Grazie all'imbeccata di Silvia ho guardato It Lives Inside, horror diretto e co-sceneggiato dal regista Bishal Dutta.
Trama: Samidha è una ragazza di origini indiane che vuole a tutti i costi diventare una "normale" ragazza americana. Le difficoltà aumentano quando un mostro del folklore indiano comincia a perseguitarla...
It Lives Inside è un piccolo horror che, come molti suoi "colleghi" negli ultimi anni, consente allo spettatore occidentale di dare uno sguardo a culture lontane e ai miti che le caratterizzano. In particolare, It Lives Inside sfrutta l'horror per raccontare il desiderio di integrazione di Samidha, una ragazza figlia di immigrati indiani che, per questo, fatica a trovare il suo posto all'interno della società. Data la giovane età, Samidha non riesce a trovare un compromesso tra la necessità di essere uguale ai ragazzi "americani" e non dimenticare le proprie origini e tradizioni, queste ultime vissute come l'imposizione di una madre debole che rifiuta di cogliere le mille opportunità offerte dalla nuova patria; Samidha cerca di ignorare tutto ciò che la renderebbe diversa agli occhi dei suoi coetanei e, così facendo, crea una fortezza di solitudine e diffidenza che non solo tiene distante chi le vuole bene fin da bambina, ma le impedisce anche di farsi dei nuovi amici (gli studenti "gentili" la trattano comunque come un animaletto esotico e grazioso e persino il potenziale love interest si comporta in maniera innaturale con lei). La condizione di Samidha è terreno fertile per un mostro del folklore indiano che si nutre di emozioni negative quali rabbia e solitudine e, anzi, le accentua per nutrirsene e prosperare, una creatura che "vive dentro" di noi e aspetta solo qualcuno che la faccia uscire, permettendogli di propagarsi come una maledizione. Qui, per quanto mi riguarda, risiede l'aspetto interessante del film, che unisce i topoi del coming of age e degli horror a tema "creature dell'oscurità" per offrire uno spaccato della vita delle famiglie dei migranti, delle difficoltà incontrate non solo dai figli, carichi di odio verso genitori considerati retrogradi e incapaci di adattarsi alla nuova vita, ma anche dagli adulti partiti col dolore nel cuore e una flebile speranza, costretti a combattere ogni giorno con la paura, la diffidenza altrui e il senso di colpa di avere abbandonato patria e famiglia.
Per quanto riguarda la realizzazione, ho apprezzato come l'esordiente Bishal Dutta abbia scelto di non girare la sagra del jump scare e, anzi, abbia centellinato le apparizioni del mostro creando innanzitutto un clima di paranoia e diffidenza che potrebbe anche essere frutto di semplice ansia e paura, per poi fare sul serio nell'ultimo atto, dove la creatura viene mostrata in tutto il suo splendore. Per fortuna i realizzatori hanno dimostrato intelligenza anche in questo caso, perché un sapiente uso di luci virate in rosso ed ombre impediscono alla CGI di risultare posticcia ed invasiva come spesso accade in questo genere di produzioni, mentre in generale It Lives Inside ha uno stile molto pulito ed elegante. Il punto di forza del film è comunque l'interpretazione della protagonista, Megan Suri. Tolto che, se fossi bella come lei, la mia ultima preoccupazione sarebbe chiedermi come mi vedono gli altri, ma l'attrice funziona proprio grazie alla sua bellezza mai sfacciata, veicolo di un carattere forte e testardo che mostra inattese crepe di fragilità ed insicurezza, e si amalgama alla perfezione con Neeru Bajwa, la cui interpretazione passa dal cliché della tipica donna indiana dalla mentalità chiusa a una madre che farebbe di tutto per aiutare la figlia, persino aprire la mente a racconti surreali. Pur non essendo dunque un film originalissimo o indimenticabile, It Lives Inside è pieno di elementi positivi che lo rendono un horror gradevolissimo, sicuramente meritevole di una visione.
Di Betty Gabriel, che interpreta Joyce, ho già parlato QUI.
Bishal Dutta è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Indiano, è anche produttore.
A me ha un po' deluso, il tema dell'integrazione come punto di partenza era interessante; ora, non è che mi aspettassi di trovarmi la profondità di Minari però il cinema di genere quando vuole sa essere sociale (penso a Candyman) nel rispetto della propria autonomia, stilemi e tropi. Qui, secondo me, più che altro il tutto finisce a pretesto per raccontare una storia horror abbastanza convenzionale (anche se credo che la distanza culturale col mio mondo mi ha impedito di apprezzare aspetti e particolari che non ho colto appieno o addirittura notato).
RispondiEliminaE' un horror abbastanza convenzionale e concordo ma l'utilizzo della tradizione come modo per tentare di comprendere e placare il male, così come il rapporto tra madre e figlia, non mi sono affatto dispiaciuti!
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