Su Netflix si può trovare uno dei candidati all'Oscar per la miglior sceneggiatura, ovvero La tigre bianca (The White Tiger), diretto e co-sceneggiato dal regista Ramin Bahrani e tratto dal romanzo omonimo di Aravind Adiga.
Trama: Balram, nato in un villaggio poverissimo e appartenente a una casta inferiore, riesce a diventare l'autista del figlio di un grande proprietario terriero e cerca di dare la scalata alla piramide sociale indiana...
La tigre bianca lo puntavo da qualche mese, perché era comparso tra i film consigliati sul sito
Imdb, ma alla fine avevo rimandato la visione presa da altre pellicole più "pressanti". L'ho recuperato in vista degli Oscar e non me ne sono pentita, anzi, vi dirò che ho preferito questo semi-sconosciuto film indiano a molti dei candidati più blasonati, soprattutto per la freschezza con cui viene trattato un tema stra-utilizzato come quello della scalata al potere di un povero cristo qualsiasi, un povero cristo che ha avuto la sfortuna di nascere in una famiglia appartenente alla casta dei fabbricanti di dolci (non sapevo nemmeno esistesse, giuro), dunque in fondo alla piramide sociale.
La tigre bianca comincia in medias res e viene raccontato in prima persona e in retrospettiva da Balram, diventato un rispettabile uomo d'affari nonostante lo si veda all'inizio trattato come un cretino dai suoi due giovani padroni; attraverso una mail scritta nientemeno che al premier cinese in visita, Balram parla al suo importante interlocutore e agli spettatori della sua triste infanzia privata di ogni possibilità di acculturarsi, del destino governato dalla famiglia, della speranza di riscattarsi diventando autista del figlio del proprietario terriero più importante della zona e dell'orribile realtà che ha mandato in frantumi quella stessa speranza. L'India descritta da Balram, la "grande democrazia" di cui possono godere solo coloro che sono ricchi, che nasconde corruzione dietro ogni angolo, vista con gli occhi di chi vive letteralmente in mezzo ai topi e agli scarafaggi, è infatti una Nazione opprimente, squallida ed ingiusta, che porta a provare schifo e pena per un protagonista che tenta di uscire dalla "stia per polli" in cui sono relegati i servi, costretti a sorridere e ringraziare anche quando vengono presi a bastonate.
La tigre bianca racconta cose orribili e tragiche, ma lo fa col tono scanzonato (complice anche una colonna sonora trashissima e un montaggio rapido e moderno) di chi, di fondo, non disprezza la terra in cui è nato e cresciuto, e che come un animale raro riesce, non senza sporcarsi mani e anima, a fare propri i meccanismi che la governano, arrivando a prosperare e persino a provare pena per chi invece non è riuscito, che sia povero o persino ricco; tra questi, il giovane Ashok, pieno di belle speranze e soldi ma impossibilitato a fuggire dal giogo della famiglia retrograda, che anela all'occidente senza avere il coraggio di tornarci, oppure la moglie Pinky Madam, che viene letteralmente schiaffeggiata dall'orrore di una vita agiata pagata a caro prezzo. Entrambi, come chiunque sia consapevole delle ingiustizie su cui si basa la società indiana e ne provi disgusto invece di considerarle la normalità, soffrono, ma nessuno dei due ha il coraggio di prendere la propria vita tra le mani, come invece fa la tigre bianca Balram, sicuramente non il personaggio più simpatico del mondo ma comunque qualcuno con cui si riesce ad empatizzare, anche solo in virtù della faccetta sfigata di
Adarsh Gourav, la perfetta incarnazione di una figura a tratti persino tragicomica, zeppa di sfaccettature dietro il sorriso servile e lo sguardo da cucciolo che aspetta solo cibo e carezze. Se non avete mai avuto modo di approcciarvi al cinema indiano,
La tigre bianca è un buon modo di iniziare, anche perché è "contaminato" da uno stile molto vicino al nostro modo di intendere la settima arte ma non così snaturato da non essere riconoscibile come un prodotto "altro". Dategli una chance!
Ramin Bahrani è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come 99 Homes e Fahrenheit 451. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 46 anni.
Al netto delle categorie "documentario" e "corti" a cui non mi sono dedicato è l'unico film tra quelli disponibili sulle maggiori piattaforme tra i candidati all'Oscar a non aver visto. Non mi ispirava, però quasi quasi allora una possibilità gliela do. Grazie!
RispondiEliminaGuardalo, io onestamente l'ho preferito e di parecchio a One night in Miami e Ma' Rainey, giusto per nominarne due!
EliminaBugia, mi manca anche Borat!
RispondiEliminaBorat l'avrei snobbato anche io ma l'ho trovato inaspettatamente carino!
EliminaE non è certo un caso che nella categoria "miglior sceneggatura" si trovino spesso i titoli migliori degli Oscar, o quantomeno i film più originali e meno omologati: la sceneggiatura è infatti il premio che l'Academy adotta come "contentino" per quei cineasti (Tarantino in primis) che non sono allineati a Hollywood ma di cui Hollywood ne riconosce (seppur a denti stretti) la genialità. Vedremo cosa accadrà quest'anno: la sfida tra "Una donna promettente", scritto da una magnifica esordiente, e "Il processo ai Chicago 7" del "re" delle sceneggiature Aaron Sorkin, sarà molto pià del semplice duello per una statuetta...
RispondiEliminaNel caso de La Tigre bianca però si parla di sceneggiatura non originale. Non ho ancora visto The Father ma per la categoria, al momento, il mio preferito è Nomadland. Quanto a quella originale, spero vivamente che vinca la Fennell, e non solo per la sceneggiatura :)
EliminaLa tigre bianca mi ha acchiappato un bel po'!!
RispondiEliminaA mio avviso è stato uno dei migliori e più interessanti recuperi per gli Oscar e sono davvero contenta di averlo visto!
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