martedì 30 giugno 2015

Musarañas (2014)

Dopo averne letto benissimo praticamente ovunque, finalmente sono riuscita anche io a recuperare Musarañas, diretto nel 2014 dai registi Juanfer Andrés ed Esteban Roel.



Trama: al tempo del regime Franchista, due sorelle vivono assieme nello stesso appartamento e la più giovane è vittima della follia crescente della sorella maggiore Montse che, a causa di terribili traumi infantili, non è mai uscita di casa. La situazione peggiora quando un vicino di casa è costretto a chiedere asilo proprio a Montse…  



Quando ho cominciato a sentire nominare Musarañas in giro per la rete, ancor peggio dopo aver letto il titolo inglese, Shrew’s Nest, mi è ovviamente venuto in mente l’orrido Night of the Killer Shrews, uno dei film più trash della storia del cinema, dove branchi di topi mutanti (interpretati da cani travestiti) asserragliavano un gruppo di sparuti esseri umani. Erano i tempi della fantascienza d’accatto USA ma il toporagno è un animaletto peculiare, timidino, anche un po’ stronzetto, non bisogna tirarlo fuori a forza dal suo nido e trasformarlo in un mostro da due soldi, bensì bisogna avere pazienza e ritrarlo come merita, rispettando i suoi spazi e gli ambienti chiusi che gli sono consoni. Gli spagnoli Juanfer Andrés ed Esteban Roel sono riusciti con pazienza ad addomesticare la bestiola e hanno creato così un claustrofobico, meraviglioso thriller/horror psicologico di quelli che piacciono tanto a me, giocato soprattutto sulle interpretazioni delle fantastiche attrici principali e quasi interamente girato all’interno delle ristrette quattro mura di un appartamento. Musarañas racconta la storia di due donne apparentemente diverse ma in realtà più simili di quanto loro stesse vorrebbero ammettere, intrappolate non solo dalle loro fobie, dai traumi del passato o da un difficile affetto reciproco ma anche dalla società, dalla guerra, dalla dittatura: negli anni '50 si era in pieno regime Franchista e la Spagna era uno stato profondamente cattolico e questi due elementi "coercitivi" risultano fondamentali all'interno della pellicola, soprattutto per capire la psicologia delle due protagoniste e contestualizzare alcuni comportamenti dei personaggi. I mille segreti che circondano Montse affondano infatti le radici nella guerra e nella natura maschilista della società dell'epoca e lo strano rapporto con la sorella è legato a doppio filo con una concezione fortemente repressiva del cattolicesimo mentre la sorella incarna la Spagna che vorrebbe rinascere, che vede nella fine della guerra la possibilità di ottenere un futuro di libertà e amore. Tutti questi elementi si fondono alla perfezione con una storia che li sfrutta appieno per alimentare fobie, follia e un'incontrollabile escalation di violenza e sangue.


Detto questo, pur essendo un thriller psicologico Musarañas non lesina momenti molto gore che in qualche modo danno "sfogo" ad una componente di altissima tensione che altrimenti risulterebbe insostenibile; le riprese di Juanfer Andrés ed Esteban Roel riescono infatti a rendere l'appartamento di Montse una "tana" vera e propria, quasi interamente impenetrabile al mondo esterno, con due unici accessi rappresentati da una finestra e una porta che tuttavia da sulle scale di un condominio, quindi un altro luogo chiuso e labirintico, inoltre la soffocante presenza della protagonista funge già di per sé da elemento ansiogeno. Macarena Goméz, come direbbe Silly, ha una "perfetta faccia da toporagno" e i suoi occhi enormi e spiritati sembrano volere inghiottire lo spettatore all'interno degli abissi di follia del personaggio, che l'attrice peraltro riesce ad interpretare senza mai renderlo ridicolo, neppure una volta. Attorno alla bravissima Macarena gravitano attori altrettanto bravi come Hugo Silva e Carolina Bang, già visti ed apprezzati ne Las Brujas de Zugarramurdi (Musarañas è stato prodotto da Alex de la Iglesia, mica pizza e fichi!!), l'inquietante e cattivissimo Luis Tosar e l'ambigua Nadia de Santiago, che interpreta la sorella di Montse e vi assicuro che nasconde più di una sorpresa, nonostante l'apparente tranquillità del personaggio. Devo dire che da una produzione di De la Iglesia mi sarei aspettata roboanti e trashissime scene di violenza e grottesco, invece Musarañas è di una bellezza quasi classica, un dramma da camera che si trasforma in un horror degno di quella new wave spagnola che tanto sta offrendo ad un genere ancora in grado, soprattutto al di fuori degli USA, di regalare delle bellissime sorprese! Vi consiglio di andare a caccia di questo Musarañas e di incrociare le dita perché venga distribuito anche in Italia prima o poi!!

Lo spagnolo Juanfer Andrés è il co- regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. E' affiancato dal messicano Esteban Roel, a sua volta alla prima esperienza "importante" dietro la macchina da presa dopo avere partecipato a parecchie serie TV come attore.


Macarena Gómez (vero nome Macarena Gómez Traseira) interpreta Montse. Spagnola, ha partecipato a film come Dagon - La mutazione del male e Las Brujas de Zugarramurdi. Ha 37 anni e un film in uscita.


Hugo Silva (vero nome Rafael Hugo Fernández Silva) interpreta Carlos. Spagnolo, ha partecipato a film come Gli amanti passeggeri e Las Brujas de Zugarramurdi. Ha 38 anni e quattro film in uscita.


Luis Tosar (vero nome Luis López Tosar) interpreta il padre di Montse. Spagnolo, ha partecipato a film come Miami Vice e Bed Time. Anche produttore e sceneggiatore, ha 44 anni e quattro film in uscita.


Carolina Bang (vero nome Carolina Herrera Bang) interpreta Elisa. Spagnola, moglie di Alex de la Iglesia, ha partecipato a film come Ballata dell'odio e dell'amore, Las Brujas de Zugarramurdi e a serie come Velvet. Anche produttrice, ha 30 anni e un film in uscita.


Anche Gracia Olayo, che interpreta Doña Puri, aveva lavorato già col produttore Alex de la Iglesia in La ballata dell'odio e dell'amore. Detto questo, se Musarañas vi fosse piaciuto recuperate assolutamente Che fine ha fatto Baby Jane? e Misery non deve morire. ENJOY!


domenica 28 giugno 2015

Unfriended (2014)

Affrontare un horror con aspettative azzerate è sempre una gran tattica e lo dimostra la mia reazione dopo la visione di Unfriended, film diretto nel 2014 dal regista Levan Gabriadze a cui, sinceramente, non avrei dato un euro e invece...


Trama: un anno dopo la morte di Laura, suicidatasi dopo essere diventata lo zimbello di tutti a causa di un video postato su Youtube, cinque suoi amici si ritrovano su Skype e cominciano ad essere vittime di eventi misteriosi e mortali.


Si vede che sto diventando una vecchia. Peggio, una vecchia ipocrita. Come gli anziani che lanciano bastoni contro i "giovinastri!" all'urlo di "ve lo buco 'sto pallone" io, nonostante passi le giornate su blog, Facebook, Whatsupp e quant'altro, mi ritrovo sempre più spesso ad urlare "ve lo buco 'sto internet!!" e mi indigno davanti alla deficienza che si spande qual mefitico miasma dalla Rete e prende la forma di video, foto, post ignoranti ed imbarazzanti messi in circolazione da mocciosi spesso nemmeno maggiorenni. E come ogni vecchio che si rispetti GODO quando queste impure armi di un demente demonio vengono sbertucciate in film come Unfriended il quale parte, purtroppo, da un evento un tempo impensabile ma al giorno d'oggi anche troppo diffuso: il suicidio in seguito a cyberbullismo. Partendo dalla premessa che TUTTI in Unfriended meriterebbero un'esecuzione sommaria, persino quella che si è suicidata (una stronzetta piena di sé che è stata ripagata con la stessa moneta dall'intera "cumpa" che frequentava), la prima parte della pellicola è stata girata apposta per consentire allo spettatore giovane di identificarsi con i protagonisti riproponendone la vuota ed asettica quotidianità fatta di fugaci e sgrammaticati contatti via chat, frammenti di vite vissute attraverso le foto o gli stati su Facebook e conversazioni portate avanti con l'attenzione focalizzata su tutt'altro, cosa che consente allo spettatore anziano come me di inorridire ed invocare la svolta truculenta e sovrannaturale in grado di spazzare via questi meravigliosi esempi di umanità destinata all'estinzione. La svolta in questione ovviamente a un certo punto arriva ed occupa la concitata seconda metà della pellicola, che ha il pregio di non mettere in scena semplicemente una ghost story ambientata sui social network ma anche e soprattutto un "whodunnit" fatto di falsità, meschine piccinerie e sputtanamenti da applauso perché, si sa, la vendetta è un piatto da gustare freddo ma se la si serve riscaldando un po' l'ambiente tanto meglio.


E ora freniamo un attimo l'entusiasmo. Non è che Unfriended sia chissà quale innovativo capolavoro horror, anzi. La storia è già vista e sentita e con la scusa di rappresentare realisticamente delle conversazioni via chat in tempo reale i realizzatori hanno risparmiato in videocamere e soprattutto scenografie ma ci sono degli elementi che nonostante tutto mi hanno reso il film più simpatico e gradevole di altri. In primis, la maniacale cura per il dettaglio. Pagine Facebook, profili Instagram, finestre di Skype e playlist di Spotify vengono rappresentati in modo incredibilmente realistico e altrettanto riconoscibile è il modo in cui i protagonisti interagiscono con ognuno di questi social ma è soprattutto assai pregevole il modo in cui il regista sceglie di utilizzarli: per esempio, Spotify diventa il mezzo per fornire una colonna sonora molto calzante alla pellicola e ai singoli momenti che la compongono (canzoni come How You Lie, Lie, Lie o I Hurt Too) mentre tra i messaggi Facebook della protagonista ce n'è uno che porta la firma dello sceneggiatore e dice "I did it!!". Ma la cosa che ho apprezzato di più in assoluto è la quasi totale assenza di un orrendo e sbraitante fantasma in CG. Ve lo giuro, non c'è lui e non ci sono scene da salto sulla sedia con porte che sbattono, sedie che si muovono e altre simili amenità, solo una mezza dozzina di morti violente, beffarde e in un paio di casi anche belle sanguinose. Poi, ovvio, che i personaggi non mollino il portatile manco a morire (letteralmente) è un difetto comune a tutti i film di questo genere e una fastidiosa caratteristica alla quale temo sia impossibile rinunciare ma, a parte questo, devo dire che Unfriended mi ha inaspettatamente soddisfatta. E per un horroretto estivo che temevo fosse un emulo di Smiley è davvero tanta grazia, anche agli occhi di una vecchia come me!

Levan Gabriadze è il regista della pellicola. Georgiano, è al suo quarto lungometraggio. Anche attore, ha 46 anni.


Shelley Henning, che interpreta Blaire, aveva già partecipato all'orrido Ouija nei panni della prima vittima. Pur essendo stato girato in un giorno, nelle fasi di produzione Unfriended ha subito parecchie modifiche, sia nel titolo (da Offline a Cybernatural a Unfriended) che nella trama (all'inizio il killer doveva essere una persona reale intenzionata a vendicare Laura, poi una delle presunte vittime, in un'altra versione ancora il video virale avrebbe dovuto essere quello di uno stupro) e nei trailer si vedono un paio di morti completamente diverse dalla versione finale, soprattutto quelle di Val e di ciccio Ken, che lì vengono entrambi attaccati dal fantasma di Laura. Detto questo, se Unfriended vi fosse piaciuto recuperate I segreti della mente, The Den e The Call - Non rispondere. ENJOY!

venerdì 26 giugno 2015

La regola del gioco (2014)

Come pubblicizzano durante i trailer, quest'estate cinematografica dovrebbe essere particolarmente ricca e tra gli altri film che vengono citati nel corso di questa pubblicità c'è anche La regola del gioco (Kill the Messenger), diretto nel 2014 dal regista Michael Cuesta e basato sia sulla serie di articoli Dark Alliance di Gary Webb sia sulla stessa biografia di Webb, redatta da Nick Schou, dal titolo Kill the Messenger.


Trama: il giornalista Gary Webb pubblica una serie di articoli dove accusa la CIA di avere collaborato in Nicaragua con i ribelli anti-governativi Contra, aiutandoli a spacciare cocaina e crack nei bassifondi di Los Angeles per finanziare la loro causa. All'inizio Webb viene trattato come un eroe, dopodiché le cose si fanno sempre più dure, per lui e per la sua famiglia...


Sarà che sto invecchiando ma, pur continuando ad avere qualche difficoltà nel tenere il filo di tutti i nomi e le facce che scorrono sullo schermo nell'arco di due ore, i film tratti da storie vere come La regola del gioco (altro titolo italiano imbecille: che regola sarebbe? Chi si fa i fatti suoi campa cent'anni?) mi intrigano sempre di più. Al di là delle parti palesemente romanzate, di "dettagli" aggiunti per rendere più umani i personaggi (come per esempio, in questo caso, il rapporto tra il protagonista e il figlio maggiore, cementato dal restauro di una moto d'epoca) e dell'ovvia scelta di rendere il sembiante dei coinvolti più glamour e piacevole di quanto non fosse in realtà, questi spaccati di vita vissuta mi interessano molto e in particolare mi affascina l'intricato mondo del giornalismo o, meglio, di quello che era una volta il giornalismo, fatto di professionisti appassionati e libero dal pressapochismo internettiano. Purtroppo per Gary Webb, non libero da influenze politiche  né da diffidenza, invidia o ipocrisia; reporter di un giornale di provincia, il nostro è balzato agli onori della cronaca per un'inchiesta nata assolutamente per caso, che gli ha sì permesso di mettere in piazza gli altarini più squallidi ed ipocriti della CIA ma ha anche attirato su di sé le e ire e, conseguentemente, le sgradevoli attenzioni di persone prive di scrupoli e molto pericolose. Nel mondo dei media la credibilità è tutto ma, come già ci ha insegnato Fincher con il suo Gone Girl, è ancora più importante assecondare e fomentare la volubilità di un pubblico che ama sguazzare nel torbido e che in pochissimo tempo può passare dall'elevare una persona al rango di guru al reputarlo un truffatore della peggior specie per degli errori passati che nulla hanno a che fare con la sua professionalità. Nel corso di La regola del gioco a Gary Webb (reporter realmente esistito e morto in in circostanze misteriose, abbandonato dalla famiglia e senza avere avuto mai più la possibilità di lavorare per un giornale) succede proprio di passare dalle stelle alle stalle; la sua inchiesta desta molto scalpore ma viene insabbiata in brevissimo tempo e nonostante smuova parecchie acque ancora oggi il mistero sul reale coinvolgimento della CIA nella guerra civile in Nicaragua e, soprattutto, nella conseguente distribuzione della droga dei Contra a Los Angeles, è avvolta in una nube di mistero.


La pellicola si concentra quindi più sull'aspetto umano di Gary Webb che sull'effettiva validità della sua inchiesta ed offre un inquietante spaccato di quello che sta dietro le quinte di quella che dovrebbe essere un'informazione imparziale, fatta in realtà di giochi politici, compromessi ed ipocrisia: la lunga sequenza in cui Webb ritira comunque un premio come "giornalista dell'anno" mentre né il suo capo né il suo redattore hanno il coraggio di guardarlo in faccia dopo avere rinnegato pubblicamente i suoi articoli mette i brividi e lascia impotenti davanti al peso di una realtà così tragicamente e schifosamente negativa. Essere tacciato di falsità e pressapochismo ma ricevere comunque un premio per l'eccellenza del lavoro svolto è il culmine di una tragedia umana che si mescola in maniera molto naturale alla spy story, elementi che trasformano La  regola del gioco in un thriller d'inchiesta privo di momenti "morti" e capace d'inchiodare lo spettatore alla poltrona. Merito della storia narrata, sì, ma anche di un bravissimo Jeremy Renner, che si carica sulle spalle tutta l'ambizione, la sfrontatezza e la fragilità di Gary Webb senza risultare mai posticcio o forzato. Accanto a lui c'è tutta una ridda di comprimari che incarnano le due anime di La regola del gioco: a mio avviso funzionano molto bene attori come Mary Elizabeth Winstead o Oliver Platt, che ancorano la storia alla sua parte maggiormente "reale", mentre altri grandi nomi quali Ray Liotta o Andy Garcia (due attoroni quasi sprecati per quel che compaiono sullo schermo e lo stesso vale per Robert Patrick e Barry Pepper, per quanto ottimi caratteristi di lusso) risultano un po' fasulli nei loro ritratti di malviventi quasi leggendari, come se interpretassero le caricature dei loro personaggi più famosi. A parte questo trascurabile, piccolissimo difetto, La regola del gioco è un solido film dal sapore quasi anni '70, una di quelle pellicole intelligenti in grado di spingere lo spettatore a volersi documentare ulteriormente sui fatti narrati. In questa torrida estate di dinosauri, orsacchiotti e futuri post-apocalittici sarebbe bene ritagliare uno spazio anche per il film di Michael Cuesta!


Di Jeremy Renner (Gary Webb), Robert Patrick (Ronald J. Quail), Mary Elizabeth Winstead (Anna Simons), Barry Pepper (Russel Dodson), Tim Blake Nelson (Alan Fenster), Michael Kenneth Williams (Ricky Ross), Oliver Platt (Jerry Ceppos), Andy Garcia (Norwin Meneses), Michael Sheen (Fred Weil) e Ray Liotta (John Cullen) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Cuesta è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film episodi delle serie Six Feet Under, Dexter, True Blood e Homeland. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.


Paz Vega (vero nome Paz Campos Trigo) interpreta Coral Baca. Spagnola, ha partecipato a film come Lucía y el sexo, Parla con lei, The Spirit, Vallanzasca - Gli angeli del male, Gli amanti passeggeri, Grace di Monaco e doppiato Madagascar 3 - Ricercati in Europa. Ha 39 anni e cinque film in uscita.


Durante le primissime fasi di produzione del film, erano stati fatti i nomi di Brad Pitt e Tom Cruise per il ruolo di Gary Webb mentre Spike Lee si era dimostrato molto interessato a finire dietro la macchina da presa. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Tutti gli uomini del presidente, Good Night, and Good Luck. e Insider - Dietro la verità. ENJOY!

giovedì 25 giugno 2015

(Gio)WE, Bolla! del 25/6/2015

Buon giovedì a tutti!! Neanche a dirlo, Maggie (il film di zombie con Schwarzenegger rintitolato in Italia Contagious - Epidemia mortale) a Savona non è uscito e mi par di capire dalla mancanza di anteprime future che questa sarà l'ultima settimana di apertura prima delle ferie quindi preparatevi a dei giovedì di bestemmie, almeno da parte mia. Nel frattempo, sarà uscito qualcosa questa settimana? ENJOY!

Ted 2
Reazione a caldo: Olé!
Bolla, rifletti!: Stasera riguarderò il primo Ted per arrivare preparata all'appuntamento con l'orsacchiotto più sboccato del globo terracqueo ma so già che quando andrò al cinema per il secondo capitolo lascerò la sala piegata in due dalle risate e con un retrogusto di amara insoddisfazione in bocca...

Big Game
Reazione a caldo: Suvvia.
Bolla, rifletti!: Si vede che gli anni '80 sono tornati di moda, eh. Ma sinceramente questo buddy movie action che vede uniti Samuel L. Jackson e un ragazzino selvaggio mi ispira davvero pochissimo.

Al cinema d'élite invece danno un film di cui potrei innamorarmi...

Il fascino indiscreto dell'amore
Reazione a caldo: Ooooh!!
Bolla, rifletti!: Tokyo filtrata dagli occhi di un'occidentale nata in Giappone che vorrebbe tornare alle sue radici e una storia d'amore con un ragazzo che ama i film di yakuza e i luoghi nascosti di quell'enorme, meravigliosa città. Credo proprio di aver trovato il film della settimana!!!


mercoledì 24 giugno 2015

Bollalmanacco On Demand: Paganini (1989)

"Fuggire da Niccolò è fuggire dalla vita"
E allora fatemi morire, vi prego!!!!

Prima lo pensavo e basta. Ora sono STRAsicura che Obsidian mi odii. Non ci sono altre spiegazioni plausibili alla sua richiesta di vedere recensito per il Bollalmanacco On Demand un orrore inenarrabile come Paganini, scritto diretto ed interpretato nel 1989 da Klaus Kinski... tra l'altro dopo avermi già chiesto Monster Dog - Il signore dei cani!!! Ma che t'ho fatto, Obsidian??? Fortunatamente c'è anche chi mi vuole bene: il prossimo film On Demand sarà infatti Tutto su mia madre. ENJOY!


Trama: Niccolò Paganini, violinista genovese, passa l'esistenza suonando e copulando, fino al sopraggiungere della morte per presunta tubercolosi.



Se una persona che non è proprio l'ultimo dei registi, nella fattispecie Werner Herzog, davanti allo script di un vostro film rifiutasse di dirigerlo dichiarandolo "infilmabile", vi porreste due domande e chinereste il capo promettendo di non importunarlo mai più nonostante l'amicizia che vi lega a lui oppure ve ne battereste allegramente la ciolla del suo giudizio e vi armereste di cinepresa e tanta voglia di fare (male)? Molto probabilmente la vostra risposta sarebbe "la prima che hai detto" ma Kinski, per sfortuna mia e di chi è incappato in Paganini, non era un uomo normale. Non poteva fare come tutti e andare a zoccole per sfogare la sua libido, no, doveva metter su quest'orrendo pasticcio per mettere le mani su due tette e due culi, appagando un ego contorto che è riuscito ad annullare ogni confine tra la sua vita e quella del violinista genovese, creando uno dei film più brutti e inutili che abbia mai avuto l'onEre di vedere. Dico "inutili" perché Paganini non insegna nulla a chi, come me, non sa niente della vita del musicista e molto probabilmente risulterà indigesto anche a chi è esperto dell'argomento; Klaus si concentra infatti solo su due aspetti fondamentali (a parer suo) della vita dell'artista e cioé che era un puttaniere, avaro, zozzo, suCCido della peggior specie ma era anche un virtuoso della musica che, nonostante tutti i suoi difetti, voleva tantissimo bene a suo figlio. Questa dicotomia da il La ad un'aberrante alternanza di scene semi-porno (due cavalli si ingroppano mentre una tizia si "trastulla" in carrozza pensando a Paganini, per dirne una) e noia mortale, patate al vento e violini che suonano, carezzine ai bambini e palpatone a vajasse bionde, e così via, per un'ora e venti. Buttata nel cesso, ça va sans dire. L'orripilio della sceneggiatura, già raffazzonata e strutturata a mo' di stream of consciousness, deriva al 90% dal fatto che Klaus non prova neppure a rendere Paganini non dico accattivante o simpatico ma perlomeno degno di pietà o, meglio, ci prova ma nei modi peggiori: quando il personaggio viene accusato di pedofilia, il buon Kinski decide di mostrarci un branco di bambine che invece di fuggire schifate invidiano la coetanea concupita dal "mostro" (!!) e anche un vecchio giudice che non si capisce bene se sia schifato all'idea oppure se lo invidii per aver stuprato, costretto a soffoconare, messo incinto, ucciso e ri-violentato mezzo mondo dopo aver sparso sifilide ovunque.


I dialoghi, neanche a dirlo, non aiutano. Perle come "Suonando il membro di Paganini diventava eretto" oppure monologhi tipo "Sei così brutto... neanche mi piacevi... Fuggire da Niccolò è fuggire dalla vita", per concludere con uno "Sviolinami il culo" sono secondi solo alla tizia tredicenne che urla a Paganini "ancora, ancora non te ne andare ti prego!!!" mentre i genitori stanno salendo le scale pronti ad ucciderlo (lui ovviamente invece di scappare se la ricopula. A tredici anni io giocavo ancora con le Barbie, questa che a rigor di logica dovrebbe essere vergine urla come l'ultima delle pucchiacche invocando l'uccello di fuoco. Ma scherziamo??? Tra l'altro tra le braccia di uno che, per parafrasare l'ennesimo, meraviglioso dialogo, "va in giro da 30 anni con lo stesso frac". Ewww.). So che ora vi chiederete se almeno la regia è bella ma mi spiace deludervi. Klaus aveva a disposizione delle location della Madonna, Venezia su tutte, e le ha sprecate senza pudore perché non c' una sola immagine messa a fuoco, dritta, ferma o illuminata dalla giusta luce (tranne per i primi piani delle donne che all'inizio orgasmano ascoltando Paganini. Quelli sono perfetti). Va bene lo sperimentalismo ma a tutto c'è un limite, santo Cielo! Se volete che spari ancora sulla Croce Rossa potrei dirvi che Kinski ha scelto una rosa di attrici tra le migliori in assoluto: c'è Eva Grimaldi nella parte della sorella di Bonaparte, una "puttana" (parole di Klaus) che va in giro preventivamente smutandata per meglio fucilare Paganini, la Caprioglio che aveva 21 anni ma ne dimostrava 12 e Kinski se lo copulava davvero, diocheorrore! e persino la Rettore con un fastidiosissimo accento veneto. In mezzo a questa MMerda si salva solo il povero Nikolai Kinski, costretto da copione a recitare la parte del povero bambino orfano di madre e subissato dall'affetto di Paganini (per inciso, Klaus è più inquietante quando prova a fare il bravo papà che quando violenta inermi benché vogliose fanciulle), anche perché Klaus, per annichilire definitivamente lo spettatore, nella versione italiana si è doppiato da solo, con ovvi e ridicoli risultati. "Paganini vi saluta. Andate a casa, a cena." E dopo tutto 'sto ciarpame, con l'ultimo, acutissimo assolo di violino, i marroni dello spettatore esplodono in un florilegio di camurrìa. Obsidian, l'ho già detto che troverò il modo di vendicarmi?

La disperazione. Mia. Dello spettatore. Del gatto per aver partecipato a questo abominio.
Klaus Kinski (vero nome Nikolaus Günther Nakszynski) è regista, sceneggiatore e interpreta Niccolò Paganini. Polacco, lo ricordo per film come Per qualche dollaro in più, Il dottor Zivago, Quién sabe?, Nella stretta morsa del ragno, Aguirre furore di Dio, Nosferatu - Il principe della notte, Fruits of Passion, Fitzcarraldo e Nosferatu a Venezia. E' morto nel 1991 all'età di 65 anni.


Debora Caprioglio (accreditata come Debora Kinski in quanto all'epoca fidanzata col regista) interpreta Antonia Bianchi. Veneziana, la ricordo per film come La maschera del demonio, Paprika, Saint Tropez, Saint Tropez e per la serie Provaci ancora prof!. Ha 47 anni.


Nel cast ci sono anche Nikolai Kinski, figlio di terzo letto di Klaus, che interpreta il piccolo Achille Paganini, Dalila Di Lazzaro (che è segnata come Helene Von Feuerbach e non ho capito se sia la tizia che si trastulla in carrozza pensando a Paganini oppure la tizia nuda che si vede a un certo punto durante un flashback/visione), una giovanissima Tosca D'Aquino (Angiolina Cavanna), la già citata Eva Grimaldi nei "panni" di una raffinatissima Maria Anna Elise Bonaparte, il francese Bernard Blier in quelli del prete e persino il famosissimo mimo Marcel Marceau che imita Paganini. Per la cronaca, questo è stato il film con cui Klaus Kinski si è congedato dal pubblico prima di venire stroncato da un infarto due anni dopo; non riesco ad immaginare modo peggiore di farlo e neppure che Paganini possa esservi piaciuto ma se siete curiosi di approfondire la figura del suo peculiare creatore recuperate Kinski, il mio nemico più caro, documentario di Werner Herzog. ENJOY!


martedì 23 giugno 2015

Bollanteprima: E.N.D. - The Movie (2015)

Grazie ad un appello corale di Frank Manila in questi giorni ho avuto l'occasione di vedere in anteprima il film E.N.D. - The Movie, diretto nel 2015 dai registi Luca Alessandro, Allegra Bernardoni, Federico Greco (anche sceneggiatori dei vari segmenti) e Domiziano Cristopharo.


Trama: a causa di una partita di eroina tagliata male, a Roma esplode un epidemia che trasforma gli esseri umani in zombie. Col tempo il virus si estende a tutta la penisola e i rapporti numerici di vivi e morti si invertono, con risultati imprevedibili...


Come sa chi legge il mio blog ormai da qualche tempo, sono incredibilmente prevenuta verso gli horror italiani, nonostante ogni nuova proposta susciti la mia curiosità. Quest'ultima è stata la molla che mi ha spinta ad accogliere l'"appello" di Frank e ad entrare in contatto con Federico Greco che, molto gentilmente, mi ha permesso di guardare in anteprima questo E.N.D. - The Movie. Devo dire di non essermi affatto pentita della scelta perché E.N.D., pellicola indipendente finanziata in buona parte con il crowfunding, ha tantissime potenzialità e sviluppa un tema ormai inflazionato come la pandemia zombie in modo abbastanza inaspettato. Il film è diviso in quattro episodi che seguono le diverse fasi dello sviluppo del virus, ovvero Giorno zero, Giorni uno e due, Giorno 1466 e Giorno 2333; il primo è molto breve e funge da sanguinosa introduzione a tutta la vicenda, il secondo, ambientato in una peculiare agenzia di pompe funebri, circoscrive lo scoppio dell'epidemia ad un pugno di personaggi (di cui uno strettamente legato alla nascita del virus) che ricompariranno nell'ultimo capitolo mentre il terzo episodio è quello che segue una direzione più "classica" e mostra la fuga disperata di un paio di sopravvissuti, una dei quali è incinta. Proprio perché l'argomento zombie ormai è ben conosciuto sia dai fan dell'horror che dal semplice "uomo di strada" (mio zio non si perde una puntata di The Walking Dead, per dire) il bello di E.N.D. è che la sceneggiatura non si perde in lunghe, didascaliche e conseguentemente inutili spiegazioni ma lascia che sia lo spettatore a creare i collegamenti necessari partendo dai dialoghi e dalle immagini, lasciando addirittura in sospeso alcune questioni ininfluenti (per esempio, come si uccidono i morti viventi o, meglio, come si possono ferire?), cosa che aiuta a mettersi nei panni degli umani che si ritrovano all'improvviso a dover vivere sulla propria pelle l'orrore di una piaga mortale. Il film sembra volere "semplicemente" descrivere le diverse fasi di una pandemia, dallo stupore iniziale, passando per il terrore e la disperazione, fino ad arrivare (nel finale che ho adorato) ad una società completamente nuova nella quale i punti di vista vengano ribaltati e il confine tra vivi e morti si fa assai labile, cosa che rende molto difficile parteggiare per l'una o l'altra fazione.


Tecnicamente parlando, sorvolerei sul mio innato fastidio davanti alla dizione degli attori nostrani che a me, bravi o non bravi, pare sempre si trovino lì per caso e che si siano memorizzati il copione così da ripeterlo nel tono più monocorde possibile e passerei all'aspetto visivo: per quel poco che ne capisco il film è girato molto bene, sicuramente non ha quell'aria da film amatoriale tipica di tanti horror indipendenti italiani, anzi. Mi è sembrato che soprattutto i primi due episodi fossero più "visionari" e che nonostante la brevità dei segmenti si ricercasse una sorta di complessità in grado di spezzare la narrazione, inframmezzandola con flash di immagini il cui senso compiuto si verrà a scoprire col prosieguo della storia. Gli altri due segmenti sono invece più vicini all'idea di un tipico film di zombie ma, nonostante abbia molto gradito il pessimismo cosmico infuso in Giorno 1466, ho preferito di gran lunga Giorno 2333: 1466 è indubbiamente più gore e contiene le scene più scioccanti di tutto il film ma non ho apprezzato né gli attori principali (siamo sempre lì!) né quei terribili morti viventi che sembravano usciti direttamente da un videogame mentre 2333, pur fiaccato da un paio di deliranti dialoghi messi in bocca ad un personaggio trasformatosi da riluttante spacciatore a spadaccino sostenitore della purezza della razza, mi ha scioccata con una divertente trovata (sulla quale non farò spoiler) che lì per lì mi ha fatto storcere parecchio il naso, salvo poi rivelarsi una delle idee più carine dell'intera pellicola. In conclusione, nonostante i miei dubbi iniziali devo dire che E.N.D. - The Movie, pur non essendo esente da difetti, si è rivelato una visione divertente e anche molto interessante: se il buongiorno si vede dal mattino questi ragazzi faranno molta strada e, chissà, magari daranno nuova linfa al nostro cinema di genere, così fiacco ed abbruttito ma non per questo morto!


Se il post vi ha incuriositi e volete vedere E.N.D. - The Movie, sappiate che MERCOLEDI' 24 GIUGNO, ALLE 20.30, PRESSO IL MULTISALA BARBERINI DI ROMA, nell'ambito del FANTAFESTIVAL potrete assistere all'anteprima internazionale del film e conoscere gli attori principali, i registi e il cast tecnico. Io purtroppo sono un po' troppo distante dalla Capitale quindi mi limito a ringraziare di nuovo Frank Manila, Federico Greco e tutti i realizzatori di E.N.D. - The Movie per avermi dato l'opportunità di ovviare all'inconveniente con una visione casalinga! ENJOY!


domenica 21 giugno 2015

China Day: Inside the Tradition - Storia di fantasmi cinesi (1987)


L'instancabile mente di Alessandra del blog Director's Cult ha progettato una riunione dei soliti Blogger per celebrare una cinematografia complessa come quella cinese. Dico complessa perché, come giustamente ha fatto notare Obsidian, noi occidentali conosciamo quasi esclusivamente il cinema dell'ex colonia inglese Hong Kong mentre ora la Repubblica Popolare Cinese si sta risvegliando, distaccandosi dalla tradizione e soprattutto dalla pesante censura, cosa che sta portando alla nascita di un nuovo modo di fare film. In base a questo giusto appunto, abbiamo dunque deciso di dividere il Day in due "categorie", Inside the Tradition (film girati prima del 1997, anno in cui Hong Kong è tornata alla Cina) e Through the Revolution (pellicole girate dopo il 1997): la mia scelta è caduta sulla tradizione di Storia di fantasmi cinesi (Sien nui yau wan), diretto nel 1987 dal regista Siu-Tung Chin e tratto da un racconto di Songling Pu, autore della raccolta Racconti straordinari dello studio Liao, pubblicata nel 1766. ENJOY!


Trama: Un esattore pasticcione si ritrova a passare la notte in un vecchio tempio abbandonato. Lì viene avvicinato dal fantasma di una donna e la conquista con la sua goffaggine, finendo coinvolto in un’intricata storia di demoni, guerrieri, maledizioni ed esorcismi…




Al tempo in cui avevo cominciato ad avvicinarmi agli horror che non fossero quelli “classici” come Nightmare, Venerdì 13, Halloween, Scream ecc. mi capitava di scorrere la guida TV, segnarmi i titoli degli horror trasmessi in settimana e andare a cercare trama, curiosità o giudizi sul Mereghetti oppure su libri monografici dedicati all’argomento prima di guardarli o registrarli. Non ricordo dove ma proprio durante una di queste ricerche avevo letto che Storia di fantasmi cinesi si era molto ispirato, come tecnica ed umorismo, alla serie La casa e so che era stata questa la molla che mi aveva spinta a registrarlo dall’emittente un tempo nota come TMC2  e a guardarlo, affrontando peraltro anche il mio primo film cinese. Che dire, guardare Storia di fantasmi cinesi è stata un’esperienza allora e lo è stata anche recuperarlo dopo più di dieci anni. I rimandi a La casa di Raimi ci sono, è vero: dall’uso della steadycam alle riprese forsennate dove la telecamera viene frustata dai rami degli alberi, dagli stessi rami che prendono vita aggredendo le persone agli orrori nascosti in “cantina”, dai passaggi dimensionali che si aprono improvvisamente agli enormi demoni che minacciano di inghiottire i protagonisti urlanti, gli elementi che rimandano al classico Raimiano abbondano ma fermarsi a quella che alla fine è solo apparenza sarebbe sbagliato. Storia di fantasmi cinesi riesce infatti a mescolare una quantità di generi impensabile per il cinema occidentale, a non perdere il filo di questo meltin’pot neppure per un istante e a creare una storia coerente e piacevole, una fiaba con terribili cattivi, principesse in pericolo, baldi cavalieri e un buffo protagonista che si trova coinvolto in una realtà che non gli appartiene riuscendo a passare dall’essere totalmente clueless al diventare un Eroe nel vero senso del termine. Storia di fantasmi cinesi, come da titolo italiano ed internazionale, affonda le radici nel folklore di quella terra antica e misteriosa, con gli ingannevoli spiriti femminili che fungono da distrazione per far sì che gli Jiangshi, gli “zombie” (o è meglio scheletri semoventi?) che puntano all’essenza degli esseri viventi, riescano a mietere vittime tra gli incauti e lussuriosi viaggiatori uomini, e mette in scena non solo una battaglia tra le forze infernali e un cinico guerriero Taoista o l’amore impossibile tra vivi e morti ma anche una spietata satira nei confronti del vecchio sistema feudale cinese, rispettando appieno il senso dell'opera originale di Pu.  



Poiché Storia di fantasmi cinesi unisce già nella trama parecchi generi e suggestioni, anche lo stile ne risente. Siu-Tung Chin gira l'intera storia assecondando il punto di vista del protagonista, che ovviamente cambia in base alla sua esperienza: all'inizio la pellicola è molto ironica, quasi comica, e viene mostrato un orrore esagerato che prevede l'utilizzo di fiotti di sangue ed inquietanti scheletri animati con la tecnica della stop motion. Con l'arrivo della bella Siu Sin le atmosfere si fanno maggiormente inquietanti ed evocative, come giustamente si confà alla presenza di un elegante e sensuale spirito femminile, mentre l'introduzione del guerriero Taoista Yin offre la possibilità al regista di girare delle dinamiche scene wuxia, durante le quali i personaggi (sia spiriti che umani) combattono volteggiando nell'aria e addirittura sparando raggi di energia spirituale dalle mani (meravigliosa la formula taoista Pao-yeh-pao-lo-mi per esorcizzare i demoni!). Molto forte è anche la componente horror-fantasy, incarnata nella triplice demone dalla lunghissima lingua e nel terribile re dell'inferno che si riesce a scorgere sul finale ma anche quella romantica, fatta di luci soffuse, languidi primi piani dei due sfortunati amanti e musiche delicate, riesce a ritagliarsi un proprio, importante spazio in tutta questa abbondanza di elementi. Oltre all'effettiva bellezza della trama, della regia e degli effetti speciali, c'è da dire che questa volta anche gli attori si fanno apprezzare: Leslie Cheung è un protagonista tenero e credibile sia nella sua interpretazione di un esattore sprovveduto e goffo, sia nei momenti in cui questo strano anti-eroe deve tirare fuori la forza e i sentimenti, il carismatico Ma Wu è un favoloso ed ironico cacciatore di fantasmi mentre Joey Wang è talmente bella ed eterea che non si fa affatto fatica a credere che possa essere stata una principessa, in una vita passata. Insomma, sono stata davvero contenta che Alessandra mi abbia dato la possibilità di recuperare ed apprezzare nuovamente Storia di fantasmi cinesi. Sarà anche un film della tradizione (e ha dato vita a due seguiti, un remake del 2011 e persino a una versione animata del 1997 che vorrei cercare e guardare) ma è talmente particolare e "moderno" da poter venire tranquillamente annoverato nell'elenco di pellicole cult che chiunque dovrebbe tenersi nella videoteca di casa!


Se siete curiosi di approfondire il discorso, ecco i link divisi per categoria ai post degli altri Blogger! ENJOY!

China: inside the tradition

The Killer (John Woo, 1989) su Director's Cult
Lanterne rosse (Yimou Zhang, 1991) su Scrivenny 2.0

China: through the revolution

I love Beijing (Ning Ying, 2000) su The Obsidian Mirror
Infernal Affairs (Wai-Keung Lau e Alan Mak, 2002) su Non c’è paragone
Life without principle (Johnnie To, 2011) su Solaris
Il tocco del peccato (Zhangke Jia, 2013) su White Russian
Closed Doors Village (Xing Bo, 2014) su Mari's Red Room
Mountains may depart (Zhangke Jia, 2015) su Montecristo




venerdì 19 giugno 2015

Il Bollodromo #8: Psychiatric Circus

Era da tanto che non mi capitava di tirare fuori il Bollodromo, piccolo spazietto dove si parla di tutto ciò che non è cinema e che, data la mia atavica pigrizia, è praticamente uno zombie. Stavolta però mi è sembrato indispensabile riesumarlo o non avrei saputo come parlarvi della mia esperienza con lo Psychiatric Circus!


Premessa:
un mesetto fa ho cominciato a vedere Albisola e Savona tappezzate da inquietanti manifesti non già elettorali, con pagliacci in giacca e cravatta, bensì monopolizzati da un minaccioso e sanguinario clown. Ad accompagnare l'inquietante visione, che ha rischiato di farmi andare a sbattere in Vespa contro un muro, c'era una laconica scritta: Psychiatric Circus. Savona, Piazza del Popolo. Voi dovete sapere che in quella zona non hanno più organizzato nulla di interessante dalla volta in cui era arrivato il vero Rocky Horror Show, quello messo in scena dalla compagnia inglese titolare, ed era tipo il 2000/2001, sicuramente erano i primi tempi dell'università. In compenso, tutti gli anni si stanziano lì i tristissimi circhi di Moira Orfei e parentado assortito, roba che ogni tanto si vedono delle giraffe spuntare in mezzo ai lampioni, oppure c'è l'annuale ed ancor più triste Expo. Insomma, una bellaMMerda. Potevo dunque evitare l'unica novità potenzialmente decente a Savona dopo quasi un ventennio? Figuriamoci. Fatta rapida opera di convincimento col fidanzato poco amante degli horror, ci siamo recati in loco la domenica per reperire informazioni sull'acquisto dei biglietti, intenzionati ad andare allo spettacolo del venerdì seguente. Qual gioia venire accolta dall'inquietante loop di Dominique e venire ri-catapultata di botto nelle atmosfere di American Horror Story Asylum! Mentre io ballavo e cantavo come una minorata mentale, occhieggiando inquieta le guardie e gli infermieri che popolavano il piazzale, il bigliettaio soprannominato "scazzoman" ci ha rassicurati dicendoci che avremmo potuto acquistare i biglietti la sera stessa dello spettacolo.
Fine premessa.

Si ringrazia Simona per questa foto! :D
Il venerdì ci rechiamo baldanzosi allo Psychiatric Circus. Scazzoman è sempre lì, ci ha aspettati per ben cinque giorni senza mutare postura né espressione e ci consegna due biglietti non numerati per la tribuna centrale (prezzo: 25 euro a testa, ragionevole se posso esprimere la mia opinione). All'ingresso veniamo accolti prima da una truccatissima ed improbabile suorina poi dalle guardie del manicomio, che ci scortano alle celle dei matti, passaggio necessario prima di entrare nel circo vero e proprio. Ovviamente, i pazienti dello Psychiatric Circus non se ne stanno fermi e buoni in gabbia ad urlare, anzi: appena possibile scappano e vanno a molestare i poveri avventori (uno addirittura cerca di copularli, santa creatura!!) e le guardie hanno il loro bel da fare a riportarli  "alla ragione" con manganellate e quant'altro. Dopo essere sopravvissuti alle manifestazioni di affetto dei pazienti, veniamo quindi scortati ai nostri posti da "amichevoli" infermieri che ci sfanculizzano ad ogni passo: d'altronde, se siamo voluti entrare in manicomio è perché tanto normali non siamo quindi meritiamo un trattamento penalizzante!! Altrettanto amichevole è l'assoluto divieto di usare cellulari e macchine fotografiche, pena l'avere le manine spezzate (e questo è il motivo per cui non vedrete neppure una foto scattata da me tranne quella panoramica dall'esterno, visto che gli arti mi servono ancora).

Ora, in tutta onestà io arrivata a questo punto ero un po' perplessa. L'intera operazione faceva molto "spacco botilia ammazzo familia" e il timore che l'andazzo potesse essere questo per l'intera durata dello spettacolo era abbastanza alto. Per fortuna, tolto questo shock iniziale, lo Psychiatric Circus si è rivelato un gradevolissimo mix di arte circense, citazioni cinematografiche, recitazione e musica. Non sto ad entrare nei dettagli per non rovinare la sorpresa a chi volesse tentare questa nuova esperienza ma, in soldoni, l'intero spettacolo è incentrato su una trama assai simile a quella di American Horror Story Asylum: c'è un manicomio diretto con pugno di ferro da un terribile dottore ex nazista che, con l'aiuto di infermieri e suore compiacenti, terrorizza i pazienti, i quali tuttavia vengono lasciati abbastanza liberi di folleggiare in giro per la struttura. Ogni matto è specializzato in un'arte, quindi ci sono acrobati, giocolieri, clown, persino una ragazza in grado di dipingere in condizioni quantomeno "particolari", e l'interazione con il pubblico è costante (se andrete a sedervi nei posti sotto il palco, sappiate che rischierete di essere trascinati sul palco e diventare parte integrante dello spettacolo almeno per tre volte). Tutti i numeri dei pazienti sono collegati tra loro quindi non si ha la sensazione di vedere dei singoli episodi senza capo né coda e il grandguignolesco finale tira le fila di tutto lo spettacolo lasciando gli spettatori piacevolmente storditi dalla musica dei Rammstein e da un numero acrobatico particolarmente ardito (io e il mio ragazzo dobbiamo ancora capirne il meccanismo ma l'effetto è garantito!!); pur apprezzando moltissimo i frizzi e i lazzi del simpaticissimo scappato di casa accompagnato dall'amico invisibile, vero mattatore dello show assieme all'iconico clown, sinceramente io sono rimasta ipnotizzata dalla tragica fanciulla che, sulle note meravigliose di In the House - In a Heartbeat (già colonna sonora di 28 giorni dopo e Kick-Ass), decide di liberarsi a modo suo dall'influenza del malvagio dottore dopo una serie di contorsionismi all'interno di una vasca acrobatica piena d'acqua. In definitiva, la serata passata in compagnia dello Psychiatric Circus è stata molto divertente e particolare, quindi se la carovana si ritrovasse a passare anche dalle vostre parti (il sito ufficiale, su cui troverete tutte le informazioni che per pigrizia non ho scritto, come prossime tappe del tour cita Cuneo e Alessandria) vi consiglio di andare a farvi catturare dalla magia di questo strano circo degli orrori! Ah, lo spettacolo è SCONSIGLIATO ai minori di 14 anni, se avete dei pargoli tenetene conto.

Questa invece è la fotina che ho scattato timidamente all'ingresso :)





giovedì 18 giugno 2015

(Gio) WE, Bolla! del 18/6/2015

Buon giovedì a tutti!! Dopo i dinosauri di Jurassic World e nell'attesa che l'orsetto Ted torni a far parlare di sé, questa è la tipica settimana estiva di passaggio, con poche, terribili uscite. Ma qualcosa, forse... ENJOY!

Unfriended
Reazione a caldo: Uhm.
Bolla, rifletti!: Lo slasher ai tempi del social. Ci avevano già provato Smiley e The Den e non è che i risultati fossero stati proprio entusiasmanti. A prescindere, però, un horror che esce a Savona va visto per principio. Anche se sarà sicuramente una belinata.

Albert e il diamante magico
Reazione a caldo: Ma anche no.
Bolla, rifletti!: Animazione danese, nientemeno. Uno di quei cartoni animati buoni solo per i sabati/domeniche mattina su Italia 1.

Torno indietro e cambio vita
Reazione a caldo: Ecco, bravo, smetti di fare film.
Bolla, rifletti!: E sì, Carlo Vanzina, mi rivolgo a te. Ma anche a te Ricky Memphis, che dopo quasi trent'anni di carriera non hai ancora dismesso quell'accento pesantissimo che sì, magari fa simpatia una volta, due, persino tre... ma poi basta. Ma soprattutto a voi, spettatori che ancora pagate soldi per 'sta rumenta.

E al cinema d'élite cosa fanno invece? Mah, roBBaBBuona, parrebbe.

La regola del gioco
Reazione a caldo: E cosa c'è di più buono di Jeremy Renner?
Bolla, rifletti!: Cosiddetto "thriller d'inchiesta" basato sulla vera storia del giornalista Gary Webb, che era riuscito a trovare molti collegamenti tra i servizi segreti USA e i narcotrafficanti sudamericani, potrebbe essere una pellicola estremamente avvincente o una mattonata epica. Propendo per la prima ipotesi e spero di vederlo presto!

mercoledì 17 giugno 2015

Brood - La covata malefica (1979)

La Danza Macabra di Stephen King mi ha ricordato che di tutti i film scritti e diretti dal regista David Cronenberg me ne mancavano giusto un paio; uno di questi era Brood - La covata malefica (The Brood) del 1979.


Trama: Frank Carveth cerca di tirare fuori dalla casa di cura gestita dal Dottor Raglan, esperto di rabbia, la moglie Nola, convinto che le cure del dottore stiano facendo peggiorare la salute della donna. Nel frattempo, i membri della famiglia Carveth cominciano a venire coinvolti in strani e sanguinosi omicidi...


Diavolo di un Cronenberg. Solo dalla sua mente contorta poteva nascere un film in grado di rendere tangibili ed inquietanti le emozioni negative derivanti dal suo vero e tumultuoso divorzio (con vertenza di custodia annessa) dall'allora moglie Margaret Hindson. Da questa brutta esperienza di vita vissuta, il geniaccio canadese è riuscito a trarre ispirazione e regalare così allo spettatore uno dei grandi classici dell'horror mondiale, nonché l'ennesimo tassello della sua personale poetica del body horror, agendo come i protagonisti di Brood: David ha preso la propria rabbia, il proprio disagio e le frustrazioni e li ha trasformati in qualcosa di tangibile da scatenare contro il mondo, rendendo così Brood uno squisito esempio di metacinema. Guardando il film, infatti, si può avvertire fin dalle prime sequenze un odio neanche tanto velato verso la moglie e madre Nola, una pazza iraconda priva di qualsiasi qualità positiva, e contemporaneamente un senso di amore impotente verso la piccola Candice, costretta a subire le peggiori cose senza che nessuno, men che meno gli inadeguati genitori, possa proteggerla dagli inevitabili traumi psicologici e dalle loro inevitabili, terribili conseguenze. Nonostante tutto questo, però, neanche il padre e marito, Frank, è descritto come un eroe, anzi: Cronenberg non sembra provare simpatia neppure per il personaggio maschile della pellicola, che viene descritto come un uomo costretto a mettere una pezza ad un matrimonio sbagliato solo quando è ormai troppo tardi, una persona incapace di fare il padre e costantemente distratto da cose "più importanti", a rischio di perdere la figlioletta. In tutto questo, è ovviamente immancabile il tipico dottore "Cronenberghiano", un altro adepto della "nuova carne" capace di dare un corpo alle emozioni intangibili, a rischio di scatenare orrori inenarrabili sull'umanità ignara; come spesso accade nei film di Cronenberg, il dottor Hindle è un personaggio borderline e fortemente ambiguo, spinto più da una sorta di egoistico autocompiacimento che da un reale desiderio di liberare i suoi pazienti dalla rabbia che li affligge, incapace di fermarsi davanti alle pericolose deformazioni causate dal suo metodo di cura.


Ma in soldoni come si manifesta fisicamente la rabbia in questa pellicola? Beh, se non avete ancora visto Brood - La covata malefica non sarò io a rovinarvi il gusto di scoprire la sequenza più raccapricciante del film, quella in cui viene mostrato tutto l'orrore delle deformità nate da una rabbia incontrollabile; vi basti solo sapere che il colpo di scena finale è per stomaci incredibilmente forti (non a caso la scena è stata censurata in parecchie versioni della pellicola) e che stravolge in maniera crudele uno dei concetti più belli dell'esistenza umana. In generale comunque il film è molto efferato, nonostante il body count sia basso. Cronenberg cerca di celare per buona parte della pellicola l'aspetto degli assassini che cominciano ad assaltare i membri della famiglia Carveth, preferendo concentrarsi sui sanguinosi effetti delle loro azioni e su pochi, raccapriccianti dettagli in grado di provocare brividi lungo la schiena dello spettatore e allo stesso tempo alimentare la sua curiosità; proprio per questo, personalmente ho trovato visivamente più debole la seconda parte di Brood (ovvero quando il "mistero" viene svelato), nonostante il concetto che sta alla base della trama non perda la sua forza nemmeno per un secondo. Neanche a dirlo, anche gli attori scelti sono perfetti per i loro ruoli: il volto stravolto dall'odio di Samantha Eggar (il cui personaggio, secondo la leggenda, condivide molte caratteristiche con la ex moglie di Cronenberg) non è di quelli che si dimentica facilmente e Oliver Reed ha una presenza scenica difficile da ignorare, un carisma naturale che rende assolutamente plausibile la morbosa dipendenza dei pazienti del Dottor Raglan, peraltro viscido ed ambiguo come pochi. Brood - La covata malefica non è un film per tutti, ormai l'avrete capito, ma se riuscirete a racimolare un po' di fegato per guardarlo riuscirete a godervi uno dei capolavori incontrastati del genere horror e anche uno dei migliori Cronenberg "d'annata".


Del regista e sceneggiatore David Cronenberg ho già parlato QUI mentre Art Hindle, che intepreta Frank Carveth, lo trovate QUA.

Oliver Reed interpreta il dottor Hal Raglan. Inglese, ha partecipato a film come Oliver!, I diavoli, Tommy, La stangata 2, Le avventure del Barone di Munchausen e Il gladiatore. E' morto nel 1999 all'età di 61 anni.


Samantha Eggar (vero nome Victoria Louise Samantha Marie Elizabeth Therese Eggar) interpreta Nola Carveth. Inglese, ha partecipato a film come Il favoloso dottor Dolittle, The Astronaut's Wife - La moglie dell'astronauta e a serie come Colombo, Starsky e Hutch, Love Boat, La signora in giallo, Magnum P.I. e Cold Case; come doppiatrice, ha lavorato per le serie Prince Valiant ed Hercules (dopo aver doppiato anche il film Disney). Ha 76 anni.


La piccola Cindy Hinds, che interpreta Candice, sarebbe poi comparsa anche ne La zona morta, sempre di Cronenberg. A questo proposito, se Brood - La covata malefica vi fosse piaciuto recuperate anche Rabid - Sete di sangue, Il demone sotto la pelle e Videodrome. ENJOY!

martedì 16 giugno 2015

Voices (2007)

Oh, da quant'è che non guardavo un misconosciuto horror coreano! La scelta, vai a sapere perché, è caduta su Voices (Du saram yida), diretto e co-sceneggiato nel 2007 dal regista Ki-Hwan Oh e tratto dal manhwa Two Will Come di Kyung-Ok Kang.


Trama: poco prima del matrimonio, la zia della studentessa Ga-in viene prima spinta giù da una balaustra dal futuro marito e poi uccisa in ospedale dalla sorella. Poco dopo, la ragazzina ha l'orribile visione di uno spirito che le comunica "Tu sei la prossima" e da quel giorno tutte le persone a lei vicine cercano di ucciderla..


Che detta così, come trama, sarebbe anche intrigante e non a caso costituisce l'ossatura del manhwa, di cui parlerò nelle solite note che seguono il post. Se la storia di Voices (anche conosciuto come Someone Behind You, manco fosse un film di Rocco) si fosse mantenuta su questa traccia il risultato sarebbe stato dignitoso e comprensibile, invece questo k-horror è un grande e raffazzonatissimo casino. Quella che comincia come una maledizione di famiglia (peraltro, cosa suggerita nei dialoghi a inizio film) si trasforma infatti col prosieguo della pellicola in una sorta di allegoria del male che alberga in ognuno di noi, una forza in grado di risvegliare la personificazione stessa dell'Odio che, chissà perché, se ne va in giro in guisa di bimbominkia coreano e si diletta a fare telefonate anonime e spingere la gente ad uscire di testa per delle sciocchezze, solleticando una voglia pazza di uccidere i propri cari, rei magari semplicemente di esistere e dare momentaneamente fastidio. In pratica, sembra di vedere trasposto in pellicola un episodio della Famiglia D'Odio di Daw che, se permettete, mi fa molto ridere in strip ma risulta ridicola vista in video. Che poi, a dire la verità, avrei anche apprezzato forse l'idea dell'Odio che miete vittime per diletto, però allora non devi cominciare il film parlando di maledizioni di famiglia: l'incertezza degli sceneggiatori ad un certo punto è tale che la protagonista viene mandata dal padre a chiedere aiuto ad un vecchio che, a rigor di logica, io presupponevo essere un nonno o uno zio, invece è semplicemente un povero sfigato a cui è capitato di uccidere la moglie e ha così passato la vita a tormentarsi cercando un senso nelle proprie azioni. L'aiuto di questo venerabile imbelle potrebbe tranquillamente riassumersi con l'espressione inglese "shit happens", che poi è un po' l'assunto su cui si regge l'intero film. Shit Happens ma solo se si presenta nei panni di un emo coreano, ovvio. E se permette un colpo di scena totalmente gratuito e privo di fondamento.


Per quel che riguarda la componente horror o perlomeno ansiogena, anche qui siamo un po' carenti. L'unico pregio che ha Voices è quello di non sfruttare fino all'osso la solita "mostra" asiatica dal volto coperto, bensì un essere dalla sessualità non ben definita dal viso deforme che tuttavia compare purtroppo solo in un paio di scene (e vorrei ben vedere visto che è completamente inutile e fuorviante ai fini della storia); il resto, è tutto giocato sull'attesa di sapere chi tra gli amici, conoscenti e parenti di Ga-in sbroccherà per primo cercando di ucciderla, cosa divertente all'inizio ma dopo un po' anche basta. Limitata, come del resto ci si aspetterebbe da un film simile, anche la componente gore, sebbene l'accanimento con cui viene accoltellata la cugina della protagonista all'inizio potrebbe fare felici gli estimatori del genere. Tutto il resto è tristemente nella media e anche un pelino sotto, non c'è poesia dietro la macchina da presa, né soluzioni particolari per quel che riguarda fotografia e montaggio, mentre gli attori al minimo sindacale fanno del loro meglio per non risultare ridicoli ma sono comunque penalizzati dall'oscena e inconcludente trama. In definitiva, dopo avere visto campeggiare sulla locandina la scritta 8 Films to Die For e la dicitura After Dark Horror Fest, avrei dovuto evitare con serenità questa belinata asiatica, ché l'After Dark non mi ha mai dato, salvo rare eccezioni, delle grandi gioie... ma, si sa, amo farmi del male. Voi siate più furbi e bypassate questo horroretto in favore di prodotti più pregevoli.

Ki-Hwan Oh è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Coreano, ha diretto film diffusi anche sul mercato internazionale, come Art of Seduction e Five Senses of Eros che tuttavia non conosco. Anche attore, ha 48 anni.


Jin-Seo Yoon interpreta Ga-in Kim. Coreana, ha partecipato a film come Ebbro di donne e di pittura, Oldboy e Lady Vendetta. Anche produttrice, ha 32 anni.


La pellicola è tratta dal manhwa Two Will Come (anche conosciuto come It's Two People), inedito in Italia, la cui trama tradotta dal sito inglese Myanimelist recita più o meno così: "Jina, una normalissima studentessa delle superiori, scopre di avere ereditato una terribile maledizione dalla sinistra storia della sua famiglia. Molto tempo prima, infatti, i suoi antenati avevano ucciso un serpente magico conosciuto come Imugi, convinti che la cosa avrebbe portato loro fortuna. Sfortunatamente, la creatura morendo li aveva invece maledetti: a partire da quel giorno, un membro della famiglia per ogni generazione sarebbe stato ucciso da due persone a lui particolarmente vicine. Al giorno d'oggi, nessuno vuole più credere in queste superstizioni, ma è tuttavia vero che in ogni generazione uno dei parenti di Jina è stato assassinato. E Jina è venuta a sapere che la prossima a morire sarà proprio lei". Giuro, avrei preferito il serpente in CG che l'Odio emo. Detto, questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate tutti i link del recente special K-Horror Day indetto da noi blogger e divertitevi a scoprire il cinema horror coreano! ENJOY!


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