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venerdì 9 luglio 2021

The Amusement Park (2019)

Per la sua Summer of Chills il servizio streaming Shudder si è accaparrato un "film perduto" di George Romero, The Amusement Park, da lui diretto nel 1973 e recentemente restaurato.


Trama: un anziano signore decide di passare una giornata in un parco divertimenti ma l'iniziale letizia si trasforma presto in un incubo...


The Amusement Park
è un film realizzato su commissione da Romero nel 1973, finanziato dalla Lutheran Service Society of Western Pennsylvania e rimasto "nascosto" fino al 2017, quando ne è stata ritrovata una versione in 16 mm che in seguito è stata restaurata e mostrata al pubblico nel 2019. Leggete bene il nome del finanziatore, please, prima di accingervi alla visione di questo mediometraggio e magari arrivare alla fine bestemmiando e prendete atto di come The Amusement Park non sia stato concepito come un horror, bensì come un filmato educativo indirizzato ai giovani e agli adulti per aprire loro gli occhi sui disagi affrontati quotidianamente dagli anziani. Il fatto che poi la Lutheran Service Society of Western Pennsylvania abbia deciso di non utilizzarlo è dovuto alla natura kafkiana dell'opera finita, troppo inquietante ed angosciante per essere una "pubblicità progresso", ed è anche il motivo per cui la visione di The Amusement Park non è stata una disfatta nonostante gli innegabili difetti. Diciamo che il film potrebbe tranquillamente essere una chicca per chi Romero lo ha studiato o lo sta studiando, una sfida a riconoscere l'autore anche dentro un lavoro su commissione, e anche un'opera interessante per comprendere alcune dinamiche sociali dell'America anni '70 che spesso non vengono toccate nei film dell'epoca, ma se siete quel genere di spettatori che cerca un horror con tutti i crismi e non apprezza gli esperimenti, dovete rivolgervi altrove.


Introdotto da Lincoln Maazel (che poi avrebbe partecipato anche a Wampyr/Martin), The Amusement Park inizia proprio con una spiegazione del progetto e degli obiettivi che la società Luterana si propone nel diffondere il video e poi entra nel vivo della vicenda mostrando due uomini anziani chiusi all'interno di una stanza bianca. Uno dei due è coperto di sangue e quasi incapace di parlare, mentre l'altro desidera uscire e andare al parco del titolo originale. La giornata di divertimento dell'anziano, tuttavia, prende una brutta piega fin da subito, perché ogni elemento del parco, anche il più normale (cartelli, bagarini, ristoranti, ospiti) presenta degli aspetti dissonanti atti a sottolineare la diversità e l'inadeguatezza degli ospiti di una certa età, rispecchiando ovviamente diversi aspetti di una società che punta ad abbandonare gli anziani, condannandoli alla povertà, alla solitudine, alla morte. L'ordalia del protagonista è dunque molto didascalica, com'è giusto per un progetto simile, e il messaggio arriva chiaro e tondo anche dopo quarant'anni, ma la mano dell'autore si vede nella misura in cui moltissime soluzioni di regia e montaggio si distaccano dall'intento meramente "didattico" e cominciano a voler dare allo spettatore la sensazione tangibile dello spaesamento provato dal protagonista: primi piani sghembi, stacchi di montaggio brutali, melodie distorte, flash improvvisi in cui si palesa persino la morte, sequenze ossessivamente ripetute e l'intelligente twist finale rendono The Amusement Park un'opera anche troppo "avanti" rispetto al target per cui era stata pensata, zeppa di violenza non solo fisica ma anche e soprattutto psicologica ed emotiva (ovviamente a un certo punto mi è venuto il magone). Non è un film che consiglierei a tutti, soprattutto non agli amanti dell'horror tout court che potrebbero annoiarsi o rimanere delusi, ma se siete fan del regista e avete un'oretta libera farei un tentativo, perché potreste anche rimanere sorpresi.


Del regista George A. Romero ho già parlato QUI.

martedì 5 settembre 2017

George Romero Day: La metà oscura (1993)


Il 16 luglio è venuto a mancare il grandissimo regista George A. Romero. Con la solita combriccola di blogger abbiamo aspettato un po' a rendergli omaggio, in quanto il periodo estivo è riuscito a rendere zombie sia noi sia la blogosfera... ma non divaghiamo: alla fine il George Romero Day è arrivato e io ho scelto di parlare de La metà oscura (The Dark Half), diretto e sceneggiato dal regista nel 1993 partendo dal romanzo omonimo di Stephen King. ENJOY!


Trama: dopo aver inscenato il funerale del suo alter ego letterario, lo scrittore Thad Beaumont si ritrova al centro di una serie di feroci omicidi apparentemente commessi proprio da lui...



Ammetto di non avere più riletto La metà oscura credo dai tempi dell'università e di avere guardato il film di Romero solo una volta, probabilmente addirittura prima della lettura del libro. A causa di questo, confesso molto candidamente di non avere un'idea precisissima di quali siano le differenze tra romanzo e film ma affidandomi alla mia scarsa memoria direi che Romero, qui anche in veste di sceneggiatore, sia stato uno dei pochi Autori ad aver offerto al pubblico una trasposizione fedele di un'opera Kinghiana. Se ciò sia stato un bene o un male lo vedremo tra poche righe, adesso vorrei spiegare un attimo cosa intendo per fedeltà. Quando utilizzo questo termine non intendo il rispetto pedissequo di ogni singolo dettaglio presente nel libro bensì di ciò che sta al cuore di esso, la capacità di far risaltare agli occhi dello spettatore ciò che lo scrittore ha voluto comunicare e i motivi che lo hanno spinto a scrivere il romanzo. In questo caso, La metà oscura (sia libro che film) racconta il lento calvario di uno scrittore che ha scelto di liberarsi dei suoi demoni e separarsi, letteralmente, dalla sua "metà oscura", quell'id già romanzato da Stevenson ne Lo strano caso del Dr. Jeckyll e Mr. Hyde che spesso, nel caso degli scrittori, si traduce in pseudonimi dietro i quali l'autore si nasconde per scrivere cose completamente avulse dal suo "personaggio" pubblico. Per chi non lo sapesse (ma dubito che chi segue il Bollalmanacco non lo sappia), anche Stephen King ha avuto un "gemello malvagio", quel Richard Bachman dallo stile ben più cinico e cattivo dell'amato Re, morto per "cancro dello pseudonimo" nel 1985; proprio a lui è stato dedicato quattro anni dopo La metà oscura, libro che non solo parla del rapporto tra uno scrittore costretto a rinunciare ad uno pseudonimo dopo essere stato scoperto da un fan desideroso di ricattarlo, ma che è stato anche il modo Kinghiano di sviscerare il forte desiderio di vincere la battaglia contro l'alcool e le droghe che minacciavano di sopraffarlo e di distruggergli carriera, famiglia e vita. Voi ora direte, ma questo è il tributo a Bachman/King o a Romero? Avete ragione, ma purtroppo il "problema" de La metà oscura è proprio l'essere gemello del romanzo di King, al punto che la personalità di Romero (che aveva collaborato con lo scrittore una decina di anni prima con Creepshow) viene praticamente annullata, causando così un "effetto Monkey Shines": La metà oscura, per quel che riguarda la regia, non è né bello, né brutto, né riconoscibile come pellicola di Romero, è semplicemente un film piatto, che avrebbe potuto girare chiunque, forse persino Mick Garris. Dal punto di vista della sceneggiatura, invece, manca il guizzo autoriale e personale che avrebbe portato la fedeltà di cui sopra a dar vita a lavori indimenticabili come già successo per film come Shining, Carrie, Misery non deve morire, Le ali della libertà, Il miglio verdeThe Night Flier, Cimitero vivente o The Mist, solo per citare alcune opere cinematografiche Kinghiane particolarmente riuscite.


Di fatto, La metà oscura aveva davvero tutto per riuscire, a partire da un budget molto alto. Le difficoltà economiche della casa di produzione Orion Pictures e il suo successivo fallimento hanno sicuramente influito sulla resa visiva del film, che presenta effetti speciali superlativi ma limitati nel numero e chissà cosa avrebbe potuto fare Romero se lasciato libero di dare sfogo alla sua verve gore; purtroppo, lo spettatore può godere "solo" di una disgustosa operazione chirurgica all'inizio, di alcuni omicidi all'arma bianca (probabilmente tagliuzzati qui e là in fase di montaggio) e di un finale che avrebbe fatto fremere d'invidia Hitchcock, con uno dei personaggi divorato fino all'osso da uno stormo di passeri particolarmente assetato di sangue. Anche l'utilizzo dei passeri, una bella sfida per il regista e la produzione, visto che le creaturine presenti sul set erano ben quattromilacinquecento e consumavano quotidianamente, a quel che si legge su internet, una sessantina di litri d'acqua e una quarantina di chili di becchime, eppure anche solo da questo si capisce che Romero era intenzionato a fare le cose in grande. Peccato, di nuovo. Peccato perché Timothy Hutton, attore difficilissimo da trattare e che a più riprese ha anche abbandonato il set, offre un'interpretazione validissima sia di Thad Beaumont che del suo doppio George Stark e anche il resto del cast è di alto livello, a partire dall'adorabile Michael Rooker nei panni dello sceriffo Alan Pangborn, personaggio molto amato dai fan di King e soprattutto unico rappresentante delle forze dell'ordine meritevole di questo nome visto che i poliziotti fanno una figura barbina dopo l'altra. Purtroppo, come già accaduto per il precedente Monkey Shines, La metà oscura si perde, soffre di un ritmo narrativo anche troppo dilatato ed è privo di sequenze realmente memorabili, se escludiamo quelle che ho già citato poco prima e poche altre come il sogno di Thad o la qualità "onirica" dell'omicidio del giornalista col codino. A costo di tornare a ripetermi, di nuovo, peccato. Peccato perché Romero è stato un grandissimo Autore con una sfiga altrettanto grande quando si ritrovava ad uscire dal circuito del cinema indipendente e a soffrirne è stata non solo la sua carriera ma anche una pellicola condannata quasi al dimenticatoio proprio a causa di tutti i difetti che ho elencato. E non è questione di pensare a cosa avrebbero potuto tirarne fuori David Cronenberg o David Lynch, quanto piuttosto a cosa sarebbe uscito se Romero avesse avuto mezzi e denaro per riproporre al meglio le "visioni" dell'amico King. Io sono convinta che ci avrebbe regalato un altro capolavoro.


Romero è comparso spesso sul Bollalmanacco! Innanzitutto col suo capolavoro, La notte dei morti viventi (1968), poi a seguire con...


La stagione della strega (1972)


Martin (1976)


Zombi (1978)


Creepshow (1982)


Monkey Shines - Esperimento nel terrore (1988)


Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti (2009)


Ed ecco l'elenco dei Blogger che hanno partecipato all'iniziativa!

Redrumia - Il giorno degli zombi
Delicatamente Perfido - La notte dei morti viventi
White Russian - La terra dei morti viventi
Non c'è paragone - La città verrà distrutta all'alba
Combinazione casuale - Martin
Una mela al gusto pesce - Bruiser
Pietro Saba World - Monkey Shines - Esperimento nel terrore
The Obsidian Mirror - George of the dead


venerdì 28 luglio 2017

La stagione della strega (1972)

Dopo la prematura scomparsa del regista George A. Romero ho deciso di dedicargli una serata recuperando, assieme al Bolluomo, il film La stagione della strega (Hungry Wives), diretto e sceneggiato da Romero nel 1972.


Trama: Joan, casalinga frustrata di mezza età con marito e figlia a carico, si avvicina alla stregoneria per noia e si convince di essere una vera strega...


Per affrontare come si conviene La stagione della strega bisognerebbe conoscere un po' la sua storia produttiva. Girato nel 1972 da George Romero col titolo Jack's Wife, il film è stato distribuito l'anno dopo, pesantemente tagliato (l'originale durava più di due ore), con il titolo Hungry Wives e venduto come un porno soft-core (!); il titolo Season of the Witch è arrivato dopo il successo del regista con L'alba dei morti viventi e probabilmente all'epoca è stato pubblicizzato erroneamente come horror, benché lo stesso Romero non lo abbia mai considerato tale. Tagline quali "Every night is Halloween", presenti sui poster originali, così come l'inquietante immagine di una donna sensuale e in odore di magia, rischiano di confondere ancor più lo spettatore occasionale, pronto a guardare un horror e ritrovandosi invece con un prodotto che è ben lontano dal genere. Ma cos'è quindi, in sostanza, questo La stagione della strega? Beh, innanzitutto togliamoci il dente: è un film oggettivamente diretto, recitato, montato e (almeno nella versione italiana) doppiato da cani e sfido chiunque a dire il contrario solo per amore di Romero, il quale peraltro avrebbe voluto persino rigirarlo, consapevole dei mille difetti legati soprattutto ad un budget praticamente inesistente. E' dunque un brutto film? A mio avviso no, anzi, l'ho trovato molto affascinante e "avanti" rispetto all'epoca in cui è stato girato, a dimostrazione che Romero non era "solo" un regista horror ma soprattutto un sensibile indagatore dell'animo umano capace di riportare su pellicola le tante brutture della società americana. Joan Mitchell, la protagonista del film, potrebbe essere vista un po' come la "zia" di Martin: anche lei, come il wannabe vampiro che sarebbe arrivato qualche anno dopo, vive un'esistenza triste e squallida, benché all'interno della ricca borghesia, e anche lei si rifugia nel fantastico per fuggire alla monotonia e alla spersonalizzazione nate da un matrimonio insoddisfacente ed imposte da una società maschilista. Se però Martin si immaginava come un romantico e reietto vampiro per superare la sua natura timida ed impacciata, rimanendo comunque un ben triste figuro, Joan abbraccia la stregoneria onde affermare ulteriormente una personalità già molto forte, di donna che sa quello che desidera ma viene bloccata dalle convenzioni sociali e da un'educazione cattolica. La frustrazione di Joan è palese fin dall'inizio, con l'incubo rivelatore attraverso cui viene introdotto il film, che la vede schiava di un marito/padrone che la tratta come un cane, prendendola persino a giornalate o tenendola al guinzaglio, mentre la figlia ventenne non si accorge neppure della sua esistenza e lo specchio riflette un'orribile vecchia invece della matura bellezza di Joan.


Questo incubo "ingenuo", fin troppo esplicito dal punto di vista psicanalitico, serve ad inquadrare la personalità e i problemi della protagonista fin dall'inizio e La stagione della strega prosegue da lì con un ritmo lento, assai verboso, con ben poche concessioni a quello che lo spettatore si aspetterebbe da un horror. L'aspetto esoterico della pellicola si concentra infatti nell'acquisto del necessaire per gli incantesimi, nell'accensione di qualche candela nera, in una sorta di rito di iniziazione e nella periodica comparsa di un uomo nascosto da una maschera demoniaca che comincia a perseguitare nei sogni la povera Joan; come già accadeva in Martin, noi non sapremo mai con certezza se la protagonista è davvero una strega (e non è neppure importante), tuttavia in uno dei numerosi dialoghi viene chiarito che "credere è potere" e, se ciò fosse vero, significherebbe quindi che il potere di Joan è enorme. "Io sono una strega", dichiara Joan alle amiche dopo lo scioccante pre-finale, prendendo per la prima volta coscienza di sé come individuo, come donna indipendente e forte, come potenziale "capobranco" di un gruppo di femmine pavide, annoiate e credulone alle quali basta "pensare" di avere in mano una canna invece di una sigaretta normale per sballarsi come se avessero davvero fumato della marijuana. Tuttavia, questa presa di coscienza si trascina dietro un pensiero ancora più terribile, cristallizzato nell'ultima inquadratura dello sguardo di un'intensa Jan White, ovvero la consapevolezza di essere, agli occhi degli altri, ancora Mrs. Mitchell (La moglie di Jack, come da titolo originale, come se una donna potesse essere definita solo ed esclusivamente attraverso l'appartenenza a un uomo), al massimo un'eccentrica alla quale rivolgersi nei momenti di noia eccessiva, sempre e comunque un "âme solitaire" con un vuoto dentro che nessuna magia (e nessuna avventura con uomini più giovani) potrà mai riempire. Il vero orrore, in La stagione della strega, è percepire già quel senso di predestinazione e chiusura mentale che avrebbe portato gli zombi del film omonimo a sciamare nel centro commerciale e i pochi sopravvissuti all'apocalisse a crogiolarsi nell'illusione di un freddo lusso, concretizzato qui in un branco di donne "sull'orlo di una crisi di nervi" costrette a rispettare i ritmi e i rituali di un'esistenza odiosa pur di non perdere i privilegi della loro posizione sociale. Quindi sì, La stagione della strega è un film horror ed è "brutto", sporco e cattivo, in un modo però tutto femminile e particolare. Da Romero sinceramente non me lo aspettavo; indubbiamente, un'opera non facile e sicuramente non la più riuscita, ma comunque meritevole di almeno una visione.


Del regista e sceneggiatore George A. Romero ho già parlato QUI.


Bill Thunhurst, che interpreta Jack Mitchell, ha partecipato anche al film successivo di Romero, La città verrà distrutta all'alba, prima di ritirarsi dal grande schermo mentre Raymond Lane, che interpreta Gregg, era il protagonista di There's Always Vanilla, secondo lungometraggio del regista; S. William Hinzman, l'attore nascosto sotto la maschera del demonio, è stato invece l'iconico zombie che attacca per primo Barbara e il fratello ne La notte dei morti viventi. Detto questo, se La stagione della strega vi fosse piaciuto recuperate il già citato Martin e aggiungete La fabbrica delle mogli, Giovani streghe e magari anche The Love Witch, che devo ancora vedere. ENJOY!

lunedì 17 luglio 2017

George A. Romero (1940 - 2017)


Quando non ci sarà più posto all'inferno, tu tornerai dietro la macchina da presa. Quindi questo non è un addio ma un arrivederci.

mercoledì 12 luglio 2017

Monkey Shines - Esperimento nel terrore (1988)

Siccome questa è la settimana delle scimmie, oggi si torna nei tanto amati anni '80, nella fattispecie al 1988, quando George Romero dirigeva e sceneggiava Monkey Shines - Esperimento nel terrore (Monkey Shines), partendo dal racconto omonimo di Michael Stewart.


Trama: rimasto paralizzato in un incidente stradale, Allan tenta il suicidio. L'amico scienziato Geoffrey decide quindi di fare addestrare Ella, una delle scimmiette del suo laboratorio, affinché l'animaletto gli tenga compagnia e soprattutto per poter continuare indisturbato i suoi esperimenti sull'intelligenza dei primati. Il legame tra Ella e Allan prende tuttavia una strana e pericolosa piega...



In quanto gibbonetto egli stesso, il Bolluomo alias Mirco ha una passione per i primati così ho biecamente scelto di sfruttare questo suo debole per invogliarlo alla visione di Monkey Shines. Ricordavo vagamente questo film dai tempi in cui passava spesso in televisione e, da bambina, mi capitava di guardarlo rimanendo ogni volta delusa perché speravo si trattasse invece di Link, horror inglese del 1986 un po' più violento e meno psicologico, avente per protagonista un orango invece di una scimmietta cappuccino. Presto o tardi parlerò anche di Link in quanto, se mi passate la battuta, la scimmia di riguardarlo mi è rimasta ma oggi è il caso di spendere due parole su questo strano "esperimento" di George Romero, probabilmente uno dei suoi film meno riusciti anche a causa delle pesanti ingerenze degli studios (non è un caso che, dopo Monkey Shines, il regista sia tornato al cinema indipendente). A distanza di trent'anni e anche visto con un'ottica più adulta, purtroppo Monkey Shines continua a non entusiasmarmi: troppo poco horror, troppo poco thriller, troppo televisivo e, soprattutto, troppo carina la scimmietta protagonista, un esserino tenerino che non fa paura neppure quando mostra i dentini col musetto arrabbiatusso. Alé, scrivo come una demente ma Ella è davvero deliziosa, al punto che viene spontaneo emettere gridolini estatici anche quando la bestiola compie le peggiori nefandezze e perdonarle tutto. D'altronde, qui la critica Romeriana non è rivolta all'animale, quanto all'uomo che cerca di sovvertire la natura per i suoi propositi, senza pensare che la Creazione, se provocata, sa reagire nei modi peggiori; ancora, nel film si parla di emozioni grezze e primordiali che neppure delle iniezioni di cellule cerebrali possono placare, anzi, al limite tra uomo e animale si viene a creare un legame empatico/psichico che cancella i confini tra le due nature con risultati devastanti... o meglio, avrebbero potuto essere devastanti ma la verità è che Monkey Shines si concentra molto sul melodramma, su diatribe tra dottori e scienziati dai metodi ugualmente detestabili e infine su improbabili storie d'amore che spezzano l'azione e annacquano la tensione claustrofobica che dovrebbe derivare dalle condizioni del protagonista, paralitico costretto a sottostare ai voleri di una creatura imprevedibile (tensione resa mille volte meglio da Rob Reiner con Misery non deve morire, per esempio).


La mancanza di ritmo è un po' la croce di questo Monkey Shines il quale, ridotto nel metraggio e magari privo del finale posticcio voluto dagli studios, avrebbe potuto assurgere al rango di cult, anche perché Romero inanella una crudeltà dietro l'altra, prendendo in giro lo spettatore e lo stesso protagonista con quella "giornata perfetta" girata all'inizio prima di gettargli addosso una sequela ininterrotta di sfighe assortite. A pensarci, l'unica cosa "vera" o, meglio, l'unico personaggio bello dentro e fuori è la dolce Melanie interpretata da Kate McNeil perché, per il resto, tutto ciò che circonda Allan dopo l'incidente mostra un'inquietante doppia natura, come a dire che la tragedia è riuscita a tirare fuori tutto il marcio di una vita apparentemente perfetta: amici ambigui e pericolosi, fidanzate fedifraghe, medici incompetenti, madri ossessive, infermiere psicopatiche e, ovviamente, un odio furibondo per tutto ciò che è toccato in sorte al protagonista, amplificato dalla natura selvaggia della piccola Ella. Purtroppo, tutto ciò viene portato sullo schermo da Romero con uno stile insolitamente piatto, quasi svogliato, che non impedisce al regista di confezionare un paio di scene interessanti e particolari (l'amplesso tra Allan e Melanie, allo stesso tempo naturale e "complicato", rimane più impresso dell'atroce e gratuito omaggio al chestburster di Alien) ma, in definitiva, passa e lascia davvero poco, sia in termini di inquietudine che di bellezza visiva. Probabilmente, alla fine della visione di Monkey Shines ricorderete con orrore soltanto un giovane Stanley Tucci particolarmente viscido e sarete colpiti dall'insana voglia di tenere in casa una scimmietta cappuccina, magari una capace di mettere su un po' di musica e abbracciarvi nei momenti di sconforto. Oppure di trovarvi un ragazzo/a gibbonetto, vedete un po' voi.


Del regista e co-sceneggiatore George Romero ho già parlato QUI. Stephen Root (Dean Burbage) e Stanley Tucci (Dr. John Wiseman) li trovate invece ai rispettivi link.

Jason Beghe interpreta Allan Mann. Americano, ha partecipato a film come Thelma & Louise, Soldato Jane, X-Files - Il film, Chiamata senza risposta, X-Men - L'inizio e a serie quali La signora in giallo, L'ispettore Tibbs, X-Files, Melrose Place, Dharma & Greg, CSI - Scena del crimine, CSI: NY, Numb3rs, Criminal Minds, Ghost Whisperer, Medium e soprattutto Chicago Med, Chicago Fire, Chicago Justice e Chicago P.D.. Ha 57 anni e un film in uscita.


John Pankow interpreta Geoffrey Fisher. Americano, ha partecipato a film come Miriam si sveglia a mezzanotte, Rambo 2 - La vendetta, Il segreto del mio successo, Miracolo sull'8a strada, Talk Radio e a serie quali Miami Vice, Innamorati pazzi e Ally McBeal. Ha 63 anni e due film in uscita.


Joyce Van Patten interpreta Dorothy Mann. Americana, ha partecipato a film come Appuntamento al buio, Io & Marley, Un weekend da bamboccioni, This Must Be the Place e a serie quali Ai confini della realtà, Perry Mason, Tre nipoti e un maggiordomo, Colombo, ... e vissero infelici per sempre, I Soprano e Desperate Housewives. Anche produttrice, ha 73 anni.


Se Monkey Shines - Esperimento nel terrore vi fosse piaciuto recuperate Link... io spero di farlo presto! ENJOY!

mercoledì 30 novembre 2016

Zombi (1978)

A ridosso dell'uscita italiana delle tre edizioni distribuite dalla Midnight Factory mi sono ritrovata a guardare la cosiddetta "versione europea" di Zombi (Dawn of the Dead), scritto e diretto nel 1978 da George A. Romero e ri-montato da Dario Argento.


Trama: l'apocalisse zombi iniziata ne La notte dei morti viventi sembra ormai inarrestabile e quattro persone decidono di lasciare la città in elicottero, dirigendosi verso un centro commerciale ormai abbandonato. Ricominciare una nuova vita sarà però molto difficile...


Come tutti i primi tre film a tema diretti da George A. Romero, anche Zombi mi era capitato di vederlo durante gli anni del liceo. A differenza de La notte dei morti viventi, al quale mi ero già "abboccata" grazie al remake di Tom Savini, né Zombi né il seguente Il giorno degli zombi sono mai entrati nel novero dei miei film preferiti, probabilmente perché all'epoca preferivo un horror più grezzo e meno adulto, il che, se ci si pensa, è ironico. Leggendo qui e là onde documentarmi prima di scrivere il post sono venuta infatti a sapere che la versione Romeriana della pellicola (quella, cioé, distribuita essenzialmente solo in America) era stata ritenuta da Dario Argento troppo bambinesca, piena di inutili momenti ironici ed introspettivi, persino troppo "colorata" per quel che riguarda la fotografia e non parliamo poi della colonna sonora, signora mia!, quindi il buon Darione era intervenuto  rimaneggiando la versione europea e consegnando alla Bolla adolescente un film per molti aspetti diverso da quello che avrebbe voluto il regista americano. Il motivo per cui Argento ha potuto compiere una simile operazione va ricercato nel suo ruolo di co-produttore del film e in quello di "ospite" di un Romero che ha ricercato la tranquillità romana per scrivere la sceneggiatura di Zombi e che, per racimolare i fondi necessari, ha accettato di farseli prestare dai produttori italiani a condizione che Argento potesse rimontare a piacimento il film per il mercato europeo, giapponese e medio-orientale; il risultato di questa operazione è stato un horror tout-court, molto cupo ed incentrato sulle scene d'azione, accompagnato dalla colonna sonora degli immancabili Goblin, con zombi che non si limitano a grugnire ma sussurrano eterei. Non avendo mai avuto modo di vedere la versione "americana" posso solo dire che riguardare Zombi dopo almeno 20 anni è stata un'esperienza affascinante e persino "nostalgica", non tanto per le immagini quanto proprio per la colonna sonora che, nel frattempo, ho avuto modo di ascoltare più volte in un paio di CD tra i miei preferiti, ovvero la OST di Shaun of the Dead e la raccolta di successi argentiani Puro Argento Vivo. La musica dei Goblin è insinuante, mette inquietudine e segue la volontà Argentiana di rendere l'azione più incalzante, soprattutto quando gli zombi attaccano in branco le loro vittime privandole di un posto dove fuggire ed è l'elemento che più mi è rimasto impresso guardando Zombi sia la prima che la seconda volta.


Ora come ora, dopo anni di serie "patinate" incentrate sui morti viventi, l'altra cosa che ho adorato è l'aspetto vintage degli zombi, poveri figuri dal colorito grigio-bluastro (grazie Tom Savini e non te la prendere se il risultato finale non ti è piaciuto!!) che staccano, letteralmente, brandelli di carne dalle loro vittime: gli effetti speciali danno proprio l'idea di un boccone succulento che viene troncato di netto dal corpo degli esseri umani e non importa che il sangue sia rosso come un pomodoro e abbia la consistenza della vernice, vedere delle scene simili richiama alla mente il gusto dell'artigianalità e della passione, alla faccia della maniera verosimile in cui gli zombi si accaniscono, per esempio, contro i protagonisti di The Walking Dead (quando succede, ovvio!). Passando alla trama, è un peccato che la versione europea non indulga nell'approfondimento psicologico dei personaggi ma a mio avviso anche dalla versione Argentiana si evince un senso di sconfitta umana difficilmente superabile. Chi si ritrova a dover affrontare gli zombi soffre all'idea di dover uccidere persone che una volta erano vive e probabilmente comprende che di fronte ad un simile ribaltamento delle leggi naturali e delle convenzioni morali non rimane altro che il suicidio (il film originariamente doveva concludersi con DUE suicidi...); chi sceglie di sopravvivere, come i quattro protagonisti di Zombi, lo fa sapendo che potrà avere solo un pallido surrogato della "vita" come viene comunemente intesa e che non basteranno tutti i centri commerciali di questo mondo, i lussi un tempo tanto importanti e persino legami come il matrimonio o la maternità/paternità ad assicurare un futuro che valga la pena di affrontare. Quello che non hanno capito i personaggi che infestano The Walking Dead, tanto meno gli sceMeggiatori della serie, è l'impossibilità di tornare a vivere come se nulla fosse successo, perché ormai i vivi sono costretti a "mangiare" e accaparrarsi il necessario per sopravvivere proprio come quegli zombi che, spinti da un inquietante quanto atavico senso di "necessità consumistica", vengono attirati dal centro commerciale come fossero delle falene. Che Romero, già nel 1978, fosse riuscito a spiegarci con un solo film il vero significato di Apocalisse e Fine del mondo, due catastrofi che sono innanzitutto qualcosa di personale e molto umano, senza ricorrere alla serialità che rischia davvero di trasformarci tutti in zombie, fa di lui un genio dell'horror e di Zombi una di quelle pellicole da conservare e tramandare in saecula saeculorum.


Del regista e sceneggiatore George A. Romero (che compare anche nei panni del regista e di uno dei motociclisti) ho già parlato QUI. Ken Foree (Peter) e Tom Savini (uno dei motociclisti) li trovate invece ai rispettivi link.


Scott H. Reiniger, che interpreta Roger, è tornato nel remake diretto da Zack Snyder nei panni del Generale mentre Gaylen Ross, che interpreta Francine, prima di intraprendere la carriera di regista ha partecipato al film Creepshow, nell'episodio Alta marea. Il film segue La notte dei morti viventi ed è stato seguito nel tempo da Il giorno degli zombi, La terra dei morti viventi, Le cronache dei morti viventi e Survival of the dead - L'isola dei sopravvissuti oltre ad essere stato rifatto da Zack Snyder e distribuito in Italia col titolo L'alba dei morti viventi. Se il film vi fosse piaciuto recuperate tutti questi titoli e considerate l'idea di acquistare una delle tre versioni home video distribuite dalla Midnight Factory e restaurate in 4K; da non fan all'ultimo stadio quale sono mi è bastato il DVD doppio con la versione montata da Argento e un sacco di contenuti speciali (Interviste a Tom Savini, Nicolas Winding Refn, Dario Argento, Michele De Angelis e Gianni Vittori, conferenza stampa tenuta al Festival del Cinema di Venezia con presentazione in sala alla proiezione del film restaurato, trailer e spot televisivi, per non parlare del bel packaging con all'esterno un artwork di Refn e le locandine originali dei vari paesi nella custodia rigida interna) ma per i più esigenti c'è la versione in 4 Blu Ray (che contiene anche la versione voluta da Romero e la Extended Version presentata a Cannes nel 1978) e soprattutto quella in 6 Blu Ray, che contiene le versioni 4k Ultra HD e Full Frame della versione europea. A prescindere, tutte le edizioni contengono 5 cartoline con fan art a tema selezionate da Nicolas Winding Refn e il solito, esaustivo libretto curato da Manlio Gomarasca e Davide Pulici di Nocturno Cinema  con tanto di botta e risposta tra Romero e Argento, quindi potrebbe essere un bel regalo di Natale. ENJOY!

domenica 15 settembre 2013

Martin (1976)

Essendo appassionata di cinema mi capita spesso di leggere su riviste, libri e siti trame o retroscena legati ad alcuni film che in qualche modo accendono la curiosità più di altri. E' sicuramente il caso di Martin, diretto nel 1976 dal regista George Romero e arrivato in Italia e in Europa col titolo Wampyr, rimontato da Dario Argento e con la colonna sonora dei Goblin.


Trama: Martin è un ragazzo disturbato che prima narcotizza le donne e poi beve il loro sangue. Il vecchio zio lo ritiene un vampiro ma su di lui i metodi tradizionali non funzionano...


Essendo a conoscenza della versione curata da Argento, ho tirato un sospiro di sollievo nello scoprire che il mio DVD, pur essendo italiano, contiene il film distribuito nel mercato USA. Non per altro, adesso infatti sarei curiosa di vedere com'è stata rimontata la pellicola e di sentire lo score dei Goblin, ma come primo impatto desideravo guardare il "vero" film com'era stato concepito da Romero, visto che, dichiaratamente, è il preferito dal regista tra quelli da lui girati. Ed effettivamente questo Martin è un horror atipico, che reinventa la figura del vampiro attualizzandola e privandola di quell'aura di fascino romantico e sensuale che l'ha caratterizzata sin dai tempi di Bram Stoker. Il protagonista infatti è Martin, uno schivo e silenzioso adolescente (o poco più) che ama bere il sangue delle donne ma è assolutamente privo di tutti quei poteri che la tradizione ascriverebbe ai vampiri, canini appuntiti compresi. La sua vita è fin troppo reale, squallida e solitaria; nel suo mondo "la magia non esiste" se non nelle sue romantiche fantasie da film in bianco e nero, nelle quali lui è l'affascinante vampiro desiderato da vittime adoranti e inseguito da folle inferocite. Ai vampiri letterari e cinematografici basta schioccare le dita per avere nel letto le donne più belle del mondo mentre per il povero Martin il sesso, o meglio la "sexy stuff", è qualcosa di misterioso, frustrante e che fa paura anche più del rischio di essere scoperto, imprigionato o ucciso. Impossibilitato a vivere la normale esistenza di un adolescente a causa della sua insana passione per il sangue, il ragazzo è costretto a sfogarsi per telefono con un deejay che, appioppandogli il nome di "Conte", lo tratta come un fenomeno da baraccone, mentre sulla porta di camera sua attende come un falco lo zio Cuda, impastato di timori superstiziosi e convinto di avere in casa Nosferatu in persona. Completa il quadro la triste cugina Christine, insoddisfatta della propria vita tanto quanto Martin e tutta una ridda di varia e squallida umanità composta da mogli sole e fedifraghe, mariti violenti ed egoisti, drogati, barboni e potenziali violentatori di donne. Insomma, Martin più che un horror tout court è una deprimente riflessione sulla bigotta e fasulla piccola borghesia americana.


Romero, da par suo, non fa sconti né ai personaggi, quasi tutti ridicoli e negativi, né allo spettatore. Risulta infatti impossibile, nonostante il suo "vizietto", non parteggiare per Martin, mentre il piglio grottesco con cui viene tratteggiato lo zio, armato di aglio, croci, esorcismi e chi più ne ha più ne metta, fa ridere tanto quanto il teatrale scherzone che gli gioca il nipote ad un certo punto del film... per questo il finale, repentino ed inaspettato, arriva come una doccia fredda ed è più scioccante dell'intera pellicola. Oltretutto, l'abilità del regista sta anche nello sviare lo spettatore perché, per esempio, io ho inteso i surreali flash in bianco e nero immaginati dal protagonista come semplice frutto della sua fantasia, ma non è detto che non siano invece ricordi di un passato che farebbe di Martin un vampiro reale, per quanto atipico, dando così ragione allo zio e ribaltando tutto il senso del film. Al di là dunque del sangue e dei momenti di tensione, comunque sempre ben presenti, è importante per Romero il parallelo tra orrore e reale, l'utilizzo del cinema di genere per sviscerare le magagne di una società marcia e corrotta quanto la carcassa di uno zombie e altrettanto vuota e priva di pulsioni che non siano gli istinti egoistici. Martin è, per concludere, anche un validissimo esempio di come si possa girare un horror con due lire e tanta passione perché, se si riesce a riutilizzare e reinventare gli archetipi per dire qualcosa di nuovo, non contano né effetti speciali né gore gratuito né fotografia patinata ed interpreti bellini. Conta solo la bravura di un competente artigiano. Bravissimo, George, mi hai dato un altro film da inserire tra le più belle pellicole vampiriche.


Del regista George Romero ho già parlato qui mentre Tom Savini, che interpreta Arthur, ha creato gli effetti speciali usati nella pellicola e ha effettuato anche alcuni degli stunt, lo trovate qua.

John Amplas interpreta Martin. Americano, ha partecipato a film come Zombi, Il ritorno degli zombi, Creepshow e Il giorno degli zombi. Ha 64 anni e un film in uscita.


Tra gli altri attori segnalo la presenza dell'ex moglie di Romero, Christine Forrest, nei panni della cugina di Martin, Cristina. Si dice che Martin originariamente durasse ben 2 ore e 45 minuti (ma non esistono copie di questa versione della pellicola) e che, prima che Romero vedesse John Amplas, il film avrebbe dovuto raccontare la storia di un vampiro più maturo e costretto a vivere nell'incomprensibile mondo moderno. A mio avviso, è andata meglio così! Se Martin vi fosse piaciuto consiglio infine la visione del meraviglioso The Addiction, di Ammazzavampiri o Miriam si sveglia a mezzanotte. ENJOY!! 

mercoledì 22 maggio 2013

Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti (2009)

Agile e tranquilla come una gazzella, qualche giorno fa ho deciso di guardare uno di quei film che avevo in standby da qualche tempo, più o meno due anni, ovvero Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti (Survival of the Dead) del 2009. Mi sono detta: dirige George A. Romero, vado sul sicuro. E come no.


Trama: mentre i morti viventi spadroneggiano ormai sulla Terra, un gruppo di ex militari assieme a un ragazzino decidono di cercare rifugio su un'isola. Il problema è che lì dura da decenni una faida tra due uomini e che l'epidemia ha a dir poco esacerbato i toni della diatriba...


"Ma vah, non è quello di Romero". "Ossignore, sono incappata in un plagio della Asylum". "CosadiavolostaiguardandoBolla???". Questi ed altri ben più coloriti pensieri sono passati per il mio cervellino perplesso guardando Survival of the Dead, forse il punto più basso mai toccato dall'infinita saga Romeriana dedicata ai morti viventi (ma non ho mai visto Le cronache, quindi potrei anche sbagliarmi). Per dirla in parole povere, non riesco ancora a credere che lo stesso regista considerato, giustamente, un maestro dell'horror moderno, abbia potuto sceneggiare e dirigere quest'immonda ciofeca dove ogni dialogo sembra scritto da un branco di babbuini amanti del cinema di serie Z, ogni scena pare recitata dai membri del circolo parrocchiale e ogni effetto speciale creato da un ragazzino che non sapeva come passare il tempo. I personaggi sono privi di carattere (figuriamoci che ad un certo punto spuntano due gemelle tranquillamente intercambiabili e che il ragazzino non ha neppure un nome...), non c'è un minuto di suspance, non c'è un secondo di riflessione, il gore è davvero ridotto all'osso e mi sembra non ci sia neppure quella critica sociale che animava i primi capitoli della saga, a meno che non si prenda in considerazione il simpatico finale dove i morti sono costretti a ripetere gli stessi errori di quando erano in vita, a mo' di punizione eterna. Ho provato anche a convincermi del fatto che tutte queste mancanze fossero frutto di una precisa scelta stilistica, del desiderio di mostrare un mondo allo sbando, dove tutti i viventi sono tranquillamente assimilabili ai morti, dove nulla conta più, nemmeno l'individualità, dove il tempo pare essersi fermato e poi tornato all'epoca delle faide familiari (vedi i nomi dei clan, che sembrerebbero presi paro paro da qualche vecchio western) ma, insomma.... dai, non stiamo a fare coglionella. 'sto film fa schifo.


Fa schifo in primis per i tremila svarioni della trama. Senza spoilerare troppo, sul finale i sopravvissuti alla mattanza cambiano idea sul da farsi almeno tre volte in due minuti e senza motivazioni apparenti, inoltre verso la metà del film Romero manda in vacca tutto quello che aveva  scatenato gli eventi raccontati a inizio pellicola, con il vecchiaccio pelato che, da profeta di salvezza dei morti viventi, diventa un insensibile ammazza-zombi. Ma allora a che pro tutto il casino fatto all'inizio?? Mah. Inutile poi parlare della stupidità che anima i protagonisti del film, la maggioranza dei quali, nonostante viva da mesi in mezzo agli zombi, ancora si ostina a dar loro le spalle, abbracciarli, sventolar loro davanti gli arti etc., stupendosi poi quando i morti cercano di morderli. Ma pugnalatevi!, fate il favore. In tutta questa pila d'immondizia salvo solo il finale, come ho già detto, e anche l'interpretazione di Kenneth Welsh: il simpatico e paraculissimo vecchietto, agghindato come un novello Jacques Cousteau, gigioneggia per tutta la pellicola, strappando gli unici veri sorrisi agli spettatori ancora in vena di farsi prendere in giro ed eclissando senza troppa fatica tutti gli altri interpreti. Per il resto, spero di dimenticare questo scempio al più presto e tornare a guardare Romero con gli occhi disincantati di chi gli ha sempre voluto bene.


 Del regista e sceneggiatore George A. Romero ho già parlato qui.

Alan Van Sprang interpreta Sarge. Canadese, ha partecipato a film come La terra dei morti viventi, Saw III – L’enigma senza fine, Le cronache dei morti viventi e a serie come Nikita, Psi Factor e Monk. Ha 42 anni.  

  
Kenneth Welsh interpreta Patrick O’Flynn. Indimenticabile ed inquietante Windom Earle della serie I segreti di Twin Peaks, ha partecipato a film come Radio Days, Mr. Crocodile Dundee II, Vento di passioni, The Aviator, The Exorcism of Emily Rose, The Fog – Nebbia assassina, I fantastici 4 e Silver Surfer e ad altre serie come Ai confini della realtà, X-Files, Oltre i limiti, The Hunger e Smallville. Canadese, ha 71 anni e due film in uscita. 


Il film fa parte ovviamente della sterminata opera romeriana dedicata agli zombie e segue La notte dei morti viventi, Zombi, Il giorno degli zombi, La terra dei morti viventi e Le cronache dei morti viventi. I primi quattro li ho visti (tre capolavori e un film comunque gradevole) mentre Le cronache mi mancano. Quindi, se Survival of the Dead – L’isola dei morti viventi vi fosse piaciuto consiglio il recupero almeno delle prime quattro pellicole e aggiungerei Shaun of the Dead e Benvenuti a Zombieland, ché almeno fanno ridere consapevolmente. ENJOY!!

giovedì 12 aprile 2012

La notte dei morti viventi (1968)

E’ arrivato il momento di provare a recensire un altro caposaldo del cinema e dell’horror, quella Notte dei morti viventi (Night of the Living Dead) del 1968 che ha segnato l’inizio delle saghe romeriane dedicate alla figura dello zombie.


Trama: i morti escono dalle tombe, affamati di carne umana. Uno sparuto gruppetto di uomini e donne, asserragliato in una casa isolata, cerca di difendersi come può dagli attacchi degli zombie…


Trovo sempre difficile affrontare la recensione di film così importanti, rischiando di imbarcarmi in considerazioni imbarazzanti o non vere. Quindi, come sempre, eviterò qualsiasi “parolone” da critico cinematografico e affronterò la cosa da orgogliosa non – competente quale sono, partendo molto banalmente da quello che ho apprezzato come spettatrice e fan dell’horror. Premetto anche di essere molto più affezionata al remake anni ’90 del mago del make up Tom Savini, nel senso che, pur non trovandolo ovviamente superiore al film di Romero, è stato comunque il mio primo horror “vero” e mi aveva abbastanza scioccata all’epoca. Sicuramente, il remake è molto più sanguinoso e tamarro, però la vera Notte dei morti viventi precorre i tempi. Intanto, è il primo horror dove gli zombie si nutrono di carne umana, inoltre presenta un protagonista nero (che picchia una donna bianca!!) in tempi in cui le questioni razziali in America erano tutt’altro che sedate, anzi. Inoltre, la regia di Romero è inquietante e molto artistica, quasi ci si trovasse davanti ad un film espressionista.


La prima cosa, infatti, che colpisce l’occhio è la decisione di girare in bianco e nero (anche se ne esiste una versione colorizzata, ma: orrore!!!) nonostante fosse già epoca di drive – in, splatter e gore. La mancanza di colore conferisce alla pellicola un’aura assai particolare che, innanzitutto, confonde lo spettatore e gli fa perdere il senso del tempo come avviene ai personaggi, perché è difficile dire, all’interno della casa, se sia giorno o notte; secondariamente, permette a Romero di girare sequenze magari “inutili” all’economia di un horror ma sicuramente molto belle, come quella in cui Barbara si perde nella contemplazione di un carillon, oppure altre più funzionali e devastanti, come quella della pargola in cantina, con tanto di nero schizzo di sangue che imbratta i muri. La notte dei morti viventi però, in tal senso, è anche parco di effettacci splatter. Gli zombi sono molto più “umani” rispetto a quelli moderni perché, effettivamente, altro non sono che cadaveri e quindi non molto diversi da noi: niente “occhio di ghiaccio” dunque, né facce o arti troppo rosicchiati da larve e affini o orrido sangue nero ad imbrattare le labbra. La maggior parte di essi, infatti, sembrerebbe essere stata sepolta giusto il giorno prima, tanto che il morto vivente che attacca Johnny e Barbara all’inizio viene confuso facilmente con un essere umano, il che rende l’intera vicenda ancora più spiazzante.


Come spiazzante, ancora oggi, è la decisione di non rivelare il motivo per cui i morti hanno deciso di tornare a camminare sulla terra. Potrebbe essere stata colpa dell’inquinamento, di un satellite, di esperimenti, chissà. L’onnipotente TV, vista praticamente come un Dio dai poveri sfigati rinchiusi in casa, non offre soluzioni certe, può solo fare congetture e offrire vane speranze o consigli anche abbastanza discutibili (come direbbero in Shaun of the Dead: “The man said to stay inside” “Fuck the man!!”), che portano all’inevitabile morte dei già pochi sopravvissuti. Sopravvissuti che, per inciso, a parte la povera e catatonica Barbara si scavano da soli la fossa con poche mosse azzardate, vuoi perché sono spaventati, disperati, innamorati o semplicemente stronzi. E poi certo, dove falliscono la tv o le spiegazioni razionali, arriva in soccorso il buon spirito dell’americano vero, quel “prima spara poi chiedi chi è” che consente alla maggior parte delle persone di cavarsi dagli impicci e risolvere le situazioni, senza fare molta attenzione alle “casualties”, come si suol dire. A modo suo, quindi, La notte dei morti viventi si conclude con un happy ending, nel quale gli umani paiono avere preso le redini della situazione. Ma per noi che sappiamo bene come è continuata la storia dell’umanità romeriana, quel finale sa di quiete apparente prima della tempesta, ovviamente. Voi non fatevi trovare impreparati dall’apocalisse zombie, però, e cercate questo caposaldo prima che sia troppo tardi.


Del regista George Romero ho già parlato qui. Il film, purtroppo, non ha portato fortuna agli attori che vi hanno partecipato, la cui carriera si è consumata in poche e sporadiche apparizioni all’interno di film davvero poco conosciuti. Sfortunato, almeno in questa circostanza, anche il buon Tom Savini, che non ha potuto confezionare il make up del film perché era stato richiamato come fotografo sul campo in Vietnam; si è rifatto, come ho detto, nel 1990, girando La notte dei morti viventi, remake che rende giustizia al personaggio di Barbara facendola diventare molto più forte e cazzuta, com’era nelle intenzioni di Romero. Quello di Savini, però, non è l’unico remake. Nel 2006, infatti, è stato girato La notte dei morti viventi 3D, che conta tra i protagonisti anche Sid Haig. I seguiti “ufficiali” de La notte dei morti viventi, invece, sono Zombi, Il giorno degli zombi, La terra dei morti viventi, Le cronache dei morti viventi e Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti. Gli ultimi due non li ho visti e non posso dare giudizi, ma se la figura dello zombi moderno vi affascina, consiglierei di recuperare almeno i primi tre. ENJOY!!

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