Visualizzazione post con etichetta hayao miyazaki. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta hayao miyazaki. Mostra tutti i post

venerdì 5 gennaio 2024

Il ragazzo e l'airone (2023)

Il 2024 non poteva cominciare in maniera migliore visto che il primo gennaio sono corsa a vedere Il ragazzo e l'airone (君たちはどう生きるか - Kimi-tachi wa dō ikiru ka - E voi come vivrete?), diretto e sceneggiato da Hayao Miyazaki nel 2023.


Trama: qualche anno dopo aver perso la madre in un incendio causato dai bombardamenti a Tokyo, un ragazzo di nome Mahito si trasferisce col padre in un paese di campagna per andare a vivere con la sorella minore della madre. Lì, un airone gli spalancherà le porte di un mondo sconosciuto, ugualmente splendido e pericoloso...


Il ragazzo e l'airone potrebbe anche non essere il poetico addio del sensei Hayao Miyazaki all'animazione o un regalo finale per chi gli ha sempre voluto bene (d'altronde, lui stesso si è smentito dicendo di essere pronto per un altro film...) ma è di sicuro un'altra opera grandiosa, che fa riflettere sull'esistenza volando sulle ali della fantasia. Il film racconta le vicende di Mahito, figlio di un importante capitano d'industria, il quale, dopo avere perso la madre in un incendio causato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, è costretto a trasferirsi in un paesino di campagna. Lì abita la sorella minore della defunta madre, che il padre ha designato come seconda moglie e che è già incinta; comprensibilmente turbato dai cambiamenti inattesi e dalla velocità con cui il padre ha "dimenticato" la precedente consorte, Mahito fatica ad ambientarsi, e le cose peggiorano quando un misterioso airone comincia a chiamarlo verso un mondo nascosto all'interno di una torre in rovina. La connotazione del titolo italiano sottolinea la natura avventurosa delle vicende narrate, designando giustamente l'airone come una delle guide (ma non l'unica) verso un mondo fantastico, una sorta di limbo tra vita e morte, dove i cinque elementi e la natura tanto cari a Miyazaki nascondono meraviglie e pericoli in egual misura e dove ci si può prendere una pausa dalla realtà per "curare" il proprio animo, capire se stessi e crescere mettendosi alla prova; tra amici/nemici dall'aspetto grottesco, ma umani nelle loro enormi imperfezioni e difetti, creature più affini al mondo degli spiriti, eroi dall'animo forte che tuttavia non posseggono le chiavi definitive per la vittoria, ed esseri con ben poco senno, condannati a soffrire per le scelte egoistiche di altri, il mondo nascosto della torre è un compendio di poetica "Ghibliana" e riscalda l'animo dei fan, che possono ritrovare tutti gli elementi che hanno decretato il successo del Maestro. 


Ma è importante anche la traduzione letterale del titolo, mutuata da uno dei romanzi più famosi del Giappone, E voi come vivrete? di Genzaburo Yoshino. Il libro in questione è un lascito della madre a Mahito, "da leggere quando sarai più grande", ed è un'opera che prende per mano gli adolescenti, mettendoli di fronte a diverse problematiche legate alla vita scolastica e alla società, spingendoli a ragionare e confrontarsi con chi è più saggio per riuscire, infine, a capire "come vivere", eticamente e consapevolmente. A Mahito, dalla morte della madre, manca una guida: il padre è un uomo buono ma sanguigno, pronto a far valere il proprio nome importante e la propria integrità a ragione o a torto, e da giapponese dedito al lavoro non riesce a capire né la tristezza ed il senso di tradimento del figlio né, tantomeno, il disagio di una seconda moglie molto giovane, che non si sente accettata dal figliastro. Il ragazzo e l'airone mostra quindi proprio il percorso di crescita di Mahito, il quale supera la visione di se stesso come fulcro dell'universo, come ragazzino privilegiato e tradito nell'orgoglio, e arriva a scegliere di affrontare la vita senza più nascondersi o prendere vie facili, rinunciando persino alla possibilità di creare un mondo apparentemente perfetto, dove non esistono guerre; il finale dolceamaro celebra la natura prosaica e passeggera dell'esistenza, da godersi nel bene e nel male senza fare affidamento sull'attesa di miracoli, divinità o magie fallaci, che rischiano di diventare mere stampelle di un carattere debole. E' una concezione della vita assai complessa, sicuramente frutto di una mente acuta e, di conseguenza, non particolarmente incline alla positività (Miyazaki non è mai stato un allegrone, lo sappiamo), anche per questo Il ragazzo e l'airone è un film non proprio ideale per un pubblico infantile, nonostante l'abbondanza di momenti ironici e personaggi strampalati. 


A livello artistico, Il ragazzo e l'airone è un balsamo per gli occhi. I fotogrammi si riempiono della bellezza degli elementi e se fuoco ed acqua, con la loro furia, mettono spesso soggezione, i paesaggi verdissimi delle campagne giapponesi, tratteggiati col tocco delicato che da sempre caratterizza le opere dello studio Ghibli, assieme al volo delle creature d'aria, fanno battere il cuore, in un'alternarsi di aneliti di liberà e desiderio di immergersi in quei luoghi tranquilli ed incantati. Anche le architetture dei vari edifici sono sorprendenti, non solo le linee solenni ed i decori esoterici della parte interna della torre, ma anche la bellezza della labirintica casa di Natsuko (sia la parte tradizionale, sia quella occidentale) e delle fiabesche abitazioni di Himi e Kiriko, per non parlare del delirio del regno dei parrocchetti giganti, ai quali devo per forza collegarmi per parlare delle creature che popolano Il ragazzo e l'airone. Onestamente, ricordavo l'amore di Miyazaki per il volo in generale e non mi è mai sembrato che quest'uomo avesse un odio per gli uccelli (anche se le streghe dei suoi film spesso ne prendono le sembianze), ma la sua ultima opera è popolata da volatili da incubo, che solo sul finale strappano un sorriso: l'airone sembra uscito da un manga di Junji Ito, i pellicani fanno paurissima e gli abominevoli parrocchetti sono tanto colorati quanto infami, anche se le gag migliori sono affidate alla loro fame atavica. D'altra parte, ci sono però anche creature capaci di intenerire e fare sognare, in primis i delicati warawara, protagonisti delle sequenze più poetiche del film, e una serie di volti bellissimi e familiari, tipici degli eroi Ghibli, per i quali è impossibile non fare il tifo dall'inizio alla fine, neanche fossero amici che conosciamo da sempre. Come ho scritto all'inizio, mi sembra di aver capito che il sensei non abbia minimamente voglia di ritirarsi, se le forze glielo consentiranno, quindi posso solo sperare che Il ragazzo e l'airone non sia la sua ultima opera... ma, anche fosse, è un commiato splendido, che vi consiglio di non perdere. Poi ditemi se anche voi non vorreste una serie di piccole vecchiette in legno a proteggervi durante il sonno!


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato QUI.


Se Il ragazzo e l'airone vi fosse piaciuto recuperate La città incantata, Il castello errante di Howl e La principessa Mononoke. ENJOY!

mercoledì 29 aprile 2020

Porco Rosso (1992)

In occasione del 25 aprile ho guardato Porco Rosso (紅の豚 - Kurenai no Buta), diretto e sceneggiato nel 1992 dal regista Hayao Miyazaki.


Trama: Il pilota d'idrovolante Porco Rosso è costretto ad uscire dal suo "esilio" nel momento in cui un altro pilota, in combutta coi pirati del cielo, prima gli distrugge l'idrovolante, poi lo sfida a un duello aereo.


"Meglio porco che fascista". Alzi la mano chi non ha mai sentito questa frase o chi non l'ha mai sentita pronunciare all'interno di un piccolo spezzone di anime più volte riproposto su Facebook, modulata nella voce rude di un maiale antropomorfo mentre è seduto sulla poltrona di un cinema. Il maiale in questione è il pilota Porco Rosso, protagonista dell'omonimo anime, al secolo Marco Pagot (dai creatori di Grisù, Calimero e, ovviamente, dallo studio che ha collaborato alla creazione del meraviglioso Il fiuto di Sherlock Holmes), uomo trasformato in maiale non si sa per quale motivo e spinto, proprio per questo motivo, a tenersi fuori dalle beghe umane dopo anni passati a combattere nei cieli in guerra della penisola italiana. Porco Rosso è diventato, col tempo, un cacciatore di taglie e di questo vive, inseguito dalla polizia di regime di un Paese che in guerra continua ad esserlo e che non accetta la libertà di un asso dell'aviazione, molto più utile inquadrato all'interno di strutture militari piuttosto che animo solitario che si muove solo per soldi, senza mai uccidere. Porco Rosso la sua fetta di guerra l'ha vissuta, ha visto amici e nemici morire, persone care piangere davanti alla perdita dei loro affetti, e ha deciso scientemente di chiamarsi fuori da tutto, sia dal bene che dal male, forse per questo è diventato un maiale, chissà; quel che è certo è che all'inizio dell'anime Porco Rosso è una creatura distaccata e fredda, distante da ogni legame, e sta andando a pezzi come il suo vecchio idrovolante. Lo riporta alla realtà, come spesso accade nei film di Miyazaki, e conseguentemente alla vita (almeno si spera) la giovane Fio Piccolo, entusiasta progettista di aeroplani che con i suoi modi allegri, i suoi epici discorsi motivazionali e, perché no, anche con l'amore, riuscirà a far capire a Porco Rosso che qualcosa per cui combattere e vivere esiste ancora, all'interno di questa misteriosa vita dolceamara.


Miyazaki ha definito il suo Porco Rosso un film sciocco, non nel senso di stupido, quanto più di "progetto sbagliato": un anime apparentemente per bambini, che tuttavia non parla ai piccoli spettatori se non per il suo aspetto più superficiale. Penso per esempio ai buffi pirati del cielo, i Mammaiuto, alle spericolate evoluzioni aeree e al duello finale tra Porco e l'aviatore americano, molto declinato su toni umoristici, tutte cose che, assieme alla vivacità di Fio e alla sua giovane età, delizieranno i pargoli seduti davanti allo schermo. Eppure, Porco Rosso è molto più che un anime avventuroso su un maialino aviatore, ed è per questo che mi sento, per una volta, di andare contro al parere del sensei, troppo duro con sé stesso. Quest'anime ha in sé i semi di Casablanca e del legame malinconico tra Rick e Ilsa, la poesia di un racconto di Roald Dahl (Loro non diventeranno mai vecchi. Lo trovate nella recente raccolta Odio volare, per inciso, leggetelo e vedete un po' se non vi ricorda qualcosa), la triste realtà delle due guerre mondiali, della crisi economica, del regime e delle annessioni di parte dell'attuale Croazia all'Italia fascista, elementi adulti e complessi che si concretizzano in un finale non felice né risolutivo, raccontato dalla voce fuoricampo di uno dei protagonisti; uno di quei finali in grado di ridurmi in lacrime, grazie anche alle melodie struggenti del favoloso Joe Hisaishi (che, per inciso, ha dato il bianco anche questa volta), di farmi pensare a quanto splendidi e unici siano i film dello Studio Ghibli, anche quando il suo stesso creatore li definisce "sciocchi". Se non avete mai visto Porco Rosso, magari tenuti lontano dal titolo un po' cretino o da chissà quale associazione mentale con ideologie particolari, fatevi un favore e recuperatelo su Netflix alla faccia delle "cannarsianate" di cui è infarcito, non ve ne pentirete.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato QUI.

A margine: Maledetto Cannarsi, sempre e comunque.

Se Porco Rosso vi fosse piaciuto recuperate Si alza il vento. ENJOY!

mercoledì 7 ottobre 2015

Nausicaa della Valle del vento (1984)

Dal 5 al 7 ottobre molti fortunati cinefili dei quali io purtroppo non faccio parte potranno godersi al cinema Nausicaa della Valle del vento (風の谷のナウシカ - Kaze no tani no Naushika), diretto e sceneggiato nel 1984 da Hayao Miyazaki prima della fondazione dello Studio Ghibli e tratto dall'omonimo manga da lui serializzato  dal 1982 al 1994. Ovviamente, pur non avendo a disposizione sale che lo proiettano, Nausicaa è in giro da tantissimi anni e per questo oggi riuscirò comunque a parlarvene un po'.


Trama: dopo una terribile guerra nucleare l'umanità è quasi estinta e i pochi sopravvissuti vivono in comunità site ai margini del Mare della putrefazione, una distesa di terra velenosa e desertica nella quale prosperano insetti giganteschi. Nausicaa è la principessa della Valle del Vento, dove gli abitanti vivono in armonia con la natura, nel poco spazio di territorio ancora incontaminato e un giorno è costretta ad affontare l'invasione della principessa Kushana e delle sue truppe, alla disperata ricerca di un modo per far sorgere nuovamente il Dio Guerriero...


Nausicaa della Valle del vento è stato, assieme a Proteggi la mia terra, il primo manga "serio" che abbia mai comprato e letto. Era il 2000, frequentavo il primo anno di università e l'idea di spendere quasi 10 euro al mese per un fumetto era al limite dell'irresponsabilità viste le mie scarse finanze; eppure, ero stata rapita dagli eleganti disegni di Miyazaki, dall'edizione gigante con le tavole virate in seppia, dagli splendidi acquerelli delle copertine, quindi come avrei potuto rinunciarvi? Col senno di poi sono felicissima di averlo fatto perché quella di Nausicaa è una storia splendida e commovente, un vero Capolavoro manga, un racconto in grado di parlare al cuore del lettore e di farlo riflettere. Non si tratta di una storia semplice e di immediata comprensione, questo no: la trama del manga racchiude in sé non solo il messaggio ecologista dell'anime ma anche profonde riflessioni sul ruolo della donna, sulla filosofia, sulla religione, sulla guerra e sulla natura umana e servirebbero una serie di post solo per sviscerare il contenuto dei singoli volumi. Eppure, nonostante tutta questa carne al fuoco e alla progressiva trasformazione di Nausicaa da ragazzina vivace ad adulta protettrice di un doloroso segreto, io ai personaggi di Miyazaki non ho mai smesso di volere bene. L'anime Nausicaa della Valle del vento mette in scena l'azione dei primi due volumi del manga perché il sensei lo stava ancora scrivendo e ciò ha reso l'opera filmica molto più "semplice", fruibile ed universale rispetto alla sua controparte cartacea ma non meno bella o poetica. In essa, assistiamo alle peripezie della giovane Nausicaa, principessa della Valle del vento dotata di strani poteri (o per meglio dire di una sensibilità particolare) che le permettono di entrare in comunione con la natura e la spinge a provare una sana ed irrefrenabile curiosità verso tutto ciò che la circonda. Il cielo azzurro dove la protagonista si libra col suo Mehve è in netto contrasto con l'oscurità velenosa che ha ormai inghiottito la Terra; quello di Nausicaa è infatti un mondo post-apocalittico, retrocesso ad una sorta di medioevo a seguito di una terribile guerra nucleare che ha spazzato via buona parte della civiltà. La terra stessa è diventata velenosa e putrida, in essa convivono laghi acidi e foreste dall'aspetto spettrale in grado di generare spore velenose e contaminanti oltre a fungere da tana per insetti giganteschi e pericolosi, però nella Valle del vento la gente vive in pace e gli abitanti sono arrivati ad accettare questa situazione. Così non è per la gente di Pejite che, alleatasi con la Principessa Kushana e spinta dalla folle idea di spazzare via il cosiddetto Mare della putrefazione e liberare la terra dagli insetti, decide di riesumare il Dio Guerriero, ultimo superstite della stirpe di mostri artificiali che già una volta aveva annichilito il pianeta.


Nausicaa della Valle del vento parte da una situazione in cui guerra, brama di potere e stupidità hanno irrimediabilmente rovinato l'ambiente, rendendolo velenoso ed inospitale e fiaccando l'anima delle persone, costrette a vivere nella paura della morte incombente. L'arroganza degli esseri umani, convinti di avere il diritto esclusivo di stare sulla terra, viene messa in discussione con eleganza e delicatezza dal Sensei Miyazaki; attraverso il personaggio di Nausicaa lo spettatore arriva a comprendere l'incredibile capacità della natura di rinnovarsi e purificarsi da quello che è il parassita più nocivo, quella porzione di umanità incapace di rispettare ciò che la circonda e fermamente convinta che il mondo sia suo, tanto da ergersi a giudice e boia di creature innocenti o da sentirsi in diritto di creare delle aberrazioni per il solo gusto di conquista. A differenza degli altri, Nausicaa è in grado di aprire il proprio cuore e ascoltare la voce della Natura, che siano vento o insetti, e di comprendere l'enorme e doloroso segreto celato nelle profondità della Foresta. E' grazie a lei che noi spettatori, nonostante siamo consapevoli della loro pericolosità, arriviamo ad amare gli occhi azzurri dei pericolosi Ohmu (i colori utilizzati per l'anime non sono solo belli, sono proprio ipnotici) e anche la bellezza incredibile della Foresta pietrificata, con le spore che fluttuano nell'aria come neve; rifuggiamo la bassezza di Kushana e il disgustoso, purtrido orrore del Dio Guerriero, che pure dovrebbero essere i campioni dell'umanità, e bramiamo di poter volare insieme a Nausicaa coronando la passione di Miyazaki per i velivoli strani, anche se basterebbe un solo soffio di vento a farci marcire i polmoni. Il destino dell'uomo, per come viene dipinto da Miyazaki, non è dei più sereni, nonostante la visione salvifica e quasi messianica di una Nausicaa in piedi in mezzo alle "spighe d'oro". Eppure, chissà perché guardando Nausicaa nella valle del vento mi sono commuovo sempre, fino a riuscire ad accettare un imminente destino di morte, poiché anche in essa ci sono vita e rinnovamento, magari non per noi ma sicuramente per quelli che verranno dopo, che non meritano il mondo disastrato e velenoso che stiamo lasciando. Sono tanti anni, più di trenta, che la voce degli Ohmu tenta di metterci in guardia, pur cullandoci con le meravigliose immagini di Miyazaki e le splendide musiche di Joe Hisaishi, ma è più facile fare orecchie da mercante come Kushana e affidarci ad un qualche Dio Guerriero che cancelli tutto ciò che gli esseri umani hanno fatto di buono, lasciandoci solo paura, desiderio di vendetta e profonda ignoranza. Sta succedendo a Palmira, succede ogni giorno in ogni parte del mondo. Il racconto di Miyazaki è valido tanto oggi quanto allora e c'è solo da augurarsi che la storia di Nausicaa ci insegni prima o poi ad osservare, ascoltare, capire e rispettare questo mondo malato prima che sia troppo tardi.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho parlato QUI.

Nausicaa della Valle del vento è stato trasmesso solo una volta in Italia, nel 1987 su Rai 1. Non so dire se fosse la versione integrale ma credo di sì visto che, a quanto pare, il film è stato diviso in quattro parti, mentre agli americani nel 1985 è toccato sorbirsi un adattamento pesantemente tagliato: Warriors of the Wind, questo il titolo della pellicola mutilata, è stato privato di quasi 25 minuti di girato, tra cui i titoli di testa e di coda, le sequenze in cui Nausicaa esplora la foresta, il dialogo tra lei e Yupa nel laboratorio, i flashback della giovane Nausicaa e dell'Ohmu e i momenti in cui Nausicaa e Asbel discutono della natura della foresta, inoltre molti dialoghi sono stati completamente riscritti (autore dello scempio è stato David Schmoeller, sceneggiatore di Puppet Master e dei suoi seguiti. Come possano aver anche solo PENSATO di metterlo a confronto con Miyazaki è un mistero). Nel 2012 invece, in occasione della mostra Kanchō Anno Hideaki Tokusatsu Hakubutsukan, è stato presentato il corto live action Kyoshinhei Tôkyô ni arawaru (Il Dio robot gigante compare a Tokyo), una sorta di "prequel" di Nausicaa della Valle del vento diretto da Shinji Iguchi, regista del recentissimo L'attacco dei giganti e autore degli storyboard della serie Evangelion: purtroppo non riesco a trovarlo da nessuna parte, se qualcuno ha idea di dove possa reperirlo mi faccia un fischio via mail! Detto questo, se Nausicaa della Valle del vento vi fosse piaciuto recuperate La città incantata e La principessa Mononoke. ENJOY!

venerdì 19 settembre 2014

Si alza il vento (2013)

Dal 13 al 16 settembre, in ogni cinema illuminato d'Italia tranne quello di Savona è uscito l'ultimo anime di Hayao Miyazaki, Si alza il vento (風立ちぬ - Kaze tachinu), diretto dal sensei nel 2013 e tratto dal suo manga omonimo, a sua volta ispirato al romanzo di Tatsuo Hori.


Trama: Jiro Horikoshi sogna di fare il pilota ma ciò gli viene impedito da un difetto alla vista. Il ragazzo decide così di studiare per diventare un ingegnere aeronautico, ispirato dalle gesta del progettista d'aerei italiano Giovanni Caproni...


Si alza il vento, così si dice, sarà l'ultimo film diretto e sceneggiato dal Maestro Hayao Miyazaki e, nell'insieme, è una pellicola complessa, "adulta", un'opera nostalgica che racchiude in sé tutta la poetica del sensei. Nonostante sia basata sulla figura realmente esistita dell'ingegnere aeronautico giapponese Jiro Horikoshi, l'ultima fatica di Miyazaki riesce infatti a mescolare la realtà (anche troppo prosaica, fatta di tecnicismi e numeri) a un sogno trasportato letteralmente dalle ali del vento, in grado di spingere verso la vita un essere umano ed un’intera Nazione anche nei momenti più terribili. "Le vent se lève!... il faut tenter de vivre": si alza il vento e bisogna provare a vivere, versi di una poesia di Paul Veléry che diventeranno come un mantra per il giovane Jiro che, fin da piccolo, vede frustrato il suo sogno di diventare pilota. Il richiamo del vento è troppo forte e giustamente Jiro non si perde d'animo; se non potrà pilotare aerei li costruirà, tentando di emulare e superare l'ingegnere Caproni che, pur vivendo a mezzo mondo di distanza da lui, è la persona che riesce a parlargli meglio di chiunque altro, comunicando attraverso il legame del sogno. Caproni, come Jiro, sogna di dotare l'uomo di ali per superare le barriere, per afferrare la libertà e per evolversi; purtroppo, il vento che soffia attorno a Jiro è un vento di guerra e il nostro eroe per realizzare il suo sogno dovrà mettere la sua inventiva al servizio di qualcosa che non dispenserà gioia, bensì morte e desolazione. Miyazaki ci mostra un Giappone ben diverso da quello a cui siamo abituati, una terra del Sol Levante ancora "indietro di 40 anni" rispetto al resto del mondo, dove il metallo è un lusso e i buoi sono l'unico mezzo per spostare degli aerei che rischiano di sfasciarsi in volo, una Nazione che per mettersi alla pari delle altre ha scelto di ignorare la fame e la povertà dei suoi abitanti e di investire interamente nella guerra; Jiro non è un guerrafondaio (così come Si alza il vento non è, come sostenuto da tanti, una celebrazione dei conflitti armati o del Giappone, che non esce troppo bene dalla pellicola)  ma è un uomo del suo tempo, costretto a scendere a compromessi nonostante la sua incredibile gentilezza e sensibilità.


Il vento, oltre ai sogni, porta con sé anche l’amore, altra forza fondamentale in Si alza il vento. Delicata come una brezza, infatti, si avverte per tutto il film la presenza di Nahoko, la ragazza che Jiro incontra durante il primo, disastroso viaggio verso l'università per non dimenticarla più. Come gli aerei costruiti da Jiro, l'amore tra lui e Nahoko è meraviglioso ma destinato alla tragedia, effimero come un sogno ed altrettanto potente, fonte d’ispirazione e salvezza per il protagonista fiaccato dai fallimenti e dal regime governativo giapponese; i due innamorati seguono l’insegnamento di Veléry e vivono, alla faccia dei terremoti, delle malattie e del poco tempo che è stato loro concesso e da ogni giorno traggono il meglio, anche se ciò significa semplicemente starsi accanto l’un l’altro tenendosi per mano. Il loro legame colpisce e coinvolge lo spettatore molto più dei tentativi di Jiro di costruire l'aereo perfetto, è qualcosa che stringe il cuore e commuove quanto le incredibili immagini con cui il sensei Miyazaki si accomiata dal suo pubblico, infondendo la vita anche a ciò che normalmente è inanimato. Davanti ad un terremoto che ruggisce come un mostro, agli sbuffanti motori degli aerei, all’esilarante vitalità dei sogni condivisi col baffuto Caproni (un trionfo di tracotante ed allegra italianità, ben diversa dal compassato atteggiamento tedesco, grazie sensei per l’amore che porti verso questo nostro indegno popolo!!), all’elegante volo di un aereoplanino di carta, al cameratesco canto che unisce i popoli, all’incredibile bellezza di una sposa novella e all’addio finale, tanto malinconico quanto colmo di speranza, è impossibile rimanere insensibili davanti all’abilità artistica e poetica del sensei. Sebbene a Si alza il vento abbia preferito altri suoi capolavori, il fatto che non riesca a scrivere una recensione coerente perché i ricordi stanno formando un groppo alla gola grosso come Re Totoro è segno che Miyazaki ha fatto centro anche stavolta e che la sua mancanza lascerà un vuoto incolmabile. Ma, come si dice, il vento si alza… e bisogna provare a vivere. Arigato, sensei.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui mentre Hideaki Anno, che presta la voce a Jiro Horikoshi, lo trovate qua.

Werner Herzog (vero nome Werner H. Stipetic) è il doppiatore originale di Castorp. Tedesco, ha diretto film come Aguirre, furore di Dio, Nosferatu - Il principe della notte, Fitzcarraldo e Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans. Anche sceneggiatore, attore e produttore, ha 72 anni e tre film in uscita.


Jun Kunimura, che presta la voce al personaggio Hattori, era il boss Tanaka di Kill Bill. Per la versione USA della pellicola è stato invece scelto un cast all-star tra cui figurano anche Joseph Gordon-Levitt (Jiro Horikoshi), Emily Blunt (Nahoko Satomi), Martin Short (Kurokawa), Stanley Tucci (Caproni), Mandy Patinkin (Hattori) e William H. Macy (Satomi). Per la cronaca, la canzone in tedesco che a un certo punto cantano Jiro, Castorp e Satomi-san è Das gibt's nur einmal, das kommt nicht wieder (Succede solo una volta, non capiterà più), tratta dal film Der Congress del 1932 che credo non sia mai stato distribuito in Italia. Piuttosto che cercare questo reperto archeologico, se Si alza il vento vi fosse piaciuto recupererei Porco Rosso e Nausicaa della valle del vento. ENJOY!

martedì 24 giugno 2014

La città incantata (2001)

Dal 25 al 27 giugno tornerà al cinema La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi - 千と千尋の神隠し) diretto e sceneggiato nel 2001 dal Maestro Hayao Miyazaki. Siccome, molto probabilmente, dalle mie parti non aderiranno all'operazione mi sono consolata col DVD e ho deciso di parlare un po' di questo capolavoro dello Studio Ghibli.


Trama: mentre si stanno recando nella nuova casa, la piccola Chihiro e i suoi genitori sbagliano strada e si ritrovano in quello che sembrerebbe un parco divertimenti abbandonato. All'improvviso papà e mamma vengono trasformati in maiali e Chihiro rimane sola in un mondo che, nottetempo, si popola di spiriti e creature fantastiche...


La città incantata è una delicata favola dalla storia semplice (per quanto affascinante) e dai molteplici significati, sfaccettata e sorprendente come tutte le altre opere del Maestro Miyazaki. Attraverso la rappresentazione di un mondo incantato profondamente radicato nella cultura giapponese ma anche influenzato da atmosfere che, in qualche modo, richiamano le fiabe dell'europa orientale, Miyazaki Sensei offre allo spettatore uno splendido racconto di formazione che parte da un piccolo e comunissimo trauma infantile: quello del primo trasloco. Chihiro è una bimba di dieci anni che si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con un cambiamento notevole, benché assai comune, e che incontriamo per questo colma di tristezza e, comprensibilmente, chiusa a qualsiasi novità, proposta o incoraggiamento da parte dei genitori che invece, com'è tipico degli adulti, prendono la cosa con più filosofia o da un punto di vista meramente pratico. Quando la famigliola arriva in quello che ritengono essere un parco divertimenti sono proprio papà e mamma a incoraggiare l'esplorazione e a rallegrarsi per il cibo trovato per caso e in abbondanza, mentre Chihiro si immusonisce e rifiuta qualsiasi distrazione le venga offerta, con una sensibilità che va a braccetto con testardaggine e paura, tre elementi che sono tratti distintivi del suo carattere e che l'accompagneranno nella sua esperienza presso quello che si rivelerà essere il regno degli spiriti. Infatti, la cosa particolare de La città incantata è che all'inizio Chihiro non è affatto una protagonista simpatica, tutt'altro: è piagnucolosa, diffidente, scorbutica. Per questo diventa ancora più verosimile il suo percorso verso la generosità, l'altruismo e l'amore, tutte qualità necessarie per riuscire a sopravvivere nel bagno pubblico gestito dalla tremenda Yubaba e popolato da personaggi gretti e meschini, interessati solo a soddisfare i loro bisogni più immediati come la gola o il denaro e che toccano l'apice nell'inquietante e triste figura del Senza Volto, destinato ad un'eterna solitudine causata dall'ingordigia.


Il percorso di formazione di Chihiro si accompagna inoltre ad una riflessione non banale sui legami col passato e sull'importanza del rispetto nei confronti della natura. La strega Yubaba diventa proprietaria dei suoi dipendenti rubando il loro nome (o meglio, rubandone un pezzetto visto che il kanji rimane invariato sia in Chihiro che in Sen, nome con cui Yubaba ribattezza la protagonista) e cancellando, di fatto, ogni ricordo della loro esistenza o della loro reale natura; Chihiro però ricorda il proprio grazie al bigliettino di addio regalatole dai suoi compagni di classe, quello stesso biglietto che le provocava tanta tristezza e malinconia durante il viaggio verso la nuova casa. Quello che il Maestro ci vuole dire, in poche parole, è che non è sano rimanere ancorati al passato e guardare ad esso come ad un tempo felice che non tornerà mai più, rifiutando il futuro o il cambiamento, bensì bisogna fare tesoro di tutte le esperienze, belle o brutte che siano (per esempio cadere in un fiume...), e da esse trarre forza per andare avanti e crescere, consapevoli del fatto che le persone importanti troveranno sempre il modo di rimanere accanto a noi, per quanto distanti nel tempo e nello spazio. L'atavico amore di Miyazaki per la natura, invece, viene espresso totalmente nella splendida sequenza che mostra l'arrivo dello "Spirito del cattivo odore" all'interno dell'onsen, altro esempio di come le persone sciocche e limitate non riescano a guardare oltre l'apparenza né riparare ai danni che loro stesse hanno causato all'ambiente che le circonda; più che al denaro facile e alla fama, le persone dovrebbero fare attenzione alla loro salute, inestricabilmente legata a quella di una natura che stiamo rendendo sempre più brutta ed irriconoscibile. Detta così è un orrido pistolotto naturalista ma il Sensei riesce in pochi minuti a rendere questo concetto necessario, meraviglioso e giusto.


Attorno alla piccola Chihiro, Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli creano uno stuolo di personaggi vivaci ed indimenticabili, talmente ben caratterizzati che persino quelli secondari riescono a ritagliarsi quei cinque minuti necessari a bucare lo schermo e fissarsi indelebilmente nella mente dello spettatore, come per esempio lo Spirito del Ravanello o le piccole palle di fuliggine del Signor Kamaji. Le invenzioni visive, neanche a dirlo, si sprecano e si concretizzano in alcune tra le più belle e poetiche sequenze d'animazione mai girate, come l'attacco degli uccellini di carta ai danni di Haku, il viaggio sul treno acquatico, il bagno dello Spirito del Cattivo Odore e il risveglio dei ricordi d'infanzia di Chihiro, in grado tutte le volte di commuovermi fino alle lacrime; questi sono solo gli esempi più eclatanti, ovviamente, potrei elencarne altri mille e non lo faccio solo per non togliere la sorpresa a chi non ha mai visto La città incantata, ma un piccolo dettaglio che mi ha sempre convinta della genialità di Miyazaki e della sua capacità di evocare immagini allo stesso tempo universali e inaspettate è il modo in cui Yubaba si ammanta lasciando spuntare solo il nasone e diventando così identica, in tutto e per tutto, ad un uccello ottuso. Menzione speciale, ovviamente, la merita anche la colonna sonora di Joe Hisaishi, composta da melodie a volte delicate a volte ridontanti, perfette per sottolineare i vari cambiamenti d'atmosfera all'interno della pellicola. Per concludere, a voi non resta che andare a vedere La città incantata al cinema o recuperarlo in DVD e, a questo proposito, ho una piccola precisazione da fare, assieme ad una richiesta. La versione che ho io è uscita con TV Sorrisi e Canzoni nel 2005 (quindi dovrebbe contenere il doppiaggio e, di conseguenza, i sottotitoli del 2004) e ho notato, nonostante la mia ancor limitata conoscenza della lingua giapponese, qualche imprecisione/aggiunta nei dialoghi; leggo tuttavia su Wikipedia che da domani al cinema la Lucky Red ne proporrà una versione riadattata e ridoppiata, più fedele all'originale quindi vi chiederei di raccontarmi in che modo le due edizioni sono differenti così da capire se riacquistare o meno un futuro DVD. E con questo concludo davvero, buona visione!!   


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.

Il film ha vinto l'Oscar come miglior film d'animazione nel 2003, surclassando giustamente (per quanto lo adori) Lilo & Stitch, candidato assieme a L'era glaciale, Il pianeta del tesoro e Spirit - Cavallo selvaggio. Se La città incantata vi fosse piaciuto recuperate Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro, Coraline e la porta magica, Alice nel paese delle meraviglie, Labyrinth, Il mago di Oz, Nel fantastico mondo di Oz e La storia infinita. ENJOY!

martedì 12 novembre 2013

Lupin III - Il castello di Cagliostro (1979)

Come promesso, piano piano recensirò tutte le pellicole, gli OAV e i film TV dedicati a Lupin III. Oggi tocca a un altro capolavoro, Il castello di Cagliostro (ルパン三世カリオストロの城, - Rupan Sansei - Kariosutoro no shiro), diretto nel 1979 da Hayao Miyazaki.


Trama: Lupin e compagnia arrivano nel regno di Cagliostro, famoso per la produzione di banconote false. Lì fanno la conoscenza di Clarice, tenuta prigioniera da un malvagio Conte...


E' passato poco più di un mese dalla recensione di La pietra della saggezza, che avevo decretato come il miglior film dedicato a Lupin, e già mi devo ricredere su tutto quello che avevo scritto nei commenti: Il castello di Cagliostro è un capolavoro, un mirabile esempio di come l'arte possa coniugarsi con una produzione seriale e dar vita a qualcosa di semplicemente unico. Sicuramente, incarna il punto di svolta del personaggio Lupin che, fino ad allora, sia nei manga che nell'anime era stato dipinto come un donnaiolo impenitente, scaltro ma spesso crudele, egoista ed infantile; con l'interpretazione di Miyazaki il ladro gentiluomo diventa un avventuriero affascinante e dal cuore fondamentalmente buono, intraprendendo quella nuova strada che avrebbe reso fruibile le sue avventure anche da un pubblico di ragazzini e che, purtroppo, sarebbe coincisa anche con prodotti più scadenti e dalle storie ripetitive. Non è ovviamente il caso di questo Il castello di Cagliostro, uno dei migliori film d'avventura mai girati, giusto per parafrasare le parole di Spielberg. Si potrebbe quindi dire che La pietra della saggezza è il trionfo della vecchia natura di Lupin, Il castello di Cagliostro di quella nuova.


Con Il castello di Cagliostro, Miyazaki Sensei butta praticamente alle ortiche tutto quanto fatto prima di allora e dirige un suo personalissimo film infarcendolo di tutte le sue passioni, come l'amore per l'Italia, racchiuso in quella striminzita Cinquecento che diventa il mezzo dell'esaltante inseguimento iniziale, il trionfo della Storia e della Natura sulla gretta avidità umana, la capacità di un cuore gentile di domare anche la più feroce delle bestie e, sopratutto, il gusto di creare dei velivoli riconoscibili tra mille, come il buffo aeroplano del Conte, teatro di vertiginose sequenze aeree accentuate anche dalla peculiare architettura del Castello del titolo. In mezzo a tutti questi stravolgimenti, tuttavia, Miyazaki dimostra la sua genialità anche nel dare una dimensione più vera e coerente ai personaggi creati da Monkey Punch: da fan di Jigen, ho ovviamente adorato il modo in cui il sensei riesca, senza utilizzare dialoghi ma solo mostrando gesti e momenti condivisi per la maggior parte nei titoli di testa, a rendere alla perfezione il rapporto di confidenza e amicizia esistente tra il pistolero e il ladro gentiluomo, ma non c'è solo questo ovviamente. Fujiko viene finalmente mostrata come una cazzutissima avventuriera in grado di combattere e non solo di mostrare le enormi tette, Zenigata è un integerrimo poliziotto rispettato dai suoi sottoposti e non solo un vecchio isterico dotato di una sfiga apocalittica e Goemon, infine, è tradizionalmente giapponese come non mai. Anche il personaggio di Clarice, creato per l'occasione, incarna l'eroina miyazakiana forte e femminile e non si limita ad essere un'aggiunta per favorire nuove dinamiche all'interno del cast, ma riesce a scavarsi un posticino nel cuore e nei ricordi dello spettatore proprio grazie alla sua tridimensionalità.


La regia e l'animazione de Il castello di Cagliostro, infine, risultano ancora oggi curatissime e straordinarie, soprattutto se si pensa che Miyazaki, qui al suo primo lungometraggio, era subentrato all'ultimo minuto e aveva avuto pochissimo tempo per portare a termine il lavoro. Tra inseguimenti in macchina, voli, combattimenti, un'infinità di scene corali e momenti più tranquilli e, a tratti, persino poetici, Il castello di Cagliostro non perde nemmeno un secondo di ritmo e si segue piacevolmente fino alla fine, mentre alcune immagini rimangono inevitabilmente nel cuore, come i paracadute che si stagliano contro il cielo come petali o la rivelazione finale relativa al tesoro di Cagliostro. Altro punto a favore della pellicola è quello di essere, a mio avviso, perfettamente fruibile sia dai fan di Lupin, sia da chi non ha mai sentito parlare dell'anime o del manga sia, a quel che mi è dato capire, dagli appassionati del "vero" Lupin, quello creato da Maurice LeBlanc, perché Il castello di Cagliostro riprende parecchi elementi dai romanzi originali, come Arsène Lupin e la contessa di Cagliostro o La signorina dagli occhi verdi. Quindi, recuperatelo appena possibile perché qui parliamo di un vero capolavoro del genere!


Del regista e co-sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui. Dopo Il castello di Cagliostro, Miyazaki Sensei, con lo pseudonimo di Tereki Tsutomu, si è cimentato nella regia di un paio di episodi della lunghissima seconda serie di Lupin (quella dove il ladro gentiluomo indossa la giacca rossa, per intenderci), nella fattispecie Albatros, le ali della morte e I ladri amano la pace, due chicche che dovreste poter reperire facilmente su Youtube. Inoltre, se vi è piaciuto Il castello di Cagliostro, guardate anche La cospirazione dei Fuma e La pietra della saggezza. ENJOY!

mercoledì 8 maggio 2013

Mei to Koneko basu (2002)

Chi segue da tempo il Bollalmanacco sa che non ho mai recensito dei corti. Questa volta, però, farò un'eccezione perché qui non si parla di un semplice corto, ma di un diamante che ha reso la mia visita in Giappone ancora più indimenticabile, ovvero il meraviglioso, dolcissimo Mei to Koneko basu (めいとこねこバス), scritto e diretto da Hayao Miyazaki nel 2002.


Trama: la piccola Mei incontra il cucciolo del Gattobus e con lui passa una notte in compagnia degli spiriti del bosco.


Come avrete capito, questa non sarà una recensione normale, perché quando parliamo de Il mio vicino Totoro non riesco ad essere obiettiva. Mei to Koneko basu (letteralmente, Mei e il piccolo Gattobus) è il seguito del meraviglioso anime del 1988 e, finora, non è mai stato editato in video, che io sappia. E' un piccolo regalo che Miyazaki ha deciso di fare a tutti i visitatori dell'incredibile Museo d'Arte Ghibli che si trova a Mitaka, appena fuori Tokyo. Inutile dire che, come i bambini, ho puntato i piedi e preteso di includere una visita a detto museo durante il viaggio in Giappone anche se i biglietti, in teoria, bisognerebbe prenotarli dall'Italia mesi prima... sempre che non si voglia affrontare la terribile macchinetta Loppi situata all'interno dei conbini Lawson, tutta in giapponese e virtualmente incomprensibile, nonché la possibilità di NON trovare posto in nessuno degli orari in cui è previsto l'ingresso al pubblico. Noi abbiamo giocato d'azzardo, e il Re Totoro ci ha graziati, consentendoci di ottenere l'ambito biglietto ed entrare nel Museo il giorno dopo il nostro arrivo a Tokyo.


Non sto a descrivervi l'incredibile meraviglia che è il Museo d'Arte Ghibli, vi dico solo che ad accogliere i visitatori c'è Totoro in persona e che il voucher ritirato dalla macchinetta si tramuterà all'ingresso in un fotogramma di un anime a caso tra quelli prodotti dallo studio (a me è toccato Nausicaa della Valle del Vento, la prima opera di Miyazaki che abbia mai avuto la fortuna di vedere!) e che al piano inferiore c'è una sala dove viene appunto proiettato Mei to Koneko basu. Ammetto di avere rischiato la morte o l'arresto per omicidio, perché appena arrivati davanti al cinema la zelante bigliettaia ci ha detto "No, non c'è più posto". Con il cuore spezzato e la lacrima nell'occhio ho dimenticato l'inglese e le poche nozioni di giapponese e ho emesso un lamentoso "No, La prego!!" che deve averla toccata comunque perché la poveretta si è affrettata ad aggiungere: "No ma viene replicato ogni 15 minuti!!". Ah, ok. Quindici minuti di paradisiaca visita al museo dopo, ci accingiamo ad entrare nella sala, io col batticuore a tremila, gli altri visitatori apparentemente composti e ordinati. La sala stessa è un capolavoro dal sapore anni '30, con un antiquato proiettore uscito dritto dritto dalle fantasie più belle di Miyazaki, ma non ho nemmeno il tempo di riflettere su queste nozioni di arte vintage perché puntuali come un orologio giapponese si spengono le luci e comincia la magia.


Mei to Koneko basu è uno splendido, piccolo tifone, che concentra in sé tutta la vitalità e l'innocenza della scatenata Mei, una bimbetta che insegue il vento e lo cattura, guadagnandosi la possibilità di avere uno spiritello in casa, il carinissimo cucciolo di Gattobus. E' una storia di amicizia e fiducia, entrambe guadagnate grazie a piccoli, importanti gesti di gentilezza che spalancano le porte di un mondo incantato e sconosciuto ai più. Un mondo che, per quanto meraviglioso, a una bimbetta piccina può fare paura perché si anima solo di notte, ed ecco allora l'importanza di avere sempre accanto una figura amica... e quale amico può essere più fantastico e grande del fidato Totoro? Quello stupefacente personaggio armato di ombrello che compare "solo" a metà corto e in un istante unisce tutti, italiani, giapponesi, bambini ed adulti in un "OOOOHHH!!!!" corale, perché tutti non aspettavamo altro che vedere lui, il peloso, gentilissimo spirito della foresta. Senza ritegno alcuno ho proseguito la visione del corto con la faccia inondata di lacrime di commozione, tirando su col naso come una mocciosa, senza cercare di capire i pochi dialoghi in giapponese che si sentono nel film perché tanto il cinema, quello vero, è dotato di un linguaggio universale e parla direttamente al cuore... o al bimbo che è dentro di noi, se preferite. Per tutta la durata di Mei to Koneko basu ci si dimentica di essere in una sala e si vola nel cielo con gli spiriti incantati della foresta, si ride con loro, si vive il sogno di una notte magica e si rimane con un sorriso ebete sulle labbra per molto, molto tempo. Cascasse un Totoro, quindi, non perdetevi questo piccolo capolavoro se mai dovesse capitarvi di andare in Giappone.


Del regista Hayao Miyazaki ho già parlato qui.

Come ho detto, Mei to Koneko basu si può vedere solo al Museo d'Arte Ghibli, ma nell'attesa consiglio la visione de Il mio vicino Totoro e di tutti gli altri capolavori dello Studio Ghibli. ENJOY!!

P.S. Le foto, a parte la prima, le ho scattate io. Per quanto maffe e sicuramente poco artistiche sono comunque un ricordo, quindi se volete usarle chiedete il permesso, arigatou gozaimasu! ^__*
I took these pictures, except for the first one. Of course they are lame but they're good memories anyway, so if you want to use them please ask first. Arigatou gozaimasu! ^__*  


venerdì 1 marzo 2013

La collina dei papaveri (2011)

Questa è la settimana dei cartoni animati, pare. Dopo Frankenweenie ho deciso di guardare l'ultima opera dello Studio Ghibli, La collina dei papaveri ( コクリコ坂から, Kokuriko-zaka kara), diretto nel 2011 da Goro Miyazaki e tratto dall'omonimo shoujo manga di Tetsuro Sayama e Chizuru Takahashi.


Trama: Giappone, 1963. Un gruppo di studenti si impegna a salvare dalla demolizione il cosiddetto "Quartiere Latino", edificio sede di numerosi club. Nel corso dell'epica battaglia due ragazzi, Umi e Shun, scoprono di amarsi ma il loro rapporto viene complicato da un mistero sepolto nel passato di lui...


Non posso farci nulla. Adoro, letteralmente, ogni cosa che viene prodotta dallo Studio Ghibli. Tutte le pellicole che escono dalla fabbrica dei sogni nipponica mi stringono il cuore e mi commuovono come nient'altro al mondo, anche quando, oggettivamente parlando, non sono nient'altro che drammoni d'altri tempi come questo La collina dei papaveri. La matrice shoujo (per chi non lo sapesse, uno shoujo è un manga per ragazze, sebbene ormai si sia ramificato in parecchi sottogeneri difficili da definire con una sola parola...) dell'opera, per quanto la sceneggiatura sia stata comunque rimaneggiata da Hayao Miyazaki, è evidente per il modo in cui vengono trattati i sentimenti di Umi e Shun, per il taglio soapoperistico della loro timida storia d'amore adolescenziale e per il colpo di scena che richiama parecchio i vecchi sceneggiati televisivi. Inoltre, il ritmo del film è oggettivamente di una lentezza esorbitante, qualche animo cinico potrebbe persino dire che "non succede nulla", qualcun altro dotato di occhio più critico potrebbe lamentare una cura minore nell'animazione, eppure La collina dei papaveri mi è piaciuto lo stesso.


Ciò che mi è piaciuto tantissimo è il modo in cui il tema principale della pellicola si fonde con la sua realizzazione. La collina dei papaveri celebra dei valori praticamente scomparsi nella società odierna, in primis il rispetto del passato, necessario affinché il progresso non sia distruttivo bensì positivo ed equilibrato. Gli studenti si battono per preservare il Quartiere Latino, che il proprietario vorrebbe distruggere in vista delle Olimpiadi di Tokyo, e lo fanno dimostrando che, con un po' di olio di gomito, impegno, fatica e passione, anche un edificio fatiscente può tornare bello come prima; ambientando la storia dopo la Guerra di Corea, gli autori della pellicola per estensione magnificano e celebrano l'indomito spirito di sopravvivenza giapponese e lo incarnano nella figura, piccola ma decisa, della giovane Umi, che ogni giorno segue il suo "rito" ed innalza le bandiere di segnalazione marittima per rendere omaggio al padre defunto, attirando così l'attenzione di Shun e finendo per trovare l'amore. Questo elogio del passato e del rispetto per le tradizioni si traduce in uno stile classico, in un'animazione quasi "riflessiva", in un'incredibile attenzione ai gesti quotidiani che scandivano la vita di chi ha vissuto in quell'epoca, in una colonna sonora dal sapore antico. E' dai tempi di Proteggi la mia terra che non provavo una sensazione di nostalgia e di malinconia così forte davanti ad una storia così semplice e delicata. Chissà, forse in una vita passata sono stata davvero giapponese. A prescindere, mi sento davvero di consigliare questo film.

Goro Miyazaki è il regista della pellicola. Figlio di Hayao Miyazaki, ha diretto anche I racconti di Terramare. Giapponese, anche sceneggiatore, ha 45 anni e un film in uscita.


Se La collina dei papaveri vi fosse piaciuto consiglio la visione di altri capolavori dello Studio Ghibli come Kiki consegne a domicilio, Il mio vicino Totoro, Il castello errante di Howl, Princess Mononoke e magari anche Lilo & Stitch, anche se è della Disney. ENJOY!

domenica 20 maggio 2012

Il mio vicino Totoro (1988)

Di ritorno dallo Smack!, la fiera del fumetto di Genova, con un portachiavi dalle fattezze pseudo-feline, non potevo esimermi dal parlare del soggetto del ninnolo in questione, ovvero il meraviglioso film Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro), diretto nel 1988 da Hayao Miyazaki.


Trama: Satsuki e Mei, due bimbe la cui madre è ricoverata da tempo in ospedale, si trasferiscono con il padre in campagna. Lì, fanno amicizia con un peculiare spirito dei boschi, il pacioso Totoro.


Il mio vicino Totoro è per me il film più bello dello Studio Ghibli. Potete dire qualsiasi cosa: è lento, non succede nulla, è un film per bambini. Io risponderò con un bel "chissenefrega", perché lo amo alla follia. E' l'emblema di un tempo più sereno, di un'infanzia lontana, di un momento di pura innocenza in cui contava solo correre, giocare, godersi l'estate e la quiete con le persone più care, di una comunione con la Natura e gli spiriti che la abitano, di un pazzo desiderio di avere un vicino meraviglioso, morbido e magico come Totoro, soprattutto quando la vita ci mostra i denti anche se siamo piccoli e non riusciamo a capire. E' l'unico cartone animato che, mentre lo guardo, riesce a cancellare tutto ciò che mi circonda e a farmi credere di essere accanto a Mei e Satsuki, di poter correre a perdifiato nelle splendide campagne giapponesi, persa in labirinti di alberi e rovi, a ballare attorno ai germogli oppure a bordo di un dolcissimo gattobus. E a compiere una magia simile può riuscirci solo Miyazaki.


Il poeta dell'animazione giapponese prende i dolorosi ricordi della sua infanzia, passata assieme ai suoi fratelli a temere per la vita della madre cagionevole di salute e spesso all'ospedale, e li riversa su pellicola offrendo allo spettatore un piccolo scorcio d'estate, uno sguardo nell'esistenza di due vivaci bimbette. Fin dalla deliziosa sequenza iniziale, nella quale Mei e Satsuki vengono spaventate dai piccoli makkuro kurosuke, il regista ci invita in un mondo dove la realtà e la magia convivono, dove gli spiriti vengono giustamente accettati e rispettati, dove le tradizioni sono più importanti del progresso (non a caso, in tutto il film vediamo solo un antiquatissimo motocarro come mezzo meccanico). Ne Il mio vicino Totoro sono la natura e le stagioni a regolare il ritmo della vita e il vento diventa come musica: una splendida, dolcissima colonna sonora accompagna le immagini che mostrano le foreste e la campagna in tutta la loro la loro imponenza, mentre lo scompiglio delle bimbette e degli spiriti della foresta vengono sottolineati da uno score allegro e quasi infantile, coronato nei titoli di coda dalla canzoncina Tonari no Totoro.


Il film alterna con una naturalezza incredibile piccoli momenti allegri e divertenti, come l'arrivo di Mei e Satsuki nella nuova casa, a grandi momenti di puro stupore e meraviglia, come il primo incontro di Mei con Totoro e i suoi amici spiritelli, l'incredibile, dolcissima sequenza in cui le bimbe fanno amicizia con Totoro sotto la pioggia prestando l'ombrello al gattone e la mirabolante scena notturna in cui gli alberelli crescono fino a diventare un'enorme quercia. Non mancano anche momenti talmente tristi da strappare il cuore, a dimostrazione di come Miyazaki sia riuscito a creare dei personaggi così verosimili da sembrare vivi: sfido chiunque a rimanere impassibili durante la sequenza che precede il momento più drammatico della pellicola, quando la piccola Mei rifiuta l'idea che la madre possa morire e non tornare a casa da lei. E' un pensiero orribile, una presa di coscienza tremenda, resa magnificamente sia dall'animazione perfetta che dalla voce della doppiatrice originale (ecco, non pensate di poter vedere Il mio vicino Totoro doppiato, per cortesia. Il giapponese è una lingua troppo melodiosa e bella per poter essere annullata dal doppiaggio italiano). Ed è per questo, oltre che per l'inaudita tenerezza dello spirito Totoro, che consiglio questo film a grandi e piccoli, per la delicatezza e l'innocenza con cui affronta temi universali e dolorosi. Facendoci sorridere e prendere la vita con leggerezza, per una volta. Un Capolavoro, senza giri di parole.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.

Nel 2002 il regista ha realizzato uno spin-off de Il mio vicino Totoro, un corto proiettato solo all'interno del museo dedicato allo Studio Ghibli, dal titolo Mei to Koneko basu (letteralmente, Mei e il piccolo gattobus). Nonostante Totoro sia diventato il simbolo dello Studio Ghibli, alla sua uscita nei cinema giapponesi il film era stato abbinato a Una tomba per le lucciole, diretto da Isaho Takahata, perché si credeva che sarebbe stato un flop commerciale. Il film, effettivamente, ha sfondato solo un paio d'anni dopo, quando i pupazzi di Totoro hanno invaso i negozi giapponesi. Follie nipponiche a parte, se Il mio vicino Totoro vi fosse piaciuto vi consiglio di non perdere altri film meravigliosi dello Studio Ghibli, come Princess Mononoke, La città incantata e Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, solo per citare un paio di titoli (tanto, sono belli tutti!!!). ENJOY!! 





domenica 23 ottobre 2011

Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento (2010)

Dopo alcuni film trash - horror è giunta l'ora di calmarsi un po' e tornare al lato "kawaii" del Bollalmanacco con il bellissimo Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento (Kari - gurashi no Arietti), diretto nel 2010 da Hiromasa Yonebayashi, uno dei registi in forza allo Studio Ghibli.



Trama: Sho è un ragazzino malato che, poco prima di dover affrontare un importante intervento al cuore, viene ospitato dalla zia nella casa natale della madre. Lì Sho incontrerà Arrietty, una ragazza alta pochi centimetri che vive assieme alla sua famiglia in un mondo in miniatura, sotto il pavimento della casa...



Sarà difficile recensire Arrietty, mi si appanna la vista perché sono ancora commossa e mi magono a ripensare al film. Chiusa la parentesi personale, è innegabile e palese agli occhi di tutti che lo Studio Ghibli ha confezionato un altro piccolo capolavoro. A fronte di una storia davvero semplice (tratta dal romanzo The Borrowers della scrittrice inglese Mary Norton, già portato al cinema nel 1997 con I rubacchiotti) dove effettivamente poco accade, Hayao Miyazaki, qui in veste di sceneggiatore, intesse una trama delicata, fatta di silenzi, di piccole meraviglie e timidi gesti, con il solito tocco di grottesco umorismo e un pizzico di avventura, aggiungendo così un altro tassello alla sua personale poetica. Arrietty non è un anime per bambini, è infinitamente triste e malinconico. Come già in Nausicaa della valle del vento e in altre opere dello Studio Ghibli, si toccano temi difficili come l'estinzione di un'intera razza, la malattia, la solitudine, la difficoltà di conciliare il passato ed il presente, l'incertezza per il futuro che rende dolceamaro anche un apparente happy ending.



Il mondo di Arrietty è meraviglioso e colorato, un piccolo capolavoro di armonia arricchito da una madre divertente ed apprensiva e un padre severo ma giusto; tuttavia è anche un microcosmo isolato, chiuso e fragile, che rischia di venire inghiottito dall'avanzare della mentalità moderna e dall'incapacità che hanno ormai gli umani di sognare ed accettare ciò che è diverso da loro. Sono Sho e la zia che vorrebbero accogliere e proteggere Arrietty e la sua famiglia, il primo perché solo quanto la protagonista e altrettanto fragile, la seconda affascinata dalle storie che le raccontava il nonno, talmente felice dell'esistenza del piccolo popolo da avere costruito una casa in miniatura perfettamente abitabile; dall'altra parte, però, c'è la vecchia Haru, gretta e meschina, colma di rancore per il fatto che Arrietty e la famiglia "prendono in prestito" quello che serve loro per vivere, sottraendolo agli umani. Sono due mentalità che si scontrano, creando quei pericoli tanto temuti dal padre di Arrietty, pericoli che purtroppo rischiano di distruggere il piccolo popolo anche quando le intenzioni degli umani sono buone e dolci quanto una minuscola zolletta di zucchero. La riconciliazione finale, così, risulta ancora più triste perché lo spettatore non ha la certezza che il piccolo popolo sia riuscito a prosperare... più probabile, purtroppo, che sia scomparso come predetto da Sho, fino a diventare leggenda ed eterno ricordo.



Passando ad aspetti più tecnici, l'animazione di Arrietty è magistrale come sempre. Il design della casa delle bambole è incantevole, così come quello del piccolo mondo sotterraneo, colmo di colori, elementi naturali quali foglie, fiori, erbe aromatiche e piccoli tocchi di genio come lo spillo trasformato in spada affilata o l'insettino usato a mo' di palla. Bellissime alcune sequenze, come quella dell'esplorazione notturna della casa, quella iniziale della fuga dal gatto Niya e la malinconica e lunga scena finale che accompagna tutti i titoli di coda, preceduta dalla struggente immagine di Arrietty che, dopo avere "preso" per tutto il film, dona a Sho un portafortuna, quasi a ricostituire l'equilibrio. Ma ciò che contribuisce a rendere Arrietty un piccolo capolavoro è la splendida colonna sonora, affidata alla musicista francese Cécile Corbel, un azzeccatissimo ed evocativo mix di arie celtiche e giapponesi. Insomma, dopo la mezza delusione di Ponyo sulla scogliera lo Studio Ghibli non poteva farmi regalo più bello. Se riuscite ancora a trovarlo in qualche piccolo cinema della vostra zona andate a vederlo: non so se il doppiaggio italiano gli rende giustizia, perché per fortuna io l'ho visto in lingua originale con sottotitoli, ma vale comunque la pena tentare. 

Hiromasa  Yonebayashi è il regista della pellicola. Giapponese, come regista è alla sua prima esperienza ma ha già collaborato come animatore alla realizzazione di film come Princess Mononoke, La città incantata e Ponyo sulla scogliera. Ha 38 anni.



Se vi fosse piaciuto il film, vi consiglio spassionatamente di guardare Il mio vicino Totoro e La città incantata, i miei due film "ghibliani" preferiti in assoluto. E ora vi lascio con il trailer originale di Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento. ENJOY!! (io intanto cerco i fazzoletti....)

domenica 9 agosto 2009

Ponyo sulla scogliera (2009)

Ogni tanto anche questo blog deve ospitare, al di là dell'horror e del trash, qualche film un pò più dolce e carino. In questo caso, dopo una lunga attesa, sono riuscita a vedere l'ultima fatica del maestro Hayao Miyazaki, datata 2009: Ponyo sulla scogliera (Gake no ue no Ponyo). L'attesa purtroppo non è stata ripagata come avrebbe dovuto, in effetti.


4044-550x-ponyo_poster


La trama è questa: Brunilde, una piccola pesciolina dal volto umano, figlia dello scienziato/stregone Fujimoto, fugge dalla sua casetta in fondo al mare e viene salvata in superficie da un bimbo umano, Sosuke, che la ribattezza Ponyo. Quando il papà riesce a recuperarla e a riportarla all'ovile, Ponyo gli confessa che vuole diventare umana perché innamorata del bimbo. Riesce così nuovamente ad uscire dalla sua casa/prigione e, pasticciando un pò con la magia di cui dispone il padre, riesce a tornare da Sosuke e da sua madre, trasformata in bambina umana. Ma il suo gesto causerà inondazioni a non finire, e la fuoriuscita di parecchia magia che rischierebbe di modificare l'intera realtà...


fujimoto_e_ponyo


In un'epoca in cui la CG domina, questo Ponyo sembra davvero un film d'altri tempi. Completamente realizzato con disegni fatti a mano, dallo stile un pò vecchio stampo sia come character design che come colori è comunque una gioia per gli occhi ed è l'ennesima conferma che Miyazaki è una spanna sopra a qualsiasi produzione ipertecnologica giapponese e americana. Scene come la splendida danza delle meduse, che trascinano Ponyo in superficie, il mare che insegue la madre di Sosuke in macchina, su per le colline, come se fosse un terribile ed instancabile gigante fatto d'acqua, la splendida luce della mamma di Ponyo, la divinità Gran Mammare (un nome che rimane identico anche nell'originale, e che palesa l'amore incondizionato di Miyazaki per l'Italia) rimangono impresse nella mente dello spettatore per lungo tempo, tanto sono perfette e grandiose.


ponyo


Purtroppo, in tutta questa meraviglia stilistica, ciò che manca a Ponyo è proprio l'anima. Intendiamoci, i grandi temi di Miyazaki ci sono sempre: l'attenzione per la natura corrotta dalla stupidità umana, l'ammonimento a non turbare forze più grandi di noi, una nostalgia per l'innocenza dei tempi passati, l'inno all'amicizia e all'amore, le forze più grandi che esistono, infine il rispetto assoluto per chi è anziano e quindi saggio, nonostante possa essere bislacco. Però sembra che questa volta i temi tanto cari al maestro siano solamente una cifra stilistica, e che non vengano affatto approfonditi. Ponyo sembra più una favola per bambini, ma non poetica e commovente come nel caso de Il mio vicino Totoro, quanto piuttosto sciocchina e anche un pò superficiale. Forse a dare quest'impressione è proprio il personaggio di Ponyo, a mio avviso uno dei meno riusciti del regista. Certo, la pesciolina dalla faccia umana è deliziosa, paurosamente carina; però è anche scemina, ripetitiva, somiglia tanto a una di quelle maghette oche dello Studio Pierrot. Inoltre alcune sboronate, come quella dei pesci preistorici che invadono il pacifico villaggio di Sosuke, riconosciuti specie per specie da un bambino prodigio di appena cinque anni sono francamente inverosimili anche per una favola. Altro difetto di Ponyo è la forse eccessiva velocità con la quale si scopre ogni cosa e si risolve ogni vicenda, lasciando lo spettatore con la sensazione di aver visto un cartone animato senza averlo però "vissuto" appieno. Solitamente Hayao Miyazaki coinvolge ed emoziona, offre un'immedesimazione con i personaggi (che pur sono simpatici anche in questa pellicola, soprattutto la madre di Sosuke ed il trio di vecchiette) che ha del miracoloso. Questa volta, ahimé, non è successo. Speriamo nella prossima pellicola!


Hayao Miyazaki è il regista e sceneggiatore della pellicola. Credo che pochi al mondo non conoscano questo maestro dell'animazione giapponese, e quelli che non lo conoscono sono comunque cresciuti con lui senza saperlo, visto che ha collaborato ad alcune tra le serie animate più famose della tv. Tra i suoi splendidi film (che peraltro stanno venendo rispettati solo ora nel nostro Paese, mentre in passato soffrivano di mutilazioni e mancanze che sfioravano il ridicolo: basti pensare che Totoro verrà distribuito nei cinema italiani a fine anno, pur essendo datato 1988) ricordo  Lupin III - Il castello di Cagliostro, Nausicaa della valle del vento (di cui esiste anche un meraviglioso manga), Il mio vicino Totoro, Kiki's Delivery Service, Porco Rosso, La principessa Mononoke, La città incantata, Il Castello errante di Howl. Tra le serie animate citerei parecchi episodi di Lupin, Conan ragazzo del futuro e il bellissimo Il fiuto di Sherlock Holmes. Ha 68 anni.


hayao_miyazaki_princess_mononoke_001


E ora, semplicemente, vi lascio con il trailer originale di Ponyo sulla scogliera. Vale comunque una visione, a prescindere da quello che penso io! E ascoltate la canzoncina assurda e giapponese che lo accompagna XD! ENJOY!


Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...