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mercoledì 8 gennaio 2025

Maria (2024)

Un altro film che non volevo assolutamente perdere la prima settimana dell'anno era Maria, diretto dal regista Pablo Larraín.


Trama: il film ripercorre gli ultimi sette giorni di vita di Maria Callas, tra allucinazioni e dolorosi ricordi...


Dopo Jackie e Spencer, Pablo Larraín si cimenta con un'altra dea, anzi, con LA Divina per eccellenza, la soprano Maria Callas. Ora, a scanso di equivoci, io non so nulla né della Callas né dell'opera, mi limito a canticchiare talvolta le arie più famose senza, peraltro, saperle collocare o dare loro dei titoli, e l'unica opera alla quale abbia mai assistito è l'Aida. Nonostante questo, sono anche una di quelle persone particolarmente sensibili al canto lirico, che mi provoca brividi lungo la schiena e mi lascia lì, incantata e a bocca aperta. Guardando Maria, ho provato queste sensazioni per un buon 70% della sua durata; questo perché, come ho scoperto leggendo un paio di articoli a tema, è vero che nel corso della maggior parte del film la voce reale della Callas è stata sovrapposta a quella della Jolie, ma l'attrice ha preso mesi di lezioni e lo sforzo nel canto è visibile, così come il sentimento, il trasporto infuso in esso, finché, sul finale, si possono udire i risultati di tutto il suo impegno, senza ausilio della tecnologia, o quasi. Dunque, ho avuto brividi dall'inizio alla fine di Maria, e mi sono commossa più volte, e non poteva essere altrimenti. Maria non è un film biografico, è letteralmente un'opera in tre atti, più curtain call finale, nella quale l'attrice si confronta con in fantasmi del suo passato e si fa fantasma lei stessa. C'è ben poco di realistico in ciò che si vede sul grande schermo. Ogni cosa, persino il quotidiano con due servitori buoni che sembrano quasi archetipi teatrali, più che persone vere, è filtrato dallo sguardo di una donna che ha vissuto per il bel canto e per la musica fino a diventarne schiava, prigioniera di una gabbia dorata oltre la quale non c'è vita, non c'è la Divina Callas, ma solo l'anonima "Maria". All'inizio del film, la protagonista è morta. La sceneggiatura e la regia confezionano una ghost story in cui la Callas ripercorre gli ultimi giorni della sua vita in forma di intervista per un documentario immaginario, durante i quali non esiste una dimensione temporale definita; come un fantasma, la Divina "infesta" i luoghi a lei più cari, quali l'appartamento di Parigi e il teatro di prova, e passeggia per una Ville Lumière che diventa, alternativamente, un paradiso fatto di visioni di un glorioso passato, o un inferno in cui la protagonista è costretta a rivivere i momenti più dolorosi della sua vita o ad essere apostrofata con violenza da sconosciuti arroganti che vedono le loro aspettative tradite. Lo spettatore viene messo di fronte a una fragilità estrema dissimulata da un carattere forte, volitivo e, talvolta, insopportabile, capricci che diventano reazione al tradimento di un corpo (rivelatosi men che divino) incapace di stare dietro al desiderio della diva di cantare, proprio nel momento in cui il canto sarebbe nato non da necessità, ma da pura volontà, da puro amore.  


La regia di Larraín asseconda la sceneggiatura di Steven Knight creando non-luoghi dall'impianto teatrale squisito e dà vita alle visioni della protagonista, trasformando le vie di Parigi in sontuosi palcoscenici pieni di comparse pronte a mettersi a fare da coro alla Divina, oppure rievocando l'elegante bianco e nero di patinati cinegiornali, nel corso dei quali viene messo in scena il legame tra la Callas e il magnate Aristotele Onassis (fun fact: tra il primo e il secondo tempo c'è stato il delirio di gente, compresa me, impegnata a cercare su wikipedia dettagli scandalistici d'epoca, ché io Onassis lo ricordavo solo con Jackie Kennedy, giusto per ribadire ancora una volta la mia ignoranza!). Questa fusione continua di realtà, visioni, finti documentari e riproposizioni di spettacoli iconici mi ha ipnotizzata tanto quanto l'eleganza, l'alterigia con la quale Angelina Jolie ha rappresentato la "sua" Callas. Non sono mai andata matta per la Jolie, ma stavolta non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo; la potenza della sua interpretazione ha spazzato via anche il doppiaggio italiano, peraltro abbastanza valido, e mi ha trasportata sull'onda di un'altalena di sentimenti contrastanti, alimentati anche dallo splendido uso della colonna sonora, che mi ha annientata poco prima del finale con quel E lucevan le stelle piazzato a tradimento. La Jolie, peraltro, è l'unica attrice femminile degna di nota nel cast, che rappresenta un piccolo ma significativo neo all'interno di un film che ho trovato, altrimenti, ineccepibile. Alba Rohrwacher nei panni della governante e Valeria Golino in quelli della sorella della Callas, infatti, sono da latte alle ginocchia pur essendosi ridoppiate, per fortuna il tenerissimo Favino (ormai sempre più simile a Braccobaldo Bau) e l'affascinante Kodi Smit-McPhee, coi suoi occhi asimmetrici, sono due spalle perfette per la protagonista, e riescono ad arricchirne di ulteriori sfumature la potente interpretazione . Insomma, partivo prevenuta e convinta di addormentarmi in sala, ma mi sono trovata davanti un film meraviglioso. Vi consiglio, dunque, di liberarvi dai pregiudizi e di tentare la visione di Maria, potreste rimanere sorpresi!


Del regista Pablo Larraín ho già parlato QUI. Angelina Jolie (Maria Callas), Pierfrancesco Favino (Ferruccio), Alba Rohrwacher (Bruna), Kodi Smit-McPhee (Mandrax) e Valeria Golino (Yakinthi Callas) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Maria vi fosse piaciuto recuperate Jackie e Spencer. ENJOY!

venerdì 8 aprile 2022

La figlia oscura (2021)

Apparso come una meteora il 31 dicembre su Netflix, dov'è rimasto solo per 24 ore, è uscito ieri al cinema La figlia oscura (The Lost Daughter), diretto e sceneggiato nel 2021 dalla regista Maggie Gyllenhaal a partire dal romanzo omonimo di Elena Ferrante.


Trama: Leda è una professoressa di lingue e traduttrice in vacanza in un'isola della Grecia. Lì, l'arrivo della giovane Nina e della sua famiglia scatena nella donna dolorosi ricordi...


Lungi da me voler fare la splendida, ma non sapevo affatto che La figlia oscura fosse stato tratto da un libro della Ferrante e mi è venuto da ridere quando, guardando il film, ho pensato "sembra uno spin-off de L'amica geniale" solo per poi scoprire che, effettivamente, l'autrice era la stessa. Lungi da me passare anche per esperta di Elena Ferrante, visto che ho letto solo la già citata quadrilogia de L'amica geniale, eppure il modo in cui l'autrice riesce a parlare di donne soffocate dalle convenzioni della società è facilmente riconoscibile e, oserei dire, unico. Come Lina e Lenù, anche Leda è una donna dal passato zeppo di dolore e rimpianto, a cui guarda, in età già matura, dopo l'incontro con la giovane Nina e la figlioletta Elena; giovane promessa della letteratura e della traduzione, Leda ha vissuto gli anni dell'affermazione professionale "schiacciata" dalla presenza di due bambine piccole e di un marito dal futuro promettente ma incerto quanto il suo, in un torbido miscuglio di amore per la famiglia e desiderio di essere libera e affermata senza essere limitata dal ruolo di madre e moglie. Da donna priva di figli e non ancora sposata, non posso che apprezzare il modo in cui la Ferrante (e in questo caso la Gyllenhaal, che ne accoglie il punto di vista riportandolo sullo schermo) tratteggia queste donne che vivono nella vergogna di avere desideri egoistici ai quali si abbandonano con un costante senso di colpa a pungolarle, dolorosamente consapevoli di quello che la società pretende da loro e straziate dall'innegabile sentimento di amore profondo e odio infastidito che alternativamente provano davanti alle creature che hanno messo al mondo; ipocritamente, penso ogni volta "ma guarda tu sta stronza", per poi sciogliermi in lacrime pensando "ma poveraccia, che vita orribile", presa dallo stesso dilemma sociale e morale di queste donne complicate e fragili, dalla psiche spesso appesa a un filo.


La figlia oscura
, a scanso di equivoci, è "solo questo". Nonostante il titolo inquietante, che evoca l'idea di un thriller psicologico, è la storia di una donna in vacanza che commette un solo, grande errore nel corso della stessa, un errore che la distanzia anche da chi vorrebbe la capisse, quella giovane mamma intrappolata da una famiglia che veglia su di lei e sulla sua bambina senza lasciarle un attimo di respiro. La regia evocativa della Gyllenhaal trasforma la rilassante vacanza nell'assolata Grecia in un angosciante limbo all'interno del quale passato e presente si fondono e la fragilità mentale si fa anche fisica, tra sprazzi di vicende che hanno ormai acquisito i contorni di un sogno (o un incubo) e una realtà "nemica", dove ogni cosa può essere fonte di fastidio, se non addirittura di pericolo; il montaggio di Affonso Gonçalves, già abituato a narrazioni simili, rende i passaggi tra presente e passato incredibilmente fluidi e naturali e, nonostante questo, riesce a trasmettere allo spettatore la stessa confusa inquietudine di cui è preda Leda. Il punto di forza de La figlia oscura, tuttavia, sono state per me le interpretazioni. Olivia Colman è da anni una certezza e ho amato tantissimo la fragilità che la sua Leda cerca di dissimulare con un atteggiamento consapevole e spavaldo, le sue chiacchiere "impanicate" e la sua profonda tristezza, ma la sorpresa del film è stata Jessie Buckley, che interpreta Leda da giovane conferendole quel fascino "scazzato" tipico dei personaggi della Ferrante, offrendo il ritratto di una donna carismatica ma dalle profonde insicurezze, capace di grandi gesti di affetto e anche di crudeltà inaudita (lo so, io che non ho figli dovrei stare zitta, ma davanti alla bambina che chiede semplicemente un bacino sul dito tagliato mentre la madre nemmeno la guarda, ho provato l'insana voglia di strozzare Leda). Come avrete capito, La figlia oscura è uno di quei slow burn psicologici in cui succede davvero poco o nulla e che chiede allo spettatore di lasciarsi trasportare dall'atmosfera; a me è piaciuto parecchio ma se non amate questo genere di film state lontani chilometri. 


Della regista e co-sceneggiatrice Maggie Gyllenhaal ho già parlato QUI. Olivia Colman (Leda), Dakota Johnson (Nina), Ed Harris (Lyle), Peter Sarsgaard (Professor Hardy) e Alba Rohrwacher (escursionista) li trovate invece ai rispettivi link.

Jessie Buckley interpreta Leda da giovane. Irlandese, ha partecipato a film come Judy, Sto pensando di finirla qui e a serie quali Chernobyl e Fargo. Anche cantante, ha 33 anni e due film in uscita. 


Oliver Jackson-Cohen interpreta Toni. Inglese, lo ricordo per film come The Raven, L'uomo invisibile e per le serie Hill House, The Haunting of Bly Manor. Ha 36 anni e due film in uscita. 





venerdì 19 gennaio 2018

Perfetti sconosciuti (2016)

E così ci sono cascata anche io. Qualche sera fa hanno passato su Canale 5, in prima serata, il film Perfetti sconosciuti, diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Paolo Genovese e, spinta dall'entusiasmo di chiunque (o quasi) lo avesse visto ho deciso di piazzarmi sul divano e dargli una chance...


Trama: Sette amici si ritrovano a cena e decidono di fare un gioco: tutti loro dovranno lasciare sul tavolo i cellulari e leggere ad alta voce eventuali messaggi, oltre a rispondere alle chiamate in viva voce. Ovviamente nel corso della serata verranno fuori segreti inconfessabili...


Prima di addentrarmi nella "recensione" di Perfetti sconosciuti, permettetemi di spendere due parole sulla TV italiana e sulle condizioni dello spettatore medio, trattato al pari di un bibino. Nel 2016 quasi tutti i premi importanti dei festival italiani (David di Donatello, Nastri d'argento, Globi e Ciak d'oro) sono finiti in mano a Perfetti sconosciuti e a Paolo Genovese, inoltre quell'anno il film è arrivato secondo negli incassi dei film italiani, subito dopo Quo Vado?. Mediaset, considerata la memoria da pesce rosso del 90% degli spettatori, ha scelto non già di sottolineare le due cose con qualche pubblicità ad hoc (chissene dei premi vinti da un film...), ma di far confezionare ai giornalisti del TG5 un paio di servizi dedicati alle cause di divorzio in Italia, sottolineando come ora le chat dei telefonini siano mezzi perfettamente legali per comprovare l'infedeltà e aggiungendo che "il film che andrà in onda stasera parla proprio di questo, GUARDATE PERFETTI SCONOSCIUTI". Oh, mica un servizio, eh. DUE. Uno alle 13 e uno alle 20, peraltro identici tra loro. Con l'espressione da "mecojoni" tipica di Michelle Obama ho pensato che il film di Genovese dovesse essere come minimo spettacolare visto anche che chiunque, su Facebook, ha cominciato a consigliarmelo nel pomeriggio, un po' com'era successo il giorno della prima TV di La grande bellezza. Giunto il momento fatidico, ovvero le ore 21.20 (come indicato in qualsiasi guida TV on line), mi sono messa sul divano e lì ho ricordato perché non guardo più un film in TV da anni: ho infatti dovuto sopportare MEZZ'ORA di Striscia la Notizia/Paperissima e altrettanta pubblicità. A quel punto stavo già schiumando come un Antico qualsiasi, finché il film non è cominciato alle 21.50... ed è durato dieci minuti, seguito da altri cinque minuti e fischia di pubblicità. In quel momento il mio livello di bestemmia era fuori scala e non posso negare che "forse" tutta 'sta camurria mediasettara mi abbia maldisposto verso un film che, porca miseria, si è rivelato nulla più di una commediola con settemila difetti anche a voler sorvolare sul fatto che metà degli attori biascica (sull'accento romano non mi esprimo anche perché a me personalmente non dispiace, tra l'altro il film è ambientato a Roma), cosa che mi ha costretta a chiedere a Mirco silenzio assoluto giusto per non essere costretta a mettere i sottotitoli.


Ma cosa c'è dunque in Perfetti sconosciuti capace di inchiodare alle poltrone un'intera Nazione, scomodare psicologi, mandare in sbattimento i giornalisti e generare un'infinità di remake all'estero? Boh, me fallit. Giuro, non capisco l'entusiasmo. Innanzitutto il film è assai simile al francese Cena tra amici (vi prego di non scomodare MAI più Carnage, grazie), con la differenza che nella commedia d'oltralpe gli amici cominciano ad insultarsi dopo un paio di minuti con dialoghi al fulmicotone che non mostrano il fianco nemmeno a un attimo di noia, qui prima di arrivare a qualcosa di "sostanzioso" passa un'ora in cui il massimo dell'orrore è scoprire che l'amico ciccio (Battiston, una spanna sopra gli altri attori) non viene invitato alle partitelle di calcio oppure stilare il menu della cena, comprendente antipasto, gnocchi alla romana, polpettone e tiramisù, al quale immagino sia seguito Maalox per tutti perché alla faccia della leggerezza! Quando gli argomenti cominciano a farsi "consistenti" allora il film ingrana, ovviamente nella misura in cui mi consentirà d'ora in poi di mandare al Diavolo chi dovesse accusare gli horror di avere dei protagonisti cretini che fanno scelte insensate. Per esempio (e scelgo giusto il più eclatante), spiegatemi perché la mia suspension of disbelief non dovrebbe ridere in faccia a chiunque accetti che Cosimo, dopo che la merda ha già ampiamente colpito il ventilatore, decida di continuare il gioco rispondendo col vivavoce ad una chiamata potenzialmente compromettente. Ma al diavolo "il gioco", per cortesia! S'è già sfasciato un matrimonio per colpa dell'idea cretina della Smutniak, vuoi davvero dirmi che bisogna continuare a rispettare le regole? Alla faccia della scrittura facilona! E come "contrappasso" per un'unica sequenza davvero toccante e profonda, quella in cui si parla di "froci" e in cui un paio di personaggi scoprono la piccineria di coloro che pensavano amici da una vita, ecco arrivare la paraculata finale in pieno stile Sogno di una notte di mezza estate, durante la quale si arriva a "capire" la funzione di un'eclissi lunare altrimenti inutile, oltre che realizzata con photoshop. Insomma, un coacervo di banalità prive di coraggio, buono solo per eccitare/scandalizzare i salottini dei buoni borghesi, da raccontare dal parrucchiere per poi sghignazzare pensando "uh, pensa se capitasse a me!", con attori bravi ma non indimenticabili e comunque belli comodi nei ruoli a loro più congeniali. Insomma, una delusione di diludendo. Spero vivamente che con un soggetto simile de la Iglesia possa tirare fuori una delle sue belle satire corrosive e violente, sarebbe l'unico modo che avrei di apprezzare l'altrimenti inspiegabile successo di Perfetti sconosciuti.


Di Anna Foglietta (Carlotta), Edoardo Leo (Cosimo) e Alba Rohrwacher (Bianca) ho già parlato ai rispettivi link.

Paolo Genovese è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come La banda dei Babbi Natale, Immaturi, Immaturi - Il viaggio, Tutta colpa di Freud e The Place. Ha 51 anni.


Giuseppe Battiston interpreta Peppe. Nato a Udine, ha partecipato a film come Pane e tulipani, Chiedimi se sono felice, La meglio gioventù, La tigre e la neve, Zoran, il mio nipote scemo, Finché c'è prosecco c'è speranza e a serie quali Tutti pazzi per amore. Anche sceneggiatore, ha 49 anni e quattro film in uscita.


Marco Giallini interpreta Rocco. Nato a Roma, lo ricordo per film come Almost Blue, Non ti muovere, ACAB - All Cops Are Bastards, Tutta colpa di Freud e The Place, inoltre ha partecipato a serie quali Boris, Romanzo criminale - La serie, Rocco Schiavone e al corto Basette. Ha 54 anni e tre film in uscita.


Valerio Mastandrea interpreta Lele. Nato a Roma, lo ricordo per film come Palermo Milano sola andata, Zora la vampira, Nessuno mi può giudicare e The Place, inoltre ha partecipato a serie quali I ragazzi del muretto, Boris, Tutti pazzi per amore e al corto Basette. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 45 anni e tre film in uscita.


Kasia Smutniak interpreta Eva. Polacca, ha partecipato a film come Barbarossa, Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu e Volare - La grande storia di Domenico Modugno. Ha 38 anni e un film in uscita.


Perfetti sconosciuti ha avuto così tanto successo in Italia da essere diventato appetibile anche all'estero: in Grecia è uscito lo stesso anno un remake col titolo identico, a dicembre è arrivato in Spagna de la Iglesia col suo Perfectos Desconocidos e a ottobre dovrebbe uscire in Francia Le jeu, sempre basato sulla stessa sceneggiatura. Nell'attesa di recuperare almeno de la Iglesia, se Perfetti sconosciuti vi fosse piaciuto guardate Cena tra amici . ENJOY!

venerdì 22 maggio 2015

Il racconto dei racconti (2015)

Approfittando dell'insperata fortuna di trovarmi davanti una settimana ricca per quel che riguarda la programmazione cinematografica savonese, martedì sono andata a vedere Il racconto dei racconti, diretto e co-sceneggiato dal regista Matteo Garrone partendo da tre novelle contenute nell'opera omonima di Giambattista Basile.


Trama: in tre diversi regni vicini, una regina desidera ardentemente rimanere incinta, una principessa viene data in sposa ad un orco e un re si innamora perdutamente di una vecchia, ingannato dalla sua splendida voce..


In questi giorni il Cinema mi sta davvero regalando delle gioie. Prima c'è stato il trionfo di Mad Max: Fury Road, ora lo splendore visivo di questo Il racconto dei racconti, un film talmente bello da non sembrare nemmeno italiano. E invece, per fortuna, a parte gli attori principali (e la splendida fotografia di Peter Suschitzky) con l'ultima pellicola di Garrone si gioca interamente in casa e finalmente possiamo vantarci di quella Bella Italia che dovrebbe essere il nostro fiore all'occhiello nonché il nostro schiaffo morale agli occhi del mondo intero: i personaggi da fiaba de Il racconto dei racconti vivono, soffrono e soprattutto sbagliano nelle magnifiche stanze del Castello di Sammezzano, nel verde del bosco monumentale di Sasseto, tra le mura del Castello di Donnafugata, sulle rocce mozzafiato dove s'arrocca il Castello di Roccascalegna, nelle acque misteriose delle Gole dell'Alcantara, tra le strettissime pareti di roccia di Sovana e Sorano, solo per citare i luoghi che mi sono rimasti più impressi. I re e le principesse che rivivono sul grande schermo indossano abiti sfarzosi, talmente ricchi da lasciare senza parole, e interagiscono con creature fuori dall'immaginazione, le più belle che abbia mai visto in un film italiano: il mostro che sul finale attacca gli albini Eliah e Jonas è un incubo degno di Guillermo Del Toro e il drago che si vede all'inizio è molto, molto più realistico e delicato di quanto potrà mai essere lo Smaug della WETA, per non parlare della raccapricciante pulce formato famiglia del Re di Altomonte, talmente ben fatta da indurre a temere che possa uscire dallo schermo da un momento all'altro. Tutto questo orgoglioso sfoggio di artigianalità italiana viene amalgamato dalla sapiente regia di Garrone, che smussa alcuni difetti e lungaggini insite nella trama regalandoci immagini da imprimere nella mente per non scordarle mai più, in un continuo alternarsi di poesia e trivio, di allegra luce e triste oscurità, di commozione e risate, mentre l'evocativa colonna sonora di Alexandre Desplat culla l'orecchio dello spettatore trasportandolo inconsapevole all'interno di questo mondo che affonda le radici in un passato mai esistito e allo stesso tempo terribilmente familiare.


Avrete notato che, a differenza degli altri post, ho cominciato a parlare de Il racconto dei racconti partendo dalla tecnica mirabolante con cui è stato confezionato. Questo perché, onestamente, mi hanno catturata più le immagini del contenuto ma anche i tre racconti scelti non mi hanno lasciata indifferente, anzi. Finalmente, qualcuno ha avuto le palle di voltare le spalle alla "lezione Disney" e di proporre al pubblico delle fiabe senza snaturarle, lasciando intatta la loro ingenuità e soprattutto la loro terrificante crudeltà. Genitori alla lettura, non azzardatevi a portare i bambini a vedere Il racconto dei racconti: al di là di alcune immagini che ho trovato paurose persino io e di qualche nudo frontal-posteriore (sia benedetto Vincent Cassel e la sua chiappa d'oro) le tre storie selezionate dal cosiddetto "Pentamerone" sono angoscianti perché gettano in faccia allo spettatore tutta la pochezza della razza umana senza alcuna morale di fondo, lasciando i personaggi a subire un triste o mortale destino a causa dell'egoismo e dell'avidità di chi dovrebbe proteggerli e amarli. La regina che non può avere figli e la vecchia Dora sarebbero dei personaggi verso i quali provare pietà ma i loro desideri sono talmente violenti (come giustamente dice l'evocativo Necromante di Franco Pistoni) e loro talmente prive di scrupoli nel tentare di realizzarli che automaticamente la pietà si trasforma in repulsione, soprattutto quando la loro arroganza arriva a danneggiare i più deboli. La regina di Salma Hayek e la vecchia Dora sono due protagoniste complesse e sono in grado di suscitare sentimenti ambivalenti ma la storia che più mi ha toccata nel profondo, facendomi uscire dal cinema con un magone devastante, è quella che racconta di come il Re di Altomonte abbia dato in sposa la figlia Viola ad un orco, un racconto in cui la stupida freddezza di un solo uomo (che preferisce dare attenzioni ad una pulce piuttosto che alla figlia) causa l'infelicità e la morte anche di chi, pur essendo normalmente additato come "malvagio", non avrebbe sicuramente meritato una simile sorte. E qui mi fermo, altrimenti rischio di incappare nei tanto odiati spoiler. Voi invece non lasciatevi scoraggiare da eventuali recensioni tiepide e andate a vedere questo trionfo di fantasia e fiaba tutto italiano: vi assicuro che nessun blockbuster fantasy d'oltreoceano vi lascerà in bocca lo stesso gusto dolceamaro e nostalgico de Il racconto dei racconti!


Di Salma Hayek (Regina di Selvascura), Vincent Cassel (Re di Roccaforte), Toby Jones (Re di Altomonte) e John C. Reilly (Re di Selvascura) ho già parlato ai rispettivi link.

Matteo Garrone è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Originario di Roma, ha diretto film come L'imbalsamatore, Gomorra e Reality. Anche produttore e attore, ha 47 anni.


Shirley Henderson interpreta Imma. Scozzese, ha partecipato a film come Rob Roy, Trainspotting, Il diario di Bridget Jones, Harry Potter e la camera dei segreti, Che pasticcio Bridget Jones!, Harry Potter e il calice di fuoco, Marie Antoinette, Lo schiaccianoci 3D, Anna Karenina e a serie come Doctor Who. Ha 50 anni e un film in uscita.


Alba Rohrwacher interpreta la padrona del circo. Originaria di Firenze, ha partecipato a film come Melissa P., Mio fratello è figlio unico, Caos calmo, La solitudine dei numeri primi, Bella addormentata e Hungry Hearts. Ha 36 anni e tre film in uscita.


Massimo Ceccherini interpreta il padrone del circo. Originario di Firenze, lo ricordo per film come S.P.Q.R. 2000 e 1/2 anni fa, Cari fottutissimi amici, I laureati, Il ciclone, Fuochi d'artificio, Viola bacia tutti, Lucignolo e Faccia di Picasso. Anche regista e sceneggiatore, ha 50 anni.


Stacy Martin, che interpreta la giovane Dora, era la giovane Joe in Nymphomaniac mentre il Necromante altri non è che il meraviglioso Iettatore di Avanti un altro, alias Franco Pistoni. ENJOY!

Qui trovate la recensione di Lucia e quella de I 400 calci, con le quali mi trovo assolutamente d'accordo!

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