e Rosanna Arquette (Babs) li trovate invece ai rispettivi link.
Larry Hagman interpreta Dick Benson. Meglio conosciuto come J. R. Ewing della soap Dallas, ha partecipato a film come Superman, Gli intrighi del potere - Nixon e ad altre serie quali Strega per amore, Nip/Tuck e Desperate Housewives. Come doppiatore ha invece lavorato in un episodio de I Simpson. Anche produttore e regista, è morto nel 2012 all'età di 81 anni.
Robert Loggia interpreta Herb Maskowitz. Americano, ha partecipato a film come Lassù qualcuno mi ama, La più grande storia mai raccontata, Porgi l'altra guancia, La vendetta della Pantera Rosa, Piedone d'Egitto, Ufficiale e gentiluomo, Sulle orme della Pantera Rosa, Psycho II, Pantera Rosa - Il mistero Clouseau, Scarface, L'onore dei Prizzi, Doppio taglio, Over the Top, Su e giù per i Caraibi, Big, Bella, bionda... e dice sempre sì, Amore all'ultimo morso, Independence Day, Strade perdute, Independence Day - Rigenerazione e a serie quali Alfred Hitchcock presenta, Il tenente Kojak, Colombo, Wonder Woman, La donna bionica, L'uomo da sei milioni di dollari, Starsky & Hutch, Charlie's Angels, Fantasilandia, La signora in giallo, Magnum P.I., Pandora's Clock: La Terra è in pericolo, Oltre i limiti, Dharma & Greg, Malcom, I Soprano e Monk; come doppiatore ha lavorato per il film Oliver & Company ed episodi de I Griffin. Anche regista, è morto nel 2015 all'età di 85 anni.
Richard Mulligan interpreta Felix Farmer. Americano, ha partecipato a film come Sulle orme della Pantera Rosa e a serie quali Strega per amore, Charlie's Angels, Hunter, Love Boat, Bolle di sapone e Ai confini della realtà; come doppiatore ha lavorato per il film Oliver & Company. E' morto nel 2000 all'età di 67 anni.
Robert Preston interpreta il Dr. Irving Finegarten. Americano, ha partecipato a film come Victor Victoria e Giochi stellari. E' morto nel 1987 all'età di 68 anni.
Robert Vaughn interpreta David Blackman. Meglio conosciuto come Napoleon Solo della serie Organizzazione U.N.C.L.E., ha partecipato a film come I dieci comandamenti, I magnifici sette, L'inferno di cristallo, Superman III, Renegade un osso troppo duro e ad altre serie quali Zorro, Alfred Hitchcock presenta, Colombo, Love Boat, A-Team, Hunter, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, La tata, Sentinel e Little Britain USA. Anche regista, è morto nel 2016 all'età di 83 anni.
Nei panni di Lila, l'autostoppista bionda, c'è Jennifer Edwards, figlia del regista. L'acronimo S.O.B., lungi dall'essere Son Of a Bitch come tutti pensano (e com'è stato tradotto in italiano), sta per Standard Operational Bullshit , in riferimento a tutto ciò che accade al protagonista sul finale; a proposito di bullshit, la pellicola (basata in parte sull'esperienza di Blake Edwards sui set di Operazione crepes suzette e Uomini selvaggi) è stata candidata ai Razzie Awards per la peggior regia e peggior sceneggiatura ma quell'anno vinsero rispettivamente Michael Cimino per I cancelli del cielo e Mammina cara, tratto dalla biografia al vetriolo scritta dalla figlia di Joan Crawford sull'attrice. In compenso, S.O.B. era stato anche candidato per un Golden Globe alla Miglior Commedia o Musical, strappatogli dal film Arturo. Detto questo, se S.O.B. vi fosse piaciuto recuperate 10 e Hollywood Party, sempre dello stesso regista. ENJOY!
Trama: un produttore abbattuto dall'insuccesso della sua ultima fatica cinematografica ha all'improvviso un illuminazione e decide di stravolgere interamente l'opera trasformandola in una storia a base di sesso e perversioni...
Le pellicole che, nel corso del tempo, hanno cercato di appannare un po' lo splendore di Hollywood, tirando fuori tutte le magagne di quella che è più una fabbrica di soldi che di sogni, sono tante quante le stelle in cielo e spaziano in vari registri, dal drammatico, all'horror, alla commedia. In quest'ultima categoria rientra S.O.B., che mette alla berlina i meccanismi hollywoodiani legati alla produzione e distribuzione di un film, con particolare attenzione a tutte le beghe legali e i cavilli che decretano la "proprietà" di una determinata opera e anche al compiacimento del pubblico, somma e volubile divinità dai gusti indiscutibili oggi come allora. In trent'anni quest'ultimo aspetto non è cambiato molto, lo dimostrano le petizioni volute dai fanZ per togliere dal canon l'ultimo episodio di Star Wars oppure il calcio in culo dato a Kevin Spacey per questioni più economiche/d'immagine che di reale preoccupazione per le sue vittime, e ciò rende S.O.B. un film senza tempo, invecchiato alla perfezione. Ho scritto all'inizio che S.O.B. è una commedia ma forse sarebbe meglio definirlo una tragicommedia, permeata da un umorismo nero che si affaccia fin dalle prime sequenze, dove un uomo (che si scoprirà poi essere un grande attore quasi dimenticato) muore sulla spiaggia nell'indifferenza generale, almeno finché la gente comincia ad accorgersi del suo cane disperato; l'attore in questione diventa così l'emblema di una macchina economica che mastica e sputa chi è tanto (s)fortunato da finire nei suoi ingranaggi, dove tutti sgomitano per avere un minimo di attenzione senza preoccuparsi troppo del prossimo e dove ognuno deve pensare non solo al proprio godimento ma anche e soprattutto a parare le proprie chiappe nella previsione di tempi bui. La follia di Felix, produttore messo in ginocchio dall'insuccesso commerciale del suo ultimo film, è quella di un uomo che si dibatte per non annegare e che sceglie di mettere in gioco tutto per compiacere il pubblico, dalla moglie simbolo di innocente purezza ai soldi, fino ad arrivare alla vita ("Forse così il film venderà di più!"), sfruttando nel più paradossale dei modi dinamiche realmente esistenti: non vorrei sempre mettere in mezzo il povero Kevin Spacey ma quanti spettatori "non cinefili" sarebbero andati a vedere l'ultimo film di Ridley Scott se non fossero stati incuriositi dal caso che gli è stato montato sopra? Appunto.
Nel dipingere questa critica corrosiva verso il sistema Hollywoodiano Blake Edwards va ben oltre la mera presa in giro impersonale e ci mette del suo, soprattutto dal punto di vista autobiografico, arrivando persino a scegliere la moglie Julie Andrews per il ruolo di Sally Miles, protagonista del film di Felix nonché moglie in procinto di chiedere il divorzio. In questo caso, personaggio e attrice reale si sovrappongono in quanto anche Sally è considerata da tutti il simbolo immacolato del cinema per famiglie e l'idea di vederla mostrare il seno in un film a sfondo sessuale è la provocazione massima sia di Felix che dello stesso Edwards (dev'essere stato un tale shock all'epoca che persino Seth MacFarlane ha ricordato la visione di "Mary Poppins con le tette al vento" in un episodio de I Griffin). E' esilarante vedere il numero musicale che apre entrambi i film, uno zuccheroso sogno disneyano in cui la protagonista si ritrova in un mondo da fiaba, venire completamente stravolto e trasformato in un incubo a base di simboli fallici e diavoli infoiati, una sequenza che Sally riesce ad affrontare solo perché completamente in botta ed è effettivamente sconvolgente l'immagine di Mary Poppins che si "abbassa" al livello delle altre signorine (e signorini) compiacenti che popolano le ville hollywoodiane, all'interno delle quali sesso, droga e alcool diventano allegre monete di scambio e veicolo di favori reciproci. Nonostante tutta la depravazione che viene mostrata nel film, tuttavia, Edwards riesce a non essere mai volgare e a diventare persino poetico sul finale, dove le Standard Operational Bullshit del titolo originale vengono smascherate da tre adorabili cialtroni ubriachi (William Holden, Robert Preston e Robert Webber, semplicemente favolosi), gli unici ad avere davvero a cuore Felix come amico e persona; l'amara conclusione di S.O.B. è l'affermazione dello spettacolo che deve continuare, della realtà che si fa essa stessa spettacolo e viene scandita da riti sempre più vuoti, per il mero gusto del gossip e di una celebrazione ipocrita dei cosiddetti "grandi nomi", dove tutti vissero felici e contenti come in una fiaba e zeppi di soldi e premi Oscar... almeno fino al prossimo film o al prossimo scandalo, ovviamente.
Del regista e sceneggiatore Blake Edwards ho già parlato QUI. Julie Andrews (Sally Miles), William Holden (Tim Culley), Marisa Berenson (Mavis), Shelley Winters (Eva Brown) e Rosanna Arquette (Babs) li trovate invece ai rispettivi link.
Larry Hagman interpreta Dick Benson. Meglio conosciuto come J. R. Ewing della soap Dallas, ha partecipato a film come Superman, Gli intrighi del potere - Nixon e ad altre serie quali Strega per amore, Nip/Tuck e Desperate Housewives. Come doppiatore ha invece lavorato in un episodio de I Simpson. Anche produttore e regista, è morto nel 2012 all'età di 81 anni.
Robert Loggia interpreta Herb Maskowitz. Americano, ha partecipato a film come Lassù qualcuno mi ama, La più grande storia mai raccontata, Porgi l'altra guancia, La vendetta della Pantera Rosa, Piedone d'Egitto, Ufficiale e gentiluomo, Sulle orme della Pantera Rosa, Psycho II, Pantera Rosa - Il mistero Clouseau, Scarface, L'onore dei Prizzi, Doppio taglio, Over the Top, Su e giù per i Caraibi, Big, Bella, bionda... e dice sempre sì, Amore all'ultimo morso, Independence Day, Strade perdute, Independence Day - Rigenerazione e a serie quali Alfred Hitchcock presenta, Il tenente Kojak, Colombo, Wonder Woman, La donna bionica, L'uomo da sei milioni di dollari, Starsky & Hutch, Charlie's Angels, Fantasilandia, La signora in giallo, Magnum P.I., Pandora's Clock: La Terra è in pericolo, Oltre i limiti, Dharma & Greg, Malcom, I Soprano e Monk; come doppiatore ha lavorato per il film Oliver & Company ed episodi de I Griffin. Anche regista, è morto nel 2015 all'età di 85 anni.
Richard Mulligan interpreta Felix Farmer. Americano, ha partecipato a film come Sulle orme della Pantera Rosa e a serie quali Strega per amore, Charlie's Angels, Hunter, Love Boat, Bolle di sapone e Ai confini della realtà; come doppiatore ha lavorato per il film Oliver & Company. E' morto nel 2000 all'età di 67 anni.
Robert Preston interpreta il Dr. Irving Finegarten. Americano, ha partecipato a film come Victor Victoria e Giochi stellari. E' morto nel 1987 all'età di 68 anni.
Robert Vaughn interpreta David Blackman. Meglio conosciuto come Napoleon Solo della serie Organizzazione U.N.C.L.E., ha partecipato a film come I dieci comandamenti, I magnifici sette, L'inferno di cristallo, Superman III, Renegade un osso troppo duro e ad altre serie quali Zorro, Alfred Hitchcock presenta, Colombo, Love Boat, A-Team, Hunter, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, La tata, Sentinel e Little Britain USA. Anche regista, è morto nel 2016 all'età di 83 anni.
Nei panni di Lila, l'autostoppista bionda, c'è Jennifer Edwards, figlia del regista. L'acronimo S.O.B., lungi dall'essere Son Of a Bitch come tutti pensano (e com'è stato tradotto in italiano), sta per Standard Operational Bullshit , in riferimento a tutto ciò che accade al protagonista sul finale; a proposito di bullshit, la pellicola (basata in parte sull'esperienza di Blake Edwards sui set di Operazione crepes suzette e Uomini selvaggi) è stata candidata ai Razzie Awards per la peggior regia e peggior sceneggiatura ma quell'anno vinsero rispettivamente Michael Cimino per I cancelli del cielo e Mammina cara, tratto dalla biografia al vetriolo scritta dalla figlia di Joan Crawford sull'attrice. In compenso, S.O.B. era stato anche candidato per un Golden Globe alla Miglior Commedia o Musical, strappatogli dal film Arturo. Detto questo, se S.O.B. vi fosse piaciuto recuperate 10 e Hollywood Party, sempre dello stesso regista. ENJOY!
domenica 28 gennaio 2018
Brimstone (2016)
L'"allegria" che ha pervaso le mie ferie natalizie si è impennata brutalmente durante la visione di Brimstone, film diretto e sceneggiato nel 2016 dal regista Martin Koolhoven.
Trama: l'arrivo di un nuovo reverendo sconvolge la vita di una tranquilla famiglia ai tempi del Far West...
Mi avevano avvertita che Brimstone sarebbe stato un bel calcio nello stomaco ma francamente speravo nelle solite iperboli risolvibili in un "nulla di fatto". E, detto in tutta sincerità, l'ambientazione da western e la durata di quasi tre ore mi hanno causato più di un dubbio all'inizio, uno scompenso durato un minuto scarso perché Brimstone agguanta lo spettatore alla gola fin da subito e lo percuote, senza lasciarlo andare, fino alla fine della pellicola. Pur non essendo un horror vero e proprio, Brimstone mette in scena l'Orrore con la O maiuscola, quel genere di situazione che porta qualsiasi persona dotata di un cervello a bestemmiare ogni divinità pregando che l'antagonista principale crepi nel modo peggiore possibile e a coprirsi gli occhi davanti a cose inenarrabili; è quel genere di film che ti conforta con la bellezza di una regia e una fotografia prive di difetti, pulite e bellissime, intanto che ti racconta le peggio bastardate di un mondo rigurgitante ignoranza. Fulcro della storia è Liz, una bravissima Dakota Fanning, "ostetrica" del villaggio nonché muta. L'aura che avvolge Liz è misteriosa e il suo lavoro in una società particolare ed isolata come quella del far west (il film a occhio e croce è ambientato nel diciannovesimo secolo) è in odore di stregoneria e proprio la caccia alle streghe pare la direzione in cui è rivolto Brimstone, almeno all'inizio. L'arrivo del nuovo reverendo, interpretato dal più cattivo Guy Pearce che abbia mai visto sullo schermo, turba visibilmente Liz, al punto che lo spettatore horror più smaliziato potrebbe immaginare un paio di svolte della trama, ovvero quella in cui il reverendo in realtà è l'Anticristo (e tutto lo farebbe supporre, ma anche un fantasma, come hanno fatto notare alcuni critici) oppure quella in cui Liz verrà tacciata di stregoneria e arsa sul rogo dal pio quanto maledettissimo esponente del clero. In verità, e qui smetto di raccontare la storia, Brimstone si sviluppa in modo ancora differente, facendo ricorso ad un'interessante divisione in capitoli e ad una tecnica di narrazione a ritroso che svela il terrificante arcano in maniera elegante, efficace e a dir poco scioccante.
Koolhoven racconta una società estremamente maschilista dal punto di vista di una donna, anzi, di più donne che ne hanno viste di cotte e di crude, il cui unico desiderio è una vita serena in cui le proprie figlie possano crescere senza il timore di venire insidiate da orchi che le vedono come un mero accessorio arrivando a stravolgere ogni legge, terrena o divina, per rafforzare la loro presunta supremazia maschile. E' angosciante il modo in cui, nel film, tutto ciò che dovrebbe di regola essere "puro" o comunque "giusto" venga ignobilmente corrotto per i bisogni di una singola persona capace di fare leva sull'ignoranza di una congregazione di fedeli oppure su quella di un branco di bifolchi assetati di sangue, eppure è probabilmente quello che succedeva all'epoca, anche se noi, quando pensiamo a "western", pensiamo ad eroici sceriffi solitari dal grilletto facile per i quali le donne sono un allegro "di più", un premio alla fine di un'avventura. Nonostante l'introduzione e nonostante l'adozione di un punto di vista prettamente femminile, in Brimstone non ci sono però eroine infallibili alla Beatrix Kiddo ma solo donne che cercano disperatamente di sopravvivere in un mondo pronto a masticarle e sputarle, una società che non perdona e offre come via di fuga solamente la morte. Diverse storie scorrono parallele nel film, con rimandi continui all'una o all'altra linea temporale, ma la morte è l'unica costante di ognuna di essere, assieme al terrore; i deboli ricorrono alla morte per fuggire a un destino ingrato, lasciando le persone amate in balia del pericolo, alcuni la sfruttano proprio per proteggere i propri cari, altri le vanno incontro con serenità, consapevoli di amare ed essere amati e, soprattutto, di avere fatto tutto il necessario per coloro che sono riusciti a rimanere in vita. Non si vede tanto gore in Brimstone ma c'è tanta, tantissima violenza. E non è tanto quella fisica a turbare, ché la maggior parte delle scene scioccanti rimane fortunatamente fuori campo, quanto quella psicologica, l'angoscia di quasi tre ore di umiliazioni, ingiustizie, torture e orribili pensieri che vanno a formarsi inevitabilmente nella mente dello spettatore. Strano trovare tanta bellezza nell'orrore e viceversa, eppure Brimstone ci riesce e, anche solo per questo, è un film che merita di essere visto e amato, anche se forse una seconda visione risulterebbe molto difficile, più della prima.
Di Dakota Fanning (Liz), Guy Pearce (il Reverendo) e Carice Van Houten (Alice) ho già parlato ai rispettivi link.
Martin Koolhoven è il regista e sceneggiatore della pellicola. Originario dei Paesi Bassi, ha diretto film come Schnitzel Paradise e Winter in Wartime, entrambi inediti in Italia. Anche attore, ha 49 anni.
Paul Anderson interpreta Frank. Inglese, ha partecipato a film come A Lonely Place to Die, Sherlock Holmes - Gioco di ombre, Legend, Revenant - Redivivo e a serie come Doctor Who. Ha 39 anni e un film in uscita.
Kit Harington interpreta Samuel. Inglese, famosissimo Jon Snow della serie Il trono di spade, ha partecipato a film come Silent Hill: Revelation 3D e da doppiatore ha lavorato nel film Dragon Trainer 2. Anche sceneggiatore e produttore, ha 32 anni e un film in uscita.
Se avete pensato che l'attore che interpreta Wolf vi ricordasse qualcuno, per esempio Tim Roth, siete sulla giusta strada: trattasi infatti del figlio Jack, comparso anche in Rogue One e L'uomo di neve. Carla Juri, che interpreta Elizabeth Brundy, era invece la dottoressa Ana Stelline dell'ultimo Blade Runner 2049. A Mia Wasikowska era stato offerto il ruolo di protagonista ma l'attrice ha rinunciato per prendersi un periodo di riposo; la sua defezione ha causato un po' di ritardi in fase di produzione e, pensando che il film non si facesse più, anche Robert Pattinson si è tirato indietro, lasciando il posto a Kit Harrington (e pentendosene amaramente una volta visto il film...). Se Brimstone vi fosse piaciuto recuperate La morte corre sul fiume, The Hateful Eight e Bone Tomahawk. ENJOY!
Trama: l'arrivo di un nuovo reverendo sconvolge la vita di una tranquilla famiglia ai tempi del Far West...
Mi avevano avvertita che Brimstone sarebbe stato un bel calcio nello stomaco ma francamente speravo nelle solite iperboli risolvibili in un "nulla di fatto". E, detto in tutta sincerità, l'ambientazione da western e la durata di quasi tre ore mi hanno causato più di un dubbio all'inizio, uno scompenso durato un minuto scarso perché Brimstone agguanta lo spettatore alla gola fin da subito e lo percuote, senza lasciarlo andare, fino alla fine della pellicola. Pur non essendo un horror vero e proprio, Brimstone mette in scena l'Orrore con la O maiuscola, quel genere di situazione che porta qualsiasi persona dotata di un cervello a bestemmiare ogni divinità pregando che l'antagonista principale crepi nel modo peggiore possibile e a coprirsi gli occhi davanti a cose inenarrabili; è quel genere di film che ti conforta con la bellezza di una regia e una fotografia prive di difetti, pulite e bellissime, intanto che ti racconta le peggio bastardate di un mondo rigurgitante ignoranza. Fulcro della storia è Liz, una bravissima Dakota Fanning, "ostetrica" del villaggio nonché muta. L'aura che avvolge Liz è misteriosa e il suo lavoro in una società particolare ed isolata come quella del far west (il film a occhio e croce è ambientato nel diciannovesimo secolo) è in odore di stregoneria e proprio la caccia alle streghe pare la direzione in cui è rivolto Brimstone, almeno all'inizio. L'arrivo del nuovo reverendo, interpretato dal più cattivo Guy Pearce che abbia mai visto sullo schermo, turba visibilmente Liz, al punto che lo spettatore horror più smaliziato potrebbe immaginare un paio di svolte della trama, ovvero quella in cui il reverendo in realtà è l'Anticristo (e tutto lo farebbe supporre, ma anche un fantasma, come hanno fatto notare alcuni critici) oppure quella in cui Liz verrà tacciata di stregoneria e arsa sul rogo dal pio quanto maledettissimo esponente del clero. In verità, e qui smetto di raccontare la storia, Brimstone si sviluppa in modo ancora differente, facendo ricorso ad un'interessante divisione in capitoli e ad una tecnica di narrazione a ritroso che svela il terrificante arcano in maniera elegante, efficace e a dir poco scioccante.
Koolhoven racconta una società estremamente maschilista dal punto di vista di una donna, anzi, di più donne che ne hanno viste di cotte e di crude, il cui unico desiderio è una vita serena in cui le proprie figlie possano crescere senza il timore di venire insidiate da orchi che le vedono come un mero accessorio arrivando a stravolgere ogni legge, terrena o divina, per rafforzare la loro presunta supremazia maschile. E' angosciante il modo in cui, nel film, tutto ciò che dovrebbe di regola essere "puro" o comunque "giusto" venga ignobilmente corrotto per i bisogni di una singola persona capace di fare leva sull'ignoranza di una congregazione di fedeli oppure su quella di un branco di bifolchi assetati di sangue, eppure è probabilmente quello che succedeva all'epoca, anche se noi, quando pensiamo a "western", pensiamo ad eroici sceriffi solitari dal grilletto facile per i quali le donne sono un allegro "di più", un premio alla fine di un'avventura. Nonostante l'introduzione e nonostante l'adozione di un punto di vista prettamente femminile, in Brimstone non ci sono però eroine infallibili alla Beatrix Kiddo ma solo donne che cercano disperatamente di sopravvivere in un mondo pronto a masticarle e sputarle, una società che non perdona e offre come via di fuga solamente la morte. Diverse storie scorrono parallele nel film, con rimandi continui all'una o all'altra linea temporale, ma la morte è l'unica costante di ognuna di essere, assieme al terrore; i deboli ricorrono alla morte per fuggire a un destino ingrato, lasciando le persone amate in balia del pericolo, alcuni la sfruttano proprio per proteggere i propri cari, altri le vanno incontro con serenità, consapevoli di amare ed essere amati e, soprattutto, di avere fatto tutto il necessario per coloro che sono riusciti a rimanere in vita. Non si vede tanto gore in Brimstone ma c'è tanta, tantissima violenza. E non è tanto quella fisica a turbare, ché la maggior parte delle scene scioccanti rimane fortunatamente fuori campo, quanto quella psicologica, l'angoscia di quasi tre ore di umiliazioni, ingiustizie, torture e orribili pensieri che vanno a formarsi inevitabilmente nella mente dello spettatore. Strano trovare tanta bellezza nell'orrore e viceversa, eppure Brimstone ci riesce e, anche solo per questo, è un film che merita di essere visto e amato, anche se forse una seconda visione risulterebbe molto difficile, più della prima.
Di Dakota Fanning (Liz), Guy Pearce (il Reverendo) e Carice Van Houten (Alice) ho già parlato ai rispettivi link.
Martin Koolhoven è il regista e sceneggiatore della pellicola. Originario dei Paesi Bassi, ha diretto film come Schnitzel Paradise e Winter in Wartime, entrambi inediti in Italia. Anche attore, ha 49 anni.
Paul Anderson interpreta Frank. Inglese, ha partecipato a film come A Lonely Place to Die, Sherlock Holmes - Gioco di ombre, Legend, Revenant - Redivivo e a serie come Doctor Who. Ha 39 anni e un film in uscita.
Kit Harington interpreta Samuel. Inglese, famosissimo Jon Snow della serie Il trono di spade, ha partecipato a film come Silent Hill: Revelation 3D e da doppiatore ha lavorato nel film Dragon Trainer 2. Anche sceneggiatore e produttore, ha 32 anni e un film in uscita.
Se avete pensato che l'attore che interpreta Wolf vi ricordasse qualcuno, per esempio Tim Roth, siete sulla giusta strada: trattasi infatti del figlio Jack, comparso anche in Rogue One e L'uomo di neve. Carla Juri, che interpreta Elizabeth Brundy, era invece la dottoressa Ana Stelline dell'ultimo Blade Runner 2049. A Mia Wasikowska era stato offerto il ruolo di protagonista ma l'attrice ha rinunciato per prendersi un periodo di riposo; la sua defezione ha causato un po' di ritardi in fase di produzione e, pensando che il film non si facesse più, anche Robert Pattinson si è tirato indietro, lasciando il posto a Kit Harrington (e pentendosene amaramente una volta visto il film...). Se Brimstone vi fosse piaciuto recuperate La morte corre sul fiume, The Hateful Eight e Bone Tomahawk. ENJOY!
venerdì 26 gennaio 2018
A Dark Song (2016)
Quando mi sono fatta male alla gamba è scattata automatica la domanda per Lucia, ovvero "quali horror consigli di vedere entro la fine del 2017?" e lei, prontissima, ha nominato tra i primi A Dark Song, diretto e sceneggiato dal regista Liam Gavin.
Trama: per veder realizzato il suo più grande desiderio la giovane Sophia cerca l'aiuto di un occultista e assieme a lui tenta di portare a compimento un pericoloso e lunghissimo rito.
Per chi ormai è stufo di vedere horror faciloni dove qualunque streppone può improvvisarsi evocatore di demoni, esorcista o valvola di sfogo per qualunque cosa si nasconda nell'aldilà, il primo (e speriamo non sia l'ultimo) lungometraggio di Liam Gavin è una bella boccata di aria fresca. Invece di puntare sul risultato finale come accade quasi sempre, il regista ci descrive il viaggio, difficile e terribile, di una donna pronta a fare qualunque cosa pur di esaudire il suo desiderio più grande. Invece di raccontare i soliti effetti di un rito andato male, Liam Gavin sceglie un percorso più tortuoso e, se vogliamo, meno "appetibile" per il pubblico mainstream, e decide di mostrarci nei dettagli il rito con tutti i suoi preparativi, i problemi più "concreti", la noia della ripetitività, il dolore di chi deve sottoporsi a prove indicibili, la frustrazione nel non vedersi sbucare davanti agli occhi fin da subito angeli e demoni pronti ad esaudire ogni nostra richiesta e anche l'eccitazione di percepire i primi risultati. Il tutto filtrato dalla percezione di due protagonisti agli antipodi: da una parte abbiamo Sophia, "neofita" pronta a tutto pur di arrivare alla fine del rito, dall'altra abbiamo Joseph, sedicente esperto che vorrebbe solo scomparire dalla faccia della Terra per non venire più costretto a ricorrere alle sue scomode conoscenze. L'interazione tra i due, caratterizzata da una reciproca diffidenza sconfinante a tratti nell'odio, è ciò che rende il film dinamico e porta lo spettatore a non rilassarsi nel corso della visione perché sia l'una che l'altro sono potenzialmente due bombe pronte a scoppiare e a mandare a gambe all'aria il rito con tutte le conseguenze nefaste del caso. In più, se Sophia viene descritta come una donna decisa e "dura", Joseph viene invece caratterizzato fin dall'inizio come una figura borderline, un ubriacone in odore di cialtroneria che potrebbe anche soltanto volere approfittarsi di Sophia, non tanto per i soldi promessi dalla donna ma per soddisfare un perverso desiderio di potere e prevaricazione su una persona totalmente ignorante e disperata.
Osservare lo sviluppo del rituale, nella fattispecie l'Operazione di Abramelin che punta a consentire un contatto con l'angelo custode di chi vi partecipa, è interessante sia per l'approccio realistico del regista e sceneggiatore, che non ricorre a particolari effetti visivi o operazioni raccapriccianti ma riesce comunque a trasmettere tensione e ad ammantare ogni segmento del rito di un fascino particolare, sia per il modo in cui viene sviluppato il rapporto tra Sophia e Joseph, due anime solitarie e doloranti che scoprono di avere in comune più di quanto entrambi non immaginassero. Quando invece A Dark Song entra nel "vivo" (più o meno nel quarto d'ora finale di pellicola), Liam Gavin sbriglia la fantasia ricorrendo ad un terribile bestiario di demoni, accontentando così chi si sarebbe aspettato un horror tout court, e punta ad abbattere lo spettatore con un terrificante senso di claustrofobia dato dai più classici cliché del genere, tra i quali spiccano corridoi bui, luoghi dai quali è impossibile uscire, porte chiuse dietro le quali può nascondersi qualsiasi nefandezza e, soprattutto, moltissime ombre capaci di illudere personaggi e spettatori. Prima però che subentri l'elemento puramente horror ci pensano Steve Oram e Catherine Walker a reggere da soli l'intero film; in particolare, l'ex "Killer in Viaggio" offre un'interpretazione capace di fissarsi nella memoria dello spettatore e di arricchire con sfumature particolari e quasi malinconiche la solita figura dell'occultista costretto a vivere ai margini della società, ubriacone ed iracondo, mentre la Walker si carica sulle spalle un personaggio difficile e dai mille segreti, un carattere forte con un solo, incredibile terrore, quello di abbandonarsi al perdono e alla speranza. In definitiva, A Dark Song è un film molto bello che però richiede allo spettatore la stessa cosa che il rito di Abramelin richiede ai due officianti, ovvero pazienza e buona predisposizione d'animo. E magari qualcuno che lo faccia conoscere, com'è successo a me!
Di Steve Oram, che interpreta Joseph Solomon, ho già parlato QUI.
Liam Gavin è il regista e sceneggiatore della pellicola. Irlandese/Gallese è al suo primo lungometraggio e ha un film in uscita.
Trama: per veder realizzato il suo più grande desiderio la giovane Sophia cerca l'aiuto di un occultista e assieme a lui tenta di portare a compimento un pericoloso e lunghissimo rito.
Per chi ormai è stufo di vedere horror faciloni dove qualunque streppone può improvvisarsi evocatore di demoni, esorcista o valvola di sfogo per qualunque cosa si nasconda nell'aldilà, il primo (e speriamo non sia l'ultimo) lungometraggio di Liam Gavin è una bella boccata di aria fresca. Invece di puntare sul risultato finale come accade quasi sempre, il regista ci descrive il viaggio, difficile e terribile, di una donna pronta a fare qualunque cosa pur di esaudire il suo desiderio più grande. Invece di raccontare i soliti effetti di un rito andato male, Liam Gavin sceglie un percorso più tortuoso e, se vogliamo, meno "appetibile" per il pubblico mainstream, e decide di mostrarci nei dettagli il rito con tutti i suoi preparativi, i problemi più "concreti", la noia della ripetitività, il dolore di chi deve sottoporsi a prove indicibili, la frustrazione nel non vedersi sbucare davanti agli occhi fin da subito angeli e demoni pronti ad esaudire ogni nostra richiesta e anche l'eccitazione di percepire i primi risultati. Il tutto filtrato dalla percezione di due protagonisti agli antipodi: da una parte abbiamo Sophia, "neofita" pronta a tutto pur di arrivare alla fine del rito, dall'altra abbiamo Joseph, sedicente esperto che vorrebbe solo scomparire dalla faccia della Terra per non venire più costretto a ricorrere alle sue scomode conoscenze. L'interazione tra i due, caratterizzata da una reciproca diffidenza sconfinante a tratti nell'odio, è ciò che rende il film dinamico e porta lo spettatore a non rilassarsi nel corso della visione perché sia l'una che l'altro sono potenzialmente due bombe pronte a scoppiare e a mandare a gambe all'aria il rito con tutte le conseguenze nefaste del caso. In più, se Sophia viene descritta come una donna decisa e "dura", Joseph viene invece caratterizzato fin dall'inizio come una figura borderline, un ubriacone in odore di cialtroneria che potrebbe anche soltanto volere approfittarsi di Sophia, non tanto per i soldi promessi dalla donna ma per soddisfare un perverso desiderio di potere e prevaricazione su una persona totalmente ignorante e disperata.
Osservare lo sviluppo del rituale, nella fattispecie l'Operazione di Abramelin che punta a consentire un contatto con l'angelo custode di chi vi partecipa, è interessante sia per l'approccio realistico del regista e sceneggiatore, che non ricorre a particolari effetti visivi o operazioni raccapriccianti ma riesce comunque a trasmettere tensione e ad ammantare ogni segmento del rito di un fascino particolare, sia per il modo in cui viene sviluppato il rapporto tra Sophia e Joseph, due anime solitarie e doloranti che scoprono di avere in comune più di quanto entrambi non immaginassero. Quando invece A Dark Song entra nel "vivo" (più o meno nel quarto d'ora finale di pellicola), Liam Gavin sbriglia la fantasia ricorrendo ad un terribile bestiario di demoni, accontentando così chi si sarebbe aspettato un horror tout court, e punta ad abbattere lo spettatore con un terrificante senso di claustrofobia dato dai più classici cliché del genere, tra i quali spiccano corridoi bui, luoghi dai quali è impossibile uscire, porte chiuse dietro le quali può nascondersi qualsiasi nefandezza e, soprattutto, moltissime ombre capaci di illudere personaggi e spettatori. Prima però che subentri l'elemento puramente horror ci pensano Steve Oram e Catherine Walker a reggere da soli l'intero film; in particolare, l'ex "Killer in Viaggio" offre un'interpretazione capace di fissarsi nella memoria dello spettatore e di arricchire con sfumature particolari e quasi malinconiche la solita figura dell'occultista costretto a vivere ai margini della società, ubriacone ed iracondo, mentre la Walker si carica sulle spalle un personaggio difficile e dai mille segreti, un carattere forte con un solo, incredibile terrore, quello di abbandonarsi al perdono e alla speranza. In definitiva, A Dark Song è un film molto bello che però richiede allo spettatore la stessa cosa che il rito di Abramelin richiede ai due officianti, ovvero pazienza e buona predisposizione d'animo. E magari qualcuno che lo faccia conoscere, com'è successo a me!
Di Steve Oram, che interpreta Joseph Solomon, ho già parlato QUI.
Liam Gavin è il regista e sceneggiatore della pellicola. Irlandese/Gallese è al suo primo lungometraggio e ha un film in uscita.
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giovedì 25 gennaio 2018
(Gio)WE, Bolla! del 25/1/2018
Buon gioved...no, dai, oggi non si può dire. Perdiana (ed è proprio il caso di dirlo visto il nome del Multisala), alla faccia delle quattro nomination all'Oscar CHIAMAMI COL TUO NOME NON E' USCITO! Ma dove ca**o viviamo, in Burundi? Peggio! Perché perlomeno in Burundi non hanno Ligabue!
Downsizing - Vivere alla grande
Made in Italy
Finalmente sposi
Al cinema d'élite si respira invece profumo di Oscar, per quanto straniero... (Nuovofilmstudio, conto su di te per Guadagnino!! Non farmi aspettare troppo...)
Corpo e anima
Downsizing - Vivere alla grande
Reazione a caldo: Macheccazz...?
Bolla, rifletti!: Rimpicciolirsi per vivere meglio? Per carità di Dio, popò di regista e popò di attori, però davvero non c'era nulla di meglio da fare uscire al cinema piuttosto che una commedia sci-fi di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza?Made in Italy
Reazione a caldo: ARGH!
Bolla, rifletti!: Scusate ma per me Ligabue è un cantante sopravvalutato e lo stesso vale per Accorsi come attore. Radiofreccia era già una bella camurria, questo film non voglio vederlo nemmeno per sbaglio. Vergogna.Finalmente sposi
Reazione a caldo: ARGHISSIMO!
Bolla, rifletti!: Lello Arena vs Guadagnino. Non dovrebbe esserci confronto ma a quanto pare a Savona, che sta diventando noto covo di imbelli forzanuovisti, preferiamo le storie di sposini novelli immigrati all'estero a quelle di amori omosessuali (Dio non vogliaaa!!!).Al cinema d'élite si respira invece profumo di Oscar, per quanto straniero... (Nuovofilmstudio, conto su di te per Guadagnino!! Non farmi aspettare troppo...)
Corpo e anima
Reazione a caldo: Mah...
Bolla, rifletti!: Forse di tutti i candidati è quello che mi intriga meno ma magari questa storia di amore onirico e prosaica realtà riuscirà a conquistarmi... forse!mercoledì 24 gennaio 2018
Il Bollodromo #43 - Marvel's Runaways - Stagione 1
In questi tempi ho guardato un sacco di serie e miniserie assai belle (la seconda stagione de L'esorcista, Stranger Things e Wolf Creek - di quest'ultima trovate un bellissimo articolo QUI -, Dark - di cui lascio parlare l'appassionata Kara Lafayette -, e Piccole donne della BBC) ma l'unica di cui ho davvero voglia di parlare è Marvel's Runaways, mandata in onda sul canale on demand Hulu e tratta dal fumetto creato da Brian K. Vaughan e Adrian Alphona. ENJOY!
Di cosa parla?
Runaways, come il fumetto Marvel da cui è tratta, racconta la storia di un gruppo di facoltosi ragazzini che un giorno scoprono di essere figli di supercriminali e cercano di fare tutto il possibile per mandare all'aria i loro piani... anche perché i pargoli sono dotati di poteri o gadget magici/tecnologici, quindi non esattamente degli sprovveduti!
Cose che mi sono piaciute
Avevo letto i primi tre volumi di Runaways una decina di anni fa, nel periodo in cui, essendo squattrinata, i fumetti me li facevo perlopiù prestare. Nonostante mi fosse piaciuto molto, quindi, non avevo cominciato ad acquistarlo e probabilmente anche il mio "spacciatore" aveva fatto lo stesso, però ne ho conservato un bel ricordo, al punto che quando ho cominciato a leggere della miniserie su Hulu ho deciso di darle una chance. Di cose belle, anzi, bellissime, Runaways ne ha in abbondanza, a cominciare dal modo in cui la sceneggiatura aggiusta il tiro di un fumetto MOLTO supereroistico cercando di riportare i personaggi ad una dimensione più "reale": niente dunque genitori supervillain con tanto di costumi a tema, quanto piuttosto un gruppo di persone che usano le loro capacità "normali" (per dire, i genitori di Alex sono un'avvocatessa e un ex gangsta, la madre di Chase è addirittura una semplice casalinga vessata dal marito...) e vengono riunite sotto l'egida della misteriosa organizzazione P.R.I.D.E. per motivi che diverranno chiari nel corso della serie. Anche la graduale scoperta dei figli di quanto i genitori siano in realtà malvagi e di come ognuno dei ragazzi sia speciale è accompagnata da un ottimo approfondimento psicologico che porta gli spettatori a interessarsi innanzitutto alle vicende umane di protagonisti e antagonisti, così da andare incontro a chi non conoscesse il fumetto e da sorprendere anche i lettori abituali, senza mai giocare la carta "supereroi vs supercriminali"; nel momento in cui il gioco si fa più "serio", i realizzatori non esagerano con effetti speciali d'accatto, bensì si concentrano su pochi elementi da realizzare bene (Old Lace o la pelle di Karolina, per esempio) e portano a casa la pagnotta molto meglio di quanto stiano facendo gli showrunners di The Gifted, partita benissimo e degradata a cugino povero di Heroes nel giro di un paio di puntate. Gli attori sono tutti validissimi e il cast nasconde tre bellissime sorprese per chi è cresciuto a pane e serie anni '90 come me. Quando guardavo Alias, adoravo il geniale ma goffo Marshall e ritrovare Kevin Weisman è stata per me una gioia enorme... quasi più del ritrovare un James Marsters bravissimo ma invecchiato maluccio, al punto che più che lo zio di Spike ora pare il nonno di quel gran figo del Signor Giles. Chi non viene toccato dagli anni che passano è invece il re australiano di tutti gli gnocchi del giovedì, Mr. Julian McMahon, in un ruolo perfetto per la sua innegabile natura di Highlander e Stronzone fatto e finito. Altro che Mr. Grey, per piacere. Ah, anche la sigla è accattivante, nella sua semplicità assoluta.
Cose che non mi sono piaciute
L'unico difetto che ha Runaways è di concludersi nel momento clou, lasciando lo spettatore prostrato a terra a contare i giorni che lo separano dall'uscita della seconda stagione, confermata proprio in queste settimane. Se proprio vogliamo chiamarlo difetto, eh.
E quindi?
E quindi se siete stufi di supereroi in stile MCU o DC e se non siete propensi ad affrontare le atmosfere cupe di quelli Netflix ma cercate qualcosa che mescoli "teen drama" colorato e atmosfere thriller con qualche suggestione da fumetto di inizio millennio Marvel's Runaways è ciò che fa per voi. Io mi sono innamorata di tutti i personaggi, buoni e cattivi, e già mi mancano. Ora aspetto che Hulu sforni anche Marvel's Cloak & Dagger, che se il buongiorno si vede dal mattino...!
Di cosa parla?
Runaways, come il fumetto Marvel da cui è tratta, racconta la storia di un gruppo di facoltosi ragazzini che un giorno scoprono di essere figli di supercriminali e cercano di fare tutto il possibile per mandare all'aria i loro piani... anche perché i pargoli sono dotati di poteri o gadget magici/tecnologici, quindi non esattamente degli sprovveduti!
Cose che mi sono piaciute
Avevo letto i primi tre volumi di Runaways una decina di anni fa, nel periodo in cui, essendo squattrinata, i fumetti me li facevo perlopiù prestare. Nonostante mi fosse piaciuto molto, quindi, non avevo cominciato ad acquistarlo e probabilmente anche il mio "spacciatore" aveva fatto lo stesso, però ne ho conservato un bel ricordo, al punto che quando ho cominciato a leggere della miniserie su Hulu ho deciso di darle una chance. Di cose belle, anzi, bellissime, Runaways ne ha in abbondanza, a cominciare dal modo in cui la sceneggiatura aggiusta il tiro di un fumetto MOLTO supereroistico cercando di riportare i personaggi ad una dimensione più "reale": niente dunque genitori supervillain con tanto di costumi a tema, quanto piuttosto un gruppo di persone che usano le loro capacità "normali" (per dire, i genitori di Alex sono un'avvocatessa e un ex gangsta, la madre di Chase è addirittura una semplice casalinga vessata dal marito...) e vengono riunite sotto l'egida della misteriosa organizzazione P.R.I.D.E. per motivi che diverranno chiari nel corso della serie. Anche la graduale scoperta dei figli di quanto i genitori siano in realtà malvagi e di come ognuno dei ragazzi sia speciale è accompagnata da un ottimo approfondimento psicologico che porta gli spettatori a interessarsi innanzitutto alle vicende umane di protagonisti e antagonisti, così da andare incontro a chi non conoscesse il fumetto e da sorprendere anche i lettori abituali, senza mai giocare la carta "supereroi vs supercriminali"; nel momento in cui il gioco si fa più "serio", i realizzatori non esagerano con effetti speciali d'accatto, bensì si concentrano su pochi elementi da realizzare bene (Old Lace o la pelle di Karolina, per esempio) e portano a casa la pagnotta molto meglio di quanto stiano facendo gli showrunners di The Gifted, partita benissimo e degradata a cugino povero di Heroes nel giro di un paio di puntate. Gli attori sono tutti validissimi e il cast nasconde tre bellissime sorprese per chi è cresciuto a pane e serie anni '90 come me. Quando guardavo Alias, adoravo il geniale ma goffo Marshall e ritrovare Kevin Weisman è stata per me una gioia enorme... quasi più del ritrovare un James Marsters bravissimo ma invecchiato maluccio, al punto che più che lo zio di Spike ora pare il nonno di quel gran figo del Signor Giles. Chi non viene toccato dagli anni che passano è invece il re australiano di tutti gli gnocchi del giovedì, Mr. Julian McMahon, in un ruolo perfetto per la sua innegabile natura di Highlander e Stronzone fatto e finito. Altro che Mr. Grey, per piacere. Ah, anche la sigla è accattivante, nella sua semplicità assoluta.
Cose che non mi sono piaciute
L'unico difetto che ha Runaways è di concludersi nel momento clou, lasciando lo spettatore prostrato a terra a contare i giorni che lo separano dall'uscita della seconda stagione, confermata proprio in queste settimane. Se proprio vogliamo chiamarlo difetto, eh.
E quindi?
E quindi se siete stufi di supereroi in stile MCU o DC e se non siete propensi ad affrontare le atmosfere cupe di quelli Netflix ma cercate qualcosa che mescoli "teen drama" colorato e atmosfere thriller con qualche suggestione da fumetto di inizio millennio Marvel's Runaways è ciò che fa per voi. Io mi sono innamorata di tutti i personaggi, buoni e cattivi, e già mi mancano. Ora aspetto che Hulu sforni anche Marvel's Cloak & Dagger, che se il buongiorno si vede dal mattino...!
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martedì 23 gennaio 2018
L'ora più buia (2017)
Un altro piccolo passo verso gli Oscar, su, che oggi ci sono le nomination. Nel weekend ho visto L'ora più buia (Darkest Hour), diretto nel 2017 dal regista Joe Wright e vincitore del Golden Globe per il Miglior Attore Drammatico.
Trama: nell'ora più buia della seconda guerra mondiale, Winston Churchill diventa primo ministro e si ritrova a dover arginare l'inarrestabile avanzata di Hitler...
Avvertenza: il post è scritto da una persona che non studia storia dal 2005, anno dell'esame di Storia Contemporanea, per l'appunto, quindi tutto ciò che leggerete viene desunto dalla visione del film e dalla lettura di un articolo su Wikipedia dedicato alla Battaglia di Gallipoli. La cosa che ho maggiormente apprezzato de L'ora più buia, al di là dell'interpretazione di Oldman sulla quale tornerò, è la scelta di non raccontare la vita di Churchill, bensì il momento più critico per lui, per l'Inghilterra e per l'Europa intera. Un momento storico ben definito che ha rischiato di consegnare il Vecchio Mondo nelle mani della folle dittatura nazista, cosa non avvenuta per qualcosa che non esiterei a definire "botta di culo" piuttosto che "geniale scelta tattica delle forze avversarie"; ben lontano dall'essere fine stratega, il Churchill presentato al pubblico del 2017 è una figura controversa, quasi un po' fastidiosa, un uomo coraggioso e testardo ma anche rabbioso e dalle idee in qualche modo discutibili se considerate senza il senno di poi, con gli occhi di chi è stato abbandonato a Calais o di chi auspicava sicuri trattati di pace onde fermare battaglie e morti inutili. Sul Churchill de L'ora più buia pesa ancora l'esito terrificante della Campagna di Gallipoli, praticamente "decisa" dall'allora primo Lord dell'Ammiragliato (in realtà, come spesso accade, pare che Churchill fosse diventato il capro espiatorio ma la colpa della disfatta andrebbe attribuita anche ad altri membri del governo dell'epoca...), pesano allo stesso modo l'età non più giovanissima, la diffidenza degli altri membri del governo, una vita passata a rinunciare all'umanità in favore di cose più "materiali" (simpatiche ma anche angoscianti le interazioni con la moglie e i figli), la consapevolezza di avere tra le mani la vita di valenti soldati e di un'intera nazione e ovviamente è per questo che alla fine si arriva a parteggiare per lui in quanto "tutto è bene quel che è finito bene", alla faccia di Re Bertie, Halifax e tutti quelli che non la pensavano come il primo ministro. Detto questo, non bisogna pensare che L'ora più buia sia un film semplice o con un unico punto di vista, anzi. Mi è sembrato piuttosto che la sceneggiatura stesse bene attenta a bilanciare l'elemento storico e quello umano senza propendere troppo per l'uno o l'altro, assecondando ovvie scelte di "spettacolarizzazione" soprattutto nel prefinale e scegliendo pochi interlocutori dotati di uno sguardo privilegiato verso i dubbi dell'uomo Churchill (la moglie, la segretaria e Re Giorgio VI), anche perché per focalizzare tutta l'attenzione su di lui basterebbe "solo" la grande interpretazione di Gary Oldman.
Ammetto sinceramente che senza la performance di Oldman il film sarebbe poco più di un divertissement storico, da dimenticare il giorno dopo la visione. La regia di Joe Wright, tolte un paio di sequenze emozionanti concentrate nel primo discorso via radio di Churchill, il famigerato confronto all'interno della war room e il triste destino dei soldati a Calais, non è esaltante come mi sarei aspettata, nonostante la cura profusa nelle scenografie e la scelta di una bella fotografia, capace di illuminare anche gli ambienti soffocanti del consiglio di guerra. Per contro, Gary Oldman si mangia un cast non particolarmente memorabile (salvo forse l'elegante Kristin Scott Thomas nei panni di Clementine Churchill), inghiotte tutto ciò che lo circonda non già in virtù di un trucco prostetico fatto bene e capace di renderlo irriconoscibile ma per merito dei suoi occhi tormentati, lo sguardo penetrante che spunta sotto quel trucco da vecchio ciccione; all'interno della "maschera" di Churchill c'è un attore capace di renderlo vivo con una fisicità fatta di tic e tirate compulsive di sigaro e, soprattutto, con un terrificante lavoro sulla voce. Il Churchill di Oldman passa nel giro di pochissimo dall'essere un politico sanguigno (e probabilmente sanguinario, chissà) dotato di una voce roboante, capace di trascinare collaboratori e masse in una missione praticamente suicida, all'essere un vecchio balbettante, smarrito nelle incertezze di una responsabilità attesa ma giunta probabilmente troppo tardi, proprio nel momento in cui mente e fisico non sono nella loro forma migliore, al punto da fare quasi tenerezza. Per questo, senza nulla togliere ai doppiatori italiani (in questo caso abbiamo quello di Tony Soprano e Walter White, Stefano De Sando, abbonato quindi a ruoli di uomini ruvidi e non più di primo pelo), consiglierei la visione de L'ora più buia in una sala che lo proietti in lingua originale, altrimenti rischiereste di perdervi tutto ciò che fa della pellicola di Joe Wright un film imperdibile e meritevole di almeno un Oscar.
Del regista Joe Wright ho già parlato QUI. Gary Oldman (Winston Churchill), Ben Mendelsohn (Re Giorgio VI), Lily James (Elizabeth Layton) e Ronald Pickup (Neville Chamberlain) li trovate invece ai rispettivi link.
Kristin Scott Thomas interpreta Clemmie. Inglese, ha partecipato a film come Quattro matrimoni e un funerale, Mission: Impossible, Il paziente inglese e Gosford Park. Anche regista, ha 57 anni e tre film in uscita.
Triste ironia: John Hurt, malato di cancro, avrebbe dovuto interpretare un personaggio che ha condiviso il suo triste destino, Neville Chamberlain, ma stava talmente male che non è riuscito a filmare neppure una scena. L'anno scorso, per la cronaca, è uscito un altro film sul primo ministro inglese, ancora inedito in Italia, ovvero Churchill, dove il personaggio titolare è interpretato da Brian Cox , affiancato da Miranda Richardson; non so dirvi come sia ma se L'ora più buia vi fosse piaciuto potete provare a recuperarlo assieme a Dunkirk e Il discorso del re. ENJOY!
Trama: nell'ora più buia della seconda guerra mondiale, Winston Churchill diventa primo ministro e si ritrova a dover arginare l'inarrestabile avanzata di Hitler...
Avvertenza: il post è scritto da una persona che non studia storia dal 2005, anno dell'esame di Storia Contemporanea, per l'appunto, quindi tutto ciò che leggerete viene desunto dalla visione del film e dalla lettura di un articolo su Wikipedia dedicato alla Battaglia di Gallipoli. La cosa che ho maggiormente apprezzato de L'ora più buia, al di là dell'interpretazione di Oldman sulla quale tornerò, è la scelta di non raccontare la vita di Churchill, bensì il momento più critico per lui, per l'Inghilterra e per l'Europa intera. Un momento storico ben definito che ha rischiato di consegnare il Vecchio Mondo nelle mani della folle dittatura nazista, cosa non avvenuta per qualcosa che non esiterei a definire "botta di culo" piuttosto che "geniale scelta tattica delle forze avversarie"; ben lontano dall'essere fine stratega, il Churchill presentato al pubblico del 2017 è una figura controversa, quasi un po' fastidiosa, un uomo coraggioso e testardo ma anche rabbioso e dalle idee in qualche modo discutibili se considerate senza il senno di poi, con gli occhi di chi è stato abbandonato a Calais o di chi auspicava sicuri trattati di pace onde fermare battaglie e morti inutili. Sul Churchill de L'ora più buia pesa ancora l'esito terrificante della Campagna di Gallipoli, praticamente "decisa" dall'allora primo Lord dell'Ammiragliato (in realtà, come spesso accade, pare che Churchill fosse diventato il capro espiatorio ma la colpa della disfatta andrebbe attribuita anche ad altri membri del governo dell'epoca...), pesano allo stesso modo l'età non più giovanissima, la diffidenza degli altri membri del governo, una vita passata a rinunciare all'umanità in favore di cose più "materiali" (simpatiche ma anche angoscianti le interazioni con la moglie e i figli), la consapevolezza di avere tra le mani la vita di valenti soldati e di un'intera nazione e ovviamente è per questo che alla fine si arriva a parteggiare per lui in quanto "tutto è bene quel che è finito bene", alla faccia di Re Bertie, Halifax e tutti quelli che non la pensavano come il primo ministro. Detto questo, non bisogna pensare che L'ora più buia sia un film semplice o con un unico punto di vista, anzi. Mi è sembrato piuttosto che la sceneggiatura stesse bene attenta a bilanciare l'elemento storico e quello umano senza propendere troppo per l'uno o l'altro, assecondando ovvie scelte di "spettacolarizzazione" soprattutto nel prefinale e scegliendo pochi interlocutori dotati di uno sguardo privilegiato verso i dubbi dell'uomo Churchill (la moglie, la segretaria e Re Giorgio VI), anche perché per focalizzare tutta l'attenzione su di lui basterebbe "solo" la grande interpretazione di Gary Oldman.
Ammetto sinceramente che senza la performance di Oldman il film sarebbe poco più di un divertissement storico, da dimenticare il giorno dopo la visione. La regia di Joe Wright, tolte un paio di sequenze emozionanti concentrate nel primo discorso via radio di Churchill, il famigerato confronto all'interno della war room e il triste destino dei soldati a Calais, non è esaltante come mi sarei aspettata, nonostante la cura profusa nelle scenografie e la scelta di una bella fotografia, capace di illuminare anche gli ambienti soffocanti del consiglio di guerra. Per contro, Gary Oldman si mangia un cast non particolarmente memorabile (salvo forse l'elegante Kristin Scott Thomas nei panni di Clementine Churchill), inghiotte tutto ciò che lo circonda non già in virtù di un trucco prostetico fatto bene e capace di renderlo irriconoscibile ma per merito dei suoi occhi tormentati, lo sguardo penetrante che spunta sotto quel trucco da vecchio ciccione; all'interno della "maschera" di Churchill c'è un attore capace di renderlo vivo con una fisicità fatta di tic e tirate compulsive di sigaro e, soprattutto, con un terrificante lavoro sulla voce. Il Churchill di Oldman passa nel giro di pochissimo dall'essere un politico sanguigno (e probabilmente sanguinario, chissà) dotato di una voce roboante, capace di trascinare collaboratori e masse in una missione praticamente suicida, all'essere un vecchio balbettante, smarrito nelle incertezze di una responsabilità attesa ma giunta probabilmente troppo tardi, proprio nel momento in cui mente e fisico non sono nella loro forma migliore, al punto da fare quasi tenerezza. Per questo, senza nulla togliere ai doppiatori italiani (in questo caso abbiamo quello di Tony Soprano e Walter White, Stefano De Sando, abbonato quindi a ruoli di uomini ruvidi e non più di primo pelo), consiglierei la visione de L'ora più buia in una sala che lo proietti in lingua originale, altrimenti rischiereste di perdervi tutto ciò che fa della pellicola di Joe Wright un film imperdibile e meritevole di almeno un Oscar.
Del regista Joe Wright ho già parlato QUI. Gary Oldman (Winston Churchill), Ben Mendelsohn (Re Giorgio VI), Lily James (Elizabeth Layton) e Ronald Pickup (Neville Chamberlain) li trovate invece ai rispettivi link.
Kristin Scott Thomas interpreta Clemmie. Inglese, ha partecipato a film come Quattro matrimoni e un funerale, Mission: Impossible, Il paziente inglese e Gosford Park. Anche regista, ha 57 anni e tre film in uscita.
Triste ironia: John Hurt, malato di cancro, avrebbe dovuto interpretare un personaggio che ha condiviso il suo triste destino, Neville Chamberlain, ma stava talmente male che non è riuscito a filmare neppure una scena. L'anno scorso, per la cronaca, è uscito un altro film sul primo ministro inglese, ancora inedito in Italia, ovvero Churchill, dove il personaggio titolare è interpretato da Brian Cox , affiancato da Miranda Richardson; non so dirvi come sia ma se L'ora più buia vi fosse piaciuto potete provare a recuperarlo assieme a Dunkirk e Il discorso del re. ENJOY!
domenica 21 gennaio 2018
Il sangue di Cristo - Da Sweet Blood of Jesus (2014)
A dicembre la Midnight Factory ha portato in Italia, sempre sul mercato dell'home video, anche Il sangue di cristo (Da Sweet Blood of Jesus), diretto e sceneggiato nel 2014 dal regista Spike Lee.
Trama: il Dottor Hess, facoltoso antropologo appassionato di arte africana, viene ucciso dal proprio assistente con una lancia appartenuta ad un'antica civiltà dove le persone si nutrivano di sangue umano per vivere. L'uomo torna in vita dopo poco tempo, trasformato in un "vampiro", e si innamora di Ganja, ex moglie del suo assistente morto suicida...
Prima di cominciare a parlare de Il sangue di Cristo devo fare outing: di Spike Lee ho visto solo La 25ma ora, film peraltro apprezzatissimo, per il resto ciccia. Ciccia perché Mister Lee mi è sempre stato sulle balle a pelle, in quanto il tipo si è imbarcato in una crociata contro Quentin e quando mi toccano l'aMMore regredisco allo stato di bimbaminkia faziosa. Oh. Detto questo, ho fatto voto di recuperare tutto ciò che la Midnight Factory fa uscire in home video quindi mi sono comunque imbarcata nella visione de Il sangue di Cristo, benché scoraggiata da recensioni negative e da un trailer che a definirlo noioso gli si fa un complimento (al punto che il Bolluomo ha detto "questo te lo guardi da sola!") e, forse perché ho avuto la brillante idea di NON guardarlo dopo cena infilata nel letto come al solito bensì di approfittare del fatto che Mirco stesse dando ripetizioni, non mi è dispiaciuto quanto pensavo. Non mi sento nemmeno di consigliarlo, a dire il vero, perché mi ha suscitato sensazioni ambivalenti. Ciò che devo riconoscere a Il sangue di Cristo è una messa in scena assai ricercata che colpisce fin dai titoli di testa, durante i quali il ballerino Lil Buck ipnotizza lo spettatore danzando all'interno di varie location sparse per Brooklin; la musica è l'altro elemento portante della pellicola, espressione dell'atmosfera un po' raffinata, un po' soul, un po' religiosa, un po' tribale, un po' romantica e anche un po' ironica che pervade tutto il film, a seconda dei momenti, e non c'è un solo momento in cui le note della colonna sonora non accompagnino le azioni dei protagonisti, talvolta sovrastandole. Erroneamente, anche perché, come ho detto sopra, non conosco la filmografia di Spike Lee, credevo che il regista fosse abbonato ad atmosfere da ghetto e black power, quindi mi ha colpita la decisione di scegliere un protagonista ricchissimo, dotato persino di maggiordomo, e di indugiare con la macchina da presa sull'opulenza che lo circonda, facendo ampie panoramiche della villa con spiaggia e giardino adiacenti, accarezzando la superficie lucente di macchine di lusso e bicchieri di cristallo, riempiendo ogni ambiente di opere d'arte e persone con abiti eleganti, con l'unica eccezione di una chiesa battista e un paio di ambienti più "degradati" dove Hess va a cercare le sue vittime. Onestamente, dovessi basarmi solo su quello che ho visto e "sentito", potrei dire senza dubbio che Il sangue di Cristo è un film molto bello... il problema è che ha anche una trama e su quella avrei parecchio da ridire.
Da quel che ho letto, Il sangue di Cristo è la versione patinata ma riproposta quasi scena per scena di Ganja & Hess, film sperimentale a tema vampirico realizzato da Bill Gunn negli anni '70. Non ho avuto modo di fare confronti se non guardando qualche spezzone su YouTube che confermerebbe quanto sopra ma, parlando solo della storia, il dramma di Hess lascia un po' il tempo che trova e quell'elemento "sacro" inserito a forza fin dal titolo mi ha abbastanza tediata. Hess è profondamente religioso ma è soprattutto una pittima incredibile, che si fa sopraffare dall'idea di una vita eterna dopo un anno o poco più (per dire, David Bowie in Miriam si sveglia a mezzanotte, film che sicuramente Spike Lee si è visto un paio di volte prima di dirigere il suo "horror", si lasciava andare dopo secoli, un po' di spina dorsale, su!) perché vinto dal senso di colpa derivante dal suo credo; oltre ad essere pittima, costui è però anche paraculo, in quanto non si fa scrupolo a nutrirsi di belle donzelle sfruttando fascino e soldi e, soprattutto, "regala" la vita eterna alla sua sposa Ganja (e non solo a lei, per inciso. Tutti quelli che vengono morsi da Hess diventano vampiri e resuscitano ma lui talvolta se ne pente e li seppellisce per evitare che siano infelici come lui. Si può essere più stronzi e ipocriti?) nel momento esatto in cui lui sta pensando di rinunciare alla propria. No, ma grazie. Potevo vivere fino a cento anni ma tu mi uccidi a trenta e mi lasci pure da sola CHIEDENDOMI di morire con te sotto la Croce? Mah. Non c'è da stupirsi che Ganja, personaggio odioso ma comunque cazzuto, gli faccia un gesto dell'ombrello grande come una casa e, dopo l'ovvio sconcerto iniziale, decida di trarre il meglio dalla nuova condizione. Ma d'altronde, da una che si "innamora" di te solo dopo aver visto l'ingresso della villa, cosa diamine potevi aspettarti? Mah. Quest'immagine un po' blasé e ipocritamente tormentata del vampiro moderno ha fatto un po' il suo tempo e sinceramente mi aspettavo qualcosa di più "sovversivo" da Spike Lee, ecco perché Il sangue di Cristo non mi ha entusiasmata o esaltata come altri film dedicati ai succhiasangue ed ecco perché, nonostante molti pregi, non mi sento di consigliare a tutti questa pellicola. Magari, giusto agli estimatori di Spike Lee o a chi è curioso di vedere la versione black di un vampiro senza dover ricorrere a ciofeche come Vampiro a Brooklin o scavare negli anni '70 e un po' camp di prodotti come Blacula.
Spike Lee (vero nome Shelton Jackson Lee) è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Fa' la cosa giusta, Mo' Better Blues, Jungle Fever, Malcom X, La 25ma ora, Inside Man e Old Boy. Anche produttore e attore, ha 60 anni e un film in uscita.
Nei panni del maggiordomo Seneschal Higginbottom c'è la star di Mr. Robot, l'attore Rami Malek, che aveva già collaborato col regista in Old Boy, mentre le due donne bianche che interpretano le ospiti del protagonista sono Katherine Borowitz, moglie di John Turturro, e Donna Dixon, moglie di Dan Aykroyd. Il film, finanziato da un fondo Kickstarter, è il remake di Ganja & Hess, horror anni '70 scritto e diretto dal regista Bill Gunn, che qui è citato come sceneggiatore; non l'ho mai visto e francamente non ho particolarmente voglia di farlo ma se foste interessati è disponibile per intero su YouTube. ENJOY!
Trama: il Dottor Hess, facoltoso antropologo appassionato di arte africana, viene ucciso dal proprio assistente con una lancia appartenuta ad un'antica civiltà dove le persone si nutrivano di sangue umano per vivere. L'uomo torna in vita dopo poco tempo, trasformato in un "vampiro", e si innamora di Ganja, ex moglie del suo assistente morto suicida...
Prima di cominciare a parlare de Il sangue di Cristo devo fare outing: di Spike Lee ho visto solo La 25ma ora, film peraltro apprezzatissimo, per il resto ciccia. Ciccia perché Mister Lee mi è sempre stato sulle balle a pelle, in quanto il tipo si è imbarcato in una crociata contro Quentin e quando mi toccano l'aMMore regredisco allo stato di bimbaminkia faziosa. Oh. Detto questo, ho fatto voto di recuperare tutto ciò che la Midnight Factory fa uscire in home video quindi mi sono comunque imbarcata nella visione de Il sangue di Cristo, benché scoraggiata da recensioni negative e da un trailer che a definirlo noioso gli si fa un complimento (al punto che il Bolluomo ha detto "questo te lo guardi da sola!") e, forse perché ho avuto la brillante idea di NON guardarlo dopo cena infilata nel letto come al solito bensì di approfittare del fatto che Mirco stesse dando ripetizioni, non mi è dispiaciuto quanto pensavo. Non mi sento nemmeno di consigliarlo, a dire il vero, perché mi ha suscitato sensazioni ambivalenti. Ciò che devo riconoscere a Il sangue di Cristo è una messa in scena assai ricercata che colpisce fin dai titoli di testa, durante i quali il ballerino Lil Buck ipnotizza lo spettatore danzando all'interno di varie location sparse per Brooklin; la musica è l'altro elemento portante della pellicola, espressione dell'atmosfera un po' raffinata, un po' soul, un po' religiosa, un po' tribale, un po' romantica e anche un po' ironica che pervade tutto il film, a seconda dei momenti, e non c'è un solo momento in cui le note della colonna sonora non accompagnino le azioni dei protagonisti, talvolta sovrastandole. Erroneamente, anche perché, come ho detto sopra, non conosco la filmografia di Spike Lee, credevo che il regista fosse abbonato ad atmosfere da ghetto e black power, quindi mi ha colpita la decisione di scegliere un protagonista ricchissimo, dotato persino di maggiordomo, e di indugiare con la macchina da presa sull'opulenza che lo circonda, facendo ampie panoramiche della villa con spiaggia e giardino adiacenti, accarezzando la superficie lucente di macchine di lusso e bicchieri di cristallo, riempiendo ogni ambiente di opere d'arte e persone con abiti eleganti, con l'unica eccezione di una chiesa battista e un paio di ambienti più "degradati" dove Hess va a cercare le sue vittime. Onestamente, dovessi basarmi solo su quello che ho visto e "sentito", potrei dire senza dubbio che Il sangue di Cristo è un film molto bello... il problema è che ha anche una trama e su quella avrei parecchio da ridire.
Da quel che ho letto, Il sangue di Cristo è la versione patinata ma riproposta quasi scena per scena di Ganja & Hess, film sperimentale a tema vampirico realizzato da Bill Gunn negli anni '70. Non ho avuto modo di fare confronti se non guardando qualche spezzone su YouTube che confermerebbe quanto sopra ma, parlando solo della storia, il dramma di Hess lascia un po' il tempo che trova e quell'elemento "sacro" inserito a forza fin dal titolo mi ha abbastanza tediata. Hess è profondamente religioso ma è soprattutto una pittima incredibile, che si fa sopraffare dall'idea di una vita eterna dopo un anno o poco più (per dire, David Bowie in Miriam si sveglia a mezzanotte, film che sicuramente Spike Lee si è visto un paio di volte prima di dirigere il suo "horror", si lasciava andare dopo secoli, un po' di spina dorsale, su!) perché vinto dal senso di colpa derivante dal suo credo; oltre ad essere pittima, costui è però anche paraculo, in quanto non si fa scrupolo a nutrirsi di belle donzelle sfruttando fascino e soldi e, soprattutto, "regala" la vita eterna alla sua sposa Ganja (e non solo a lei, per inciso. Tutti quelli che vengono morsi da Hess diventano vampiri e resuscitano ma lui talvolta se ne pente e li seppellisce per evitare che siano infelici come lui. Si può essere più stronzi e ipocriti?) nel momento esatto in cui lui sta pensando di rinunciare alla propria. No, ma grazie. Potevo vivere fino a cento anni ma tu mi uccidi a trenta e mi lasci pure da sola CHIEDENDOMI di morire con te sotto la Croce? Mah. Non c'è da stupirsi che Ganja, personaggio odioso ma comunque cazzuto, gli faccia un gesto dell'ombrello grande come una casa e, dopo l'ovvio sconcerto iniziale, decida di trarre il meglio dalla nuova condizione. Ma d'altronde, da una che si "innamora" di te solo dopo aver visto l'ingresso della villa, cosa diamine potevi aspettarti? Mah. Quest'immagine un po' blasé e ipocritamente tormentata del vampiro moderno ha fatto un po' il suo tempo e sinceramente mi aspettavo qualcosa di più "sovversivo" da Spike Lee, ecco perché Il sangue di Cristo non mi ha entusiasmata o esaltata come altri film dedicati ai succhiasangue ed ecco perché, nonostante molti pregi, non mi sento di consigliare a tutti questa pellicola. Magari, giusto agli estimatori di Spike Lee o a chi è curioso di vedere la versione black di un vampiro senza dover ricorrere a ciofeche come Vampiro a Brooklin o scavare negli anni '70 e un po' camp di prodotti come Blacula.
Spike Lee (vero nome Shelton Jackson Lee) è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Fa' la cosa giusta, Mo' Better Blues, Jungle Fever, Malcom X, La 25ma ora, Inside Man e Old Boy. Anche produttore e attore, ha 60 anni e un film in uscita.
Nei panni del maggiordomo Seneschal Higginbottom c'è la star di Mr. Robot, l'attore Rami Malek, che aveva già collaborato col regista in Old Boy, mentre le due donne bianche che interpretano le ospiti del protagonista sono Katherine Borowitz, moglie di John Turturro, e Donna Dixon, moglie di Dan Aykroyd. Il film, finanziato da un fondo Kickstarter, è il remake di Ganja & Hess, horror anni '70 scritto e diretto dal regista Bill Gunn, che qui è citato come sceneggiatore; non l'ho mai visto e francamente non ho particolarmente voglia di farlo ma se foste interessati è disponibile per intero su YouTube. ENJOY!
venerdì 19 gennaio 2018
Perfetti sconosciuti (2016)
E così ci sono cascata anche io. Qualche sera fa hanno passato su Canale 5, in prima serata, il film Perfetti sconosciuti, diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Paolo Genovese e, spinta dall'entusiasmo di chiunque (o quasi) lo avesse visto ho deciso di piazzarmi sul divano e dargli una chance...
Trama: Sette amici si ritrovano a cena e decidono di fare un gioco: tutti loro dovranno lasciare sul tavolo i cellulari e leggere ad alta voce eventuali messaggi, oltre a rispondere alle chiamate in viva voce. Ovviamente nel corso della serata verranno fuori segreti inconfessabili...
Prima di addentrarmi nella "recensione" di Perfetti sconosciuti, permettetemi di spendere due parole sulla TV italiana e sulle condizioni dello spettatore medio, trattato al pari di un bibino. Nel 2016 quasi tutti i premi importanti dei festival italiani (David di Donatello, Nastri d'argento, Globi e Ciak d'oro) sono finiti in mano a Perfetti sconosciuti e a Paolo Genovese, inoltre quell'anno il film è arrivato secondo negli incassi dei film italiani, subito dopo Quo Vado?. Mediaset, considerata la memoria da pesce rosso del 90% degli spettatori, ha scelto non già di sottolineare le due cose con qualche pubblicità ad hoc (chissene dei premi vinti da un film...), ma di far confezionare ai giornalisti del TG5 un paio di servizi dedicati alle cause di divorzio in Italia, sottolineando come ora le chat dei telefonini siano mezzi perfettamente legali per comprovare l'infedeltà e aggiungendo che "il film che andrà in onda stasera parla proprio di questo, GUARDATE PERFETTI SCONOSCIUTI". Oh, mica un servizio, eh. DUE. Uno alle 13 e uno alle 20, peraltro identici tra loro. Con l'espressione da "mecojoni" tipica di Michelle Obama ho pensato che il film di Genovese dovesse essere come minimo spettacolare visto anche che chiunque, su Facebook, ha cominciato a consigliarmelo nel pomeriggio, un po' com'era successo il giorno della prima TV di La grande bellezza. Giunto il momento fatidico, ovvero le ore 21.20 (come indicato in qualsiasi guida TV on line), mi sono messa sul divano e lì ho ricordato perché non guardo più un film in TV da anni: ho infatti dovuto sopportare MEZZ'ORA di Striscia la Notizia/Paperissima e altrettanta pubblicità. A quel punto stavo già schiumando come un Antico qualsiasi, finché il film non è cominciato alle 21.50... ed è durato dieci minuti, seguito da altri cinque minuti e fischia di pubblicità. In quel momento il mio livello di bestemmia era fuori scala e non posso negare che "forse" tutta 'sta camurria mediasettara mi abbia maldisposto verso un film che, porca miseria, si è rivelato nulla più di una commediola con settemila difetti anche a voler sorvolare sul fatto che metà degli attori biascica (sull'accento romano non mi esprimo anche perché a me personalmente non dispiace, tra l'altro il film è ambientato a Roma), cosa che mi ha costretta a chiedere a Mirco silenzio assoluto giusto per non essere costretta a mettere i sottotitoli.
Ma cosa c'è dunque in Perfetti sconosciuti capace di inchiodare alle poltrone un'intera Nazione, scomodare psicologi, mandare in sbattimento i giornalisti e generare un'infinità di remake all'estero? Boh, me fallit. Giuro, non capisco l'entusiasmo. Innanzitutto il film è assai simile al francese Cena tra amici (vi prego di non scomodare MAI più Carnage, grazie), con la differenza che nella commedia d'oltralpe gli amici cominciano ad insultarsi dopo un paio di minuti con dialoghi al fulmicotone che non mostrano il fianco nemmeno a un attimo di noia, qui prima di arrivare a qualcosa di "sostanzioso" passa un'ora in cui il massimo dell'orrore è scoprire che l'amico ciccio (Battiston, una spanna sopra gli altri attori) non viene invitato alle partitelle di calcio oppure stilare il menu della cena, comprendente antipasto, gnocchi alla romana, polpettone e tiramisù, al quale immagino sia seguito Maalox per tutti perché alla faccia della leggerezza! Quando gli argomenti cominciano a farsi "consistenti" allora il film ingrana, ovviamente nella misura in cui mi consentirà d'ora in poi di mandare al Diavolo chi dovesse accusare gli horror di avere dei protagonisti cretini che fanno scelte insensate. Per esempio (e scelgo giusto il più eclatante), spiegatemi perché la mia suspension of disbelief non dovrebbe ridere in faccia a chiunque accetti che Cosimo, dopo che la merda ha già ampiamente colpito il ventilatore, decida di continuare il gioco rispondendo col vivavoce ad una chiamata potenzialmente compromettente. Ma al diavolo "il gioco", per cortesia! S'è già sfasciato un matrimonio per colpa dell'idea cretina della Smutniak, vuoi davvero dirmi che bisogna continuare a rispettare le regole? Alla faccia della scrittura facilona! E come "contrappasso" per un'unica sequenza davvero toccante e profonda, quella in cui si parla di "froci" e in cui un paio di personaggi scoprono la piccineria di coloro che pensavano amici da una vita, ecco arrivare la paraculata finale in pieno stile Sogno di una notte di mezza estate, durante la quale si arriva a "capire" la funzione di un'eclissi lunare altrimenti inutile, oltre che realizzata con photoshop. Insomma, un coacervo di banalità prive di coraggio, buono solo per eccitare/scandalizzare i salottini dei buoni borghesi, da raccontare dal parrucchiere per poi sghignazzare pensando "uh, pensa se capitasse a me!", con attori bravi ma non indimenticabili e comunque belli comodi nei ruoli a loro più congeniali. Insomma, una delusione di diludendo. Spero vivamente che con un soggetto simile de la Iglesia possa tirare fuori una delle sue belle satire corrosive e violente, sarebbe l'unico modo che avrei di apprezzare l'altrimenti inspiegabile successo di Perfetti sconosciuti.
Di Anna Foglietta (Carlotta), Edoardo Leo (Cosimo) e Alba Rohrwacher (Bianca) ho già parlato ai rispettivi link.
Paolo Genovese è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come La banda dei Babbi Natale, Immaturi, Immaturi - Il viaggio, Tutta colpa di Freud e The Place. Ha 51 anni.
Giuseppe Battiston interpreta Peppe. Nato a Udine, ha partecipato a film come Pane e tulipani, Chiedimi se sono felice, La meglio gioventù, La tigre e la neve, Zoran, il mio nipote scemo, Finché c'è prosecco c'è speranza e a serie quali Tutti pazzi per amore. Anche sceneggiatore, ha 49 anni e quattro film in uscita.
Marco Giallini interpreta Rocco. Nato a Roma, lo ricordo per film come Almost Blue, Non ti muovere, ACAB - All Cops Are Bastards, Tutta colpa di Freud e The Place, inoltre ha partecipato a serie quali Boris, Romanzo criminale - La serie, Rocco Schiavone e al corto Basette. Ha 54 anni e tre film in uscita.
Valerio Mastandrea interpreta Lele. Nato a Roma, lo ricordo per film come Palermo Milano sola andata, Zora la vampira, Nessuno mi può giudicare e The Place, inoltre ha partecipato a serie quali I ragazzi del muretto, Boris, Tutti pazzi per amore e al corto Basette. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 45 anni e tre film in uscita.
Kasia Smutniak interpreta Eva. Polacca, ha partecipato a film come Barbarossa, Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu e Volare - La grande storia di Domenico Modugno. Ha 38 anni e un film in uscita.
Perfetti sconosciuti ha avuto così tanto successo in Italia da essere diventato appetibile anche all'estero: in Grecia è uscito lo stesso anno un remake col titolo identico, a dicembre è arrivato in Spagna de la Iglesia col suo Perfectos Desconocidos e a ottobre dovrebbe uscire in Francia Le jeu, sempre basato sulla stessa sceneggiatura. Nell'attesa di recuperare almeno de la Iglesia, se Perfetti sconosciuti vi fosse piaciuto guardate Cena tra amici . ENJOY!
Trama: Sette amici si ritrovano a cena e decidono di fare un gioco: tutti loro dovranno lasciare sul tavolo i cellulari e leggere ad alta voce eventuali messaggi, oltre a rispondere alle chiamate in viva voce. Ovviamente nel corso della serata verranno fuori segreti inconfessabili...
Prima di addentrarmi nella "recensione" di Perfetti sconosciuti, permettetemi di spendere due parole sulla TV italiana e sulle condizioni dello spettatore medio, trattato al pari di un bibino. Nel 2016 quasi tutti i premi importanti dei festival italiani (David di Donatello, Nastri d'argento, Globi e Ciak d'oro) sono finiti in mano a Perfetti sconosciuti e a Paolo Genovese, inoltre quell'anno il film è arrivato secondo negli incassi dei film italiani, subito dopo Quo Vado?. Mediaset, considerata la memoria da pesce rosso del 90% degli spettatori, ha scelto non già di sottolineare le due cose con qualche pubblicità ad hoc (chissene dei premi vinti da un film...), ma di far confezionare ai giornalisti del TG5 un paio di servizi dedicati alle cause di divorzio in Italia, sottolineando come ora le chat dei telefonini siano mezzi perfettamente legali per comprovare l'infedeltà e aggiungendo che "il film che andrà in onda stasera parla proprio di questo, GUARDATE PERFETTI SCONOSCIUTI". Oh, mica un servizio, eh. DUE. Uno alle 13 e uno alle 20, peraltro identici tra loro. Con l'espressione da "mecojoni" tipica di Michelle Obama ho pensato che il film di Genovese dovesse essere come minimo spettacolare visto anche che chiunque, su Facebook, ha cominciato a consigliarmelo nel pomeriggio, un po' com'era successo il giorno della prima TV di La grande bellezza. Giunto il momento fatidico, ovvero le ore 21.20 (come indicato in qualsiasi guida TV on line), mi sono messa sul divano e lì ho ricordato perché non guardo più un film in TV da anni: ho infatti dovuto sopportare MEZZ'ORA di Striscia la Notizia/Paperissima e altrettanta pubblicità. A quel punto stavo già schiumando come un Antico qualsiasi, finché il film non è cominciato alle 21.50... ed è durato dieci minuti, seguito da altri cinque minuti e fischia di pubblicità. In quel momento il mio livello di bestemmia era fuori scala e non posso negare che "forse" tutta 'sta camurria mediasettara mi abbia maldisposto verso un film che, porca miseria, si è rivelato nulla più di una commediola con settemila difetti anche a voler sorvolare sul fatto che metà degli attori biascica (sull'accento romano non mi esprimo anche perché a me personalmente non dispiace, tra l'altro il film è ambientato a Roma), cosa che mi ha costretta a chiedere a Mirco silenzio assoluto giusto per non essere costretta a mettere i sottotitoli.
Ma cosa c'è dunque in Perfetti sconosciuti capace di inchiodare alle poltrone un'intera Nazione, scomodare psicologi, mandare in sbattimento i giornalisti e generare un'infinità di remake all'estero? Boh, me fallit. Giuro, non capisco l'entusiasmo. Innanzitutto il film è assai simile al francese Cena tra amici (vi prego di non scomodare MAI più Carnage, grazie), con la differenza che nella commedia d'oltralpe gli amici cominciano ad insultarsi dopo un paio di minuti con dialoghi al fulmicotone che non mostrano il fianco nemmeno a un attimo di noia, qui prima di arrivare a qualcosa di "sostanzioso" passa un'ora in cui il massimo dell'orrore è scoprire che l'amico ciccio (Battiston, una spanna sopra gli altri attori) non viene invitato alle partitelle di calcio oppure stilare il menu della cena, comprendente antipasto, gnocchi alla romana, polpettone e tiramisù, al quale immagino sia seguito Maalox per tutti perché alla faccia della leggerezza! Quando gli argomenti cominciano a farsi "consistenti" allora il film ingrana, ovviamente nella misura in cui mi consentirà d'ora in poi di mandare al Diavolo chi dovesse accusare gli horror di avere dei protagonisti cretini che fanno scelte insensate. Per esempio (e scelgo giusto il più eclatante), spiegatemi perché la mia suspension of disbelief non dovrebbe ridere in faccia a chiunque accetti che Cosimo, dopo che la merda ha già ampiamente colpito il ventilatore, decida di continuare il gioco rispondendo col vivavoce ad una chiamata potenzialmente compromettente. Ma al diavolo "il gioco", per cortesia! S'è già sfasciato un matrimonio per colpa dell'idea cretina della Smutniak, vuoi davvero dirmi che bisogna continuare a rispettare le regole? Alla faccia della scrittura facilona! E come "contrappasso" per un'unica sequenza davvero toccante e profonda, quella in cui si parla di "froci" e in cui un paio di personaggi scoprono la piccineria di coloro che pensavano amici da una vita, ecco arrivare la paraculata finale in pieno stile Sogno di una notte di mezza estate, durante la quale si arriva a "capire" la funzione di un'eclissi lunare altrimenti inutile, oltre che realizzata con photoshop. Insomma, un coacervo di banalità prive di coraggio, buono solo per eccitare/scandalizzare i salottini dei buoni borghesi, da raccontare dal parrucchiere per poi sghignazzare pensando "uh, pensa se capitasse a me!", con attori bravi ma non indimenticabili e comunque belli comodi nei ruoli a loro più congeniali. Insomma, una delusione di diludendo. Spero vivamente che con un soggetto simile de la Iglesia possa tirare fuori una delle sue belle satire corrosive e violente, sarebbe l'unico modo che avrei di apprezzare l'altrimenti inspiegabile successo di Perfetti sconosciuti.
Di Anna Foglietta (Carlotta), Edoardo Leo (Cosimo) e Alba Rohrwacher (Bianca) ho già parlato ai rispettivi link.
Paolo Genovese è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come La banda dei Babbi Natale, Immaturi, Immaturi - Il viaggio, Tutta colpa di Freud e The Place. Ha 51 anni.
Giuseppe Battiston interpreta Peppe. Nato a Udine, ha partecipato a film come Pane e tulipani, Chiedimi se sono felice, La meglio gioventù, La tigre e la neve, Zoran, il mio nipote scemo, Finché c'è prosecco c'è speranza e a serie quali Tutti pazzi per amore. Anche sceneggiatore, ha 49 anni e quattro film in uscita.
Marco Giallini interpreta Rocco. Nato a Roma, lo ricordo per film come Almost Blue, Non ti muovere, ACAB - All Cops Are Bastards, Tutta colpa di Freud e The Place, inoltre ha partecipato a serie quali Boris, Romanzo criminale - La serie, Rocco Schiavone e al corto Basette. Ha 54 anni e tre film in uscita.
Valerio Mastandrea interpreta Lele. Nato a Roma, lo ricordo per film come Palermo Milano sola andata, Zora la vampira, Nessuno mi può giudicare e The Place, inoltre ha partecipato a serie quali I ragazzi del muretto, Boris, Tutti pazzi per amore e al corto Basette. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 45 anni e tre film in uscita.
Kasia Smutniak interpreta Eva. Polacca, ha partecipato a film come Barbarossa, Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu e Volare - La grande storia di Domenico Modugno. Ha 38 anni e un film in uscita.
Perfetti sconosciuti ha avuto così tanto successo in Italia da essere diventato appetibile anche all'estero: in Grecia è uscito lo stesso anno un remake col titolo identico, a dicembre è arrivato in Spagna de la Iglesia col suo Perfectos Desconocidos e a ottobre dovrebbe uscire in Francia Le jeu, sempre basato sulla stessa sceneggiatura. Nell'attesa di recuperare almeno de la Iglesia, se Perfetti sconosciuti vi fosse piaciuto guardate Cena tra amici . ENJOY!
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