Trama: Justin Kemp è convocato come giurato per un caso di omicidio, proprio mentre la moglie è quasi giunta al termine di una difficile gravidanza. Il caso sembra di facile risoluzione, ma non tutto è come sembra...
Sono andata a vedere Giurato numero 2 non tanto perché sia fan di Clint Eastwood (ho saltato Cry Macho senza troppi problemi e ancora non l'ho recuperato), né perché il film sia stato pubblicizzato come "l'ultimo" del regista, ma perché quasi tutti quelli che lo hanno visto lo hanno incensato come un'opera splendida. Considerato che il courtroom drama è un genere che interessa molto al Bolluomo, ho colto l'occasione per andare al cinema con lui, cosa che non succedeva da almeno un mesetto, ed entrambi siamo usciti dalla sala soddisfatti. Io con lo stomaco chiuso e lui agghiacciato, è vero, ma comunque felici. Forse è troppo arrivare a citare Mystic River, nel descrivere la sensazione di pesantezza ineluttabile, di angoscia che mi ha presa durante la visione di Giurato numero 2, ma sicuramente mi è venuta voglia di riguardarlo e di farlo vedere a Mirco, perché molto di quest'ultimo Eastwood mi ha ricordato quello che, per me, è il suo capolavoro. E, ovviamente, c'è tanto anche di un'opera più recente, Richard Jewell, e almeno una citazione di un film talmente distante dalla cinematografia di Eastwood, da non sembrare nemmeno suo, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, che mi sento di dover quotare: "Truth, like art, is in the eye of the beholder. You believe what you choose, and I'll believe what I know". Giurato numero 2 parla di pregiudizi, di ciò che le persone scelgono di credere, e di uno stato che le abbandona, mosso da obiettivi che non sono certo la protezione del comune cittadino. E' un film che si fonda sul dilemma morale di un protagonista che, con pochi elementi ficcanti, ci viene presentato fin da subito come un uomo che ne ha passate tante ed è a pochi giorni dall'ottenere una felicità completa. Tuttavia, Justin, a causa di un tragico errore commesso in buonafede, rischia di perdere di nuovo tutto e l'unico modo per evitare che succeda è lasciare che la "giustizia" faccia il suo corso, abbattendosi su un uomo dal passato peggiore del suo, il quale, però, questa volta è innocente. Per salvare capra e cavoli, sgravandosi la coscienza, Justin combatte contro una giuria già pronta ad emettere un verdetto viziato da pregiudizi (razziali, sessuali, sociali, ecc.) e un avvocato dell'accusa in cerca di voti, consapevole che, per gli stessi motivi, anche la sua verità verrebbe travisata, valendogli la fine di un'esistenza finalmente felice. L'angoscia, in Giurato numero 2, sta nel vedere un uomo normale farsi "mostro" per continuare a vivere. Sta nell'orrore della consapevolezza di non potersi liberare dalle etichette negative, una volta che ci si sono appiccicate addosso. Sta nel realizzare, tristemente, che la giustizia è sì uguale per tutti, ma non è perfetta perché viene lasciata nelle mani di esseri umani che, quel giorno, magari vogliono solo tornare a casa presto, sono stanchi, ti hanno già giudicato colpevole per motivi che esulano dal caso specifico, non hanno voglia di riflettere troppo, nonostante abbiano (a volte letteralmente) la tua vita tra le mani. Umani, appunto, costretti a fare un lavoro divino.
L'angoscia, in Giurato numero 2, sta nella verosimiglianza di ciò che Clint Eastwood racconta, ancor più enfatizzata dal suo stile asciutto. La regia del Grande Vecchio è priva di fronzoli, non mostra niente più di quel che serve per capire, con uno sguardo, i personaggi, ciò che li muove e la posta in gioco; addirittura, le fasi iniziali del processo possono tranquillamente definirsi un esempio di anticlimax, perché non ci sono quelle esagerazioni teatrali tipiche del genere, con arringhe infinite e sottili strategie di avvocati superstar. E' tutto piuttosto banale, direi quasi squallido, e per questo ancora più credibile e "vicino" alla quotidianità del pubblico. Nonostante questo, il dilemma morale di Justin, reso palese dopo pochi minuti di film, viene gestito coi ritmi di un thriller e coinvolge per l'impossibilità di incasellare i personaggi in ruoli predefiniti di "buono" o "cattivo"; naturalmente, l'istinto è quello di parteggiare per Justin, persino di sperare nella sua "vittoria" (se di vittoria si può parlare), ma ci sono momenti in cui la volontà di chiudere gli occhi e far finta di nulla si incrinano davanti ad atteggiamenti e scelte moralmente non condivisibili, soprattutto verso il finale. Geniale, in questo, scegliere di far interpretare Justin a Nicholas Hoult, con quella faccia da bravo ragazzo adombrata da occhi di un azzurro freddo, che a volte gli danno un che di calcolatore ed ambiguo. Dove non c'è incertezza, invece, è nello sguardo di Toni Collette. Ho visto il film doppiato ma, giuro, l'occhiataccia fulminante arrivata al culmine del confronto tra Faith e Justin ha costretto persino me a chinare la testa dalla vergogna di avere anche solo pensato di parteggiare per il protagonista. Scherzi a parte (e chi scherza, sulla maestosa Collette?) Giurato numero 2 è un piccolo miracolo in cui si incastrano alla perfezione tutti gli elementi (narrativi, tecnici, attoriali e registici) che contribuiscono a rendere grande un film. Se questa, come dicono in tanti, sarà l'ultima pellicola di Eastwood, mi sento di affermare che il vecchio Clint ha concluso la sua carriera a testa alta, con un film lucido, attuale e perfettamente coerente con la sua pluriennale poetica. Considerato quanti registi più giovani hanno ormai abbracciato allegramente un rincoglionimento consapevole, c'è solo da ammirarlo ed augurargli di fare Cinema ancora per un po' di tempo, perché ne abbiamo un maledetto bisogno.
Del regista Clint Eastwood ho già parlato QUI. Nicholas Hoult (Justin Kemp), Zoey Deutch (Allison Crewson), Toni Collette (Faith Killebrew), Leslie Bibb (Denice Aldworth), J.K. Simmons (Harold), Chris Messina (Eric Resnick), Gabriel Basso (James Michael Sythe), Francesca Eastwood (Kendall Carter) e Kiefer Sutherland (Larry Lasker) li trovate invece ai rispettivi link.
Se Giurato numero 2 vi fosse piaciuto recuperate Richard Jewell, Mystic River e La parola ai giurati. ENJOY!
"If I must choose between righteousness and peace, I choose righteousness." La citazione di Theodore Roosevelt, sebbene qui la pace per l’ex presidente USA fosse una bottega un po’ più grande di quella cui ambisce Justin (leggasi famiglia serena) ben si confà al protagonista di questo Giurato che sceglie la pace (ma solo apparente: Hoult che sobbalza nel finale sentendo le sirene della polizia) per mandare così al diavolo quel che ritiene giusto (the righteousness non è proprio justice). Un film che parla di “pregiudizi” e rappresentazione della realtà (Richard Jewell, ricordi); ancora più, la sua percezione (la benda negli occhi di Allison in apertura non è quella di Dike; Toni Collette - anche lei divina - che vuole guardare negli occhi James mentre gli chiede di riprendere nuovamente la deposizione). Ma soprattutto un film che si interroga sul “dilemma morale” di una scelta e sue conseguenze, e inganni (“Su tre cose si regge il mondo: verità, giustizia e pace” recita la Mishnah; e Faith crede che la “giustizia” sia “verità in azione”); inganno perché ha ragione Justin quando sulla panchina, la procuratrice affianco, afferma che “verità non è giustizia” dal momento che, non tanto la giustizia non può prescindere dalla verità come crede Faith, quanto perché verità e giustizia sono inconciliabili dato che si scontrano su terreni di gioco diversi. Ho parteggiato per Hoult tutto il tempo, credendo che lui fosse l’eroe e sperando che trovasse un compromesso accettabile tra Dike e Aletheia odiandolo in chiusura perché ho capito che la sua debolezza sarebbe stata anche la mia così quando in quel finale aperto Faith si presenta a casa di Justin mi sono riconciliato con me stesso: a volte la giustizia è verità in azione. E forse questo ce lo poteva ricordare solo un repubblicano, sincero e asciutto.
RispondiEliminaPiù che altro, Justin cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, in un mix di emozioni, pensieri, speranze e paure così complesso che solo Eastwood, col suo stile asciutto, poteva consegnare al pubblico in tutta la sua profondità, senza risultare teatrale o patetico. E trasformandoci tutti in Justin, perché, in tutta sincerità, chi agirebbe diversamente? Anzi, io probabilmente non mi sarei nemmeno impegnata a scagionare il presunto colpevole! E il solo pensiero mi fa sprofondare sotto lo sguardo della Collette, pregno di disprezzo, per il suo interlocutore, sì, ma anche per lei stessa.
EliminaComplimenti per la recensione e per la citazione da "Mezzanotte nel giardino del bene e del male" che, lo ammetto, mi era sfuggita. Non a caso la vicenda si svolge proprio nella stessa Savannah, in Georgia, ovvero in uno degli stati più bigotti e retrogradi d'America. Quoto tutto, in special modo l'incredibile capacità di Eastwood di essere sempre essenziale senza tralasciare niente: ogni volta che vedi un suo film non hai mai l'impressione che sarebbe potuto durare un minuto più del necessario. E' vero, i livelli di "Mystic river" rimangono inarrivabili, ma tutto è partito da lì: Eastwood è un regista di coerenza granitica, che non si smentisce mai. Avercene.
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