Don't Look Up - Adam McKay (2021)
Il 24 dicembre, dopo una programmazione in sala di una settimana, Netflix ha sganciato la bomba Don't Look Up, il film che probabilmente avrà visto anche vostra zia Concetta tra una fetta di panettone e l'altra. L'ultima pellicola di McKay ha diviso nettamente l'opinione dei cinèfili dell'internet, tra chi lo ha definito una cagata pazzesca e chi un capolavoro fuori scala, e la mia scelta di dedicargli un breve post condiviso deriva anche dal fatto che, ormai, di questo film hanno parlato davvero tutti, anche quelli che non dovrebbero avvicinarsi a pellicole più complesse di Natale a Miami, quindi ha decisamente abboffato voisapetecosa. Io sono tra quelli, ovviamente, che lo hanno amato, come è accaduto per ogni pellicola girata da McKay a partire da The Anchorman; l'ho guardato, come al solito, senza sapere nulla della trama, e sono rimasta avvinta a ciò che veniva mostrato sullo schermo dall'inizio alla fine. La satira ironica e graffiante di McKay mantiene sotto i riflettori la stupidità della politica USA, di destra o di sinistra che sia, consegnando ai posteri uno dei presidenti peggiori di sempre, interpretato da una Meryl Streep in forma smagliante, ma Don't Look Up è, soprattutto, fortemente ancorato alla situazione che stiamo vivendo da due anni a questa parte (ma anche prima, ammettiamolo) e al modo in cui nulla sembra più toccarci, se non è esposto in maniera sensazionalistica o accattivante. La fine del mondo ai tempi dei tuttologi, dello spettacolo, dei social e dei pochissimi megaricchi con le mani in pasta ovunque, con poche persone che cercano di fare effettivamente il bene di un mondo che, diciamolo, non lo merita, mentre dall'altra parte c'è una costante ricerca del consenso, del successo e del click facile e veloce: lo scienziato di Leonardo di Caprio è emblematico in tal senso, è la degna incarnazione di tutti i virologi superstar che infestano i mezzi di comunicazione da che è spuntato il Covid, i quali magari hanno cominciato timidamente, con cognizione di causa, provando ad essere la voce della ragione in un mondo di pazzi, e poi, pompati dai mass media, sono diventati sempre più invasivi, contraddittori e meno credibili, più impegnati ad alimentare l'adorazione verso le proprie idee e la propria voce che altro. Don't Look Up, pieno di personaggi e situazioni all'apparenza surreali, ha appena la punta di un piede fuori da quella che è la realtà odierna e, tolte un paio di esagerazioni esilaranti, è un perfetto specchio di quello che sta succedendo ora. Inutile dire che le prove attoriali sono tutte eccelse, con un cast corale di prim'ordine, e stavolta McKay riesce anche a fare commuovere con una sequenza finale che veicola tristezza, sconfitta e, forse, una lezione importante. "Avevamo tutto". Ricordatelo, la prossima volta che sceglierete di guardare solo lo schermo di un telefonino, o di una TV, e di chiudere gli occhi di fronte a tutto l'orrore che ci circonda.
House of Gucci - Ridley Scott (2021)
Se Don't Look Up divide e fa pensare, l'House of Gucci di Ridley Scott è un episodio di Beautiful un po' più gonfiato e laccato e sta a voi farvelo piacere o meno. Personalmente, dopo il bellissimo e intelligente The Last Duel l'ho trovato un po' una caduta di stile e contenuti, ma non sono riuscita ad odiarlo e, per la lunghezza della sua durata, mi sono parecchio divertita. Sapete che amo le saghe familiari, soprattutto se hanno attinenza con delle storie vere, e mi stupisco sempre davanti alla facilità con cui nomi blasonati finiscono in disgrazia solo in virtù di una stupidità inenarrabile; come ho detto alla mia collega "riassumendo, i figli dei Gucci erano due minchioni", il che magari è il motivo per cui i Gucci superstiti si sono incarogniti con Ridley Scott, ché non fa mica piacere avere milioni di persone che pensano ciò alla fine di un film. In questo caso, alla stupidità congenita dei due Gucci, Maurizio e Paolo (non sto nemmeno a dirvi quanto sia trattenuto e signorile, pur nel suo essere un'ameba cretina, Adam Driver e quanto sia esilarante e caricaturale un Jared Leto ormai impazzito, alla cui parlata da Super Mario il doppiaggio italiano ha messo ben più di una pezza), si aggiunge la brama di denaro, aMMore e riconoscimento della Reggiani, un personaggio scritto per essere molto sopra le righe, e interpretato degnamente da una Lady Gaga che, a tratti, sembra veramente Marisa Laurito. Ovvio, non è un complimento, con tutto il rispetto per la Laurito, e confido che la pur adorabile Germanotta rimanga fuori dai giochi per quanto riguarda eventuali Oscar, ché va bene godersi la sua interpretazione trash e caricata, perfetta per un film come questo (che magari non voleva risultare trash ma, purtroppo...), ma all'accondiscendenza di chi offre candidature un po' a cazzo di cane ci dev'essere un limite. Meraviglioso, invece, Al Pacino, che come al solito mangia tutti gli interpreti che hanno la sventura di condividere scene con lui, e molto bella anche la colonna sonora, zeppa di pezzi interessanti. Nonostante tutto, comunque, House of Gucci è un film che riguarderei, magari dopo essermi letta qualcosa di più "affidabile" sull'omicidio di Maurizio Gucci, e anche per godermi in v.o. personaggi degni di un film dei Vanzina: guardatelo e ditemi se la sequenza della sciata in Svizzera non vi ricorda Vacanze di Natale.