venerdì 28 maggio 2021

The Empty Man (2020)

L'horror più sorprendente dell'anno è, al momento, The Empty Man, diretto e co-sceneggiato dal regista David Prior. Se avete voglia di leggere, vi spiego perché...


Trama: anni '80, Buthan. La vacanza di quattro ragazzi finisce malissimo dopo un macabro ritrovamento. Ai nostri giorni, l'ex detective James Lasombra riceve dalla vicina di casa la richiesta di rintracciare la figlia, scomparsa dopo avere lasciato in bagno una scritta inquietante: "The Empty Man made me do it", ed entra in contatto con un mistero dalla portata mondiale...


Tagliamo subito la testa al toro. Non ho scritto sopra che The Empty Man è il film horror più bello dell'anno, perché ha qualche difetto su cui tornerò più avanti, ma di sicuro è il più sorprendente ed interessante perché, fino all'ultimo, riesce a spiazzare qualunque spettatore, anche quello che ha visto miliardi di pellicole d'orrore e crede di saper prevedere dall'inizio alla fine quello che succederà. Purtroppo per questo genere di spettatori, The Empty Man è, letteralmente, tre film in uno: comincia come una specie di tesissimo survival horror a sfondo sovrannaturale, di quelli capaci di far agitare parecchio sulla poltrona, continua come una di quelle cretinate per adolescenti dove i personaggi scemi fanno cose stupide (nella fattispecie: invocare l'Empty Man del titolo) per poi morire malissimo, e a un certo punto cambia completamente faccia e abbandona le velleità teen per diventare un horror "noir" a base di complotti mondiali e stravolgimenti cosmici da cardiopalma, quelle cose Lovecraftiane che ti fanno pregare di non capire MAI cosa ci sia oltre il velo della realtà (spoiler: cose brutte, ovviamente). Abbandonarsi a queste tre anime è bellissimo, rende un horror di più di due ore scorrevole come se durasse la metà e mette in campo tanta di quella carne al fuoco che sarebbe meglio far passare qualche mese e poi riguardare The Empty Man col senno di poi, giusto per godersi quei quattro/cinque passaggi che magari non avevamo colto appieno ad una prima visione. In un'epoca di horror usa e getta, di film magari bellissimi ma comunque realizzati con due lire oppure "concentrati" sul nucleo della storia (giusto quelli di Ari Aster e La cura dal benessere vanno in controtendenza), un'opera come quella di David Prior, che si prende tutto il tempo di divagare, di giocare sulle atmosfere, di indulgere in dettagli magari insignificanti, è davvero una mosca bianca e per questo ancora più piacevole. 


Come ho detto sopra, certo, The Empty Man non è esente da difetti. David Prior a volte pare perdere un po' il filo della sceneggiatura imbastita, tanto che a rifletterci dopo la visione ci sono alcune cose che non tornano, soprattutto quando il film si inoltra nel territorio pericolosissimo del thriller sovrannaturale ambizioso, e onestamente non ho apprezzato granché la CGI sul finale, che fa a pugni con una realizzazione altrimenti splendida.  Prior è infatti un regista con la R maiuscola e, senza fretta alcuna, gira delle scene splendide e inserisce dei raccordi assai raffinati tra l'una e l'altra (la lunga introduzione è un capolavoro di suspance che sfrutta l'ambiente montano per mettere ancora più ansia, senza bisogno di jump scare, ma c'è una sequenza di puro delirio cosmico che mette i brividi al solo ricordo, e questo per fare un paio di esempi), sfruttando alla perfezione anche il sonoro e dei sussurri particolarmente fastidiosi, che si insinuano nel cervello facendolo prudere davvero. Anche il comparto attori non è male, a partire dal protagonista James Badge Dale, che ha quell'aria da detective "fincheriano", mentre la giovane Sasha Frolova, già vista in Kindred Spirits dove spiccava per le doti recitative in un film altrimenti dimenticabile, è una di quelle facce da tenere d'occhio. Lo stesso, ovviamente, vale per The Empty Man, un film a cui dovreste dare una chance, sia che siate appassionati di horror o che semplicemente abbiate voglia di guardare una pellicola intrigante, per una serata un po' diversa. 


Di James Badge Dale (James Lasombra), Marin Ireland (Nora Quail),  Aaron Poole (Paul), Stephen Root (Arthur Parsons) e Owen Teague (Duncan West) ho già parlato ai rispettivi link.

David Prior è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, è anche produttore, montatore, fotografo, attore, tecnico degli effetti speciali, compositore e scenografo. Ha 52 anni.


Sasha Frolova
interpreta Amanda Quail. Americana, ha partecipato a film come Kindred Spirits e Piccole donne. Ha 26 anni.


The Empty Man
è vagamente ispirato alla serie a fumetti omonima, scritta da Cullen Bunn e disegnata da Vanessa R. del Rey, mai pubblicata in Italia, direi. Se siete curiosi, recuperatela. ENJOY!

martedì 25 maggio 2021

Elegia americana (2020)

Lo hanno bocciato tutti o quasi, quindi è con qualche remora che mi sono approcciata a Elegia Americana (Hillbilly Elegy), diretto nel 2020 da Ron Howard e tratto dall'autobiografia di J.D. Vance.


Trama: J.D. studia legge a Yale ma viene da una sgangheratissima famiglia degli Appalachi che gli ha lasciato parecchie cicatrici e che rischia di stroncare sul nascere la sua eventuale carriera di avvocato.


Sarà la pandemia ma a me pare i protagonisti dei film candidati ai Golden Globe siano tutti fastidiosissimi e di un'antipatia rara. Ma Rainey era da fustigare, Marla non ne parliamo e i maledetti hillbilly di Elegia Americana meriterebbero di scomparire dalla faccia della terra, tanto il loro squallore mi provoca istintivo disgusto. Ma prima di andare avanti, che cos'è un hillbilly? Noi li chiameremmo "montanari", è un modo dispregiativo di definire gli abitanti delle zone montuose d'America, connotati da poca raffinatezza e abbondanti dosi di ignoranza. I parenti di J.D., il protagonista del film, non fanno eccezione e sono lo stereotipo dell'americano repubblicano e timorato di Dio che passa la vita a sfondarsi di junk food mentre orde di figli e nipoti razzolano nello sporco e nell'indigenza, imprigionati in cittadine dove alcool e droga sono gli unici modi per sopravvivere a una vita misera, fatta di precariato e scuole lasciate a metà. Il rischio, in un ambiente simile, è quello di avere il destino già segnato, soprattutto se per carattere si tende a lasciarsi andare e non combattere, ed è ciò che rischia J.D. ogni giorno nonostante una vena di sensibilità e intelligenza che gli potrebbe fare ambire traguardi più alti; la storia di Elegia Americana è proprio la storia di J.D., dall'infanzia passata con la madre pazza e drogata all'adolescenza salvata per il rotto della cuffia da una nonna distante anni luce dall'idea di "nonnina" normale, fino alla temporanea liberazione durante gli anni della maturità, quando il tentativo di fuga dalle radici deve fare il conto con problemi familiari mai risolti.


Eppure, nonostante la palese negatività di un ambiente come quello in cui J.D. Vance è realmente vissuto, la sua è un'elegia, un'elegia dei valori che lo hanno cresciuto fin da ragazzino e che possono riassumersi in una protezione totale da parte della famiglia, un "non venire lasciati mai soli" nonostante tutti gli errori e i difetti, in virtù di una testardaggine e una vena di durezza assai simile a quella delle rocce delle montagne; emblema di questa durezza è proprio Mamaw Vance, schiacciata dalla vecchiaia e dai sogni di giovinezza infranti eppure determinata a non cedere e, soprattutto, a fare sì che il nipote non faccia la stessa fine della madre, cosa che ovviamente la rende in pratica l'unico personaggio a cui il pubblico riesce ad affezionarsi. Forse è proprio questo che ha tenuto distanti gli spettatori dall'ultimo film di Ron Howard, nonostante le interpretazioni magistrali di Amy Adams (brutta, imprevedibile e pazza) e Glenn Close, altrettanto irriconoscibile. Probabilmente molti americani non avranno gradito lo "sputtanamento" e l'occhio per nulla indulgente con cui lo star system ha messo in scena una storia di ordinaria decadenza urbana, mentre il resto del mondo, già scosso dalla pandemia, forse non aveva bisogno di una storia che, nonostante l'happy ending "formativo", è di una tristezza atroce e spesso raggiunge picchi di fastidio insostenibili. Nonostante questo, vi dirò, a me è comunque piaciuto e, anche se non lo farò mai rientrare nel novero di film per cui tiferò ai Golden (infatti nulla ha vinto, in questo caso) o agli Oscar, è una visione che consiglio.


Del regista Ron Howard ho già parlato QUI. Amy Adams (Bev), Glenn Close (Mamaw) e Haley Bennett (Lindsay) le trovate invece ai rispettivi link. 

Gabriel Basso interpreta J.D. Vance. Americano, ha partecipato a film come Super 8 e Una doppia verità. Ha 27 anni. 



venerdì 21 maggio 2021

The Father (2020)

E' uscito ieri nelle sale italiane The Father, diretto e co-sceneggiato dal regista Florian Zeller, vincitore di un Oscar per il miglior attore protagonista e per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: Anthony, ormai anziano, si ritrova a non riconoscere più non solo i suoi familiari ma anche il mondo che lo circonda...


I film che trattano il tema delicato dell'Alzheimer e di tutto ciò che implica questa orribile malattia, per chi ne è affetto e per chi gli sta accanto, nel corso di questi ultimi anni si sono moltiplicati, eppure a me pare che The Father sia il primo a mostrare il punto di vista del malato senza piegarlo al desiderio di comprensione dello spettatore. L'opera di Florian Zeller, tratta da una sua pièce teatrale, ci introduce infatti alle ultime fasi della vita di Anthony, uomo che si ritrova a dipendere sempre più dalla figlia Anne a causa di una malattia degenerativa che lo sta privando, a poco a poco, della lucidità e della memoria; un uomo che si è sempre distinto per umorismo, intelligenza e gusti, fiero della propria indipendenza, arriva a guardare con diffidenza tutto ciò che lo circonda, ritrovandosi spiazzato davanti a persone che non riconosce e luoghi che non sono quello che sembrano. L'inizio del film è trattato come un giallo hitchcockiano, tanto che nello spettatore si insinua la stessa angoscia che comincia a corrompere ancor più la mente di Anthony, soprattutto dal momento in cui anche la dimensione temporale di The Father, la consecutio degli avvenimenti, comincia a privarsi di ordine e logica, lasciando ancora più spiazzati e consapevoli di come dev'essere "perdere le foglie", ritrovarsi come un albero nudo, privi di quella sicurezza che deriva dalla piena coscienza di sé, alla mercé di qualsiasi cambiamento. Quella stessa insicurezza si riversa sullo spettatore, che a un certo punto si chiede se ciò che si vede sullo schermo sia interamente reale o in parte frutto delle percezioni distorte di Anthony, soprattutto nella sequenza più orribile dell'intera pellicola, quella in cui il marito di Anne comincia a picchiare l'anziano suocero che scoppia in lacrime così cocenti e terrorizzate da spezzare il cuore a un sasso.


E lacrime si versano anche davanti ai dubbi di Anne e al suo senso di colpa, ché The Father, nonostante la sua breve durata, riesce anche, con poche pennellate, a delineare la situazione di chi ha a che fare con la malattia da "esterno", vittima non solo del dolore di vedere sfiorire il proprio caro ma anche di quello di diventare bersaglio di esternazioni violente e anche troppo "sincere", soprattutto quando a prendersi cura del malato non è la figlia preferita, come in questo caso. Lo strazio di sentirsi lacerare tra l'affetto per il malato, il senso di dovere filiale, e l'umana fatica di dover sopportare una simile situazione anelando la libertà e la possibilità di vivere un'esistenza normale si leggono in ogni ruga del viso della bravissima Olivia Colman, nei suoi sguardi, in quel groppo alla gola che diventa un riverbero di quello dello spettatore. E quanto è tornato ad essere bravo, finalmente, anche Anthony Hopkins, che in una sequenza affascina e conquista, per poi straziare durante un finale in cui si fatica a non distogliere lo sguardo per il modo in cui viene messa in scena tutta la pena di una malattia che priva le persone dell'indipendenza e della dignità, lasciando solo un fragile guscio vuoto là dove un tempo c'era un essere umano integro e meravigliosamente complesso. Di fronte a questo, The Father non è un film che consiglio a chi dovesse trovarsi in una simile situazione, perché rischierebbe di non essere per nulla catartico e di aumentare la sofferenza, tuttavia è una delle pellicole che ho apprezzato maggiormente nel corso dell'annuale, forsennata rincorsa al recupero pre-Oscar, quindi guardatelo perché merita. 


Di Anthony Hopkins (Anthony), Olivia Colman (Anne), Mark Gatiss (l'uomo), Olivia Williams (la donna), Imogen Poots (Laura) e Rufus Sewell (Paul) ho già parlato ai rispettivi link. 

Florian Zeller è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Francese, è al suo primo lungometraggio. Anche produttore, ha 42 anni.


Se The Father vi fosse piaciuto recuperate Still Alice, lo trovate a noleggio su varie piattaforme. ENJOY!

mercoledì 19 maggio 2021

Jakob's Wife (2021)

Potevo evitare il trinomio Crampton/Fessenden/vampiri? Assolutamente no e ringrazio Lucia per avere parlato di Jakob's Wife, diretto e co-sceneggiato dal regista Travis Stevens.


Trama: Anne è la moglie fedele e devota del pastore Jakob e da trent'anni vive a fianco dell'uomo, o meglio, un passo indietro. Un giorno Anne viene morsa da un vampiro e tutto cambia...


Jakob's Wife
è uno di quei film molto interessanti che sfrutta l'horror per parlare di qualcos'altro, fin dal titolo. Non "Anne" ma "Jakob's Wife", la silenziosa, dimessa moglie del pastore Jakob, colui che ha sempre una parola buona per i suoi fedeli; talmente tante parole, in effetti, che ogni volta che Anne prova ad aprire bocca lui le parla addosso, zittendola come se neppure esistesse. Non è violento Jakob, attenzione. Almeno, non di quella violenza consapevole fatta di botte o insulti, ma è innegabile che ormai non veda più la moglie come donna o compagna ma solo come accessorio "pratico", indispensabile al funzionamento del matrimonio nella misura in cui tiene pulita la casa, cucina e, soprattutto, mantiene le apparenze di sposa devota e felice agli occhi di Dio e della comunità. La stessa Anne, poverella, non sa come sia finita a fare quella vita, a sfiorire perdendo ogni capacità di parlare per sé, di far valere desideri ed opinioni, accanto a un uomo che nonostante tutto ama. La stabilità decennale fatta di rinunce e sopraffazioni viene giustamente spazzata via quando Anne viene morsa da un vampiro ed è allora che la protagonista, ironicamente non morta, apre nuovamente gli occhi alla vita, alle mille possibilità che potrebbero spalancarlesi davanti se solo si rendesse conto di essere un individuo e non l'appendice di qualcun altro; nello stesso momento, Jakob è costretto a fare i conti con una persona nuova e a rimettersi in discussione come marito e uomo, prima ancora che come servo di Dio, riscoprendo dentro di sé emozioni come amore, gelosia e paura (non tanto dei vampiri, quanto piuttosto di essere lasciato).


La nascita di questa nuova vita (o non-morte) a sessant'anni, viene portata sullo schermo con leggerezza ed intelligenza  attraverso un film che accontenta tutti, sia gli amanti del gore spinto, magari anche un po' citazionista, sia gli spettatori che dall'horror pretendono qualcosina in più. Non che non avessi già stima di Barbara Crampton e Larry Fessenden ma Jakob's Wife mi ha fatta innamorare di entrambi, due dimostrazioni viventi di come anche le storie più semplici, se raccontate attraverso l'alchimia perfetta tra gli attori che la interpretano, possono diventare dei piccoli gioiellini. La Crampton riempie letteralmente la scena, sia nel suo aspetto dimesso sia quando le viene data l'occasione di tornare a brillare e prendere le redini della sua vita, diventando una dark lady di una bellezza sconvolgente, mentre Fessenden, nei panni del pastore Jakob, strappa alternativamente la voglia di schiaffeggiarlo a quella di consolarlo per essere finito in un casino più grande di lui ed è perfetto sia nei momenti drammatici che nei molti momenti più legati alla commedia. Insieme, poi, formano una delle coppie più affiatate viste di recente e se, personalmente, ho trovato il frame finale geniale e sexy allo stesso tempo (madonna lo sguardo che si scambiano e quella tensione da tagliare col coltello, cosa non sono!!), c'è da fare la standing ovation alla scena di sesso più sentita e hot dell'ultimo decennio, uno sputo in un occhio alle cazzatelle patinate e fintamente erotiche lasciate nelle mani di attori bellocci ma distaccati, superati a destra dalla divina Crampton e dall'umanissimo Fessenden. Che gli Antichi vi conservino ancora a lungo, signori, perché i giovinetti di belle speranze hanno solo da imparare da voi!


Di Barbara Crampton (Anne Fedder) e Larry Fessenden (Pastore Jakob Fedder) ho già parlato ai rispettivi link. 

Travis Stevens è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto il film La ragazza del terzo piano. E' anche produttore, attore e stuntman.




martedì 18 maggio 2021

She Dies Tomorrow (2020)

Altro film presente nella classifica 2020 di Lucia che mi ero persa è She Dies Tomorrow, diretto e sceneggiato nel 2020 dalla regista Amy Seimetz.


Trama: Amy è convinta di stare per morire. Con questa convinzione in testa, parla con l'amica Jane, scatenando una reazione a catena...


She Dies Tomorrow
è un film che metterà alla prova chiunque tenterà di vederlo, almeno per i primi 15 minuti. Vi sfido a superare indenni scene senza apparentemente né capo né coda, dove una Kate Lyn Sheil depressa vaga per la casa nuova e per il giardino accompagnata da sprazzi di Lacrimosa dal Requiem di Mozart (mai colonna sonora più adatta), mentre deliranti visioni o ricordi del passato spezzano l'azione di tanto in tanto, creando ancora più confusione. Se, e sottolineo se, riuscirete a superare questo scoglio, e i minuti potrebbero anche essere 20 (ma vi sembreranno almeno 50), arriverete al punto in cui She Dies Tomorrow vi prenderà per non lasciarvi più andare, infilzati all'amo di una frase pronunciata con una sicurezza disperata e ineluttabile: "Domani morirò". Amy è convinta, al 100%, che morirà il giorno dopo. Nulla può convincerla del contrario, il suo è l'atteggiamento rassegnato di chi sa, di chi non ha mezzi per impedire l'inevitabile, di chi rimane inebetito dalla rivelazione e cerca in ogni modo di "distrarsi", come se fosse possibile farlo quando hai un tarlo che ti rode la testa. E voi direte, e quindi? E quindi a un certo punto Amy è costretta a raccontare all'amica Jane, fino a quel momento presa dai suoi problemi molto terreni e superficiali ma anche preoccupata dall'atteggiamento della protagonista, cosa la turba, col risultato che Jane, tornata a casa... rimane vittima di una consapevolezza ineluttabile: domani morirà anche lei, una certezza assoluta che distrugge in un attimo la sua sanità mentale e tutte le pretese di razionalità con cui cercava di dissuadere Amy dalla tragica convinzione. E, ovviamente, mica finisce qui, visto che la convinzione di morire diventa un virus capace di mettere in ginocchio tutti quelli che vi entrano in contatto.


Quella di Amy Seimetz è un'apocalisse in piccolo, una pandemia psicologica, dove non importa, in effetti, sapere se la protagonista e tutti gli altri hanno o meno ragione (probabilmente sì ma, vi avviso già nel caso cercaste un film con un finale chiaro, non è dato sapere) quanto piuttosto assistere all'ultimo giorno di gente che sa di dover morire e cercare di mettersi nei loro panni: cosa fareste, voi, se sapeste di dover morire domani? Io probabilmente sarei annichilita dall'ansia e sprecherei l'ultimo giorno piangendo e basta, nel film della Seimetz qualcuno fa come me, qualcun altro cerca di rifugiarsi (perlomeno ci prova) nei piaceri terreni, altri risolvono le cose in sospeso, altri ancora parlano di nulla cercando di arrivare a vedere l'alba, ma la certezza è una sola, ovvero che nessuno di quanti vengono toccati dal "virus" è pronto né rassegnato e assistere alle loro allucinate reazioni affascina e inorridisce nemmeno ci si trovasse davanti a uno splatter. Il film è tutto qui, è un'idea, dove contano più la suggestione e la scrittura, a volte qualche sequenza più allucinata di altre, perché la messa in scena è dimessa, gli attori pochi e gli effetti speciali ancora meno, il che rende She Dies Tomorrow la dimostrazione di come sia possibile fare cinema interessante e coinvolgente con pochissimi mezzi. Di sicuro non è un film per tutti ma comunque lo consiglio spassionatamente.    


Della regista e sceneggiatrice Amy Seimetz ho già parlato QUI. Jane Adams (Jane), Chris Messina (Jason), Josh Lucas (Doc), Adam Wingard (uomo delle Dune Buggy), Michelle Rodriguez (Sky) e Olivia Taylor Dudley (Erin) li trovate invece ai rispettivi link. 

Kate Lyn Sheil interpreta Amy. Americana, ha partecipato a film come You're Next, V/H/S, The Sacrament, Equals e serie quali Oucast. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 36 anni e due film in uscita.


Katie Aselton
interpreta Susan. Americana, ha partecipato a film come La foresta dei sogni, Regali da uno sconosciuto - The Gift, Synchronic, Bombshell - la voce dello scandalo e serie quali Legion. Anche sceneggiatrice, regista e produttrice, ha 36 anni e due film in uscita.



venerdì 14 maggio 2021

L'apparenza delle cose (2021)

Volevo cominciare il recupero dei vari Saw ma purtroppo sul mio Prime il capostipite non c'è (arcano risolto: lo trovo solo cercando da PC, non da smartbox. Vabbé.) quindi ho ripiegato su L'apparenza delle cose (Things Heard and Seen), diretto e sceneggiato dai registi Shari Springer Berman Robert Pulcini a partire dal romanzo omonimo di Elizabeth Brundage.


Trama: i Claire e la loro figlioletta si trasferiscono in una casa in campagna e lì la famiglia comincia a sfasciarsi, vittima di strani fenomeni...


Due ore di film e non mi sono addormentata, è già qualcosa. Questo per dire che L'apparenza delle cose, anche se effettivamente è un po' moscerello a livello di horror tout court e spaventi nonché, senza ombra di dubbio, rallentato nel ritmo da una quantità di episodi evitabilissimi, è comunque un film capace di tenere desta l'attenzione e di invogliare lo spettatore a capire dove andrà a parare questa strana storia di presenze fantasmatiche che, per inciso, potevano anche non esserci. Pensate a un Amityville Horror (citato a piene mani) col freno tirato, dove le presenze compaiono quanto basta per giustificare la definizione di thriller sovrannaturale nonché l'orribile finale sul quale poi tornerò, e avrete un'idea di cosa aspettarvi guardando L'apparenza delle cose. Il quale, in effetti, nella prima parte dà ad intendere che i fantasmi della nuova dimora della famiglia Claire saranno fondamentali per lo sviluppo della trama, non fosse che i protagonisti sono una coppia già destinata allo sfascio e priva di amore fin da subito, due personaggi di cui uno andrebbe messo al rogo (il marito Charlie) e l'altro insignito del premio "Genio!" per il modo in cui decide di agire con imbarazzante mancanza di tempismo, quindi non serviva la mano spiritica per buttarli oltre il ciglio della rupe; certo, l'aldilà diventa fondamentale negli ultimi dieci minuti, ma per il resto potevano anche non scomodarlo. Diciamo che il "bello" del film è capire quanto Charlie sia, per l'appunto, solo apparenza e quanto ci metterà Catherine ad aprire gli occhi e mandarlo a stendere come merita, visto che del mistero che circonda la casa se ne disinteressano persino gli sceneggiatori a un certo punto, e sicuramente sono più inquietanti i vivi dei morti.


Ma come ho detto, bisogna pagare la quota sovrannaturale e tutto quello che è stato trattenuto nel corso del film deflagra in un finale che dovrebbe fare vergognare chiunque abbia mai definito kitsch Al di là dei sogni oltre che privare lo sceneggiatore di Estraneo a bordo del titolo di "peggior inventore di maccosa cinematografici"; nulla può, infatti, il clandestino imbullonato contro l'assioma "il bene vince sempre", incarnato in una cretinissima ed inverosimile vendetta postuma davanti alla quale il bene in questione ci fa proprio una magra figura. Arrivata fin qui, mi rendo conto di non avere scritto cose che possano invogliare alla visione di L'apparenza delle cose, ed è un peccato perché per una serata senza troppe pretese è un film perfetto, quindi potrei inserire qualche elemento positivo spendendo delle belle parole per Amanda Seyfried, sempre elegante e scazzatella (ma fatela esplodere di rabbia di più, non ricordate quella meravigliosa scena in Twin Peaks - Il ritorno?), perfetta per il personaggio di Catherine, oppure parlare della gioia di avere rivisto l'adorata Karen Allen, che purtroppo rischiate di perdervi per strada visto quanto poco è incisivo il personaggio che interpreta; parlando di attori, però, mi tocca anche sottolineare quanto, tirata fuori da Stranger Things, "Nancy Wheeler" sia poco meno di una cagna maledetta, ma forse è anche colpa della fondamentale inutilità e pedanteria della giovane Willis, che serve solo ad anticipare (se ce ne fosse bisogno) quanto è stronzo Charlie. Insomma, vai a sapere perché non mi sono addormentata e mi sono anche divertita a guardare questo film. Recuperatelo con moltissima calma e fatemi sapere se riuscite a capire cosa mi ha preso!


Di Amanda Seyfried (Catherine Claire), Karen Allen (Mare Laughton) e F. Murray Abraham (Floyd DeBeers)  ho già parlato ai rispettivi link. 

Shari Springer Berman e Robert Pulcini sono i registi e co-sceneggiatori della pellicola. Americani, sposati dal 1994, hanno diretto film come American Splendor, Il diario di una tata, Un perfetto gentiluomo, Imogene e 10,000 Saints. Anche produttori e attori, hanno lei 58 e lui 57 anni.


James Norton
interpreta George Claire. Inglese, ha partecipato a film come Turner, Flatliners - Linea mortale, Piccole donne e a serie come Doctor Who e Black Mirror. Anche produttore, ha 36 anni. 


Natalia Dyer
interpreta Willis. Conosciuta come la Nancy di Stranger Things, ha partecipato a film come Velvet Buzzsaw. Ha 26 anni.


Se L'apparenza delle cose vi fosse piaciuto recuperate Amityville Horror, Changeling e Ballata macabra. ENJOY!

mercoledì 12 maggio 2021

Estraneo a bordo (2021)

Spinta da un paio di recensioni positive ho recuperato uno degli originali Netflix che volevo vedere da un po', Estraneo a bordo (Stowaway), diretto e co-sceneggiato dal regista Joe Penna. Contiene qualche spoiler.


Trama: tre astronauti diretti su Marte si ritrovano a dover affrontare, durante il viaggio, un imprevisto potenzialmente mortale...


Da Wikipedia: "La sospensione dell'incredulità, o sospensione del dubbio (suspension of disbelief in inglese), è un particolare carattere semiotico che consiste nella volontà, da parte del lettore o dello spettatore, di sospendere le proprie facoltà critiche allo scopo di ignorare le incongruenze secondarie e godere di un'opera di fantasia."  Senza sospensione dell'incredulità, ben capirete, non esisterebbe il cinema horror, né quello fantastico, ma neppure Fast & Furious, dal cui set questo carattere semiotico è stato probabilmente bandito con cartelli appositi, eppure ci sono dei momenti in cui persino io, che me la porto sulla schiena da decenni, faccio fatica ad abbracciarla in toto nel caso di pellicole come Estraneo a bordo. Il film di Joe Penna, purtroppo per lui, pur riuscendo a sviscerare bene i suoi terrificanti dilemmi morali, parte da una situazione altamente improbabile, il cui ricordo mi ha pungolato il cervello per tutta la durata del film: in pratica, la lotta per la sopravvivenza dei tre astronauti protagonisti parte dalla scoperta di un clandestino a bordo, un operaio rimasto chiuso in un controsoffitto dove, guarda caso, è ubicato il fondamentale dispositivo di supporto vitale dell'intera astronave che viene così mandato in cortocircuito. Onestamente, posso accettare il fatto che bon, bruciato quello non vi siano pezzi di ricambio che tengano (anche se, santo Cielo, se dal dispositivo dipende la vita degli astronauti...) ma davvero non avevano altro modo di introdurre il quarto incomodo se non facendolo svenire in un controsoffitto che il Capitano Barnett deve SBULLONARE per scoprire da dove viene il sangue che all'improvviso gocciola sul pavimento? Lo hanno accoltellato e poi hanno tentato di nascondere il cadavere nel posto più improbabile dell'universo? Ma non chiediamocelo, tanto non avremo mai risposta perché, giustamente, il quarto passeggero serve "solo" a scatenare il dibattito umano su cosa si sarebbe disposti a fare per sopravvivere e a mettere in scena lo scontro tra pragmatismo sofferto e sofferente idealismo, col personaggio della Kendrick che cerca tutte le soluzioni per non arrivare a decisioni estreme e gli altri due che, pur con tutto lo strazio dell'animo, cercano di tenere i piedi per terra. Nel mezzo, il poveraccio trovatosi sulla nave per sbaglio, che "tiene famiglia" e non ha colpa alcuna, il che rende ancora più difficile sacrificarlo. 


A onor del vero, forse perché appunto il mezzuccio iniziale mi ha offesa nell'intimo, quello del film è un dibattito che ho trovato ozioso e poco entusiasmante, tanto che la parte centrale di Estraneo a bordo mi ha conciliato il sonno in più di un'occasione (magari anche perché non amo particolarmente i film ambientati nello spazio...), mentre l'inizio e l'intera sequenza di recupero delle bombole mi hanno letteralmente mozzato il fiato da tanto sono ben realizzate, e sono le uniche che mi hanno consentito di immedesimarmi nella tragedia dei quattro passeggeri. Mi dispiace, anche perché gli attori sono tutti molto bravi e ognuno di loro si impegna per portare su schermo una vasta gamma di emozioni complesse, in primis la Kendrick e la divina Collette, ma in definitiva Estraneo a bordo è uno di quei film "da Netflix" di cui parlare per mezz'oretta prima di addormentarsi per poi dimenticarselo il mattino dopo. A questo punto avrei preferito che l'Estraneo a bordo fosse stato un alieno o un essere umano malvagissimo; espediente trito e ritrito ma sicuramente mi sarei divertita molto di più!


Di Anna Kendrick (Zoe Levenson) e Toni Collette (Marina Barnett) ho già parlato ai rispettivi link.

Joe Penna è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Brasiliano, ha diretto il film Arctic. Anche produttore e attore, ha 33 anni.


Daniel Dae Kim
interpreta David Kim. Sud Coreano, diventato famoso per il ruolo di Jin in Lost, lo ricordo per film come The Jackal, Hulk, Spider-Man 2, Hellboy e altre serie quali Beverly Hills 90210, Jarod il camaleonte, Ally McBeal, Walker Texas Ranger, Streghe, CSI - Scena del crimine, Angel, E.R. Medici in prima linea e 24; come doppiatore ha lavorato per La storia della principessa splendente, C'era una volta e Mirai. Anche produttore e regista, ha 53 anni. 


Se Estraneo a bordo vi fosse piaciuto recuperate Gravity, Interstellar (lo trovate su Netflix) Sopravvissuto - The Martian e First Man. ENJOY!

martedì 11 maggio 2021

Synchronic (2019)

Sono tornati Aaron Moorehead e Justin Benson e questa volta ci hanno regalato Synchronic, da loro diretto e sceneggiato nel 2019.


Trama: Steve e Dennis sono due paramedici che, all'improvviso, cominciano a trovarsi davanti casi di persone uccise o ferite da oggetti provenienti apparentemente dal passato dopo aver assunto una droga sintetica chiamate Synchronic...


Moore
e Benson non sono mai banali, per fortuna, nemmeno quando la trama potrebbe rischiare di portarli sulla cattiva strada. In quanti si sono infatti impelagati nei viaggi nel tempo, uscendone con le ossa rotte? Certo, i due registi e sceneggiatori col tempo e i loop temporali ci hanno sempre giocato, ma erano cose interessanti, dal budget ridotto, senza attori di richiamo: qui si vede che il budget è aumentato, inoltre la presenza di Jamie Dornan e, soprattutto, di un "vendicatore" come Anthony Mackie rischia di portare un film come Synchronic all'attenzione di un vasto pubblico, con tutto quello che ne consegue, che solitamente non è mai buono. In questo caso però, Moore e Benson non si sono snaturati e sono riusciti a proseguire con la loro poetica di orrore o, in questo caso, di fantascienza, fatta di ritmi lenti, un profondo studio dei personaggi e un racconto non lineare. Questi ultimi due aspetti, in particolare, saltano all'occhio guardando Synchronic, all'interno del quale uno degli elementi più importanti è il rapporto tra Steve e Dennis e il modo in cui si sviluppa la storia tenendo a mente non tanto ciò che accade loro all'interno del film, quanto un trascorso di cui lo spettatore viene reso partecipe attraverso dialoghi, gesti, atteggiamenti di profonda complicità "adulta". Steve è lo "scapestrato" dei due, quello che vive alla giornata passando da un letto all'altro, possibilmente ubriaco e vittima di "droghe ricreative"; Dennis è invece sposato, ha dei figli, e non sa se la sua vita coniugale è ciò che voleva davvero o se non avrebbe fatto meglio, pur amando le figlie, a rimanere come Steve. La profonda differenza tra questi due personaggi e il modo in cui essa rende più forte un legame che dura nel tempo, è fulcro della trama tanto quanto la droga sintetica Synchronic e spinge Dennis, e soprattutto Steve, ad affrontare in quella determinata maniera la diffusione di incidenti temporali e la scomparsa della figlia adolescente di Dennis, creando così una fantascienza "di sentimenti", profondamente coinvolgente (chi non piange sul finale o è un mostro o mente).


Tornando su un tipo di racconto non lineare, poi, è interessante come passato e presente si incrocino, tra epoche distanti che invadono la nostra linea temporale e ricordi che un ingegnoso lavoro di montaggio collega senza soluzione di continuità al flusso narrativo, risultando forse ostico agli spettatori con un occhio sullo schermo e uno sul cellulare. A proposito di cellulari e diavolerie moderne, Synchronic è uno dei pochi film a tema "paradossi temporali" a sottolineare a chiare lettere come il passato faccia schifo, sia un posto di pericolo, di ignoranza, di morte, soprattutto per chi, come Steve, è di colore e si ritrova costretto a nascondersi onde evitare di venire linciato o ucciso; in questo, è molto più realistico di tante pellicole che hanno già trattato l'argomento, anche se magari meno cervellotico nella misura in cui (per fortuna) non si parla di paradossi temporali o astruse regole da tenere a mente per ritrovarsi poi a smontare la trama pezzo per pezzo. Anche perché, a mio avviso, le distorsioni temporali di Synchronic sono importanti fino a un certo punto e ciò che conta è godersi un film che cattura l'interesse dello spettatore anche e soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi principali e che, finalmente, mette in luce le capacità attoriali di chi nei film Marvel sta un po' a fare da tappezzeria. A proposito di film Marvel, Moore e Benson dirigeranno la serie Moon Knight, in arrivo chissà quando su Disney +; onestamente, non conosco il personaggio quindi non saprei dire quale approccio potranno adottare i due, spero solo che non verranno snaturati e depersonalizzati come la maggior parte degli autori che finiscono per essere fagocitati dalla malefica casa del topo. Nell'attesa, potete comunque farvi una cultura dei loro film!


Dei registi Aaron Moorehead e Justin Benson, che è anche sceneggiatore, ho già parlato ai rispettivi link. QUI e QUI trovate invece Anthony Mackie (Steve) e Jamie Dornan (Dennis).


Se Synchronic vi fosse piaciuto recuperate Resolution e The Endless: l'ultimo lo trovate su Chili e altre piattaforme streaming mentre Resolution pare non sia mai arrivato in Italia e, nonostante The Endless sia fruibilissimo anche da solo, andrebbero visti in sequenza.  ENJOY! 

venerdì 7 maggio 2021

I Mitchell contro le macchine (2021)

Lo aspettavo da quando ancora lo avevano intitolato Connected e finalmente è arrivato su Netflix I Mitchell contro le macchine (The Mitchells vs the Machines), diretto e sceneggiato da Mike Rianda e Jeff Rowe.


Trama: un viaggio in macchina per portare la figlia maggiore al college si trasforma per i Mitchell in un'odissea quando la tecnologia di tutto il mondo improvvisamente impazzisce...


Ma quanto diamine è carino I Mitchell contro le macchine? Definirlo un piccolo miracolo di animazione è riduttivo, ma è così, perché sia nella sceneggiatura che nella realizzazione riesce a mantenere in equilibrio perfetto tutte le anime di cui è composto: coming of age, road movie, parodia, action, commedia demenziale, fantascienza distopica, lungo episodio di Lizzie McGuire, horror, tutto ciò convive all'interno di un film di quasi due ore che non perde di ritmo nemmeno per un secondo e che, in tutto questo, porta persino lo spettatore a commuoversi e riflettere. La famiglia Mitchell, infatti, sarà anche strana ma dentro ognuno di loro ci sono  pezzi di noi. Abbiamo la protagonista, Katie, che vorrebbe scappare da una famiglia che, pur volendole bene, non capisce le sue aspirazioni; un papà, Rick, che con tutte le buone intenzioni e l'amore smisurato per la figlia, non accetta minimamente la deriva tecnologica della società (quanto mi ha ricordato il mio, di padre. Se gli avessero messo in bocca un paio di bestemmie e un bonario "strunsate" davanti ai video girati da Katie, avremmo avuto un perfetto signor Bolla) e si è ormai dimenticato di quando anche lui aveva mille strani desideri di indipendenza e libertà; abbiamo una mamma e un fratellino che cercano di mediare con due caratteri affatto facili, affermando nel frattempo anche le loro personalità peculiari (ed adorabili. Linda è già la migliore madre di sempre, Aaron il fratellino scemo che tutti vorremmo avere nonché uno dei pochissimi bambini animati privo di quelle caratteristiche che pungolano la sindrome di Erode) e ovviamente tutti i problemi di questa famiglia disfunzionale esploderanno e verranno risolti all'interno di un viaggio che li vedrà unici superstiti della razza umana contro la tecnologia che si è finalmente ribellata.


Voi direte, giustamente, che la trama è trita e ritrita, la morale per cui dobbiamo tutti venirci incontro e parlare un po' di più, accettandoci per quello che siamo, già sentita mille volte (e lo sottolinea il film stesso, attraverso la cinica PAL), ma I Mitchell contro le macchine è talmente realistico nella spietatezza con cui sviscera tutti i nostri difetti e scoppiettante nella realizzazione da risultare nuovo e fresco come poche altre opere recenti, perché spesso ciò che serve è solo l'intelligenza di rimescolare elementi noti e ricombinarli in maniera diversa e genuina. E' quello che accade ne I Mitchell contro le macchine, a partire dalla colonna sonora elettronica che fa tanto videogame o episodio di Stranger Things, per arrivare ai già citati momenti di ancor più cartoonesca introspezione alla Lizzie McGuire, durante i quali la realtà viene completamente filtrata dallo sguardo creativo e un po' pazzo di Katie, per non parlare poi dei veri meme o video di Youtube che, a differenza di quella schifezza vile di Jem e le Holograms, qui vengono utilizzati con criterio per rendere il tutto ancora più "empatico" e divertente, come se già non bastassero le bellissime animazioni, efficaci soprattutto nei tic quasi impercettibili che caratterizzano i singoli personaggi. Non starò ad elencare tutti i momenti di pura esaltazione e incredulo divertimento che mi hanno fatto venire voglia di alzarmi dalla poltrona per una standing ovation (dico solo una cosa: Furby. Ma ce ne sarebbero mille altre, in primis tutte le gag legate al cagnolino Monchi) e andare ad abbracciare Rianda e Rowe, vi dico solo di guardare senza indugio I Mitchell contro le macchine perché rischia di essere il motivo principale per farsi un abbonamento a Netflix. Ah, si astengano leghisti, puristi, broflakes, complottisti del "ci stanno facendo diventare gay" e fautori del "Pensiamo ai bambini" visto che Katie è lesbica. E i genitori, guarda un po', la amano lo stesso, anzi, la adorano. Dove andremo a finire, signora mia.  


Di Danny McBride (Rick Mitchell), Maya Rudolph (Linda Mitchell) e Olivia Colman (PAL) ho già parlato ai rispettivi link.

Mike Rianda è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio, inoltre doppia Aaron Mitchell.  Americano, ha 37 anni.

Jeff Rowe è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lavoro come regista (ma è uno degli sceneggiatori di Disincanto). Americano, doppia il tizio che ama divertirsi. 


Tra gli altri doppiatori originali segnalo il cantautore John Legend (Jim Posey), sua moglie Chrissy Teigen (Hailey Posey), Conan O'Brien (Glaxxon 5000) e persino il famosissimo cane Doug the Pug, che ovviamente doppia il cagnolino Monchi. Se I Mitchell contro le macchine vi fosse piaciuto recuperate Gli Incredibili e Ralph Spaccatutto, entrambi disponibili su Disney + . ENJOY!

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