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domenica 18 novembre 2018

I Don't Feel at Home in This World Anymore. (2017)



In una di queste calde sere d'estate ho recuperato I Don't Feel at Home in This World Anymore, film presente nel catalogo Netflix, di cui quasi tutti avevano parlato benissimo tempo addietro, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Macon Blair.


Trama: dopo aver subito un furto, l'infermiera Ruth si imbarca nella ricerca della refurtiva e dei colpevoli, accompagnata dallo strano vicino di casa, Tony.



Non so se è la vecchiaia che sta cominciando a rendermi ipersensibile ma ultimamente a me sembra che la gente sia impazzita tutta. Sarà che abito in una città costiera dove d'estate il flusso di turisti sempre più "fai-da-te" rende quasi impossibile uscire di casa ma nei weekend mi tocca testimoniare ad esempi di inciviltà e menefreghismo terribili, tra gente che parcheggia a cazzo de cane, getta la spazzatura dove vuole, fa defecare i suoi dolci cagnolini su qualsiasi strada percorribile, addirittura (e non sto scherzando) fa pisciare i suoi ancor più SANTI bambini per strada, DAVANTI ai tavoli dei ristoranti all'aperto, perché portarli in bagno è difficile, per non parlare dei vecchiacci/e che, ansiosi come sono di correre a casa e aspettare la Signora Con La Falce, morire che ti facciano passare alla cassa quando tu hai UN sacchetto del pane e loro la spesa per sei mesi. Insomma, ogni giorno mi/ci tocca testimoniare ad esempi di ordinaria maleducazione sempre più fastidiosa e ciò mi ha fatta immedesimare tantissimo nella protagonista di I Don't Feel at Home in This World Anymore, infermiera timida e tranquilla, amante dell'alcool e della musica country, che all'ennesimo sopruso ingiustificato (nella fattispecie, un furto con scasso preso decisamente sottogamba dalla polizia) decide di dire BASTA. Non "basta" tipo "giorno di ordinaria follia", beninteso, quanto piuttosto un "basta" che diventa desiderio di tutelarsi e di non farsi mettere i piedi in testa, partendo dal condivisibile desiderio di recuperare la refurtiva quando la polizia mostra di non avere interesse a farlo, preferendo trattare Ruth con la miserevole condiscendenza che si offre a chi ha scioccamente lasciato la casa incustodita. Da questa semplice ricerca della refurtiva, durante la quale Ruth si allea con lo strampalato vicino di casa amante delle arti marziali, nasce un film che, nonostante il tono leggero e grottesco, racconta l'angoscia di chi non si sente più parte di questo mondo e vive ogni giorno con triste rassegnazione, sentendosi sempre più lontano da un'umanità che corre allegramente verso il baratro dell'autodistruzione, della mediocrità, dello schifo.


Tra una gag e un momento decisamente splatter, soprattutto sul finale, le riflessioni di Ruth inducono lo spettatore a gettare uno sguardo non troppo indulgente sulla propria vita, a pensare a quanto sia giusto "lasciarsi vivere" e farsi scivolare addosso tutto sopportando con una pazienza che sconfina pericolosamente nell'atarassia e nel menefreghismo; la consapevolezza che un buon 99% di noi non lascerà alcun segno nella storia non deve diventare una scusa per far sì che la deboscia abbia il sopravvento perché si può lasciare comunque un buon ricordo ad amici, parenti e semplici conoscenti... oltre che, se possibile, cercare quel minimo di soddisfazione e felicità anche per noi, ovviamente. E' per questo che la storia di Ruth, con tutte le sue inevitabili esagerazioni e licenze "poetiche" e al netto dell'indiscutibile assurdità dei personaggi di cui è popolata, rischia di radicarsi nel cuoricino dello spettatore, che può tranquillamente rispecchiarsi nella protagonista in almeno un paio di sequenze chiave; per lo stesso motivo,  I Don't Feel at Home in This World Anymore è più profondo di quanto parrebbe ad una prima, distratta occhiata e non è proprio uno di quei film da guardare col cervello spento, benché l'occhio venga coccolato da una messa in scena accattivante e un montaggio dinamico. Melanie Lynskey, attrice bravissima e fortunatamente distante dai canoni di bellezza hollywoodiani, cicciottina e dal viso non particolarmente attraente, è perfetta per il ruolo di Ruth ed è un altro, fondamentale veicolo di immedesimazione, mentre Elijah Wood, ormai abbonato ai ruoli weird, incarna l'aspetto più assurdo del film ma, attenzione, anche il suo personaggio non è da prendere sottogamba. Tony, infatti, pur con tutte le sue idiosincrasie, è il perfetto contraltare di Ruth, una persona che, a differenza della protagonista, non si limita a lasciarsi vivere ma cerca di crearsi un'oasi di realizzazione e felicità (per quanto piccola) così da non impazzire ed abbruttirsi. Che poi anche lui cerchi riscatto e lo faccia "uscendo" dal suo guscio tendendo una mano a Ruth, non solo materiale ma anche "spirituale", è l'ulteriore messaggio positivo di un film che magari non cambierà la vostra esistenza ma probabilmente vi spingerà a riflettere sul modo migliore di affrontare questo mondo dove tutti, io per prima, rischiamo di non sentirci per nulla "a casa".


Di Melanie Lynskey (Ruth), Elijah Wood (Tony), Derek Mears (Monkey Dick) e Jane Levy (Dez) ho parlato ai rispettivi link.

Macon Blair è regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima prova dietro la macchina da presa, inoltre interpreta l'uomo che al bar spoilera il libro a Ruth. Americano, anche produttore e stuntman, ha 44 anni.




martedì 1 agosto 2017

XX - Donne da morire (2017)

A luglio la Midnight Factory ha tirato fuori una bella doppietta horror con Non bussate a quella porta (di cui parlerò nei prossimi giorni) e XX - Donne da morire (XX), antologia interamente al femminile realizzata dalle registe Jovanka Vuckovic, Annie Clark, Roxanne Benjamin e Karyn Kusama.


Ad aprire le danze di questa peculiare rassegna horror "in rosa" ci pensa Jovanka Vuckovic con quello che è probabilmente il mio episodio preferito, The Box, tratto dal racconto omonimo di Jack Ketchum, vincitore nel 1994 del Bram Stoker Award. Il corto non fa paura nel senso stretto del termine ma mette un'inquietudine incredibile grazie a piccolissimi dettagli sapientemente combinati dalla regista; in esso si assiste al progressivo disfacimento di una famiglia normale, apparentemente senza motivo, distrutta dall'interno da un segreto capace di privarne i membri della voglia di vivere. Almeno, così l'ho capita io, in quanto il bello di The Box è proprio l'aura di mistero che circonda il progressivo venir meno della normalità del nucleo familiare, con cene che diventano sempre più raffazzonate (è bello vedere che all'inizio il capofamiglia cucina per tutti mentre alla fine si ricorre al cibo d'asporto...) e una madre disperata che cerca di tener duro pur non capendo perché tutto le stia sfuggendo di mano. Altro non aggiungo, altrimenti rischio di rovinare la sorpresa, dico solo che conto di leggere il racconto al più presto. Altrettanto "incomprensibile", benché in maniera totalmente diversa, è The Birthday Cake, della regista Annie Clark, alias la musicista St. Vincent. Eclettico e difficilmente catalogabile, un po' come il genere musicale della Clark, The Birthday Cake è la grottesca rappresentazione di un trauma infantile, più commedia nera che horror, e strappa sorrisi perplessi in più di un'occasione. In questo caso, quello che colpisce di più lo spettatore non è tanto la trama ma la particolarità della realizzazione, palese omaggio alla canzone Black Hole Sun, degli oggetti di scena (c'è persino Frisky, il gatto imbalsamato di Danny Elfman) e dei costumi oltre al contrasto visivo tra le due attrici principali del corto, la florida Melanie Lynskey, madre impegnata, nervosetta e svanita, e l'elegantissima Sheila Vand, più misteriosa dark lady che tutrice. Alla fine dell'episodio si rimane sicuramente spiazzati ma anche con la voglia di conoscere ciò che si nasconde dietro alle dinamiche di questa strana famiglia, desiderio ahimé frustrato dalla breve durata del segmento.


Passiamo ora alla parte più horror della raccolta, con due episodi più vicini alla classica concezione di un racconto "de paura". Il primo, Don't Fall, diretto e sceneggiato da Roxanne Benjamin, è la tipica storia di un gruppo di amici che vanno in campeggio per poi pentirsene amaramente, non sto a spiegarvi il perché. Sicuramente il pezzo più gore dell'antologia, nonché quello più ricco di effetti speciali, non è particolarmente innovativo ma mi è piaciuto soprattutto per la rara intelligenza mostrata da uno dei protagonisti che, probabilmente primo nella storia dell'horror, capisce subito la situazione e cerca di salvare la pelle a sé stesso e ai suoi compagni di sventura senza stare tanto a pettinare le bambole o perdersi in pericolosi rimorsi di coscienza. Peccato che lo stesso non si possa dire di chi lo circonda, ahimé. A chiudere l'antologia ci pensa la regista e sceneggiatrice più famosa ed "esperta" del quartetto, quella Karyn Kusama che, dopo The Invitation, è arrivata a prediligere le atmosfere minimal, le messe in scena eleganti e un modo di fare cinema dialogato e riflessivo. In Her Only Living Son lo spettatore si trova davanti ad una sorta di "sequel", a ciò che potrebbe essere accaduto dopo la conclusione di uno dei film horror più famosi e belli di sempre e le atmosfere sono molto simili a quelle del grande capolavoro che non sto a nominare: abbiamo una protagonista forte ma sull'orlo di una crisi di nervi, l'angosciosa consapevolezza di essere perseguitata da occhi misteriosi e malevoli, la dolorosa certezza che la creatura più amata dalla donna rischia di essere anche la più temuta. Ma, comunque, sempre sua e di nessun altro. I due protagonisti del corto duettano in maniera superba ma, come nei migliori horror, è ciò che non viene detto e le implicazioni di ciò che viene appena accennato a terrorizzare lo spettatore ben disposto. Assieme a The Box, il corto della Kusama è sicuramente il mio preferito.


Riassumendo, XX è una delle antologie horror più eleganti e più "costanti", per quel che riguarda la qualità dei singoli corti, che mi sia mai capitato di vedere recentemente, nonché una delle più apprezzabili: non è "grezza" come V/H/S, nemmeno estenuante come i vari ABCs of Death, soprattutto non c'è nessun episodio davvero deludente, nemmeno quel perplimente mix di commedia e cinema sperimentale che è The Birthday Cake. Ciliegina sulla torta, come collegamento tra i vari corti ci sono le terrificanti animazioni in stop-motion di Sofia Carrillo, con bamboline semoventi, bambine zombi, mele marcescenti, insetti schifosini e tutta una serie di immagini perturbanti che fanno venire la pelle d'oca molto più dei segmenti principali. XX è, in definitiva, l'ennesima dimostrazione di come le donne sappiano fare horror meglio di molti uomini blasonati e persino il Bolluomo, costretto alla visione, ha esclamato "Eh sì, voi per certe cose siete MOLTO più bastarde di noi". Lo prendo come un complimento, sperando che gli "illuminati" produttori del genere se ne rendano conto presto.


Di Karyn Kusama, regista e sceneggiatrice del corto Her Only Living Son, ho già parlato QUI. Melanie Lynskey (Mary - The Birthday Cake) e Angela Trimbur (Jess - Don't Fall) le trovate invece ai rispettivi link.

Jovanka Vuckovic è la regista e co-sceneggiatrice di The Box, al suo quarto cortometraggio. Canadese, anche tecnico degli effetti speciali, attrice e produttrice, ha 42 anni.


Annie Clark, conosciuta col nome d'arte di St. Vincent, è la regista e sceneggiatrice di The Birthday Cake. Affermata musicista americana, ha 35 anni.


Roxanne Benjamin è la regista e sceneggiatrice di Don't Fall e ha aiutato Annie Clark con la sceneggiatura di The Birthday Cake. Americana, ha co-diretto il film Southbound. E' anche produttrice e attrice.


Le facce conosciute presenti in questi corti sono un'infinità ma in particolare mi sento di segnalare Natalie Brown, che interpreta Susan Jacobs nel corto The Box e che era tra i protagonisti di Channel Zero, e Sheila Vand (Carla nel corto The Birthday Cake), ovvero "la ragazza" del film A Girl Walks Home Alone at Night; Jovanka Vuckovic avrebbe voluto Jack Ketchum ad interpretare l'uomo con la scatola ma questioni di sindacati non gliel'hanno permesso. XX - Donne da morire è dedicato alla memoria della regista Antonia Bird, la quale avrebbe dovuto partecipare all'antologia ma è purtroppo mancata nel 2013; il film era infatti stato annunciato proprio per quell'anno e i produttori avevano dichiarato che tra le presenti ci sarebbero state anche Jennifer Lynch (la quale nel frattempo si è data alle serie TV), Mary Harron (idem come sopra) e le sorelle Soska (che si sono dedicate ad altre antologie e altri generi, come Vendetta con.. ehm.. The Big Show. CaSSo, devo procurarmelo). L'edizione speciale della Midnight Factory contiene una featurette che mescola stralci di interviste ad immagini del film e soprattutto una serie di interessanti interviste a tutte le registe, Sofia Carrillo compresa, oltre ovviamente ai trailer. Per concludere, se XX - Donne da morire vi fosse piaciuto recuperate altre antologie come Tales of Halloween, Holidays, Creepshow, Trick'r Treat e magari aggiungete Rosemary's Baby e The Invitation. ENJOY!

domenica 19 gennaio 2014

Bollalmanacco On Demand: L'inventore di favole (2003)

Sono sempre più contenta di aver creato il Bollalmanacco On Demand perché, grazie a voi, sto scoprendo film meravigliosi che magari da sola non avrei mai guardato. Oggi devo ringraziare di cuore il gentilissimo Rosario per aver richiesto L'inventore di favole (Shattered Glass), diretto nel 2003 dal regista Billy Ray e tratto dall'articolo Shattered Glass del giornalista Buzz Bissinger, pubblicato nel 1998 su Vanity Fair. Per la cronaca, il prossimo film On Demand sarà (ossignoresalvami!) Le notti proibite del Marchese De Sade. ENJOY!


Trama: Stephen Glass è un giovane giornalista pieno di stile ed umorismo che lavora per la prestigiosa rivista The New Republic. Il suo ultimo articolo, tuttavia, fa sorgere dei dubbi ai collaboratori di una rivista on line, che cominciano ad indagare... 


L'inventore di favole è dotato di un titolo italiano a dir poco ingannevole che, tuttavia, avvalla l'impressione iniziale che si ha di Stephen Glass, protagonista della pellicola. Fin dall'inizio, infatti, il film viene impostato come il racconto edificante (ovviamente fatto in prima persona) di un giornalista che non cerca lo scoop facile o il sensazionalismo a tutti i costi ma che invece, osservando la gente, carpendo quasi magicamente la personalità di chi gli sta davanti, riesce a confezionare per l'appunto favole, brillanti pezzi colmi di intelligenza ed umorismo, in grado di far ridere e riflettere allo stesso tempo. La magia e lo charme di Glass, uniti alla modestia che quasi sfocia nella ritrosia, non si riversano solo negli articoli che scrive ma lo rendono amato ed ammirato da amici, colleghi, insegnanti e, più in generale, tutti quelli che hanno a che fare con lui. Un'illusione perfetta non tanto diversa da quelle create dai protagonisti di American Hustle, un altro esempio di come la gente creda in quello che VUOLE credere, scartando tutto quello che potrebbe essere spiacevole anche davanti a prove grandi e pesanti come macigni. Mano a mano che il film prosegue, infatti, si assiste ad un lento ma inesorabile passaggio di testimone accompagnato da un cambio di prospettiva; il protagonista Stephen diventa uno squallido e triste truffatore mentre quello che all'inizio viene presentato come possibile nemesi si trasforma in un uomo giusto e tormentato, da macchia sullo sfondo a protagonista assoluto che, come un novello Don Chisciotte, cerca di combattere i mulini a vento incarnati dalla cecità di chi ancora crede nella purezza di Glass e non lo vede ancora shattered come nel titolo originale.


L'inventore di favole è un film ragionato, lento ma intrigante, sorretto da una trama da scoprire a poco a poco e interpretato da bravissimi attori. Il giovane Hayden Christensen subisce nel corso della pellicola una trasformazione quasi impercettibile ma perfetta, da brillante e timido giornalista a nerd disturbato e quasi inquietante, mentre tutti gli altri interpreti, soprattutto Peter Sarsgaard, Hank Azaria e Chloë Sevigny sono talmente perfetti per i loro ruoli da risultare credibili come se fossero persone vere. A proposito di "persone vere", se L'inventore di favole non fosse tratto da una storia realmente accaduta ci sarebbero da fare mille appunti sulla plausibilità della trama, perché la truffa di Stephen Glass è talmente plateale da sembrare il frutto delle idee di uno sceneggiatore facilone, invece questa volta la realtà ha superato la fantasia. Forse perché all'interno di un ufficio, all'interno del mondo del giornalismo, tutti devono essere un po' attori e un po' ruffiani ed è  molto facile parteggiare per l'ultimo arrivato, disponibile, col sorriso sulle labbra, carino e sempre pronto ad aiutare i colleghi, e cercare di favorirlo ignorando il normale protocollo. Così come è facile per uno studente prendere a modello il genio che "ce l'ha fatta" piuttosto che i "banali" artigiani del mestiere, che alla fine portano a casa la pagnotta riempiendo il giornale con i loro semplici articoli "di servizio". Eppure il mondo per fortuna va avanti grazie a persone oneste che, senza clamore e senza riconoscimento, fanno il loro mestiere anche a costo di risultare antipatici. E questo potrebbe essere un semplice fatto della vita su cui tutti dovremmo riflettere ogni tanto, prima di ricevere una tranvata in piena faccia come i protagonisti di questo intelligentissimo L'inventore di favole.



Di Peter Sarsgaard (Charles “Chuck” Lane), Rosario Dawson (Andy Fox), Hank Azaria (Michael Kelly) e Steve Zahn (Adam Penemberg) ho già parlato ai rispettivi link.

Billy Ray (vero nome William Ray) è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo film dietro la macchina da presa (il secondo e ultimo, per ora, è stato Breach – L’infiltrato). Americano, ha lavorato anche come produttore e attore.


Hayden Christensen interpreta Stephen Glass. Canadese, ha partecipato a film come Il seme della follia, Il giardino delle vergini suicide, Star Wars: Episodio II - L'attacco dei cloni, Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith e alla serie Piccoli brividi. Anche produttore, ha 32 anni (condividiamo la data di nascita!) e tre film in uscita.


Chloë Sevigny (vero nome Chloë Stevens Sevigny) interpreta Caitlin Avey. Americana, la ricordo per film come Mosche da bar, Boys Don’t Cry, American Psycho, Broken Flowers e Zodiac, inoltre ha partecipato a serie come Will & Grace e American Horror Story. Anche produttrice e costumista, ha 39 anni e cinque film in uscita.


Melanie Lynskey interpreta Amy Brand. Neo zelandese, indimenticabile Pauline del meraviglioso Creature del cielo, ha partecipato ad altri film come Sospesi nel tempo, La leggenda di un amore: Cinderella, Le ragazze del Coyote Ugly, Rose Red, Cercasi amore per la fine del mondo, Noi siamo infinito e a serie come The L World, Dr. House e Due uomini e mezzo. Ha 36 anni e sei film in uscita.


La realizzazione del film è stata seguita anche dai veri Charles Lane e Michael Kelly (quest'ultimo in maniera assai riluttante in quanto la maggior parte degli articoli di Glass erano stati pubblicati quando lui era ancora direttore), mentre il vero Stephen Glass ha rifiutato qualsiasi coinvolgimento. Tra gli attori che invece, per un motivo o per l'altro, hanno rinunciato a partecipare al film segnalo Greg Kinnear, convocato per il ruolo di Charles Lane, e Maggie Gyllenhaal, alla quale era stata offerta la parte di Amy Brand. Per concludere, se L'inventore di favole vi fosse piaciuto, recuperate anche Prova a prendermi, Dentro la notizia e Tutti gli uomini del presidente.

sabato 5 ottobre 2013

Kate Winslet Day - Creature del cielo (1994)


Oggi è il Jean Claude Van Damme Day. Cioè, avrebbe dovuto esserlo e invece stiamo festeggiando il Kate Winslet Day. Non che mi dispiaccia la Kate come attrice, per carità, è una delle migliori in circolazione, ma da qui a dire che è una delle mie preferite ne passa (la verità è che non le ho mai perdonato Titanic ecco, l’ho detto). Comunque, il Day è stata la scusa, oltre che per festeggiare l’ex pagnottosa miss Winslet, che oggi compie 38 anni, anche per guardare un film che puntavo da tempo, ovvero Creature del cielo (Heavenly Creatures), diretto nel 1994 dal regista Peter Jackson.


Trama: il film romanza la vera storia di Pauline Parker e Juliet Hulme, due adolescenti legate da un’amicizia talmente forte e totale da portarle a crearsi un mondo tutto loro, che proteggeranno fino alle estreme conseguenze.  


Creature del cielo è il primo film che vede protagonista la giovane Kate Winslet, all’epoca diciannovenne sebbene interpretasse una quindicenne, l’intelligente e affascinante Juliet o Deborah, come comincerà a chiamarla Pauline. Il personaggio della Winslet ci viene descritto da Peter Jackson come un raggio di sole nella monotona e solitaria vita della proletaria Pauline, una principessa inglese coccolata e viziata dai genitori, ricca non solo in senso economico ma anche dotata di cultura ed incredibili capacità artistiche che spaziano dall’arte alla scrittura. Il modo in cui la Winslet entra in scena, presentandosi con un impeccabile quanto saputello accento inglese e correggendo l’insegnante di francese, è abbastanza memorabile e cattura subito sia lo spettatore che Pauline, favorendo l'immedesimazione con la discutibile protagonista. Mano a mano che la pellicola prosegue, però, ci accorgiamo di quanto Juliet, per quanto ricca, colta e affascinante, sia soprattutto cagionevole di salute, fragile, insicura ed emotivamente instabile, in grado di passare da momenti di estrema euforia ad altri di incredibile prostrazione che la giovane amica e compagna Pauline non sarà in grado di affrontare, riuscendo solo a fomentarli. L’interpretazione della Winslet è effettivamente straziante a tratti, spesso supera in qualità quella della co-protagonista e rende difficile per lo spettatore distaccarsi completamente dall’empatia che viene a crearsi verso questa ragazzina pazza e contemporaneamente innocente, un’autoproclamatasi “heavenly creature” troppo debole per vivere in una realtà priva della perfezione e del glam che le due amiche sognano.


E ora, due parole anche per Creature del cielo nel suo insieme. Jackson, aiutato dalla moglie Fran Walsh, riesce a prendere una tragica storia di cronaca e a trasformarla nella favola nera di due adolescenti allo sbando, immergendo gli spettatori in un mondo fantastico e vintage, scandito dalle note delle canzoni del tenore Mario Lanza, l'idolo delle due ragazze (in netto contrasto con Orson Welles, visto come un uomo nero terribile e allo stesso tempo sexy). La realtà insoddisfacente lascia spesso il posto al regno immaginario di Borovnia, dove Juliet è la principessa Deborah e Pauline è dapprima il principe Charles e poi la bella zingara Gina, un mondo popolato da semoventi statuette di argilla a grandezza naturale perfettamente animate dalla WETA; tutto ciò che le protagoniste vivono nella realtà viene romanzato in questo mondo fantastico dove, di fatto, vengono annullate le delusioni sentmentali, legittimate le loro pulsioni omosessuali e anche quelle omicide, incarnate dalla terribile figura di Diello, figlio adolescente dei regnanti. Jackson mette al servizio di Creature del cielo la sua esperienza di regista horror/fantasy, riuscendo nell'intento di mescolare commedia e tragedia, fantasia e realtà in maniera completamente inedita e, soprattutto, molto disturbante. Per buona parte del film, infatti, i toni sono quelli del romanzo di formazione e della favola ma verso il finale, subdolamente, l'atmosfera diventa assai simile a quella di un horror, il punto di vista della madre di Pauline viene fatto percepire maggiormente e, di conseguenza, lo spettatore comincia a ricordare qual è il fulcro da cui è partita la vicenda di Creature del cielo... ma lo stesso non può smettere di provare pena per le due protagoniste, come dimostra lo straziante finale che mi ha lasciata in lacrime, sconfitta. E pensare che, fino a quel momento, Jackson era stato il regista splatter-demenziale per eccellenza. Alla faccia dello schiaffo morale, eh! Se non lo avete mai visto, dunque, recuperate Creature del cielo e continuate a festeggiare il Kate Winslet Day con...

Contagion (2011) dove la brava Kate interpreta una coraggiosa quanto sfortunata dottoressa.

Carnage (2011), moglie frustrata del fastidioso ma bravissimo Christoph Waltz in una prova di recitazione da Oscar.


Comic Movie (2013) lo spreco di talento in un film imbarazzante!


E con le recensioni degli altri blogger che hanno partecipato all'operazione! ENJOY!

Director's Cult
In Central Perk
Recensioni ribelli
Scrivenny 2.0
White Russian
Movies Maniac
Bette Davis Eyes
Combinazione Casuale
Pensieri Cannibali
Montecristo
Dal romanzo al film


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