Esce oggi in tutta Italia e in poche sale per i soliti, maledetti tre giorni, La tartaruga rossa (La Tortue Rouge), diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Michael Dudok de Wit e co-prodotto dallo Studio Ghibli.
Trama: naufragato su un isola deserta, un uomo cerca di riprendere il mare a bordo di una zattera ma viene ostacolato da un'enorme tartaruga rossa e puntualmente ricacciato a riva.
Un lungometraggio delizioso e commovente come La tartaruga rossa merita di essere visto a cuor leggero, con lo spettatore pronto a gustarsi questo racconto per immagini senza sapere troppo della trama o senza che qualcuno ci abbia ricamato sopra, quindi il mio post sarà brevissimo. La tartaruga rossa è una favola e, come tale, veicola dei valori universali ai quali chiunque potrà dare il peso che riterrà opportuno; sicuramente, per alcuni il film di Michael Dudok de Wit sarà una cretinata della peggior specie dove "non succede nulla" o con una storia troppo semplice, per altri diventerà probabilmente un capolavoro senza tempo, una pellicola da custodire nel cuore e mostrare ai propri bimbi. Personalmente, sono stata rapita dalla delicatezza con la quale è stato portato sullo schermo il ciclo della vita con tutti i suoi alti e bassi e le sue brutture, necessario contrappasso di tanti momenti meravigliosi e felici; ho amato i colori naturali utilizzati nel lungometraggio, capaci di fondersi l'uno con l'altro come se i realizzatori dei fondali avessero dovuto realizzare dei quadri piuttosto che un prodotto cinematografico; mi è piaciuto il mix di stile franco-belga (il personaggio principale ha gli occhi a spillo come Tin Tin) e giapponese (la tartaruga sembra uscita da un ukiyo-e e i granchiolini mi hanno ricordato tantissimo i makkuro kurosuke de Il mio vicino Totoro), in grado di rendere le sequenze fantasiose, poetiche e realistiche allo stesso tempo, con i protagonisti talmente espressivi che non sono serviti dialoghi per trasmettere le loro emozioni allo spettatore (sì, sono particolarmente esagerata ma quando il naufrago si vergogna di avere picchiato la tartaruga ho pianto tantissimo. E il finale, vabbé, mi ha devastata). In contrasto con un concetto di animazione che predilige sempre più la computer graphic e i prodotti di rapido consumo atti a fruttare miliardi in marketing e gadget, La tartaruga rossa è un coraggioso esempio di Cinema elevato davvero a forma d'arte, qualcosa che parla al pubblico attraverso un linguaggio universale fatto di immagini in movimento, colori, suoni naturali e musica di cui tutti possono godere, a qualsiasi latitudine, e anche solo per questo meriterebbe di essere distribuito per ben più di tre miseri giorni. Voi cercate di non farvelo scappare, mi raccomando.
Michael Dudok de Wit è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Olandese, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto corti animati quali The Monk and the Fish e Father and Daughter (vincitore dell'Oscar come miglior corto animato). Anche animatore, ha 64 anni.
Se La tartaruga rossa vi fosse piaciuto recuperate La canzone del mare e Ponyo sulla scogliera. ENJOY!
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martedì 28 marzo 2017
martedì 25 agosto 2015
Quando c'era Marnie (2014)
A partire da ieri e per tre giorni sarà possibile anche per noi italiani godere dell'ultima fatica dello Studio Ghibli, ovvero Quando c'era Marnie (思い出のマーニー - Omoide no Maanii), diretto nel 2014 dal regista Hiromasa Yonebayashi e tratto dal romanzo When Marnie Was There della scrittrice inglese Joan Gale Robinson.
Trama: Anna è una ragazza introversa che adora disegnare e soffre di frequenti attacchi d'asma. Per consentirle di guarire, la madre adottiva la manda per un po' in campagna, a casa degli zii, e lì Anna rimane affascinata da una villetta abbandonata sul mare, dove incontra la misteriosa Marnie...
Quando c'era Marnie, così si dice, sarà l'ultimo lungometraggio dello Studio Ghibli prima di un lungo periodo di pausa. Se da un lato questa notizia mi strugge il cuore, mi rendo conto che forse la mia adorata casa di produzione giapponese necessita di un periodo per ricaricare un po' le pile e tornare a regalare al mondo intero altri indimenticabili capolavori perché, e mi sento male a doverlo dire, Quando c'era Marnie non è una pellicola particolarmente entusiasmante. Il film di Yonebayashi racchiude in sé molte delle caratteristiche che mi hanno portata ad amare lo Studio Ghibli, su questo non ci piove: in esso vengono trattati temi delicati ed importanti come la solitudine, il senso di non appartenenza al mondo, la condizione disagiata di chi si ritrova ad essere orfano in tenerissima età e i conseguenti dubbi sulla reale portata dell'affetto dei genitori adottivi e l'ulteriore disagio causato dal possedere qualcosa che ci rende anche fisicamente "diversi" e forse reietti. La natura (nella fattispecie incarnata da mare, vento e tempesta), come in molte produzioni Ghibli, viene resa in tutta la sua delicata maestà e diventa la culla di importanti rivelazioni, un'entità da rispettare e talvolta temere ma anche una sorta di ventre materno in grado di curare le ferite del cuore oltre a quelle fisiche; in essa, la giovane Anna si muove con circospezione, esplorando gradualmente i dintorni di un paese a lei sconosciuto ed abitato da persone semplici, tipiche di un ambiente di campagna, ai margini del quale si staglia questa magione abbandonata che entra in risonanza col suo animo d'artista e con la sua profonda solitudine. Un'emozione così forte, come nelle migliori storie "di fantasmi", richiama inevitabilmente uno spirito e in questo caso abbiamo Marnie, un animo affine a quello di Anna che diventa il fulcro del racconto di un'amicizia difficile, dolorosa e commovente, resa ancora più complessa da una serie di misteri che troveranno una logica soluzione nel finale e che tuttavia, a mio avviso, più che appassionare lo spettatore rischiano di confonderlo sfilacciandosi in modo eccessivo per tutta la durata del film.
I film dello Studio Ghibli non sono mai stati i più dinamici e complessi del mondo ma io ho sempre adorato il modo in cui venivano portate sullo schermo le loro storie semplici, radicate nel quotidiano, oppure fantasiose e zeppe di significati reconditi mentre a mio avviso Quando c'era Marnie soffre di una lentezza anche troppo esagerata, legata forse alla natura silenziosa e schiva della protagonista. In termini più prosaici, Anna tira fuori le palle giusto sul finale però per tutto il film non si pone mai dubbi sulla natura di Marnie e sulle tante cose assurde che la circondano ma sembra subire passivamente i desideri della sua nuova amica, lasciando che davanti allo spettatore sfili un mero susseguirsi di eventi che sembrano quasi accavallarsi l'uno all'altro per raggiungere la lunghezza canonica del lungometraggio. Come ho detto, è un peccato perché il finale è molto commovente e anche perché Quando c'era Marnie è comunque una gioia per gli occhi e per le orecchie. Il character design è delicato, gli ambienti naturali e soprattutto gli interni delle varie abitazioni sono di una bellezza incredibile (le gite in barca al chiaro di luna di Anna e Marnie e la casa degli zii della protagonista, zeppa di dettagli, mozzano il fiato) mentre i colori sono talmente tenui e delicati da dare l'illusione di trovarsi davvero in riva al mare a giocare oppure dipingere accanto ai personaggi principali. La colonna sonora, che mantiene vive le lacrime dello spettatore durante i titoli di coda con la struggente Fine on the Outside di Priscilla Ahn, contiene a sorpresa anche una versione di Recuerdos de la Alhambra di Francisco Tárrega (e ringrazio Toto per averlo notato!!!), importante veicolo dei ricordi di Anna e melodia indicatissima per il mood dolceamaro dell'intera pellicola. Rileggendo il post come faccio sempre mi sono resa conto di avere apprezzato Quando c'era Marnie più di quanto mi fossi resa conto "a caldo", tuttavia come "canto del cigno" dello Studio Ghibli non è purtroppo il lungometraggio indimenticabile che mi sarei aspettata e che avrei desiderato. Ovviamente, ciò non significa che sia un film da evitare o da disprezzare, anzi: se stasera o domani vi capita di avere la fortuna di trovare una sala vicina che lo proietti non lasciatevelo scappare!!
Del regista Hiromasa Yonebayashi ho già parlato QUI.
Il doppiaggio americano della pellicola vanta nomi come Hailee Steinfeld (Anna), Kathy Bates (l'odiosa signora Kadoya), Geena Davis (la madre adottiva di Anna), John C. Reilly (Kiyomasa Oiwa), Ellen Burstyn e Catherine O'Hara. Detto questo, se Quando c'era Marnie vi fosse piaciuto, recuperate La collina dei papaveri, Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro e Wolf Children. ENJOY!
Trama: Anna è una ragazza introversa che adora disegnare e soffre di frequenti attacchi d'asma. Per consentirle di guarire, la madre adottiva la manda per un po' in campagna, a casa degli zii, e lì Anna rimane affascinata da una villetta abbandonata sul mare, dove incontra la misteriosa Marnie...
Quando c'era Marnie, così si dice, sarà l'ultimo lungometraggio dello Studio Ghibli prima di un lungo periodo di pausa. Se da un lato questa notizia mi strugge il cuore, mi rendo conto che forse la mia adorata casa di produzione giapponese necessita di un periodo per ricaricare un po' le pile e tornare a regalare al mondo intero altri indimenticabili capolavori perché, e mi sento male a doverlo dire, Quando c'era Marnie non è una pellicola particolarmente entusiasmante. Il film di Yonebayashi racchiude in sé molte delle caratteristiche che mi hanno portata ad amare lo Studio Ghibli, su questo non ci piove: in esso vengono trattati temi delicati ed importanti come la solitudine, il senso di non appartenenza al mondo, la condizione disagiata di chi si ritrova ad essere orfano in tenerissima età e i conseguenti dubbi sulla reale portata dell'affetto dei genitori adottivi e l'ulteriore disagio causato dal possedere qualcosa che ci rende anche fisicamente "diversi" e forse reietti. La natura (nella fattispecie incarnata da mare, vento e tempesta), come in molte produzioni Ghibli, viene resa in tutta la sua delicata maestà e diventa la culla di importanti rivelazioni, un'entità da rispettare e talvolta temere ma anche una sorta di ventre materno in grado di curare le ferite del cuore oltre a quelle fisiche; in essa, la giovane Anna si muove con circospezione, esplorando gradualmente i dintorni di un paese a lei sconosciuto ed abitato da persone semplici, tipiche di un ambiente di campagna, ai margini del quale si staglia questa magione abbandonata che entra in risonanza col suo animo d'artista e con la sua profonda solitudine. Un'emozione così forte, come nelle migliori storie "di fantasmi", richiama inevitabilmente uno spirito e in questo caso abbiamo Marnie, un animo affine a quello di Anna che diventa il fulcro del racconto di un'amicizia difficile, dolorosa e commovente, resa ancora più complessa da una serie di misteri che troveranno una logica soluzione nel finale e che tuttavia, a mio avviso, più che appassionare lo spettatore rischiano di confonderlo sfilacciandosi in modo eccessivo per tutta la durata del film.
I film dello Studio Ghibli non sono mai stati i più dinamici e complessi del mondo ma io ho sempre adorato il modo in cui venivano portate sullo schermo le loro storie semplici, radicate nel quotidiano, oppure fantasiose e zeppe di significati reconditi mentre a mio avviso Quando c'era Marnie soffre di una lentezza anche troppo esagerata, legata forse alla natura silenziosa e schiva della protagonista. In termini più prosaici, Anna tira fuori le palle giusto sul finale però per tutto il film non si pone mai dubbi sulla natura di Marnie e sulle tante cose assurde che la circondano ma sembra subire passivamente i desideri della sua nuova amica, lasciando che davanti allo spettatore sfili un mero susseguirsi di eventi che sembrano quasi accavallarsi l'uno all'altro per raggiungere la lunghezza canonica del lungometraggio. Come ho detto, è un peccato perché il finale è molto commovente e anche perché Quando c'era Marnie è comunque una gioia per gli occhi e per le orecchie. Il character design è delicato, gli ambienti naturali e soprattutto gli interni delle varie abitazioni sono di una bellezza incredibile (le gite in barca al chiaro di luna di Anna e Marnie e la casa degli zii della protagonista, zeppa di dettagli, mozzano il fiato) mentre i colori sono talmente tenui e delicati da dare l'illusione di trovarsi davvero in riva al mare a giocare oppure dipingere accanto ai personaggi principali. La colonna sonora, che mantiene vive le lacrime dello spettatore durante i titoli di coda con la struggente Fine on the Outside di Priscilla Ahn, contiene a sorpresa anche una versione di Recuerdos de la Alhambra di Francisco Tárrega (e ringrazio Toto per averlo notato!!!), importante veicolo dei ricordi di Anna e melodia indicatissima per il mood dolceamaro dell'intera pellicola. Rileggendo il post come faccio sempre mi sono resa conto di avere apprezzato Quando c'era Marnie più di quanto mi fossi resa conto "a caldo", tuttavia come "canto del cigno" dello Studio Ghibli non è purtroppo il lungometraggio indimenticabile che mi sarei aspettata e che avrei desiderato. Ovviamente, ciò non significa che sia un film da evitare o da disprezzare, anzi: se stasera o domani vi capita di avere la fortuna di trovare una sala vicina che lo proietti non lasciatevelo scappare!!
Del regista Hiromasa Yonebayashi ho già parlato QUI.
Il doppiaggio americano della pellicola vanta nomi come Hailee Steinfeld (Anna), Kathy Bates (l'odiosa signora Kadoya), Geena Davis (la madre adottiva di Anna), John C. Reilly (Kiyomasa Oiwa), Ellen Burstyn e Catherine O'Hara. Detto questo, se Quando c'era Marnie vi fosse piaciuto, recuperate La collina dei papaveri, Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro e Wolf Children. ENJOY!
venerdì 6 febbraio 2015
La storia della principessa splendente (2013)
Grazie alla distribuzione italiana e alla pessima idea di tenere i film in sala per un giorno creando eventi penalizzanti, sono riuscita a vedere solo in questi giorni il bellissimo La storia della principessa splendente (かぐや姫の物語 - Kaguya Hime no Monogatari), diretto e co-sceneggiato da Isao Takata nel 2013, prodotto dallo Studio Ghibli e tratto dal racconto popolare giapponese Taketori Monogatari (Storia del tagliatore di bambù) o Kaguya Hime no Monogatari (Storia della principessa splendente).
Trama: Un vecchio tagliatore di bambù trova un germoglio luminoso che nasconde una minuscola principessina. Una volta portata a casa dalla moglie la creaturina si trasforma in una neonata e cresce velocemente fino a diventare una bellissima ragazza; il vecchio, che nel frattempo ha trovato nei bambù anche oro ed abiti sontuosi, decide di usarli per regalare alla figlia adottiva, ribattezzata Hime (Principessa), un futuro di nobiltà e ricchezza...
Il primo manga "serio" letto in vita mia è stato Proteggi la mia Terra di Saki Hiwatari. I pensieri che ci introducono la protagonista, Arisu Sakaguchi, li ricordo alla perfezione oggi come allora: "La luna. Com'è bella la luna. Guardandola, non so perché, mi viene voglia di tornare. Voglio tornare... voglio tornare...". Questo per dire come, nonostante la trama di Proteggi la mia Terra si dipani in modo totalmente differente da quella di La storia della principessa splendente, non c'è dubbio che il Taketori Monogatari abbia influenzato profondamente l'intera cultura giapponese, tanto che i suoi echi si riverberano potenti ancora oggi. E sono echi malinconici, nostalgici, dolorosamente umani. La principessa splendente è un film tristissimo, tanto che mi viene il magone a scriverne, e molto difficile perché sono convinta che, in quanto occidentale, non avrò capito neppure un millesimo dei suoi profondi significati. E' la storia di un dono del cielo incompreso, mal interpretato dall'imperfetta natura umana. E' la storia di un essere che anelava a libertà, gioia e vita e si è ritrovato, per il troppo amore, a condurre una lussuosa esistenza di solitudine e reclusione, zeppa di regole assurde ed incomprensibili. E' una storia d'amore, come ho detto, con tutti i suoi pro e i contro in grado di generare allo stesso tempo incredibile gioia e terribile disperazione; amore paterno e materno, amore filiale, amore platonico ed illusorio, amore desiderato e perduto, amore per la natura, amore per la vita, amore per la Patria lontana. E' una storia intensa, che ci mette alla prova come esseri umani: seguire l'evoluzione della piccola Takenoko (Gemma di bambù) da trottola vivacissima che corre per i prati assieme agli amichetti a perfetta nobildonna privata di ogni guizzo vitale che non sia legato a rabbia, frustrazione e tristezza fa sentire lo spettatore infinitamente piccolo e meschino e la disperazione impotente della protagonista diventa anche la nostra perché la vita della Principessa Splendente sulla Terra è breve quanto quella di una farfalla e decisamente miserevole, piena di rimpianti ed occasioni perdute, eterea quanto un sogno ed altrettanto sfuggevole.
Le fortissime emozioni suscitate dal racconto in sé si concretizzano nelle immagini più belle viste al cinema da alcuni anni a questa parte. I disegni sono ben lontani dall'animazione moderna e sono stati volutamente realizzati per assomigliare ad antichi dipinti giapponesi, fatti di linee essenziali, contorni marcati e colori brillanti; spesso e volentieri sembra di assistere allo srotolamento di una pergamena interamente disegnata (in effetti una scena simile viene mostrata quando Lady Sagami ne fa vedere una alla Principessa) e l'effetto diventa ancora più evidente nella concitata e struggente sequenza in cui la protagonista corre a perdifiato, spogliandosi dei suoi abiti sotto la luna, mentre il finale pieno di Dei e creature mitologiche sembra un quadro che prende letteralmente vita, profumato di china stesa con un pennello. Grande cura è stata riservata alle pettinature dei personaggi, ai colori e fogge di abiti e copricapi, ai dettagli della lussuosa casa della principessa, soprattutto agli elementi naturali che, almeno all'inizio, sono parte integrante e fondamentale della vita della protagonista (la scena con i cinghialetti è meravigliosa, sul serio, ma anche i fiori di ciliegio sciolgono il cuore) ma quello che rende ancor più magico il film è la malinconica, struggente colonna sonora del Maestro Joe Hisaishi. La dolcissima Warabe no Uta, estesa poi nella Tennyo no Uta, è una deliziosa nursery rhyme che racchiude in sé buona parte del significato della pellicola, colma di amore per la vita, desiderio di provare emozioni, nostalgia e anche, in qualche modo, di rassegnazione per un destino ciclico, già scritto. Sinceramente, non mi sento in grado di continuare a parlare de La storia della principessa splendente perché ad una simile meraviglia potrebbero rendere giustizia solo poeti navigati; guardatelo, lasciate che le immagini parlino da sole e smuovano sensazioni che pensavate di non potere più provare al cinema.
Isao Takahata è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Una tomba per le lucciole, Pompoko ed episodi delle serie Lupin III, Heidi, Marco (Dagli Appennini alle Ande), Conan ragazzo del futuro e Anna dai capelli rossi. Anche produttore e animatore, ha 80 anni.
Il film quest'anno è candidato all'Oscar come miglior film d'animazione ed incrocio le dita perché lo vinca! Nell'attesa, se La storia della principessa splendente vi fosse piaciuto recuperate anche Si alza il vento e Una tomba per le lucciole. ENJOY!
Trama: Un vecchio tagliatore di bambù trova un germoglio luminoso che nasconde una minuscola principessina. Una volta portata a casa dalla moglie la creaturina si trasforma in una neonata e cresce velocemente fino a diventare una bellissima ragazza; il vecchio, che nel frattempo ha trovato nei bambù anche oro ed abiti sontuosi, decide di usarli per regalare alla figlia adottiva, ribattezzata Hime (Principessa), un futuro di nobiltà e ricchezza...
Il primo manga "serio" letto in vita mia è stato Proteggi la mia Terra di Saki Hiwatari. I pensieri che ci introducono la protagonista, Arisu Sakaguchi, li ricordo alla perfezione oggi come allora: "La luna. Com'è bella la luna. Guardandola, non so perché, mi viene voglia di tornare. Voglio tornare... voglio tornare...". Questo per dire come, nonostante la trama di Proteggi la mia Terra si dipani in modo totalmente differente da quella di La storia della principessa splendente, non c'è dubbio che il Taketori Monogatari abbia influenzato profondamente l'intera cultura giapponese, tanto che i suoi echi si riverberano potenti ancora oggi. E sono echi malinconici, nostalgici, dolorosamente umani. La principessa splendente è un film tristissimo, tanto che mi viene il magone a scriverne, e molto difficile perché sono convinta che, in quanto occidentale, non avrò capito neppure un millesimo dei suoi profondi significati. E' la storia di un dono del cielo incompreso, mal interpretato dall'imperfetta natura umana. E' la storia di un essere che anelava a libertà, gioia e vita e si è ritrovato, per il troppo amore, a condurre una lussuosa esistenza di solitudine e reclusione, zeppa di regole assurde ed incomprensibili. E' una storia d'amore, come ho detto, con tutti i suoi pro e i contro in grado di generare allo stesso tempo incredibile gioia e terribile disperazione; amore paterno e materno, amore filiale, amore platonico ed illusorio, amore desiderato e perduto, amore per la natura, amore per la vita, amore per la Patria lontana. E' una storia intensa, che ci mette alla prova come esseri umani: seguire l'evoluzione della piccola Takenoko (Gemma di bambù) da trottola vivacissima che corre per i prati assieme agli amichetti a perfetta nobildonna privata di ogni guizzo vitale che non sia legato a rabbia, frustrazione e tristezza fa sentire lo spettatore infinitamente piccolo e meschino e la disperazione impotente della protagonista diventa anche la nostra perché la vita della Principessa Splendente sulla Terra è breve quanto quella di una farfalla e decisamente miserevole, piena di rimpianti ed occasioni perdute, eterea quanto un sogno ed altrettanto sfuggevole.
Le fortissime emozioni suscitate dal racconto in sé si concretizzano nelle immagini più belle viste al cinema da alcuni anni a questa parte. I disegni sono ben lontani dall'animazione moderna e sono stati volutamente realizzati per assomigliare ad antichi dipinti giapponesi, fatti di linee essenziali, contorni marcati e colori brillanti; spesso e volentieri sembra di assistere allo srotolamento di una pergamena interamente disegnata (in effetti una scena simile viene mostrata quando Lady Sagami ne fa vedere una alla Principessa) e l'effetto diventa ancora più evidente nella concitata e struggente sequenza in cui la protagonista corre a perdifiato, spogliandosi dei suoi abiti sotto la luna, mentre il finale pieno di Dei e creature mitologiche sembra un quadro che prende letteralmente vita, profumato di china stesa con un pennello. Grande cura è stata riservata alle pettinature dei personaggi, ai colori e fogge di abiti e copricapi, ai dettagli della lussuosa casa della principessa, soprattutto agli elementi naturali che, almeno all'inizio, sono parte integrante e fondamentale della vita della protagonista (la scena con i cinghialetti è meravigliosa, sul serio, ma anche i fiori di ciliegio sciolgono il cuore) ma quello che rende ancor più magico il film è la malinconica, struggente colonna sonora del Maestro Joe Hisaishi. La dolcissima Warabe no Uta, estesa poi nella Tennyo no Uta, è una deliziosa nursery rhyme che racchiude in sé buona parte del significato della pellicola, colma di amore per la vita, desiderio di provare emozioni, nostalgia e anche, in qualche modo, di rassegnazione per un destino ciclico, già scritto. Sinceramente, non mi sento in grado di continuare a parlare de La storia della principessa splendente perché ad una simile meraviglia potrebbero rendere giustizia solo poeti navigati; guardatelo, lasciate che le immagini parlino da sole e smuovano sensazioni che pensavate di non potere più provare al cinema.
Isao Takahata è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Una tomba per le lucciole, Pompoko ed episodi delle serie Lupin III, Heidi, Marco (Dagli Appennini alle Ande), Conan ragazzo del futuro e Anna dai capelli rossi. Anche produttore e animatore, ha 80 anni.
Il film quest'anno è candidato all'Oscar come miglior film d'animazione ed incrocio le dita perché lo vinca! Nell'attesa, se La storia della principessa splendente vi fosse piaciuto recuperate anche Si alza il vento e Una tomba per le lucciole. ENJOY!
martedì 24 giugno 2014
La città incantata (2001)
Dal 25 al 27 giugno tornerà al cinema La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi - 千と千尋の神隠し) diretto e sceneggiato nel 2001 dal Maestro Hayao Miyazaki. Siccome, molto probabilmente, dalle mie parti non aderiranno all'operazione mi sono consolata col DVD e ho deciso di parlare un po' di questo capolavoro dello Studio Ghibli.
Trama: mentre si stanno recando nella nuova casa, la piccola Chihiro e i suoi genitori sbagliano strada e si ritrovano in quello che sembrerebbe un parco divertimenti abbandonato. All'improvviso papà e mamma vengono trasformati in maiali e Chihiro rimane sola in un mondo che, nottetempo, si popola di spiriti e creature fantastiche...
La città incantata è una delicata favola dalla storia semplice (per quanto affascinante) e dai molteplici significati, sfaccettata e sorprendente come tutte le altre opere del Maestro Miyazaki. Attraverso la rappresentazione di un mondo incantato profondamente radicato nella cultura giapponese ma anche influenzato da atmosfere che, in qualche modo, richiamano le fiabe dell'europa orientale, Miyazaki Sensei offre allo spettatore uno splendido racconto di formazione che parte da un piccolo e comunissimo trauma infantile: quello del primo trasloco. Chihiro è una bimba di dieci anni che si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con un cambiamento notevole, benché assai comune, e che incontriamo per questo colma di tristezza e, comprensibilmente, chiusa a qualsiasi novità, proposta o incoraggiamento da parte dei genitori che invece, com'è tipico degli adulti, prendono la cosa con più filosofia o da un punto di vista meramente pratico. Quando la famigliola arriva in quello che ritengono essere un parco divertimenti sono proprio papà e mamma a incoraggiare l'esplorazione e a rallegrarsi per il cibo trovato per caso e in abbondanza, mentre Chihiro si immusonisce e rifiuta qualsiasi distrazione le venga offerta, con una sensibilità che va a braccetto con testardaggine e paura, tre elementi che sono tratti distintivi del suo carattere e che l'accompagneranno nella sua esperienza presso quello che si rivelerà essere il regno degli spiriti. Infatti, la cosa particolare de La città incantata è che all'inizio Chihiro non è affatto una protagonista simpatica, tutt'altro: è piagnucolosa, diffidente, scorbutica. Per questo diventa ancora più verosimile il suo percorso verso la generosità, l'altruismo e l'amore, tutte qualità necessarie per riuscire a sopravvivere nel bagno pubblico gestito dalla tremenda Yubaba e popolato da personaggi gretti e meschini, interessati solo a soddisfare i loro bisogni più immediati come la gola o il denaro e che toccano l'apice nell'inquietante e triste figura del Senza Volto, destinato ad un'eterna solitudine causata dall'ingordigia.
Il percorso di formazione di Chihiro si accompagna inoltre ad una riflessione non banale sui legami col passato e sull'importanza del rispetto nei confronti della natura. La strega Yubaba diventa proprietaria dei suoi dipendenti rubando il loro nome (o meglio, rubandone un pezzetto visto che il kanji 千 rimane invariato sia in Chihiro che in Sen, nome con cui Yubaba ribattezza la protagonista) e cancellando, di fatto, ogni ricordo della loro esistenza o della loro reale natura; Chihiro però ricorda il proprio grazie al bigliettino di addio regalatole dai suoi compagni di classe, quello stesso biglietto che le provocava tanta tristezza e malinconia durante il viaggio verso la nuova casa. Quello che il Maestro ci vuole dire, in poche parole, è che non è sano rimanere ancorati al passato e guardare ad esso come ad un tempo felice che non tornerà mai più, rifiutando il futuro o il cambiamento, bensì bisogna fare tesoro di tutte le esperienze, belle o brutte che siano (per esempio cadere in un fiume...), e da esse trarre forza per andare avanti e crescere, consapevoli del fatto che le persone importanti troveranno sempre il modo di rimanere accanto a noi, per quanto distanti nel tempo e nello spazio. L'atavico amore di Miyazaki per la natura, invece, viene espresso totalmente nella splendida sequenza che mostra l'arrivo dello "Spirito del cattivo odore" all'interno dell'onsen, altro esempio di come le persone sciocche e limitate non riescano a guardare oltre l'apparenza né riparare ai danni che loro stesse hanno causato all'ambiente che le circonda; più che al denaro facile e alla fama, le persone dovrebbero fare attenzione alla loro salute, inestricabilmente legata a quella di una natura che stiamo rendendo sempre più brutta ed irriconoscibile. Detta così è un orrido pistolotto naturalista ma il Sensei riesce in pochi minuti a rendere questo concetto necessario, meraviglioso e giusto.
Attorno alla piccola Chihiro, Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli creano uno stuolo di personaggi vivaci ed indimenticabili, talmente ben caratterizzati che persino quelli secondari riescono a ritagliarsi quei cinque minuti necessari a bucare lo schermo e fissarsi indelebilmente nella mente dello spettatore, come per esempio lo Spirito del Ravanello o le piccole palle di fuliggine del Signor Kamaji. Le invenzioni visive, neanche a dirlo, si sprecano e si concretizzano in alcune tra le più belle e poetiche sequenze d'animazione mai girate, come l'attacco degli uccellini di carta ai danni di Haku, il viaggio sul treno acquatico, il bagno dello Spirito del Cattivo Odore e il risveglio dei ricordi d'infanzia di Chihiro, in grado tutte le volte di commuovermi fino alle lacrime; questi sono solo gli esempi più eclatanti, ovviamente, potrei elencarne altri mille e non lo faccio solo per non togliere la sorpresa a chi non ha mai visto La città incantata, ma un piccolo dettaglio che mi ha sempre convinta della genialità di Miyazaki e della sua capacità di evocare immagini allo stesso tempo universali e inaspettate è il modo in cui Yubaba si ammanta lasciando spuntare solo il nasone e diventando così identica, in tutto e per tutto, ad un uccello ottuso. Menzione speciale, ovviamente, la merita anche la colonna sonora di Joe Hisaishi, composta da melodie a volte delicate a volte ridontanti, perfette per sottolineare i vari cambiamenti d'atmosfera all'interno della pellicola. Per concludere, a voi non resta che andare a vedere La città incantata al cinema o recuperarlo in DVD e, a questo proposito, ho una piccola precisazione da fare, assieme ad una richiesta. La versione che ho io è uscita con TV Sorrisi e Canzoni nel 2005 (quindi dovrebbe contenere il doppiaggio e, di conseguenza, i sottotitoli del 2004) e ho notato, nonostante la mia ancor limitata conoscenza della lingua giapponese, qualche imprecisione/aggiunta nei dialoghi; leggo tuttavia su Wikipedia che da domani al cinema la Lucky Red ne proporrà una versione riadattata e ridoppiata, più fedele all'originale quindi vi chiederei di raccontarmi in che modo le due edizioni sono differenti così da capire se riacquistare o meno un futuro DVD. E con questo concludo davvero, buona visione!!
Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.
Il film ha vinto l'Oscar come miglior film d'animazione nel 2003, surclassando giustamente (per quanto lo adori) Lilo & Stitch, candidato assieme a L'era glaciale, Il pianeta del tesoro e Spirit - Cavallo selvaggio. Se La città incantata vi fosse piaciuto recuperate Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro, Coraline e la porta magica, Alice nel paese delle meraviglie, Labyrinth, Il mago di Oz, Nel fantastico mondo di Oz e La storia infinita. ENJOY!
Trama: mentre si stanno recando nella nuova casa, la piccola Chihiro e i suoi genitori sbagliano strada e si ritrovano in quello che sembrerebbe un parco divertimenti abbandonato. All'improvviso papà e mamma vengono trasformati in maiali e Chihiro rimane sola in un mondo che, nottetempo, si popola di spiriti e creature fantastiche...
La città incantata è una delicata favola dalla storia semplice (per quanto affascinante) e dai molteplici significati, sfaccettata e sorprendente come tutte le altre opere del Maestro Miyazaki. Attraverso la rappresentazione di un mondo incantato profondamente radicato nella cultura giapponese ma anche influenzato da atmosfere che, in qualche modo, richiamano le fiabe dell'europa orientale, Miyazaki Sensei offre allo spettatore uno splendido racconto di formazione che parte da un piccolo e comunissimo trauma infantile: quello del primo trasloco. Chihiro è una bimba di dieci anni che si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con un cambiamento notevole, benché assai comune, e che incontriamo per questo colma di tristezza e, comprensibilmente, chiusa a qualsiasi novità, proposta o incoraggiamento da parte dei genitori che invece, com'è tipico degli adulti, prendono la cosa con più filosofia o da un punto di vista meramente pratico. Quando la famigliola arriva in quello che ritengono essere un parco divertimenti sono proprio papà e mamma a incoraggiare l'esplorazione e a rallegrarsi per il cibo trovato per caso e in abbondanza, mentre Chihiro si immusonisce e rifiuta qualsiasi distrazione le venga offerta, con una sensibilità che va a braccetto con testardaggine e paura, tre elementi che sono tratti distintivi del suo carattere e che l'accompagneranno nella sua esperienza presso quello che si rivelerà essere il regno degli spiriti. Infatti, la cosa particolare de La città incantata è che all'inizio Chihiro non è affatto una protagonista simpatica, tutt'altro: è piagnucolosa, diffidente, scorbutica. Per questo diventa ancora più verosimile il suo percorso verso la generosità, l'altruismo e l'amore, tutte qualità necessarie per riuscire a sopravvivere nel bagno pubblico gestito dalla tremenda Yubaba e popolato da personaggi gretti e meschini, interessati solo a soddisfare i loro bisogni più immediati come la gola o il denaro e che toccano l'apice nell'inquietante e triste figura del Senza Volto, destinato ad un'eterna solitudine causata dall'ingordigia.
Il percorso di formazione di Chihiro si accompagna inoltre ad una riflessione non banale sui legami col passato e sull'importanza del rispetto nei confronti della natura. La strega Yubaba diventa proprietaria dei suoi dipendenti rubando il loro nome (o meglio, rubandone un pezzetto visto che il kanji 千 rimane invariato sia in Chihiro che in Sen, nome con cui Yubaba ribattezza la protagonista) e cancellando, di fatto, ogni ricordo della loro esistenza o della loro reale natura; Chihiro però ricorda il proprio grazie al bigliettino di addio regalatole dai suoi compagni di classe, quello stesso biglietto che le provocava tanta tristezza e malinconia durante il viaggio verso la nuova casa. Quello che il Maestro ci vuole dire, in poche parole, è che non è sano rimanere ancorati al passato e guardare ad esso come ad un tempo felice che non tornerà mai più, rifiutando il futuro o il cambiamento, bensì bisogna fare tesoro di tutte le esperienze, belle o brutte che siano (per esempio cadere in un fiume...), e da esse trarre forza per andare avanti e crescere, consapevoli del fatto che le persone importanti troveranno sempre il modo di rimanere accanto a noi, per quanto distanti nel tempo e nello spazio. L'atavico amore di Miyazaki per la natura, invece, viene espresso totalmente nella splendida sequenza che mostra l'arrivo dello "Spirito del cattivo odore" all'interno dell'onsen, altro esempio di come le persone sciocche e limitate non riescano a guardare oltre l'apparenza né riparare ai danni che loro stesse hanno causato all'ambiente che le circonda; più che al denaro facile e alla fama, le persone dovrebbero fare attenzione alla loro salute, inestricabilmente legata a quella di una natura che stiamo rendendo sempre più brutta ed irriconoscibile. Detta così è un orrido pistolotto naturalista ma il Sensei riesce in pochi minuti a rendere questo concetto necessario, meraviglioso e giusto.
Attorno alla piccola Chihiro, Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli creano uno stuolo di personaggi vivaci ed indimenticabili, talmente ben caratterizzati che persino quelli secondari riescono a ritagliarsi quei cinque minuti necessari a bucare lo schermo e fissarsi indelebilmente nella mente dello spettatore, come per esempio lo Spirito del Ravanello o le piccole palle di fuliggine del Signor Kamaji. Le invenzioni visive, neanche a dirlo, si sprecano e si concretizzano in alcune tra le più belle e poetiche sequenze d'animazione mai girate, come l'attacco degli uccellini di carta ai danni di Haku, il viaggio sul treno acquatico, il bagno dello Spirito del Cattivo Odore e il risveglio dei ricordi d'infanzia di Chihiro, in grado tutte le volte di commuovermi fino alle lacrime; questi sono solo gli esempi più eclatanti, ovviamente, potrei elencarne altri mille e non lo faccio solo per non togliere la sorpresa a chi non ha mai visto La città incantata, ma un piccolo dettaglio che mi ha sempre convinta della genialità di Miyazaki e della sua capacità di evocare immagini allo stesso tempo universali e inaspettate è il modo in cui Yubaba si ammanta lasciando spuntare solo il nasone e diventando così identica, in tutto e per tutto, ad un uccello ottuso. Menzione speciale, ovviamente, la merita anche la colonna sonora di Joe Hisaishi, composta da melodie a volte delicate a volte ridontanti, perfette per sottolineare i vari cambiamenti d'atmosfera all'interno della pellicola. Per concludere, a voi non resta che andare a vedere La città incantata al cinema o recuperarlo in DVD e, a questo proposito, ho una piccola precisazione da fare, assieme ad una richiesta. La versione che ho io è uscita con TV Sorrisi e Canzoni nel 2005 (quindi dovrebbe contenere il doppiaggio e, di conseguenza, i sottotitoli del 2004) e ho notato, nonostante la mia ancor limitata conoscenza della lingua giapponese, qualche imprecisione/aggiunta nei dialoghi; leggo tuttavia su Wikipedia che da domani al cinema la Lucky Red ne proporrà una versione riadattata e ridoppiata, più fedele all'originale quindi vi chiederei di raccontarmi in che modo le due edizioni sono differenti così da capire se riacquistare o meno un futuro DVD. E con questo concludo davvero, buona visione!!
Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.
Il film ha vinto l'Oscar come miglior film d'animazione nel 2003, surclassando giustamente (per quanto lo adori) Lilo & Stitch, candidato assieme a L'era glaciale, Il pianeta del tesoro e Spirit - Cavallo selvaggio. Se La città incantata vi fosse piaciuto recuperate Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro, Coraline e la porta magica, Alice nel paese delle meraviglie, Labyrinth, Il mago di Oz, Nel fantastico mondo di Oz e La storia infinita. ENJOY!
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mercoledì 8 maggio 2013
Mei to Koneko basu (2002)
Chi segue da tempo il Bollalmanacco sa che non ho mai recensito dei corti. Questa volta, però, farò un'eccezione perché qui non si parla di un semplice corto, ma di un diamante che ha reso la mia visita in Giappone ancora più indimenticabile, ovvero il meraviglioso, dolcissimo Mei to Koneko basu (めいとこねこバス), scritto e diretto da Hayao Miyazaki nel 2002.
Trama: la piccola Mei incontra il cucciolo del Gattobus e con lui passa una notte in compagnia degli spiriti del bosco.
Come avrete capito, questa non sarà una recensione normale, perché quando parliamo de Il mio vicino Totoro non riesco ad essere obiettiva. Mei to Koneko basu (letteralmente, Mei e il piccolo Gattobus) è il seguito del meraviglioso anime del 1988 e, finora, non è mai stato editato in video, che io sappia. E' un piccolo regalo che Miyazaki ha deciso di fare a tutti i visitatori dell'incredibile Museo d'Arte Ghibli che si trova a Mitaka, appena fuori Tokyo. Inutile dire che, come i bambini, ho puntato i piedi e preteso di includere una visita a detto museo durante il viaggio in Giappone anche se i biglietti, in teoria, bisognerebbe prenotarli dall'Italia mesi prima... sempre che non si voglia affrontare la terribile macchinetta Loppi situata all'interno dei conbini Lawson, tutta in giapponese e virtualmente incomprensibile, nonché la possibilità di NON trovare posto in nessuno degli orari in cui è previsto l'ingresso al pubblico. Noi abbiamo giocato d'azzardo, e il Re Totoro ci ha graziati, consentendoci di ottenere l'ambito biglietto ed entrare nel Museo il giorno dopo il nostro arrivo a Tokyo.
Non sto a descrivervi l'incredibile meraviglia che è il Museo d'Arte Ghibli, vi dico solo che ad accogliere i visitatori c'è Totoro in persona e che il voucher ritirato dalla macchinetta si tramuterà all'ingresso in un fotogramma di un anime a caso tra quelli prodotti dallo studio (a me è toccato Nausicaa della Valle del Vento, la prima opera di Miyazaki che abbia mai avuto la fortuna di vedere!) e che al piano inferiore c'è una sala dove viene appunto proiettato Mei to Koneko basu. Ammetto di avere rischiato la morte o l'arresto per omicidio, perché appena arrivati davanti al cinema la zelante bigliettaia ci ha detto "No, non c'è più posto". Con il cuore spezzato e la lacrima nell'occhio ho dimenticato l'inglese e le poche nozioni di giapponese e ho emesso un lamentoso "No, La prego!!" che deve averla toccata comunque perché la poveretta si è affrettata ad aggiungere: "No ma viene replicato ogni 15 minuti!!". Ah, ok. Quindici minuti di paradisiaca visita al museo dopo, ci accingiamo ad entrare nella sala, io col batticuore a tremila, gli altri visitatori apparentemente composti e ordinati. La sala stessa è un capolavoro dal sapore anni '30, con un antiquato proiettore uscito dritto dritto dalle fantasie più belle di Miyazaki, ma non ho nemmeno il tempo di riflettere su queste nozioni di arte vintage perché puntuali come un orologio giapponese si spengono le luci e comincia la magia.
Mei to Koneko basu è uno splendido, piccolo tifone, che concentra in sé tutta la vitalità e l'innocenza della scatenata Mei, una bimbetta che insegue il vento e lo cattura, guadagnandosi la possibilità di avere uno spiritello in casa, il carinissimo cucciolo di Gattobus. E' una storia di amicizia e fiducia, entrambe guadagnate grazie a piccoli, importanti gesti di gentilezza che spalancano le porte di un mondo incantato e sconosciuto ai più. Un mondo che, per quanto meraviglioso, a una bimbetta piccina può fare paura perché si anima solo di notte, ed ecco allora l'importanza di avere sempre accanto una figura amica... e quale amico può essere più fantastico e grande del fidato Totoro? Quello stupefacente personaggio armato di ombrello che compare "solo" a metà corto e in un istante unisce tutti, italiani, giapponesi, bambini ed adulti in un "OOOOHHH!!!!" corale, perché tutti non aspettavamo altro che vedere lui, il peloso, gentilissimo spirito della foresta. Senza ritegno alcuno ho proseguito la visione del corto con la faccia inondata di lacrime di commozione, tirando su col naso come una mocciosa, senza cercare di capire i pochi dialoghi in giapponese che si sentono nel film perché tanto il cinema, quello vero, è dotato di un linguaggio universale e parla direttamente al cuore... o al bimbo che è dentro di noi, se preferite. Per tutta la durata di Mei to Koneko basu ci si dimentica di essere in una sala e si vola nel cielo con gli spiriti incantati della foresta, si ride con loro, si vive il sogno di una notte magica e si rimane con un sorriso ebete sulle labbra per molto, molto tempo. Cascasse un Totoro, quindi, non perdetevi questo piccolo capolavoro se mai dovesse capitarvi di andare in Giappone.
Del regista Hayao Miyazaki ho già parlato qui.
Come ho detto, Mei to Koneko basu si può vedere solo al Museo d'Arte Ghibli, ma nell'attesa consiglio la visione de Il mio vicino Totoro e di tutti gli altri capolavori dello Studio Ghibli. ENJOY!!
P.S. Le foto, a parte la prima, le ho scattate io. Per quanto maffe e sicuramente poco artistiche sono comunque un ricordo, quindi se volete usarle chiedete il permesso, arigatou gozaimasu! ^__*
I took these pictures, except for the first one. Of course they are lame but they're good memories anyway, so if you want to use them please ask first. Arigatou gozaimasu! ^__*
Trama: la piccola Mei incontra il cucciolo del Gattobus e con lui passa una notte in compagnia degli spiriti del bosco.
Come avrete capito, questa non sarà una recensione normale, perché quando parliamo de Il mio vicino Totoro non riesco ad essere obiettiva. Mei to Koneko basu (letteralmente, Mei e il piccolo Gattobus) è il seguito del meraviglioso anime del 1988 e, finora, non è mai stato editato in video, che io sappia. E' un piccolo regalo che Miyazaki ha deciso di fare a tutti i visitatori dell'incredibile Museo d'Arte Ghibli che si trova a Mitaka, appena fuori Tokyo. Inutile dire che, come i bambini, ho puntato i piedi e preteso di includere una visita a detto museo durante il viaggio in Giappone anche se i biglietti, in teoria, bisognerebbe prenotarli dall'Italia mesi prima... sempre che non si voglia affrontare la terribile macchinetta Loppi situata all'interno dei conbini Lawson, tutta in giapponese e virtualmente incomprensibile, nonché la possibilità di NON trovare posto in nessuno degli orari in cui è previsto l'ingresso al pubblico. Noi abbiamo giocato d'azzardo, e il Re Totoro ci ha graziati, consentendoci di ottenere l'ambito biglietto ed entrare nel Museo il giorno dopo il nostro arrivo a Tokyo.
Non sto a descrivervi l'incredibile meraviglia che è il Museo d'Arte Ghibli, vi dico solo che ad accogliere i visitatori c'è Totoro in persona e che il voucher ritirato dalla macchinetta si tramuterà all'ingresso in un fotogramma di un anime a caso tra quelli prodotti dallo studio (a me è toccato Nausicaa della Valle del Vento, la prima opera di Miyazaki che abbia mai avuto la fortuna di vedere!) e che al piano inferiore c'è una sala dove viene appunto proiettato Mei to Koneko basu. Ammetto di avere rischiato la morte o l'arresto per omicidio, perché appena arrivati davanti al cinema la zelante bigliettaia ci ha detto "No, non c'è più posto". Con il cuore spezzato e la lacrima nell'occhio ho dimenticato l'inglese e le poche nozioni di giapponese e ho emesso un lamentoso "No, La prego!!" che deve averla toccata comunque perché la poveretta si è affrettata ad aggiungere: "No ma viene replicato ogni 15 minuti!!". Ah, ok. Quindici minuti di paradisiaca visita al museo dopo, ci accingiamo ad entrare nella sala, io col batticuore a tremila, gli altri visitatori apparentemente composti e ordinati. La sala stessa è un capolavoro dal sapore anni '30, con un antiquato proiettore uscito dritto dritto dalle fantasie più belle di Miyazaki, ma non ho nemmeno il tempo di riflettere su queste nozioni di arte vintage perché puntuali come un orologio giapponese si spengono le luci e comincia la magia.
Mei to Koneko basu è uno splendido, piccolo tifone, che concentra in sé tutta la vitalità e l'innocenza della scatenata Mei, una bimbetta che insegue il vento e lo cattura, guadagnandosi la possibilità di avere uno spiritello in casa, il carinissimo cucciolo di Gattobus. E' una storia di amicizia e fiducia, entrambe guadagnate grazie a piccoli, importanti gesti di gentilezza che spalancano le porte di un mondo incantato e sconosciuto ai più. Un mondo che, per quanto meraviglioso, a una bimbetta piccina può fare paura perché si anima solo di notte, ed ecco allora l'importanza di avere sempre accanto una figura amica... e quale amico può essere più fantastico e grande del fidato Totoro? Quello stupefacente personaggio armato di ombrello che compare "solo" a metà corto e in un istante unisce tutti, italiani, giapponesi, bambini ed adulti in un "OOOOHHH!!!!" corale, perché tutti non aspettavamo altro che vedere lui, il peloso, gentilissimo spirito della foresta. Senza ritegno alcuno ho proseguito la visione del corto con la faccia inondata di lacrime di commozione, tirando su col naso come una mocciosa, senza cercare di capire i pochi dialoghi in giapponese che si sentono nel film perché tanto il cinema, quello vero, è dotato di un linguaggio universale e parla direttamente al cuore... o al bimbo che è dentro di noi, se preferite. Per tutta la durata di Mei to Koneko basu ci si dimentica di essere in una sala e si vola nel cielo con gli spiriti incantati della foresta, si ride con loro, si vive il sogno di una notte magica e si rimane con un sorriso ebete sulle labbra per molto, molto tempo. Cascasse un Totoro, quindi, non perdetevi questo piccolo capolavoro se mai dovesse capitarvi di andare in Giappone.
Del regista Hayao Miyazaki ho già parlato qui.
Come ho detto, Mei to Koneko basu si può vedere solo al Museo d'Arte Ghibli, ma nell'attesa consiglio la visione de Il mio vicino Totoro e di tutti gli altri capolavori dello Studio Ghibli. ENJOY!!
P.S. Le foto, a parte la prima, le ho scattate io. Per quanto maffe e sicuramente poco artistiche sono comunque un ricordo, quindi se volete usarle chiedete il permesso, arigatou gozaimasu! ^__*
I took these pictures, except for the first one. Of course they are lame but they're good memories anyway, so if you want to use them please ask first. Arigatou gozaimasu! ^__*
venerdì 1 marzo 2013
La collina dei papaveri (2011)
Questa è la settimana dei cartoni animati, pare. Dopo Frankenweenie ho deciso di guardare l'ultima opera dello Studio Ghibli, La collina dei papaveri ( コクリコ坂から, Kokuriko-zaka kara), diretto nel 2011 da Goro Miyazaki e tratto dall'omonimo shoujo manga di Tetsuro Sayama e Chizuru Takahashi.
Trama: Giappone, 1963. Un gruppo di studenti si impegna a salvare dalla demolizione il cosiddetto "Quartiere Latino", edificio sede di numerosi club. Nel corso dell'epica battaglia due ragazzi, Umi e Shun, scoprono di amarsi ma il loro rapporto viene complicato da un mistero sepolto nel passato di lui...
Non posso farci nulla. Adoro, letteralmente, ogni cosa che viene prodotta dallo Studio Ghibli. Tutte le pellicole che escono dalla fabbrica dei sogni nipponica mi stringono il cuore e mi commuovono come nient'altro al mondo, anche quando, oggettivamente parlando, non sono nient'altro che drammoni d'altri tempi come questo La collina dei papaveri. La matrice shoujo (per chi non lo sapesse, uno shoujo è un manga per ragazze, sebbene ormai si sia ramificato in parecchi sottogeneri difficili da definire con una sola parola...) dell'opera, per quanto la sceneggiatura sia stata comunque rimaneggiata da Hayao Miyazaki, è evidente per il modo in cui vengono trattati i sentimenti di Umi e Shun, per il taglio soapoperistico della loro timida storia d'amore adolescenziale e per il colpo di scena che richiama parecchio i vecchi sceneggiati televisivi. Inoltre, il ritmo del film è oggettivamente di una lentezza esorbitante, qualche animo cinico potrebbe persino dire che "non succede nulla", qualcun altro dotato di occhio più critico potrebbe lamentare una cura minore nell'animazione, eppure La collina dei papaveri mi è piaciuto lo stesso.
Ciò che mi è piaciuto tantissimo è il modo in cui il tema principale della pellicola si fonde con la sua realizzazione. La collina dei papaveri celebra dei valori praticamente scomparsi nella società odierna, in primis il rispetto del passato, necessario affinché il progresso non sia distruttivo bensì positivo ed equilibrato. Gli studenti si battono per preservare il Quartiere Latino, che il proprietario vorrebbe distruggere in vista delle Olimpiadi di Tokyo, e lo fanno dimostrando che, con un po' di olio di gomito, impegno, fatica e passione, anche un edificio fatiscente può tornare bello come prima; ambientando la storia dopo la Guerra di Corea, gli autori della pellicola per estensione magnificano e celebrano l'indomito spirito di sopravvivenza giapponese e lo incarnano nella figura, piccola ma decisa, della giovane Umi, che ogni giorno segue il suo "rito" ed innalza le bandiere di segnalazione marittima per rendere omaggio al padre defunto, attirando così l'attenzione di Shun e finendo per trovare l'amore. Questo elogio del passato e del rispetto per le tradizioni si traduce in uno stile classico, in un'animazione quasi "riflessiva", in un'incredibile attenzione ai gesti quotidiani che scandivano la vita di chi ha vissuto in quell'epoca, in una colonna sonora dal sapore antico. E' dai tempi di Proteggi la mia terra che non provavo una sensazione di nostalgia e di malinconia così forte davanti ad una storia così semplice e delicata. Chissà, forse in una vita passata sono stata davvero giapponese. A prescindere, mi sento davvero di consigliare questo film.
Goro Miyazaki è il regista della pellicola. Figlio di Hayao Miyazaki, ha diretto anche I racconti di Terramare. Giapponese, anche sceneggiatore, ha 45 anni e un film in uscita.
Se La collina dei papaveri vi fosse piaciuto consiglio la visione di altri capolavori dello Studio Ghibli come Kiki consegne a domicilio, Il mio vicino Totoro, Il castello errante di Howl, Princess Mononoke e magari anche Lilo & Stitch, anche se è della Disney. ENJOY!
Trama: Giappone, 1963. Un gruppo di studenti si impegna a salvare dalla demolizione il cosiddetto "Quartiere Latino", edificio sede di numerosi club. Nel corso dell'epica battaglia due ragazzi, Umi e Shun, scoprono di amarsi ma il loro rapporto viene complicato da un mistero sepolto nel passato di lui...
Non posso farci nulla. Adoro, letteralmente, ogni cosa che viene prodotta dallo Studio Ghibli. Tutte le pellicole che escono dalla fabbrica dei sogni nipponica mi stringono il cuore e mi commuovono come nient'altro al mondo, anche quando, oggettivamente parlando, non sono nient'altro che drammoni d'altri tempi come questo La collina dei papaveri. La matrice shoujo (per chi non lo sapesse, uno shoujo è un manga per ragazze, sebbene ormai si sia ramificato in parecchi sottogeneri difficili da definire con una sola parola...) dell'opera, per quanto la sceneggiatura sia stata comunque rimaneggiata da Hayao Miyazaki, è evidente per il modo in cui vengono trattati i sentimenti di Umi e Shun, per il taglio soapoperistico della loro timida storia d'amore adolescenziale e per il colpo di scena che richiama parecchio i vecchi sceneggiati televisivi. Inoltre, il ritmo del film è oggettivamente di una lentezza esorbitante, qualche animo cinico potrebbe persino dire che "non succede nulla", qualcun altro dotato di occhio più critico potrebbe lamentare una cura minore nell'animazione, eppure La collina dei papaveri mi è piaciuto lo stesso.
Ciò che mi è piaciuto tantissimo è il modo in cui il tema principale della pellicola si fonde con la sua realizzazione. La collina dei papaveri celebra dei valori praticamente scomparsi nella società odierna, in primis il rispetto del passato, necessario affinché il progresso non sia distruttivo bensì positivo ed equilibrato. Gli studenti si battono per preservare il Quartiere Latino, che il proprietario vorrebbe distruggere in vista delle Olimpiadi di Tokyo, e lo fanno dimostrando che, con un po' di olio di gomito, impegno, fatica e passione, anche un edificio fatiscente può tornare bello come prima; ambientando la storia dopo la Guerra di Corea, gli autori della pellicola per estensione magnificano e celebrano l'indomito spirito di sopravvivenza giapponese e lo incarnano nella figura, piccola ma decisa, della giovane Umi, che ogni giorno segue il suo "rito" ed innalza le bandiere di segnalazione marittima per rendere omaggio al padre defunto, attirando così l'attenzione di Shun e finendo per trovare l'amore. Questo elogio del passato e del rispetto per le tradizioni si traduce in uno stile classico, in un'animazione quasi "riflessiva", in un'incredibile attenzione ai gesti quotidiani che scandivano la vita di chi ha vissuto in quell'epoca, in una colonna sonora dal sapore antico. E' dai tempi di Proteggi la mia terra che non provavo una sensazione di nostalgia e di malinconia così forte davanti ad una storia così semplice e delicata. Chissà, forse in una vita passata sono stata davvero giapponese. A prescindere, mi sento davvero di consigliare questo film.
Goro Miyazaki è il regista della pellicola. Figlio di Hayao Miyazaki, ha diretto anche I racconti di Terramare. Giapponese, anche sceneggiatore, ha 45 anni e un film in uscita.
Se La collina dei papaveri vi fosse piaciuto consiglio la visione di altri capolavori dello Studio Ghibli come Kiki consegne a domicilio, Il mio vicino Totoro, Il castello errante di Howl, Princess Mononoke e magari anche Lilo & Stitch, anche se è della Disney. ENJOY!
domenica 20 maggio 2012
Il mio vicino Totoro (1988)
Di ritorno dallo Smack!, la fiera del fumetto di Genova, con un portachiavi dalle fattezze pseudo-feline, non potevo esimermi dal parlare del soggetto del ninnolo in questione, ovvero il meraviglioso film Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro), diretto nel 1988 da Hayao Miyazaki.
Trama: Satsuki e Mei, due bimbe la cui madre è ricoverata da tempo in ospedale, si trasferiscono con il padre in campagna. Lì, fanno amicizia con un peculiare spirito dei boschi, il pacioso Totoro.
Il mio vicino Totoro è per me il film più bello dello Studio Ghibli. Potete dire qualsiasi cosa: è lento, non succede nulla, è un film per bambini. Io risponderò con un bel "chissenefrega", perché lo amo alla follia. E' l'emblema di un tempo più sereno, di un'infanzia lontana, di un momento di pura innocenza in cui contava solo correre, giocare, godersi l'estate e la quiete con le persone più care, di una comunione con la Natura e gli spiriti che la abitano, di un pazzo desiderio di avere un vicino meraviglioso, morbido e magico come Totoro, soprattutto quando la vita ci mostra i denti anche se siamo piccoli e non riusciamo a capire. E' l'unico cartone animato che, mentre lo guardo, riesce a cancellare tutto ciò che mi circonda e a farmi credere di essere accanto a Mei e Satsuki, di poter correre a perdifiato nelle splendide campagne giapponesi, persa in labirinti di alberi e rovi, a ballare attorno ai germogli oppure a bordo di un dolcissimo gattobus. E a compiere una magia simile può riuscirci solo Miyazaki.
Il poeta dell'animazione giapponese prende i dolorosi ricordi della sua infanzia, passata assieme ai suoi fratelli a temere per la vita della madre cagionevole di salute e spesso all'ospedale, e li riversa su pellicola offrendo allo spettatore un piccolo scorcio d'estate, uno sguardo nell'esistenza di due vivaci bimbette. Fin dalla deliziosa sequenza iniziale, nella quale Mei e Satsuki vengono spaventate dai piccoli makkuro kurosuke, il regista ci invita in un mondo dove la realtà e la magia convivono, dove gli spiriti vengono giustamente accettati e rispettati, dove le tradizioni sono più importanti del progresso (non a caso, in tutto il film vediamo solo un antiquatissimo motocarro come mezzo meccanico). Ne Il mio vicino Totoro sono la natura e le stagioni a regolare il ritmo della vita e il vento diventa come musica: una splendida, dolcissima colonna sonora accompagna le immagini che mostrano le foreste e la campagna in tutta la loro la loro imponenza, mentre lo scompiglio delle bimbette e degli spiriti della foresta vengono sottolineati da uno score allegro e quasi infantile, coronato nei titoli di coda dalla canzoncina Tonari no Totoro.
Il film alterna con una naturalezza incredibile piccoli momenti allegri e divertenti, come l'arrivo di Mei e Satsuki nella nuova casa, a grandi momenti di puro stupore e meraviglia, come il primo incontro di Mei con Totoro e i suoi amici spiritelli, l'incredibile, dolcissima sequenza in cui le bimbe fanno amicizia con Totoro sotto la pioggia prestando l'ombrello al gattone e la mirabolante scena notturna in cui gli alberelli crescono fino a diventare un'enorme quercia. Non mancano anche momenti talmente tristi da strappare il cuore, a dimostrazione di come Miyazaki sia riuscito a creare dei personaggi così verosimili da sembrare vivi: sfido chiunque a rimanere impassibili durante la sequenza che precede il momento più drammatico della pellicola, quando la piccola Mei rifiuta l'idea che la madre possa morire e non tornare a casa da lei. E' un pensiero orribile, una presa di coscienza tremenda, resa magnificamente sia dall'animazione perfetta che dalla voce della doppiatrice originale (ecco, non pensate di poter vedere Il mio vicino Totoro doppiato, per cortesia. Il giapponese è una lingua troppo melodiosa e bella per poter essere annullata dal doppiaggio italiano). Ed è per questo, oltre che per l'inaudita tenerezza dello spirito Totoro, che consiglio questo film a grandi e piccoli, per la delicatezza e l'innocenza con cui affronta temi universali e dolorosi. Facendoci sorridere e prendere la vita con leggerezza, per una volta. Un Capolavoro, senza giri di parole.
Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.
Nel 2002 il regista ha realizzato uno spin-off de Il mio vicino Totoro, un corto proiettato solo all'interno del museo dedicato allo Studio Ghibli, dal titolo Mei to Koneko basu (letteralmente, Mei e il piccolo gattobus). Nonostante Totoro sia diventato il simbolo dello Studio Ghibli, alla sua uscita nei cinema giapponesi il film era stato abbinato a Una tomba per le lucciole, diretto da Isaho Takahata, perché si credeva che sarebbe stato un flop commerciale. Il film, effettivamente, ha sfondato solo un paio d'anni dopo, quando i pupazzi di Totoro hanno invaso i negozi giapponesi. Follie nipponiche a parte, se Il mio vicino Totoro vi fosse piaciuto vi consiglio di non perdere altri film meravigliosi dello Studio Ghibli, come Princess Mononoke, La città incantata e Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, solo per citare un paio di titoli (tanto, sono belli tutti!!!). ENJOY!!
Trama: Satsuki e Mei, due bimbe la cui madre è ricoverata da tempo in ospedale, si trasferiscono con il padre in campagna. Lì, fanno amicizia con un peculiare spirito dei boschi, il pacioso Totoro.
Il mio vicino Totoro è per me il film più bello dello Studio Ghibli. Potete dire qualsiasi cosa: è lento, non succede nulla, è un film per bambini. Io risponderò con un bel "chissenefrega", perché lo amo alla follia. E' l'emblema di un tempo più sereno, di un'infanzia lontana, di un momento di pura innocenza in cui contava solo correre, giocare, godersi l'estate e la quiete con le persone più care, di una comunione con la Natura e gli spiriti che la abitano, di un pazzo desiderio di avere un vicino meraviglioso, morbido e magico come Totoro, soprattutto quando la vita ci mostra i denti anche se siamo piccoli e non riusciamo a capire. E' l'unico cartone animato che, mentre lo guardo, riesce a cancellare tutto ciò che mi circonda e a farmi credere di essere accanto a Mei e Satsuki, di poter correre a perdifiato nelle splendide campagne giapponesi, persa in labirinti di alberi e rovi, a ballare attorno ai germogli oppure a bordo di un dolcissimo gattobus. E a compiere una magia simile può riuscirci solo Miyazaki.
Il poeta dell'animazione giapponese prende i dolorosi ricordi della sua infanzia, passata assieme ai suoi fratelli a temere per la vita della madre cagionevole di salute e spesso all'ospedale, e li riversa su pellicola offrendo allo spettatore un piccolo scorcio d'estate, uno sguardo nell'esistenza di due vivaci bimbette. Fin dalla deliziosa sequenza iniziale, nella quale Mei e Satsuki vengono spaventate dai piccoli makkuro kurosuke, il regista ci invita in un mondo dove la realtà e la magia convivono, dove gli spiriti vengono giustamente accettati e rispettati, dove le tradizioni sono più importanti del progresso (non a caso, in tutto il film vediamo solo un antiquatissimo motocarro come mezzo meccanico). Ne Il mio vicino Totoro sono la natura e le stagioni a regolare il ritmo della vita e il vento diventa come musica: una splendida, dolcissima colonna sonora accompagna le immagini che mostrano le foreste e la campagna in tutta la loro la loro imponenza, mentre lo scompiglio delle bimbette e degli spiriti della foresta vengono sottolineati da uno score allegro e quasi infantile, coronato nei titoli di coda dalla canzoncina Tonari no Totoro.
Il film alterna con una naturalezza incredibile piccoli momenti allegri e divertenti, come l'arrivo di Mei e Satsuki nella nuova casa, a grandi momenti di puro stupore e meraviglia, come il primo incontro di Mei con Totoro e i suoi amici spiritelli, l'incredibile, dolcissima sequenza in cui le bimbe fanno amicizia con Totoro sotto la pioggia prestando l'ombrello al gattone e la mirabolante scena notturna in cui gli alberelli crescono fino a diventare un'enorme quercia. Non mancano anche momenti talmente tristi da strappare il cuore, a dimostrazione di come Miyazaki sia riuscito a creare dei personaggi così verosimili da sembrare vivi: sfido chiunque a rimanere impassibili durante la sequenza che precede il momento più drammatico della pellicola, quando la piccola Mei rifiuta l'idea che la madre possa morire e non tornare a casa da lei. E' un pensiero orribile, una presa di coscienza tremenda, resa magnificamente sia dall'animazione perfetta che dalla voce della doppiatrice originale (ecco, non pensate di poter vedere Il mio vicino Totoro doppiato, per cortesia. Il giapponese è una lingua troppo melodiosa e bella per poter essere annullata dal doppiaggio italiano). Ed è per questo, oltre che per l'inaudita tenerezza dello spirito Totoro, che consiglio questo film a grandi e piccoli, per la delicatezza e l'innocenza con cui affronta temi universali e dolorosi. Facendoci sorridere e prendere la vita con leggerezza, per una volta. Un Capolavoro, senza giri di parole.
Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui.
Nel 2002 il regista ha realizzato uno spin-off de Il mio vicino Totoro, un corto proiettato solo all'interno del museo dedicato allo Studio Ghibli, dal titolo Mei to Koneko basu (letteralmente, Mei e il piccolo gattobus). Nonostante Totoro sia diventato il simbolo dello Studio Ghibli, alla sua uscita nei cinema giapponesi il film era stato abbinato a Una tomba per le lucciole, diretto da Isaho Takahata, perché si credeva che sarebbe stato un flop commerciale. Il film, effettivamente, ha sfondato solo un paio d'anni dopo, quando i pupazzi di Totoro hanno invaso i negozi giapponesi. Follie nipponiche a parte, se Il mio vicino Totoro vi fosse piaciuto vi consiglio di non perdere altri film meravigliosi dello Studio Ghibli, come Princess Mononoke, La città incantata e Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, solo per citare un paio di titoli (tanto, sono belli tutti!!!). ENJOY!!
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domenica 23 ottobre 2011
Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento (2010)
Dopo alcuni film trash - horror è giunta l'ora di calmarsi un po' e tornare al lato "kawaii" del Bollalmanacco con il bellissimo Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento (Kari - gurashi no Arietti), diretto nel 2010 da Hiromasa Yonebayashi, uno dei registi in forza allo Studio Ghibli.

Trama: Sho è un ragazzino malato che, poco prima di dover affrontare un importante intervento al cuore, viene ospitato dalla zia nella casa natale della madre. Lì Sho incontrerà Arrietty, una ragazza alta pochi centimetri che vive assieme alla sua famiglia in un mondo in miniatura, sotto il pavimento della casa...

Sarà difficile recensire Arrietty, mi si appanna la vista perché sono ancora commossa e mi magono a ripensare al film. Chiusa la parentesi personale, è innegabile e palese agli occhi di tutti che lo Studio Ghibli ha confezionato un altro piccolo capolavoro. A fronte di una storia davvero semplice (tratta dal romanzo The Borrowers della scrittrice inglese Mary Norton, già portato al cinema nel 1997 con I rubacchiotti) dove effettivamente poco accade, Hayao Miyazaki, qui in veste di sceneggiatore, intesse una trama delicata, fatta di silenzi, di piccole meraviglie e timidi gesti, con il solito tocco di grottesco umorismo e un pizzico di avventura, aggiungendo così un altro tassello alla sua personale poetica. Arrietty non è un anime per bambini, è infinitamente triste e malinconico. Come già in Nausicaa della valle del vento e in altre opere dello Studio Ghibli, si toccano temi difficili come l'estinzione di un'intera razza, la malattia, la solitudine, la difficoltà di conciliare il passato ed il presente, l'incertezza per il futuro che rende dolceamaro anche un apparente happy ending.

Il mondo di Arrietty è meraviglioso e colorato, un piccolo capolavoro di armonia arricchito da una madre divertente ed apprensiva e un padre severo ma giusto; tuttavia è anche un microcosmo isolato, chiuso e fragile, che rischia di venire inghiottito dall'avanzare della mentalità moderna e dall'incapacità che hanno ormai gli umani di sognare ed accettare ciò che è diverso da loro. Sono Sho e la zia che vorrebbero accogliere e proteggere Arrietty e la sua famiglia, il primo perché solo quanto la protagonista e altrettanto fragile, la seconda affascinata dalle storie che le raccontava il nonno, talmente felice dell'esistenza del piccolo popolo da avere costruito una casa in miniatura perfettamente abitabile; dall'altra parte, però, c'è la vecchia Haru, gretta e meschina, colma di rancore per il fatto che Arrietty e la famiglia "prendono in prestito" quello che serve loro per vivere, sottraendolo agli umani. Sono due mentalità che si scontrano, creando quei pericoli tanto temuti dal padre di Arrietty, pericoli che purtroppo rischiano di distruggere il piccolo popolo anche quando le intenzioni degli umani sono buone e dolci quanto una minuscola zolletta di zucchero. La riconciliazione finale, così, risulta ancora più triste perché lo spettatore non ha la certezza che il piccolo popolo sia riuscito a prosperare... più probabile, purtroppo, che sia scomparso come predetto da Sho, fino a diventare leggenda ed eterno ricordo.

Passando ad aspetti più tecnici, l'animazione di Arrietty è magistrale come sempre. Il design della casa delle bambole è incantevole, così come quello del piccolo mondo sotterraneo, colmo di colori, elementi naturali quali foglie, fiori, erbe aromatiche e piccoli tocchi di genio come lo spillo trasformato in spada affilata o l'insettino usato a mo' di palla. Bellissime alcune sequenze, come quella dell'esplorazione notturna della casa, quella iniziale della fuga dal gatto Niya e la malinconica e lunga scena finale che accompagna tutti i titoli di coda, preceduta dalla struggente immagine di Arrietty che, dopo avere "preso" per tutto il film, dona a Sho un portafortuna, quasi a ricostituire l'equilibrio. Ma ciò che contribuisce a rendere Arrietty un piccolo capolavoro è la splendida colonna sonora, affidata alla musicista francese Cécile Corbel, un azzeccatissimo ed evocativo mix di arie celtiche e giapponesi. Insomma, dopo la mezza delusione di Ponyo sulla scogliera lo Studio Ghibli non poteva farmi regalo più bello. Se riuscite ancora a trovarlo in qualche piccolo cinema della vostra zona andate a vederlo: non so se il doppiaggio italiano gli rende giustizia, perché per fortuna io l'ho visto in lingua originale con sottotitoli, ma vale comunque la pena tentare.
Hiromasa Yonebayashi è il regista della pellicola. Giapponese, come regista è alla sua prima esperienza ma ha già collaborato come animatore alla realizzazione di film come Princess Mononoke, La città incantata e Ponyo sulla scogliera. Ha 38 anni.

Se vi fosse piaciuto il film, vi consiglio spassionatamente di guardare Il mio vicino Totoro e La città incantata, i miei due film "ghibliani" preferiti in assoluto. E ora vi lascio con il trailer originale di Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento. ENJOY!! (io intanto cerco i fazzoletti....)
Trama: Sho è un ragazzino malato che, poco prima di dover affrontare un importante intervento al cuore, viene ospitato dalla zia nella casa natale della madre. Lì Sho incontrerà Arrietty, una ragazza alta pochi centimetri che vive assieme alla sua famiglia in un mondo in miniatura, sotto il pavimento della casa...
Sarà difficile recensire Arrietty, mi si appanna la vista perché sono ancora commossa e mi magono a ripensare al film. Chiusa la parentesi personale, è innegabile e palese agli occhi di tutti che lo Studio Ghibli ha confezionato un altro piccolo capolavoro. A fronte di una storia davvero semplice (tratta dal romanzo The Borrowers della scrittrice inglese Mary Norton, già portato al cinema nel 1997 con I rubacchiotti) dove effettivamente poco accade, Hayao Miyazaki, qui in veste di sceneggiatore, intesse una trama delicata, fatta di silenzi, di piccole meraviglie e timidi gesti, con il solito tocco di grottesco umorismo e un pizzico di avventura, aggiungendo così un altro tassello alla sua personale poetica. Arrietty non è un anime per bambini, è infinitamente triste e malinconico. Come già in Nausicaa della valle del vento e in altre opere dello Studio Ghibli, si toccano temi difficili come l'estinzione di un'intera razza, la malattia, la solitudine, la difficoltà di conciliare il passato ed il presente, l'incertezza per il futuro che rende dolceamaro anche un apparente happy ending.
Il mondo di Arrietty è meraviglioso e colorato, un piccolo capolavoro di armonia arricchito da una madre divertente ed apprensiva e un padre severo ma giusto; tuttavia è anche un microcosmo isolato, chiuso e fragile, che rischia di venire inghiottito dall'avanzare della mentalità moderna e dall'incapacità che hanno ormai gli umani di sognare ed accettare ciò che è diverso da loro. Sono Sho e la zia che vorrebbero accogliere e proteggere Arrietty e la sua famiglia, il primo perché solo quanto la protagonista e altrettanto fragile, la seconda affascinata dalle storie che le raccontava il nonno, talmente felice dell'esistenza del piccolo popolo da avere costruito una casa in miniatura perfettamente abitabile; dall'altra parte, però, c'è la vecchia Haru, gretta e meschina, colma di rancore per il fatto che Arrietty e la famiglia "prendono in prestito" quello che serve loro per vivere, sottraendolo agli umani. Sono due mentalità che si scontrano, creando quei pericoli tanto temuti dal padre di Arrietty, pericoli che purtroppo rischiano di distruggere il piccolo popolo anche quando le intenzioni degli umani sono buone e dolci quanto una minuscola zolletta di zucchero. La riconciliazione finale, così, risulta ancora più triste perché lo spettatore non ha la certezza che il piccolo popolo sia riuscito a prosperare... più probabile, purtroppo, che sia scomparso come predetto da Sho, fino a diventare leggenda ed eterno ricordo.
Passando ad aspetti più tecnici, l'animazione di Arrietty è magistrale come sempre. Il design della casa delle bambole è incantevole, così come quello del piccolo mondo sotterraneo, colmo di colori, elementi naturali quali foglie, fiori, erbe aromatiche e piccoli tocchi di genio come lo spillo trasformato in spada affilata o l'insettino usato a mo' di palla. Bellissime alcune sequenze, come quella dell'esplorazione notturna della casa, quella iniziale della fuga dal gatto Niya e la malinconica e lunga scena finale che accompagna tutti i titoli di coda, preceduta dalla struggente immagine di Arrietty che, dopo avere "preso" per tutto il film, dona a Sho un portafortuna, quasi a ricostituire l'equilibrio. Ma ciò che contribuisce a rendere Arrietty un piccolo capolavoro è la splendida colonna sonora, affidata alla musicista francese Cécile Corbel, un azzeccatissimo ed evocativo mix di arie celtiche e giapponesi. Insomma, dopo la mezza delusione di Ponyo sulla scogliera lo Studio Ghibli non poteva farmi regalo più bello. Se riuscite ancora a trovarlo in qualche piccolo cinema della vostra zona andate a vederlo: non so se il doppiaggio italiano gli rende giustizia, perché per fortuna io l'ho visto in lingua originale con sottotitoli, ma vale comunque la pena tentare.
Hiromasa Yonebayashi è il regista della pellicola. Giapponese, come regista è alla sua prima esperienza ma ha già collaborato come animatore alla realizzazione di film come Princess Mononoke, La città incantata e Ponyo sulla scogliera. Ha 38 anni.
Se vi fosse piaciuto il film, vi consiglio spassionatamente di guardare Il mio vicino Totoro e La città incantata, i miei due film "ghibliani" preferiti in assoluto. E ora vi lascio con il trailer originale di Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento. ENJOY!! (io intanto cerco i fazzoletti....)
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