mercoledì 27 novembre 2024

Martyrs (2008)

Oggi la challenge di Letterboxd prevedeva una produzione canadese, quindi è toccato a un film che stavo consapevolmente evitando dal 2008, ovvero Martyrs, diretto e sceneggiato dal regista Pascal Laugier.


Trama: Lucie, che da bambina era fuggita per un pelo alle torture dei suoi aguzzini, riesce a vendicarsi da adulta, aiutata dalla riluttante amica Anna. Ma il compimento della vendetta non è altro che l'inizio di un incubo ancora peggiore...


Se mi seguite da qualche anno, sapete che i pochi horror che patisco, in ambito mainstream (la roba estrema e indipendente del circuito underground non mi avrà mai nella vita), sono quelli appartenenti al New French Horror, specialmente quando sfociano nella New French Extremity. Li patisco perché, essenzialmente, mi angosciano per la loro cattiveria, la tristezza che permea ogni fotogramma e li discosta del becero torture porn americano (che invece mi annoia e disgusta in maniera superficiale) per diventare qualcosa di più serio e pronto a pasteggiare col cuore sanguinante dello spettatore. Ora, Pascal Laugier ha sempre sottolineato che Martyrs non fa parte della New French Extremity, ma è comunque un film che, dopo la tanto rimandata visione, ho mal sopportato, tanto quanto i suoi "cugini". Ciò non significa che sia brutto, chiaramente. Martyrs è stato scritto, con una lucidità e una coerenza invidiabili, da un Autore in piena crisi depressiva, al punto da arrivare ad indulgere in pensieri suicidi; è la rappresentazione di un mondo che sta andando in rovina, dove ogni cosa è violenza e le persone vengono smosse solo da riscontri egoistici o economici. E' lo schiaffo definitivo (per quanto non voluto, ovviamente, e mi perdonino gli amanti del regista danese per un simile accostamento) a Lars Von Trier, il quale, preda di una crisi simile, ha girato una roba ermetica e fredda come Antichrist, un'opera che tiene ben distante lo spettatore e gli impedisce di immedesimarsi nei personaggi, con tutte le conseguenze del caso. Invece, Martyrs dialoga costantemente con chi lo guarda, sottopone il pubblico a un'ordalia non dissimile da quella delle protagoniste, torturandolo psicologicamente con la visione di orrori prevalentemente fisici, ma anche mentali, e ponendogli domande scomode attraverso due modi di affrontare il dolore. 


Da una parte abbiamo Lucie, marchiata da un'infanzia fatta di prigionia e torture, che sfoga attraverso orribili allucinazioni il senso di colpa per essere stata l'unica a fuggire e il conseguente autolesionismo da esso derivato; Lucie cerca i suoi aguzzini, esige vendetta, è (giustamente o meno sta allo spettatore giudicarlo, perché Laugier non si pronuncia) mossa esclusivamente da motivazioni egoistiche, da un folle desiderio di autoconservazione. Dall'altra, abbiamo Anna. Colei che offre amicizia a Lucie fin da bambina, che la ama non ricambiata, che passa ogni singolo minuto di film non solo a sostenerla, ma ad aiutare persino gli sconosciuti, mettendosi nella merda per non abbandonare nessuno e ricevendo in cambio solo dolore. In mezzo, la concezione di "martire". La cosa più amaramente ironica del film è l'esistenza di un'associazione di vecchiacci terrorizzati dalla morte che cercano dei martiri in grado di rivelare loro cosa ci sia "dopo", nell'aldilà. E' ironico, perché questi vecchi sono in grado di offrire la definizione di martire, ovvero "persone eccezionali che [...] si donano" eppure vanno per tentativi, o torturando bambini (innocenti ma, per la loro stessa natura, egoisti ed incapaci di donarsi) o giovani donne a caso, senza capire che il fulcro del martirio è l'amore incondizionato, libero da ogni preconcetto o legame religioso. Si fanno strada a schiaffi, privazioni e umiliazioni, 'sti stronzi, e io purtroppo sarei come Lucie, impossibilitata a vincere la paura perché troppo impegnata a odiarli, a volerli morti, a scappare solo per ripagarli con la stessa moneta. Di sicuro non riuscirei a vedere nulla, né a trascendere, perché i miei occhi sarebbero rivolti solo alla mia sofferenza. Anna, invece, ama nel dolore, ama al punto da arrivare a percepire non ciò che la terrorizza, come quasi tutte le vittime, bensì la voce della persona amata, che la invita proprio a mettere da parte la paura. E' una risoluzione bellissima, perché apre la via ad un finale tra i più originali e sconvolgenti della storia dell'horror.


In un film fatto di violenza e sangue, in cui la macchina da presa indugia sui dettagli più raccapriccianti e non lascia modo allo spettatore di respirare, neppure per un secondo (anche perché le sequenze durante le quali Anna aspetta la prossima tortura sono le peggiori, pregne come sono di angoscia tangibile), è comunque difficile arrivare preparati al martirio finale di Anna. Eppure, non è nemmeno quella la parte più sconvolgente di Martyrs, quanto ciò che si nasconde nell'occhio del martire, del "testimone", lasciato alla libera interpretazione dello spettatore. Persino quelli più vicini, come me, alla mentalità di Lucie, potranno trovare soddisfazione nelle ultime sequenze. Non tanto per l'ultimo atto di improvvisa violenza (anche se non posso negare di avere goduto come un riccio), tanto per la beffa finale di non sapere, di non averne il diritto, e di ritrovarsi costretti a riflettere su cosa rappresenti la luce che ci ha mostrato Laugier, per capire cos'è riuscito a comunicarci Martyrs. Per quanto mi riguarda, ho cominciato a pensare a Il seme della follia e a un racconto kinghiano letto di recente, dal titolo Il viaggio, insomma a un gigantesco, terrificante dito medio da mostrare a quei vecchiacci pavidi e disgustosi, così da annichilire tutte le loro speranze di salvezza. Questo, per inciso, è però un altro dei motivi per cui non guarderò mai più Martyrs finché campo, nonostante lo ritenga un grandissimo horror. La vita è già abbastanza deprimente, subire un'ora e mezza di violenza senza speranza alcuna, per nessun personaggio, mi abbatte e mi abbruttisce, rendendomi ancor più consapevole degli orrori che toccano, quotidianamente, persone ben più sfortunate di me, e di cui Martyrs è sanguinosa metafora. Almeno davanti alla finzione, mi permetto quindi, egoisticamente, di tornare a chiudere gli occhi, consigliandovi però di fare un tentativo e di aprirli, almeno una volta, su una delle opere horror più importanti del nuovo millennio.


Del regista e sceneggiatore Pascal Laugier ho già parlato QUI mentre Xavier Dolan, che interpreta Antoine, lo trovate QUA.


Nel 2015 è uscito il remake USA del film, stroncato all'unanimità da critica e pubblico. Lungi da me recuperarlo allora! ENJOY!

12 commenti:

  1. Visto una sola volta da ventunenne e da allora non ho mai avuto il coraggio di replicare 😅 Laugier comunque è un grande regista, sarà l'ombra di questo ma mi chiedo come mai sia così sottovalutato...

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    1. A me i suoi film sono piaciuti tutti, tranne forse Saint Ange, che dovrei riguardare. Mi spiace si sia perso dopo Ghostland...

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  2. Film a cui penso più spesso perché so che non riuscirò più a rivederlo. Io ho sempre pensato che quel vede Anna è lontano anni luce da quel cielo azzurro che squarcia le nubi di Austerlitz e che riempie lo sguardo del principe Andrej quando, ferito, la paura pia piano si stinge e improvvisamente la figura di Napoleone gli appare quasi insignificante "in confronto a quel cielo così alto, così giusto e saggio che egli aveva veduto e capito." Mi permetto di quotare cosa scrisse Citati su Tolstoj e la morte del principe Andrej in Guerra e Pace: Tolstoj "si domandava cosa ci sia dietro quella porta: cosa comprendiamo della morte prima di morire; e con quali sguardi ci guardino i morti e guardino sé stessi e il loro paese. Era l'unica scienza che Tolstoj voleva possedere: la invidiava ai defunti e ai moribondi; qualche volta avrebbe desiderato passare di là, e tornare da noi, per informarci. Fu l'unico sogno che non poté realizzare; e scrisse sempre di nuovo intorno a quel luogo, come se le parole riuscissero a rivelargli ciò che gli occhi non potevano contemplare. La morte era, per lui, la sola realtà metafisica che forse noi abbiamo la possibilità di conoscere; e sperava, guardando verso di lei e dentro di lei, di conoscere il segreto dell'universo. Dopo un ultimo sogno, il principe Andrej Bolkonskij si avvicina al paese della morte; e di là guarda alla nostra esistenza. Ormai è estraneo, lontano, come uno che sia arrivato tra i ghiacci del Tibet o del Polo: abita in un freddo che ci pare insostenibile: stenta a comprendere ciò che esiste, ed è severo e gelido verso chi pensa alla vita. Comprende 'qualcosa d' altro, qualcosa che non era compreso, e non poteva essere compreso dai vivi': una gran luce si fa nel suo intimo e, davanti agli occhi, gli si alza la cortina che aveva nascosto l'ignoto. Cosa illumina quella grande luce? Tolstoj tace. Il cuore del paese della morte ci resta ignoto. Non conosciamo cosa si estenda oltre il gelo. Forse quel grande splendore dietro la cortina è soltanto la luce della morte: una luce atea, vuota, negativa, incomprensibile ai vivi. Ci domandiamo se sia tutto qui. Della morte non possiamo dire altro?"

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    1. Cosa illumina quella grande luce, non lo sapremo mai. O meglio, sì, ma non potremmo raccontarlo. E forse è meglio così, altrimenti sarebbe complicato vivere.

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  3. Eh, insomma, una storia pesante. L' ho trovato filosoficamente interessante, devastante nella risposta finale, e assai insolito in quanto teso verso la ricerca di significati in maniera del tutto contraria a tanto horror basato su sangue, violenza e schifo.
    Anche io non l' ho visto una seconda volta.

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    1. Sì, è tremenda proprio la profondità nascosta sotto la superficie del sangue e della violenza. E' quella, che ammazza lo spettatore.

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  4. Visto anche io una sola volta. Tremendo nel senso più positivo possibile. Lascia qualcosa.

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    1. Mi piace come ci stiamo riunendo tutti noi pavidi, traumatizzati da questo Martyrs!

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  5. Pure io, non lo guarderò mai probabilmente; invece mia sorella ha il DVD!
    invece, sai che pensavo fosse francese sto film? 😂

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  6. A parte quella cosa là, e il finale, non un film fenomenale, ma certamente impossibile da dimenticare.

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