Ci provo. Non ridete, non leggete se avete in animo di insultarmi ma… io ci provo. Toto chiede, e io faccio. Cosa, direte voi? La “recensione” (e qui le virgolette sono d’obbligo…) di Un chien andalou, manifesto del surrealismo diretto nel 1929 dal regista Luis Buñuel e scritto nientemeno che da Salvador Dalì, di cui sono andata a vedere la mostra qualche giorno fa, a Milano. Proprio all’interno della mostra era possibile vedere i due film di Buñuel ai quali ha collaborato l’artista, questo Chien andalou, nato dalla combinazione di due sogni degli autori, e L’age d’or (che non ho avuto la forza di vedere…) oltre ad uno splendido corto a cartoni animati, elaborato con la Disney, dal titolo Destino.
Premesso quindi il mio essere Capra con la C maiuscola, la cui unica esperienza “tecnica” di approccio alla cinematografia è stato l’aver dato due esami di Storia del Cinema all’università, rinuncio completamente a tracciare un giudizio tecnico, critico, storico e vi paleserò invece il mio approccio “cazzone”, per così dire, alla pellicola, e sono certa che il buon Dalì almeno si farebbe delle grasse risate ed apprezzerebbe, come hanno apprezzato gli avventori della mostra i quali, all’interno della saletta buia, preferivano guardare me e la mia compagna di sventure profonderci in buffissime espressioni di incredulità, perplessità, disgusto e quant’altro. Non andate avanti con la lettura se non avete mai visto il film in questione, perché qui ne descriverò parecchie scene, quindi la “recensione” conterrà parecchi SPOILER.
L’esperienza con Un chien andalou comincia nel modo più traumatico, con la famosa scena dell’occhio tagliato. Un uomo si avvicina ad una donna brandendo un bisturi, le tiene ben aperto l’occhio e… zack! glielo taglia in orizzontale, mentre una nuvola fa la stessa cosa con la luna, passandole davanti. Un’immagine splendida, di una violenza inaudita sicuramente per l’epoca e impressionante ancora oggi, perché si riflette direttamente sull’occhio dello spettatore, che vedrà, da quel momento in poi, solo quello che il regista e lo sceneggiatore vogliono mostrargli. Questa scena è il preludio a quella che io ho percepito come una strana e malata storia d’amore, dove un inquietante uomo cerca di approcciarsi ad una donna. Nel mezzo, ci sono tutte le fisime di lui, rappresentate da parecchie immagini emblematiche: innanzitutto compare in maniera ossessiva una piccola scatola che, probabilmente (così me lo immagino io…), contiene tutti i suoi ricordi d’infanzia; secondariamente, costui è un uomo fatto di formiche, visto che appena si ferisce una mano ne escono a profusione dal buco nella carne (e questo invece è un tema ricorrente di Dalì, presente anche nei suoi quadri), mi immagino quindi che sia fondamentalmente perverso, se non cattivo. Lo dimostra il fatto che, a un certo punto, parrebbe quasi che cerchi di violentare la donna (e anche qui, le palpate del seno con lui che arriva persino a sbavare mi fanno pensare a quale shock dev’essere stato allora un film simile..); purtroppo per lui viene impedito nell’intento dal ritrovarsi improvvisamente delle funi attaccate al corpo, che lo costringono a trainarsi appresso dei preti e dei pianoforti con sopra i cadaveri di alcuni asini, quindi immagino che un paio di remore “religiose” e morali ancora gli rimangano a frenarlo.
Dopodichè il film diventa ancora più complicato. L’uomo si ritrova davanti un suo doppio, che cerca di distruggergli tutti i ricordi d’infanzia (la scatoletta appunto…); alla fine riesce ad eliminarlo sparandogli, solo per poi ritrovarsi senza bocca. Incredibile come “effetto speciale”, decisamente inaspettato in un film del ’29. Mi ha meravigliato inoltre vedere che, mentre la donna si da il rossetto, la bocca dell’uomo si ricostruisce come se fosse uno scarabocchio, fatto con del rossetto dato malissimo, appunto. Ed è lì che la donna se ne va… solo per ritrovarsi al mare con lo stesso uomo. Un appuntamento felice, che però si conclude con i due amanti separati ed immersi nella sabbia fino alle spalle, impossibilitati a toccarsi, ad abbracciarsi, a muoversi. Un finale triste, come triste è tutto il cortometraggio, costellato di immagini che richiamano la morte (ad un certo punto si vede persino la farfalla testa di morto ripresa poi ne Il silenzio degli innocenti), la follia, la solitudine, l’incapacità di comprendere sé stessi. Se dovessi dargli un significato generale, a mio avviso il film vuole mostrare allo spettatore il caos e i timori dell’era moderna, dove anche i valori più solidi come l’amore, la religione, la famiglia, l’istruzione non riescono ad aiutare l’uomo a capire il suo posto nel mondo. Ma potrei anche sbagliarmi, of course.
Insomma, Un Chien Andalou è uno dei capisaldi della storia del cinema, e ora capisco perché: è breve, sì, ma innovativo, curatissimo, assolutamente ipnotico con le sue immagini in bianco e nero che rimangono in mente come se fossero fatte d’inchiostro e s’imprimessero nel cervello. Ovviamente andrebbe guardato nel contesto di una mostra, come ho fatto io, perché all’interno si ritrovano parecchi elementi presenti nei quadri di Dalì e nella sua personalissima, assurda poetica, ed essere già immersi in questa particolare atmosfera aiuta molto a godersi il film. I cinefili non possono assolutamente esimersi.
Luis Buñuel è il regista del film. L’autore spagnolo è uno dei più innovativi pionieri della storia del Cinema, regista di alcuni tra i capolavori più conosciuti e apprezzati dai cinefili, come L’âge d’or (sempre scritto assieme a Dalì), Bella di giorno, Il fascino discreto della borghesia e Quell’oscuro oggetto del desiderio. E’ morto di cancro all’età di 83 anni.
E ora un paio di curiosità: pare che negli anni ’70, prima di ogni concerto, David Bowie proiettasse il film per il pubblico. Non oso immaginare l’effetto che avrà fatto a una folla di gente che probabilmente non lo aveva mai visto, soprattutto per la prima scena. Del film, inoltre, esistono altre due versioni, entrambe accompagnate da una colonna sonora, una del 1960 e una del 1983, leggermente modificata anche nel montaggio. E ora vi lascio direttamente con il film intero, così, in caso vogliate vederlo. Questa volta, più che mai... ENJOY!!
E io non l'ho visto. E ormai me l'hai raccontato scena per scena.... Un film rovinato per sempre... (e qui l'ironia la fa da padrona. XDXD)
RispondiEliminaCerto che riesci a trovarne di significati! Io, da buona capra quale sono, non ci avrei capito una beata cippa...
Il solito e misterioso utente anonimo