mercoledì 29 ottobre 2025

Nuovi Incubi Horror Challenge Day 29: Head Like a Hole (2024)

Siccome la Nuovi Incubi Horror Challenge oggi è dedicata al tema "Orrore cosmico", ho deciso di approfittare di una delle visioni del recente ToHorror, e dedicare un post intero a Head Like a Hole, diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista Stefan MacDonald-Labelle.


Trama: ad Asher, disoccupato ai limiti dell'indigenza, viene offerto un lavoro che sembra quasi un miracolo. Dovrà infatti monitorare e misurare, ogni giorno, allo scoccare dell'ora, un buco situato sulla parete di uno scantinato, nell'attesa che qualcosa cambi...


Prima di cominciare il post, devo premettere che Head Like a Hole, come avete capito dal riassunto pubblicato ieri, non è stata la visione più memorabile del ToHorror 2025, ma era l'unico film che cadeva a fagiolo per la challenge, quindi ha vinto il desiderio di portarla a termine vittoriosa. Ciò detto, esiste un orrore cosmico più grande del lavoro? Lasciando da parte i lavori "artistici", o quelli cercati con ferma volontà, io mi riferisco a quelli che ci consentono di sopravvivere e, contemporaneamente, ci privano di un motivo per farlo, perché va bene mangiare e pagare le bollette, ma poi? Il grande spauracchio dei tempi moderni, come già aveva intuito Charlie Chaplin, è la monotonia "produttiva", che sia in una fabbrica, in un ufficio, in un supermercato, ripetendo gesti che, a lungo andare, si privano di significato... sempre che ne abbiano avuto uno in partenza. Diventare ingranaggi, appunto, solo per non morire fisicamente, ed ignorando che stiamo comunque morendo, nel profondo, spremuti da multinazionali che ci caricano di belle parole e tanta legna verde... discorso che si può tranquillamente estendere anche a Kombucha, altro incubo lavorativo visionato al ToHorror. Il film di Jake Myers, però, è una satira più centrata a livello lavorativo e umano, ripropone un po' il concetto degli ultracorpi, mentre Head Like a Hole indirizza l'ordalia del suo protagonista verso altri lidi, diluendo la critica sociale di partenza per rientrare nei territori dell'horror cosmico tout court. Ciò accade, purtroppo o per fortuna, negli ultimi dieci minuti di film. Per più di un'ora, invece, condividiamo il triste, ripetitivo destino di Asher, uomo ormai alla canna del gas, costretto a vivere in un'automobile senza più benzina, al quale un giorno viene offerto un lavoro (almeno all'inizio) troppo bello per essere vero. Asher, per otto ore al giorno, dovrà monitorare un'"anomalia", un buco all'interno di uno scantinato, e riportare ogni eventuale cambiamento al suo ammorbante capo, che gli sta col fiato sul collo. Giustamente, Asher ha qualche dubbio, derivante da tutta una serie di rigidissime regole e da un'assurda segretezza sullo scopo della sua osservazione, ma l'offerta di vitto e alloggio, assieme ai 40 dollari all'ora, cancella ben presto ogni remora, almeno finché le pretese del capo non diventano sempre più invasive e l'ambiente che lo circonda inquietante.


Il ritmo del film è scandito dallo scorrere dei giorni rappresentati come impietosi numeri in sovrimpressione, alternati a un paio di capitoli che legano il loro titolo ai pochi eventi che sconvolgono la routine di Asher, ed è un ritmo che, assieme all'utilizzo del bianco e nero, enfatizza le sensazioni del protagonista, trasmettendole allo spettatore. Asher è immerso in un mondo grigio, circondato da un ambiente sempre uguale, costretto a sprecare la sua vita fissando un buco senza un perché; è vero che lo stipendio gli permette di liberarsi dalla condizione di povertà iniziale, ma dal momento in cui accetta il lavoro quello stesso stipendio non gli serve a nulla, perché, di fatto, Asher non esce mai da una casa che gli fa anche da ufficio, e dove tenta, goffamente e inutilmente, di instaurare un paio di rapporti umani. E l'orrore cosmico? C'è, ovviamente, ma arriva quasi come un ripensamento, collegandosi a un agghiacciante inizio girato in stile found footage che contrasta col bianco e nero pulitissimo del resto del film (e che, ovviamente, si combina all'attesa che ne consegue, impedendo allo spettatore di rilassarsi). E' un peccato, perché quando il destino di Asher si compie, in seguito ai tanti indizi seminati per tutta la durata di Head Like Hole, l'opera si evolve da commedia nerissima a horror spietato e pessimista, una condanna per chi consegna la propria parte migliore a realtà senz'anima ed egoiste, accettando passivamente di essere l'elemento debole, quello da blandire con falsi complimenti e da minacciare facendo leva su tutta una serie di "bonus" sociali che, invece, dovrebbero essere un diritto. Come ho bofonchiato tra me e me alla fine di Head Like a Hole, ogni tanto vien da pensare che non sarebbe male se l'umanità si estinguesse, soprattutto se ciò significasse dare un bello schiaffo morale a chi predica bene ma razzola talmente male da non riuscire nemmeno a riconoscere ciò a cui ha consacrato la propria esistenza. Non sono sicura che Head Like a Hole avrà mai una distribuzione, è troppo indipendente e "festivaliero", ma se dovesse accadere un miracolo, il mio consiglio è di guardarlo!

Stefan MacDonald-Labelle è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Canadese, anche montatore e produttore, è al suo primo lungometraggio. 



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