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mercoledì 13 marzo 2024

Maestro (2023)

Continua la corsa dietro ai titoli nominati per l'Oscar. Oggi tocca a Maestro, diretto e co-sceneggiato nel 2023 dal regista Bradley Cooper e candidato a 7 premi Oscar: Miglior film, Miglior attore protagonista, Miglior attrice protagonista, Miglior sceneggiatura originale, Miglior fotografia, Miglior trucco e Miglior sonoro.


Trama: vita del musicista Leonard Bernstein, dal suo primo lavoro come direttore d'orchestra al legame con la moglie Felicia, complicato dalle pulsioni omosessuali di lui...


Io quest'anno sto facendo una fatica incredibile a farmi trasportare dalle atmosfere dei film che guardo e, soprattutto, ad allinearmi ai giudizi dei cinefili che, oltre ad amarla, s'intendono della settima arte. Maestro è candidato a sette premi Oscar, di cui quattro tra i più importanti, e io riesco solo a pensare all'indicibile noia che mi ha avvinta per tutta sua durata. E d'accordo, io sono ignorante, non conoscevo Bernstein (e il film non mi ha aiutata a colmare la lacuna, beninteso), ma ho guardato Maestro con un appassionato conoscitore di musica classica, e anche lui è uscito sconfitto dalla visione. La cosa, da un lato mi consola, dall'altra mi abbatte. Maestro è uno splendido lavoro a livello di regia e montaggio, entrambi usati in modo estremamente raffinato per sottolineare non solo il passaggio delle epoche (la transizione dal bianco e nero degli inizi al colore), ma anche il rapporto profondo tra Bernstein e la sua musica, con la vita che si fa musical e viceversa, mentre i personaggi passano da un ambiente e una sequenza all'altra senza apparente soluzione di continuità, come se si trovassero su un palcoscenico. Le interpretazioni dei due protagonisti, poi, sono grandiose. Nascosto, ma neppure poi tanto, da un trucco che lo rende somigliantissimo al vero Bernstein e impegnato in un'interpretazione fisica e vocale che ha dell'incredibile, Bradley Cooper riporta in vita l'artista, con tutta la sua logorrea e il suo enorme ego, sottoponendo personaggi secondari e spettatori a un estenuante, continuo confronto con un protagonista che divora lo schermo. Esce vincitrice, da questo confronto, solo un'eterea Carey Mulligan, dotata di una dignità e un carisma delicato ma deciso, che si prende con naturalezza lo spazio che le compete, consentendo a dialoghi e sequenze di "respirare", fare una pausa e cambiare un po' il punto di vista di un film interamente imperniato sul dramma personale di Bernstein, su una storia d'amore "pilotata" dal musicista. E qui passiamo alle note, per me, dolenti.


Maestro
è imperniato per quasi tutta la durata sul rapporto tra Bernstein e Felicia, con la musica "usata" soprattutto come mezzo per enfatizzare la grandeur del protagonista e come plot device per sottolineare come dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna, paziente per la maggior parte del tempo, scanzonata e sognatrice, ma anche dotata di cazzimma alla bisogna, perché va bene l'amore ma Bernstein era filantropo (cit.), caro lui. Il film, in realtà, la fa anche troppo facile. Benché Felicia fosse consapevole dell'orientamento sessuale del marito e cercasse di non ostacolarlo per non renderlo infelice, Bernstein ha passato comunque anni in cura da psichiatri, alcuni dei quali praticavano l'orrida e sbagliatissima "terapia di conversione", e questo in Maestro non viene mai accennato. Al di là di questo dettaglio insignificante, ho trovato, comunque, che due ore e fischia di psicodramma amoroso fossero anche troppe, soprattutto perché, da un certo punto in poi, il film relega in secondo piano l'evoluzione della carriera di Bernstein per concentrarsi su una sequela infinita di ragazzetti piacenti ghermiti dalle grinfie del musicista sotto l'occhio sempre più critico della moglie. Il risultato è quello di avere un film né carne né pesce, indeciso se essere una travagliata storia d'amore, il dramma psicologico di un genio tormentato o il resoconto dei sensi di colpa di un uomo dalla sessualità aperta e, per l'epoca, "scomoda". Tre identità che, a mio parere, non riescono ad amalgamarsi e che mi hanno portata a non provare interesse per nessuna di esse, trasformando la visione di un film plurinominato in una sofferenza che eviterei volentieri di riprovare. Evidentemente, l'estate non canta più dentro di me, che vi devo dire. 


Del regista e co-sceneggiatore Bradley Cooper, che interpreta anche Leonard Bernstein, ho già parlato QUI. Carey Mulligan (Felicia Montealegre), Matt Bomer (David Oppenheim), Sarah Silverman (Shirley Bernstein), Maya Hawke (Jamie Bernstein) e Josh Hamilton (John Gruen) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film avrebbe dovuto essere diretto da Steven Spielberg, che ha lasciato il progetto a Cooper per dedicarsi a West Side Story, o da Martin Scorsese. Entrambi figurano come produttori. Se Maestro vi fosse piaciuto recuperate Tick, Tick... Boom!, The Danish Girl e Tár. ENJOY!


domenica 19 febbraio 2017

Manchester by the Sea (2016)

Per me era un po' l'incognita della notte degli Oscar ma questa settimana è uscito anche in Italia Manchester by the Sea, scritto e diretto nel 2016 dal regista Kenneth Lonergan e candidato a sei statuette (Miglior Film, Casey Affleck Migliore Attore Protagonista, Lucas Hedges Migliore Attore Non Protagonista, Michelle Williams Migliore Attrice Non Protagonista, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Originale) quindi non ho potuto fare a meno di dargli un'occhiata.


Trama: Lee Chandler, tuttofare a Boston, è costretto a tornare nel suo paese natale dopo la morte del fratello per prendersi cura del nipote adolescente...


Ci sono due scene che mi hanno colpita tantissimo durante la visione di Manchester by the Sea. La prima è quella ripresa anche nei poster, in cui Lee e l'ex moglie Randi si confrontano tirando fuori tutto il dolore covato negli anni, una sequenza capace di spezzare il cuore ad un sasso per quanto è intensa, la seconda invece è quella in cui il giovane Patrick viene colpito da un attacco di panico e lo zio non può fare altro che guardarlo in silenzio, offrendogli semplicemente la sua presenza come mezzo di sostegno, sequenza probabilmente meno "topica" ma altrettanto importante. Manchester by the Sea andrebbe visto anche solo per queste due scene ma l'ultimo film di Kenneth Lonergan è bellissimo in generale, entra sotto pelle e tratta un argomento difficile come l'elaborazione del lutto in maniera non banale e, soprattutto, senza calcare la mano sul patetismo; anzi, oserei dire che Manchester by the Sea, a tratti, è persino molto divertente e ha la malinconica leggerezza (o la leggera malinconia?) tipica dei lavori meglio riusciti di Lasse Hallström. La pellicola si concentra su due personaggi in particolare, Lee e suo nipote Patrick. Fin dall'inizio vediamo che tra i due c'è un rapporto speciale, risalente all'infanzia di Patrick, cementato da gite in barca e battute di pesca, eppure ad un certo punto Lee ha abbandonato fratello, nipote, cittadina sul mare e si è ritirato a Boston, dove ha cominciato a condurre una vita squallida e solitaria. Un episodio devastante ha letteralmente svuotato Lee, privandolo di qualsiasi impulso vitale e della capacità (persino della volontà) di rapportarsi agli altri o di rifarsi una vita e quando, dopo la morte del fratello, scopre di aver ricevuto in eredità la custodia del nipote, è come se il mondo gli crollasse addosso una seconda volta. Patrick è invece l'opposto dello zio: nonostante un'infanzia non facile, il bimbetto di un tempo è diventato un bel ragazzo, sicuro di sé, pieno di amici, di interessi e con un futuro probabilmente assai brillante davanti, che cerca di superare la morte dell'amato padre conducendo una vita quanto più normale possibile. Come la maggior parte dei film "a tema", Manchester by the Sea è interamente giocato sullo scontro tra questi due caratteri diversi ma non si snoda nella maniera in cui si aspetterebbe lo spettatore; la catarsi, per Lee, è minima e il suo dolore talmente immenso che non basta la forte personalità di un nipote, per quanto amato, a sciogliere il blocco di ghiaccio che l'uomo porta nel petto, non quando sotto il ghiaccio non c'è più nulla.


La morale di Manchester by the Sea, se di morale si può parlare o se il mero raccontare una storia debba per forza implicare che ne esista una, è che ognuno deve essere lasciato libero di affrontare i propri mostri interiori come meglio crede ma non necessariamente lasciato solo; il rapporto che si viene a creare tra Lee e Patrick implica un "vivi e lascia vivere" che non sottintende disinteresse, bensì l'impegno ad osservare e capire l'altro, trovando il modo migliore affinché la sua esistenza possa riprendere a scorrere nella maniera più tranquilla possibile (a scorrere o a rimanere in stasi, come i gabbiani che si lasciano trasportare dalle correnti aeree in un'altra, splendida ed importante sequenza). In Manchester by the Sea tutti quelli che elargiscono consigli, praticano il cosiddetto "small talk", hanno un estremo bisogno di confessarsi e sgravare le coscienze o cercano in qualche modo di prendere le redini dell'esistenza di coloro che ritengono più "deboli" vengono giustamente rimbalzati al mittente, in modo anche poco urbano, perché il microcosmo di una persona è delicato ed impenetrabile quanto quello della cittadina da cui il film prende il nome, quella Manchester by the Sea arroccata sul mare dove persino la primavera e l'estate odorano d'inverno. Casey Affleck, che qui offre una prova a dir poco grandiosa, E' Manchester by the Sea, con la sua aria "stundaia" e gli aculei che paiono voler trafiggere tutti quelli che osano avvicinarsi per riportarlo a fiorire, un uomo spento che vorrebbe soltanto sprofondare nel mare del suo terrificante incubo personale e per il quale sarà SEMPRE inverno, anche quando qualcuno proverà ad accendere una timida fiammella di speranza o a lasciarsi alle spalle il passato, sperando di poter ricominciare da capo. Per tutti questi motivi il finale di Manchester by the Sea non è felice e neppure consolatorio, è giusto che non lo sia, ma in esso risiede tutta la bellezza di un film capace di sorprendere, emozionare e coinvolgere lo spettatore attraverso la semplice, quasi sonnolenta quotidianità di una storia incredibilmente umana e, purtroppo, plausibile. Complimenti quindi a Kenneth Lonergan il quale, dopo sei anni di assenza dalle scene cinematografiche e un periodo esistenziale decisamente nero, è riuscito a riprendersi e a confezionare un simile gioiellino.


Del regista e sceneggiatore Kenneth Lonergan ho già parlato QUI. Casey Affleck (Lee Chandler), Kyle Chandler (Joe Chandler), Michelle Williams (Randi Chandler), Josh Hamilton (l'avvocato Wes) e Matthew Broderick (Jeffrey) li trovate invece ai rispettivi link.

Lucas Hedges interpreta Patrick. Americano, ha partecipato a film come Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (che vedeva protagonista proprio Kara Hayward, qui nel ruolo di Silvie McCann, una delle fidanzate di Patrick), The Zero Theorem e Grand Budapest Hotel. Ha 20 anni e due film in uscita.


Stephen Henderson, che interpreta Mr. Emery, ha partecipato ad un altro dei film protagonisti dell'imminente Notte degli Oscar, ovvero Barriere. Manchester by the Sea avrebbe dovuto essere diretto, interpretato e prodotto da Matt Damon ma le vicissitudini produttive dietro al film e vari ritardi hanno portato l'attore a ritirarsi dal progetto e a rimanere solo in qualità di produttore. Per concludere, se Manchester by the Sea vi fosse piaciuto recuperate Margaret. ENJOY!

mercoledì 30 ottobre 2013

Oscure presenze - Dark Skies (2013)

Nonostante la pessima distribuzione nostrana, in questi giorni sono riuscita a recuperare Oscure presenze (Dark Skies), diretto e sceneggiato da Scott Stewart. Una bella sorpresa, lo ammetto!


Trama: i membri della famiglia Barrett cominciano a venire coinvolti in fatti inspiegabili che li portano a credere che la loro casa sia infestata da strane presenze…


Dopo aver letto la trama immagino che molti di voi avranno esclamato “E che palle!!” e non posso darvi torto: dopo il mega successo di Paranormal Activity le case infestate stanno andando un tanto al chilo e sono davvero pochi gli horror commerciali degli ultimi anni che esulano dallo schema “famigliola felice – eventi inspiegabili che spezzano l’armonia familiare – forsennata ricerca di una soluzione, possibilmente aiutati da un esperto” e Oscure presenze non fa assolutamente eccezione in questo. E allora perché mi è piaciuto parecchio e mi ha anche spaventata? Beh perché, nonostante un finale camurrioso e paraculo e nonostante qualche ingenuità sparsa qui e là, innanzitutto questo film ha una sceneggiatura che non si limita a snocciolare momenti da salto sulla sedia e momenti WTF in cui qualunque streppone può improvvisarsi esorcista, guaritore o santone e risolvere i problemi della famigliola salvo perculata finale atta a produrre mille sequel e altrettanti prequel. Questi momenti ci sono, è vero, ma sono giustamente dosati e mescolati ad un minimo di analisi della situazione familiare e di approfondimento dei personaggi e, paradossalmente, anche ad un po' di verosimiglianza in più, sopratutto per quel che riguarda il personaggio interpretato da J.K. Simmons, che per una volta, nonostante si proclami un esperto, ammette candidamente di conoscere il problema ma di non avere alcun modo di risolverlo.


Senza fare troppi spoiler, in Oscure presenze non c'è la solita infestazione conseguente ad un trasloco ma le cose cominciano a succedere senza un perché e in una situazione che potrebbe essere la stessa in cui versano moltissime famiglie in tutto il mondo, dove i genitori stanno perdendo ogni fiducia nella propria relazione a causa dei problemi economici e della mancanza di lavoro (cosa che, peraltro, porta anche gli amici di sempre a trattarli diversamente e ad essere sospettosi), dove il figlio adolescente sta scoprendo il gusto del proibito anche grazie alle compagnie sbagliate e dove il figlioletto teme più di ogni altra cosa la separazione di mamma e papà. Anzi, siccome Dark Skies tratta un argomento vetusto come le invasioni aliene, si potrebbe dire che la pellicola è lo specchio oscuro di quei film anni '80 dove le famiglie problematiche si ritrovavano unite grazie all'arrivo provvidenziale di esserini extraterrestri in grado di far riscoprire loro i veri valori americani, mentre qui gli alieni vengono dipinti come degli spietati e freddi scienziati interessati solo a studiarci. E quanto fanno paura! Per quanto il loro design sia ormai un cliché, le loro apparizioni vengono centellinate e studiate a tavolino, tanto che l'effetto "salto sulla sedia" è praticamente garantito. Se a questo aggiungiamo una regia classica ma efficace, pochi effetti speciali ma ben dosati e attori comunque dignitosi il risultato è un film sicuramente banale ma anche molto godibile, l'ideale per queste calde serate pre-Halloween.

Scott Stewart è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Legion e Priest. Anche responsabile degli effetti speciali, produttore e attore, ha un film in uscita.


Josh Hamilton (vero nome Joshua Cole Hamilton) interpreta Daniel Barrett. Americano, ha partecipato a film come Alive – Sopravvissuti, Margaret, J. Edgar e a serie come American Horror Story, inoltre ha lavorato come doppiatore nel film L’era glaciale. Anche produttore, ha 44 anni e tre film in uscita.   


Dakota Goyo interpreta Jesse Barrett. Americano, lo ricordo per film come Thor, Real Steel e Le 5 leggende, dove doppiava uno dei ragazzini umani. Ha 14 anni e due film in uscita, tra cui Noè.


J.K. Simmons (vero nome Jonathan Kimble Simmons) interpreta Edwin Pollard. Americano, lo ricordo per film come Extreme Measures - Soluzioni estreme, The Jackal, Le regole della casa del sidro, The Gift - Il dono, The Mexican, Spider - Man, Ladykillers, Spider-Man 2, Spider-Man 3, Burn After Reading - A prova di spia Jennifer's Body; inoltre, ha partecipato a serie come Oz, E.R. Medici in prima linea, Nip/Tuck, Numb3rs e ha lavorato come doppiatore in Megamind e nelle serie I Simpson, Kim Possible, Phineas & Ferb, American Dad! e Robot Chicken. Ha 58 anni e sette film in uscita.  


Se Oscure presenze - Dark Skies vi fosse piaciuto, consiglio la visione di Signs, forse l'ultimo film di Shiabadà che sono riuscita a sopportare prima di bollarlo a vita come "venditore di fumo e m***a", come divevano in Ghostbusters. ENJOY!!




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