Trama: malato di cancro e con un figlio scapestrato, Ip Man vola a Los Angeles per cercare di iscrivere il ragazzo a una prestigiosa scuola ma si ritroverà preso in mezzo nella guerra tra abitanti di Chinatown e Marines.
Di sicuro non sono la persona adatta per parlare con cognizione di causa di una saga come quella di Ip Man. Penso infatti di aver guardato solo il primo film, di cui ho anche parlato sul blog, di aver dormito per buona parte del secondo e di essermi risvegliata al terzo solo quando è comparso Tyson. Da quello che ho capito sono versioni molto romanzate della vita del leggendario shifu Ip Man, atte sempre e comunque a magnificare la bontà del popolo cinese e a conferire a costui un'aura semidivina, enfatizzata dall'eleganza dignitosissima di un Donnie Yen che in questo personaggio ha palesemente creduto tantissimo. In questo caso l'accuratezza storica è stata proprio gettata alle ortiche visto che Ip Man in America non ci è mai andato, tanto meno ad incontrare Bruce Lee che, sì, è stato suo allievo ma per poco tempo, e la trama è un mero pretesto per conferire a una vicenda ambientata negli anni '60 un'aura infinitamente anni '80, dove i personaggi sono talmente tagliati con l'accetta che non ci si può credere e c'è un gigantesco divario tra cinesi (tutti buoni, al netto dei loro difetti, al massimo giusto un po' strafottenti - alcuni - da pensare di poter criticare Ip Man) e americani (tutti, indistintamente, merde razziste, a partire dalla ragazzina wasp inviperita per aver visto una cinese soffiarle il posto di cheerleader fino ad arrivare al capomarine stronzo il quale, oltre ad essere un maledetto americano razzista, proclama persino la superiorità del karate giapponese sul kung fu cinese. Doppiamente schifoso!). In mezzo a questa faida si inserisce il dramma umano di Ip Man, costretto ad elemosinare raccomandazioni per un figlio che lo odia e a destreggiarsi tra gente che lo disprezza, i connazionali perché lo collegano al "venduto" Bruce Lee e gli americani perché è un maledetto muso giallo potenzialmente immigrato illegale.
Inutile dire che una profana come me un film simile lo guarda giusto per godersi le coreografie di Yuen Woo-Ping, ovviamente dopo aver preso a calci la propria sospensione d'incredulità e le leggi della fisica tutta. Particolarmente apprezzati, in questo quarto capitolo, lo scontro "da seduti" a un tavolo rotante cinese che (come buona parte del mobilio) fa una bruttissima fine, la sboroneria di un simil-Zangief che si scontra con un tamarrissimo Bruce Lee che compare giusto il tempo di fargli il mazzo, la sciura cinese contro un altro zamarro occidentale in kimono e, ovviamente, ogni momento "di menare" in cui compare Scott Adkins, impressionante nella sua fisicità violenta quando si avventa contro fragili cinesi (i quali, a onor del vero, lo riducono talvolta a più miti consigli). In particolare, il personaggio di Adkins è così sfacciatamente stronzo che al confronto il sergente maggiore Hartman, peraltro omaggiato all'interno del film, era un pezzetto di pane. Soprattutto, grazie a Kubrick, non menava come un fabbro ferraio mentre invece Adkins gode proprio nel mostrare che il suo karate è molto più forte rispetto al kung fu cinese. Gli appassionati mi vogliano perdonare un post così leggero e goliardico; si consolino pensando che, sul finale, una lacrimuccia di commozione è scesa persino a me, nonostante tutto.
Del regista Wilson Yip ho già parlato QUI. Donnie Yen (Ip Man) e Scott Adkins (Barton Geddes) li trovate invece ai rispettivi link.
Il film è il capitolo finale della serie Ip Man, che comprende tre film riuniti in un flashback finale. Vi consiglio ovviamente di vederli tutti, se vi piace il genere. ENJOY!
Ritengo che Donnie Yen sia un altro di quegli attori immortali che rimangono sempre ugual oppure migliorano, come Keanu Reeves XD
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