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mercoledì 22 novembre 2023

C'è ancora domani (2023)

A più di due settimane dalla sua uscita, ho trovato finalmente una sera per andare a vedere C'è ancora domani, diretto e co-sceneggiato dalla regista Paola Cortellesi.


Trama: nel 1946, la casalinga Delia vive sbrigando lavori sottopagati e vivendo come una serva per il marito violento. Ma una misteriosa lettera le porterà un briciolo di speranza...


Fantastico. Sono passate più di due settimane e martedì scorso la sala era zeppa, non a livelli di Barbie e Oppenheimer ma, a memoria, non vedevo tanta folla per un film italiano dai tempi di Benvenuti al sud (e quella volta ero andata di sabato, esperienza che ha talmente scioccato i miei genitori da averli spinti a non ritentare mai più un ritorno in sala!). L'accoglienza tributata all'opera prima di Paola Cortellesi ha dell'incredibile, e non è imputabile solo alla fama che l'attrice si è costruita nel tempo, prima quella televisiva come comica ed imitatrice, poi come comprimaria e protagonista di pellicole di vario genere: il passaparola è impietoso, si veda il destino di Marvels, stroncato ancora prima dell'uscita, ma quello positivo e quasi unanime spinge anche chi non bazzica le sale ad alzare il culo dalla poltrona casalinga, anche solo per la curiosità di vedere rispettate le promesse di un trailer intrigante. Per quanto mi riguarda, C'è ancora domani ha tenuto testa sia alle aspettative sia alle mille recensioni positive sbirciate nel corso delle settimane. L'esordio della Cortellesi è un delizioso omaggio al neorealismo rosa, quel genere a cavallo tra il neorealismo e la commedia all'italiana dove venivano toccate questioni sociali legate all'attualità dell'epoca tingendole con un tocco di leggerezza. Si è nell'immediato dopoguerra, Delia è una casalinga costretta a badare al suocero infermo e a fare lavoretti sottopagati per riuscire a mantenere il marito pocofacente e violento; come se non bastasse, dei tre figli toccatile in sorte, due sono dei piccoli mostriciattoli sboccati destinati a diventare come ogni maschio della famiglia, mentre la più grande, Marcella, vive con lei un rapporto conflittuale, viziato da un senso di superiorità provato dalla giovane, disgustata dalla debolezza di una madre che ama ma di cui non capisce le scelte di vita. Il film descrive una realtà per nulla allegra, eppure ogni sequenza viene stemperata da una situazione paradossale, una battuta, una perla di saggezza popolare che sottolineano la natura grottesca della condizione della donna a quei tempi e riverberano sinistramente in un presente dove qualcosa è cambiato, sì, ma troppo è rimasto immutato. Le protagoniste del film, infatti, anche le più "emancipate", subiscono quotidianamente la violenza di non poter scegliere e dover comunque dipendere dagli uomini, sia nel caso di famiglie povere come quella di Delia, sia nel caso di famiglie più abbienti, dove madri e figlie non sono altro che begli accessori o potenziali, ulteriori fonti di reddito; ancor peggio, anche chi è convinta di essere più "furba" e moderna, rischia di non vedere le insidie celate dietro consuetudini talmente radicate da avere perso ogni sfumatura negativa, e di ricadere in ruoli codificati senza neppure accorgersene.


Il pubblico popolare non è esente da questa "codificazione", io compresa. La Cortellesi lo sa e confeziona un film che prende per mano lo spettatore portandolo verso una direzione ben precisa: d'altronde, la regista gioca molto sulle percezioni errate e sulle bugie che si raccontano le persone per sopravvivere, e lo dimostra l'efficace utilizzo della colonna sonora, che trasforma le scene più violente in musicarelli di confronto tra Delia e Ivano, mentre i lividi compaiono o scompaiono a seconda che familiari, amici o semplici conoscenti vogliano o meno vederli. La stessa "ingenuità" con cui vengono messe in scena situazioni di vita talmente tipiche da sembrare quasi farlocche l'ho percepita come la scelta consapevole di cavalcare l'onda di un omaggio nostalgico, di una memoria condivisa sedimentata da anni di film, romanzi e storie raccontate dai nonni, che spinge lo spettatore ad ignorare tanti piccoli indizi buttati lì en passant, finché sul finale si rimane così, in bilico tra il riso e il pianto, piacevolmente gabbati dalla svolta inaspettata presa dalla storia e con la voglia di ricominciare il film da capo. Forse io non faccio testo, perché la Cortellesi mi è sempre piaciuta, ma ho ovviamente apprezzato sia la sua recitazione sia quella degli altri coinvolti, soprattutto quella di un Giorgio Colangeli semplicemente abietto nell'interpretazione del terrificante nonno Ottorino, e mi sono lasciata trasportare dall'atmosfera dolceamara che permea tutto il film, inghiottendo enormi magoni tra una risata e l'altra. Poi, se volete, posso anche dirvi che C'è ancora domani non è un capolavoro e che è zeppo di ingenuità e momenti che scappano anche troppo di mano nella loro assurdità, ma è piacevole da guardare, fa riflettere e sicuramente riesce a ritagliarsi un piccolo spazio di originalità all'interno di una cinematografia italiana fatta di drammoni pesanti come macigni o cretinate senza capo né coda. Magica Paola, col prossimo film, chissà dove arriverai! (semicit.) Personalmente, sono molto curiosa di scoprirlo! 


Della regista e co-sceneggiatrice Paola Cortellesi, che interpreta anche Delia, ho già parlato QUI. Valerio Mastandrea (Ivano) e Giorgio Colangeli (Ottorino) li trovate invece ai rispettivi link.

venerdì 4 gennaio 2019

La Befana vien di notte (2018)

L'ultimo film visto nel 2018 è stato La Befana vien di notte, diretto dal regista Michele Soavi.


Trama: La maestra Paola nasconde un segreto: dopo mezzanotte, si trasforma nella Befana. Quando un bieco produttore di giocattoli decide di rapirla per sostituirsi a lei, un gruppetto di bambini si mette in viaggio per salvarla.



Mi ero fatta attirare dal trailer de La Befana vien di notte grazie a due nomi, quello di Stefano Fresi tra gli interpreti e quello di Michele Soavi alla regia, che si univano al piacere di vedere, per una volta, un film italiano confinante nel fantastico, nella favola con radici popolari. Purtroppo, come spesso accade La Befana vien di notte, pur non essendo completamente da buttare, risente dei soliti problemi del 90% dei film italiani che escono in sala: ha una trama risibile, abbondanza di momenti WTF e, al solito, una pessima recitazione. Ma partiamo dagli aspetti positivi. La Befana vien di notte è il simpatico tentativo di creare una favola "festiva" tutta italiana e basata su una figura del folklore nostrano assai simile a Babbo Natale ma molto più povera: vecchia, brutta, con le scarpe tutte rotte e il vestito alla romana, la Befana è molto meno chic del ciccione rosso e molto più vicina all'idea di strega cattiva che di fatina buona portadoni ma è comunque una figura ancora importante per tutti i bambini italiani, che ogni 6 gennaio appendono calze che la vegliarda riempirà di dolcetti, carbone o un mix di entrambe le cose. Il film si basa su un concetto divertente, ovvero l'idea che la Befana di giorno sia una bella insegnante delle scuole elementari, persino fidanzata, e che passi invece le notti a prepararsi per il fatidico 6 gennaio, organizzandosi tra elenchi, acquisti, pacchetti e quant'altro. Questa vita movimentata e già di per sé non facile viene ulteriormente complicata dal desiderio di vendetta di un produttore di giocattoli, villain sopra le righe, infantile ma malvagio, interpretato magistralmente dal bravo Stefano Fresi: il suo rapimento della Befana spinge un gruppetto di bambini (novelli Goonies, poi ci torniamo) a mettersi in viaggio per salvare la vegliarda, un'esperienza non priva di pericoli che ovviamente arriverà a migliorare il carattere del bambino cattivo di turno e a cementare i rapporti tra quelli più "buoni". La storia, insomma, è tutta qui. Purtroppo la maggior parte del film è imperniata sulla spedizione dei ragazzini, che pesa come un macigno accompagnata da una canzoncina inascoltabile, quando invece il bello de La Befana vien di notte è un secondo tempo più concitato, dove abbondano atmosfere misteriose e un po' più horror lasciate nelle mani capaci di Michele Soavi, sempre a suo agio negli ambienti tetri e gotici (alcune scene sono davvero belle ed emozionanti, come quella della pressa o quella del rogo, per non parlare della bellezza del rifugio sotterraneo della Befana), e dell'ambigua figura di un cacciatore senza scrupoli. Ahimé, anche in questo caso i realizzatori si sono impegnati a buttare il tutto in caciara ed ecco che finiscono gli aspetti positivi del film. Cominciamo ora con le dolenti note.


La Befana vien di notte è la "risposta" italiana a I Goonies ma senza una minima pretesa di realismo e soprattutto senza la voglia di andare oltre un mero scimmiottamento del genere. E' vero, di realismo non si può parlare in un film dove una vecchia volante porta doni di notte ma se negli anni '80 i realizzatori de I Goonies si erano comunque impegnati a rendere verosimile un viaggio in bicicletta verso un luogo raggiungibile in un paio d'ore qui parliamo di bambini che, nelle innevate strade del Trentino, inforcano le bici per raggiungere un rifugio in cima a una montagna e ci mettono un giorno e una notte, trovando anche il tempo di costruire una "nave-slitta" (ovviamente grazie all'ingegno di un novello Data, dai tratti orientali anche lui) e di essere molto ma molto più veloci di un Hammer. Del tizio travestito da dinosauro non mi sento di parlare, quello è stato la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di orripilanti droni volanti, il nadir di un comparto effetti speciali altrimenti valido. Non così per gli attori, ahimé. Io mi domando perché serie come Stranger Things o la nostrana L'amica geniale vantino un comparto di giovani "promesse" che offrono allo spettatore l'illusione di avere davanti stralci di vita reale, mentre ne La Befana vien di notte i ragazzini protagonisti sembrano leggere il testo inverosimile di una recita di Natale; non è solo il fatto che recitano male (la mocciosetta bionda e il cretinetto cattivo vincono la palma d'oro della mediocrità) ma i dialoghi stessi stonano in bocca a dei bambini. Cioé, questi dovrebbero fare la quinta elementare e parlano o come libri stampati oppure disquisiscono di baci con la lingua mentre spiano le coetanee col reggiseno sciorinando dialoghi che nemmeno Jerry Calà ai bei tempi andati? Che orrore. E mi dispiace dirlo ma l'altro neo è la pur brava Paola Cortellesi la quale, a differenza di uno Stefano Fresi molto naturale, recita in maniera impostata, come se fosse sul palcoscenico di un teatro invece che in un film, soprattutto durante i momenti più "drammatici": guardare la Befana implorare per la propria vita e farsi venire in mente gli sketch di Magica Trippy non è proprio la cosa ideale mentre ci si trova davanti a una situazione potenzialmente pericolosa. Quindi, anche stavolta, la possibilità di avere qualcosa di fresco e nuovo come un Tito e gli alieni è sfumata lasciando solo un grande amaro in bocca e la speranza (vana, lo so) che Soavi torni a fare un bell'horror come si deve, lasciando stare la TV e i filmetti per bambini.


Del regista Michele Soavi ho già parlato QUI mentre Stefano Fresi, che interpreta Mr. Johnny, lo trovate QUA.

Paola Cortellesi interpreta Paola e la Befana. Nata a Roma, la ricordo per film come Chiedimi se sono felice, Natale a Casa Deejay, Tu la conosci Claudia?, Nessuno mi può giudicare e Come un gatto in tangenziale. Anche sceneggiatrice e cantante, ha 45 anni e un film in uscita.


Se La Befana vien di notte vi fosse piaciuto recuperate I Goonies, E.T. L'extraterrestre e persino Scuola di mostri, poi ne riparliamo. ENJOY!




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