Trama: Lisa è una ragazza che, dopo la morte della madre e il matrimonio del padre con un'altra donna, fatica ad integrarsi. I momenti migliori, per lei, sono quelli passati in solitudine nel cimitero degli scapoli, dove in particolare l'attrae la tomba di un un suo coetaneo morto centinaia di anni prima. Proprio questo stesso giovane, dopo una violenta tempesta, torna come zombie e va a cercare Lisa...
Quando Lucia mi ha detto di mettere da parte tutti gli altri recuperi e guardare Lisa Frankenstein, aveva proprio ragione. Il film di Zelda Williams (sceneggiato da Diablo Cody) è la perfetta dimostrazione che si possono prendere a prestito tanti stili, idee e suggestioni già utilizzate in passato, dare loro una rinfrescata e sfornare un prodotto piacevolissimo dove la nostalgia e l'omaggio non sono fine a loro stessi ma diventano parte integrante della storia narrata. Per essere più precisi, Lisa Frankenstein è il film che Tim Burton avrebbe potuto e dovuto girare se non fosse ormai completamente bollito e asservito ai voleri delle majors, un perfetto e gioioso mix di creepiness e sentimenti d'amore (anche fraterno), immerso in un contesto che più camp non si può e, soprattutto, filtrato dal punto di vista distorto di una protagonista adorabilmente insopportabile. Senza fare troppi spoiler, Lisa Frankenstein è il grottesco coming of age di una ragazza segnata da una terribile tragedia, troppo compresa nel suo dolore e nell'ennui per aprire gli occhi e guardare oltre un rassegnato, patetico egoismo, che si evolve in una feroce voglia di rivalsa nel momento in cui le sue mani si macchiano di sangue per la prima volta. A farne le spese, oltre a varie vittime, è la povera "creatura" uscita dalla tomba dopo una tempesta e attirata dalle promesse sognanti della solitaria Lisa la quale, aspettandosi probabilmente un elegante fantasma vittoriano di bell'aspetto, non è molto felice (almeno all'inizio) di trovarsi davanti un puzzolente cadavere sordomuto e monco. La sceneggiatura di Diablo Cody è coinvolgente sia per la scelta vincente di non raccontare la tipica storia d'amore tra umano e mostro, definizione peraltro intercambiabile, sia per quella di sovvertire parecchi cliché del genere horror e teen, grazie a dei personaggi che vanno in una direzione diametralmente opposta rispetto a quello che ci si aspetterebbe da loro (si veda la deliziosa sorellastra Taffy, la negazione di ogni school bitch mai apparsa sugli schermi) e a risoluzioni che sfidano la rigida morale che solitamente accompagna questo tipo di narrazioni.
A livello di immagini, Lisa Frankenstein è una gioia per gli occhi, già a partire dalle bellissime animazioni dei titoli di testa. Gli echi Burtoniani, come dicevo, sono fortissimi: Lisa vive in una suburbia di casette pastello, dove le matrigne (interpretate da Carla Gugino, elegantissima e vajassa come non mai) collezionano fragili oggettini incredibilmente kitsch, in quartieri tra lo squallido e il lezioso dove, però, cimiteri dai nomi evocativi si nascondono a un metro dalla "civiltà". Mano a mano che il film prosegue e Lisa scopre la sua vera natura, fotografia e regia evolvono in un florilegio di colori al neon e anni '80 filtrati da pubblicità, film, canzoni e telefilm (anche a livello di dialoghi, il film è un'esilarante e continua citazione, mentre la colonna sonora calzantissima ha uno score originale che richiama, a tratti, qualcosa composto da Danny Elfman), specchio di ciò che si smuove, finalmente, dentro la protagonista. A proposito di quest'ultima, tolto che Kathryn Newton è ormai una garanzia, parliamo del make-up e degli abiti spettacolari di Lisa. La fanciulla esordisce come la wannabe sfigata di Madonna, in un profluvio di lacca, piastre per frisé e un trucco talmente cheap che non donerebbe nemmeno alla Ciccone in persona; nel momento in cui Lisa incontra la creatura, cambia anche il suo modo di truccarsi e vestire, non più la pallida imitazione delle sue coetanee o degli idoli dell'epoca, ma una dark lady sexy e sfrontata, tutta guanti neri, fibbie, pizzi e labbra scarlatte, con più di una strizzata d'occhio alla Helena Bonham Carter dei bei tempi andati. E se la Newton fa propria l'"aura" della Bonham Carter, la creatura di Cole Sprouse ricorda un Johnny Depp ancora giovane e dotato di neuroni, un mix tra la malinconia di Edward mani di forbice e la ferocia grottesca di Sweeney Todd, un essere adorabile nella sua goffa (e talvolta disgustosa) imperfezione e dotato non solo di sentimenti elevati ma anche di voglie terrene, affrontate con piglio esilarante dalla scrittura di Diablo Cody. Attenzione anche alla favolosa Taffy di Liza Soverano, personaggio che cresce e si evolve in maniera inaspettata e realistica, diventando il cuore "sano" di un film che vi consiglio spassionatamente di recuperare, nell'attesa (spero probabile ed imminente!) di un'illuminata distribuzione italiana.