Trama: Tom gestisce una caffetteria in una sonnacchiosa cittadina americana, è felicemente sposato e ha due figli. Tutto cambia dopo che Tom, cercando di sventare una rapina, uccide due uomini...
Tutti questi anni ho lasciato passare. Mica perché non mi fosse piaciuto A History of Violence quando lo avevo visto al cinema, per carità. Certo, era un Cronenberg molto diverso da quello a cui ero abituata, ma ero rimasta così coinvolta dalla potenza di ciò che era stato trasposto in pellicola, da avere letto anche la graphic novel, che dovrei avere ancora a casa da qualche parte. Purtroppo sono trascorsi davvero troppi anni e mi risulta impossibile fare un confronto tra opera cinematografica e cartacea, quindi mi soffermerò solo sulla prima. A History of Violence è, come da titolo, una storia in cui la violenza, in ogni sua forma, distrugge la vita di un uomo. Fin dalla scena iniziale, un piano sequenza di più o meno cinque minuti che ricorda tantissimo (a mio avviso volutamente) lo stile di Tarantino, la violenza viene rappresentata come un qualcosa che serpeggia, indisturbato e spesso non visto oppure appositamente ignorato, tra le ombre della società americana, con l'unica eccezione della famiglia, istituzione apparentemente inviolata ed inviolabile. L'alcova familiare è un'oasi felice che deve essere protetta dalla polizia; al di fuori della stessa, la violenza può colpire durante una colazione al diner, una normale giornata di lavoro, a scuola, mentre si va a fare la spesa, e ciò vale non solo per le grandi città ma anche in quelle piccole, come la cittadina dove vivono Tom, la moglie e i suoi due figli, che si vedono stravolgere la vita da una tentata rapina durante la quale Tom uccide due malviventi. Poiché, come scritto sopra, la violenza non viene respinta, bensì semplicemente ignorata per la maggior parte del tempo, il gesto di Tom diventa ovviamente quello di un eroe e nessuno (tranne una scomoda giornalista liquidata in meno di un minuto) si chiede come sia possibile che l'uomo abbia agito con tanta freddezza e abilità, di sicuro non se lo chiede la moglie. Purtroppo, come tenta di comunicarci un regista come Cronenberg che, paradossalmente, aborre la violenza, quest'ultima ne attira sempre dell'altra.
Strani, inquietanti figuri cominciano a ronzare attorno a Tom e alle persone a lui più care, come se il suo gesto avesse spalancato una porta su un mondo oscuro da cui lasciare entrare un infinito numero di demoni, a causa dei quali nemmeno l'alcova familiare è più un luogo sicuro. Ancora peggio, anzi: i demoni non vedono l'ora di trascinare Tom negli abissi da cui aveva faticosamente cercato di liberarsi, rinnegando un passato non solo di violenza, ma anche di orrore e follia (di cui allo spettatore viene concesso scorgere solo la punta dell'iceberg, perché non è importante scendere nei dettagli: sono tutti racchiusi nello sguardo da animale braccato di uno splendido Viggo Mortensen, nei sorrisi sprezzanti di Ed Harris, nei gesti di un William Hurt che compare giusto per 10, indimenticabili e tesissimi minuti). Fa sorridere come oggi, probabilmente, un film come A History of Violence durerebbe almeno due ore e mezza invece che un'ora e trentasei: un altro regista ci avrebbe subissati di flashback, spiegoni, dialoghi fiume per farci capire la progressiva distruzione dei rapporti familiari di Tom, dell'uomo ideale amato dalla moglie Edie, di un figlio che si ritrova orfano dei valori positivi magnificati dal padre e si abbandona a sua volta alla violenza, mentre Cronenberg abbraccia uno stile asciutto e conciso ma tremendamente efficace, colpendoci con la potenza di sequenze che spesso non solo sono prive di dialoghi, ma anche di colonna sonora, lasciando che siano le azioni degli attori e gli sguardi a parlare allo spettatore, anche a costo di venire mal interpretato (la violenta scena dell'amplesso tra Tom e Edie non rappresenta uno stupro ma molti l'hanno vissuta così). Paradossalmente, è proprio William Hurt a tenere banco col monologo più lungo del film, forse perché al male piace vantarsi, ascoltarsi, imporsi, fingersi amichevole e suadente prima di colpire a morte; ed è splendida la contrapposizione tra un male logorroico e il semplice, silenzioso gesto di una bambina che cerca, con innocenza e fatica, di riportare l'equilibrio e lenire le ferite, un palese insegnamento a non fingere di non vedere la violenza innata in ognuno di noi e cercare, per quanto possibile, di conviverci senza false ipocrisie.
Del regista David Cronenberg ho già parlato QUI. Viggo Mortensen (Tom Stall), Maria Bello (Edie Stall), Ed Harris (Carl Fogarty), William Hurt (Richie Cusack) e Stephen McHattie (Leland) li trovate invece ai rispettivi link.
Peter MacNeill interpreta lo sceriffo Sam Carney. Canadese, ha partecipato a film come Rabid - Sete di sangue, La fiera delle illusioni e a serie quali Alfred Hitchcock Presenta, La tempesta del secolo, Psi Factor e Mucchio d'ossa.
Se A History of Violence vi fosse piaciuto, recuperate lo splendido La promessa dell'assassino. ENJOY!
Io continuo a preferirgli La promessa dell'assassino, che secondo me è il miglior Cronenberg non horror, ma questo è sempre una visione splendida!
RispondiEliminaMamma mia che film magnifico! Cronenberg riesce a ritratte l'istinto umano violento come nessun altro, con lo stile asciuttissimo che citi tu. Bello, bellissimo, rivisto molte volte ma a ogni visione per me acquista valore.
RispondiEliminaHo letto anche il fumetto e... beh, per me, davvero robetta, a parte una trovata splatter verso la fine davvero grottesca. Mi diverte però che lo abbia disegnato il copertinista dei Cannibal Corpse.
Sì, paradossalmente tra i suoi film è quello che fa più male anche se ce ne sono altri ben più violenti, e questo solo a Cronenberg poteva riuscire.
EliminaIl fumetto devo cercarlo a casa dei miei, dovrebbe esserci!
Un gran bel film, e mi ero quasi dimenticato della presenza di Hurt, per quanto Viggo centrista, era un attore di qualità, come tanti mancherà.
RispondiEliminaPiù che altro perché Hurt compare nei dieci minuti finali, ma rendono tutti :)
EliminaSplendido. Cronenberg lo girò nel 2005, e in molti lo considerarono la risposta a "Kill Bill" e alla violenza "leggiadra" di Tarantino, uscito l'anno prima. E Cronenberg, seppur non nominandolo mai, in varie interviste lo confermò: con la violenza non si scherza, guai a trattarla come un gioco. Una lezione di cinema e non solo.
RispondiEliminaSono stili diversi e amo entrambi, così come amo tutti e due i registi. Ma qui un paio di inquadrature sono proprio di ispirazione tarantiniana, probabilmente anche per "depistare" gli spettatori che ormai in quegli anni erano letteralmente assuefatti allo stile di QT e da un film "di gangster" quello si aspettavano.
EliminaForse segna quella sorta di passaggio dal cinema precedente a quello successivo, dove si passa dalle mutazioni esterne a quelle interne, giusto per semplificare. Film che per me rimane tra i migliori in assoluto di Cronenberg.
RispondiEliminaSì, è indubbiamente questo il film di passaggio, per come lo ricordo.
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