Visto l'amore che nutrivo (e ancora nutro) per il meraviglioso e prematuramente scomparso James Gandolfini, era scontato che recuperassi la sua ultima pellicola, Chi è senza colpa (The Drop), diretto nel 2014 dal regista Michaël R. Roska.
Trama: Bob lavora come barista nel locale del cugino Marv, paravento per le attività illegali della mafia cecena. Un giorno il bar viene rapinato e il crimine scatena una serie di altri eventi strettamente legati a una tragedia avvenuta dieci anni prima...
Direi di cominciare a parlare di Chi è senza colpa partendo dall'incredibile gioco dei titoli a cui è andata incontro la pellicola. Il film è tratto dal racconto Animal Rescue di Dennis Lehane, il cui titolo fa riferimento ad un evento che, in apparenza, non avrebbe nulla a che vedere con il filo principale della trama: il protagonista, Bob, trova in un bidone della spazzatura un cucciolo di pitbull e, dopo l'iniziale titubanza, decide di tenerlo con sé e allevarlo. Questo "salvataggio" (Animal Rescue) gli consente di conoscere Nadia e di avere a che fare con il violento padrone del cucciolo, un criminale da quattro soldi che, anni prima, aveva ucciso un buon amico di Bob. Cosa c'entra tutto questo con il titolo originale del film, The Drop? Beh, c'entra nella misura in cui la storia parallela di questo sfortunato cagnolino che è stato lasciato "cadere" nel cestino si intreccia con i soldi sporchi che vengono "consegnati" (sempre to drop) di nascosto all'interno del bar un tempo di proprietà di cugino Marv, creando un tourbillon di situazioni che riveleranno il marcio nascosto nell'animo di tutti i coinvolti, anche quelli in apparenza più irreprensibili. Chi è senza colpa è, come al solito, un titolo italiano imbecille oltre ogni dire perché, al massimo, avrebbe potuto assecondare sia l'ambiguità della trama sia l'aria vagamente bigotta che si respira all'interno di alcune sequenze con un "Chi è senza peccato", richiamando alla mente dello spettatore la famosa citazione evangelica, invece così abbiamo l'ennesimo titolo loffio che poco invoglia ad andare in sala a guardare il film di Roskam. Ed è un peccato perché The Drop è un cupo dramma di stampo classico, popolato da personaggi incapaci di venire a patti con il loro passato, i loro fallimenti e i loro rimpianti, che brancolano goffamente nel tentativo di dare un senso alla propria vita e andare oltre la solitudine e le etichette che si sono affibbiati da soli.
La regia di Michaël R. Roskam, al suo primo film anglofono, non è particolarmente esaltante e rischia di appiattire un po' l'opera in generale ma The Drop è comunque meritevole di una visione sia per la trama interessante che per gli attori coinvolti, che donano spessore a personaggi già comunque ben caratterizzati. Ammetto che, guardando il film, mi è salito un magone gigantesco a vedere Gandolfini recitare con la consueta ed umile professionalità in un ruolo sicuramente non fondamentale per la sua carriera ma riuscendo comunque a dare vita ad un personaggio più complesso di quello che appare; il grande James era una garanzia e l'idea che non potrà più partecipare a nessun altro film è fonte di immensa tristezza. Molto ma molto bravo anche Tom Hardy, attore con cui solitamente non ho un gran feeling, impegnato in un'interpretazione misurata e calibrata al millimetro, alle prese con un protagonista che all'inizio non colpisce e fatica a conquistarsi la totale attenzione dello spettatore ma che, andando avanti, diventa sempre più convincente ed interessante. Stranamente, l'unica a non avermi convinta appieno è Noomi Rapace, non tanto per la sua performance quanto per la fondamentale irrazionalità della sua Nadia; ovviamente non posso fare spoiler ma diciamo che la sceneggiatura qui perde qualche colpo, presentandoci prima una ragazza giustamente insicura e diffidente, poi una pazza che addirittura chiede lavoro ad un tizio che conosce da due giorni, infine una sconvolta che accetta di sorvolare sull'evento più brutale a cui abbia mai testimoniato. Il tutto nel giro di un paio di mesi a giudicare da come cresce il cagnolino. Detto questo, The Drop è comunque un bel film che consiglio in particolare a chi ama un tipo di cinema "attoriale" e ha nostalgia dei bei tempi in cui De Niro regalava allo spettatore dei personaggi duri e pericolosi ma anche incredibilmente fragili. E, ovviamente, a tutti quelli che, come me, già sentono la mancanza di James Gandolfini.
Di Tom Hardy (Bob), Noomi Rapace (Nadia) e James Gandolfini (cugino Marv) ho già parlato ai rispettivi link.
Michaël R. Roskam è il regista della pellicola. Belga, è al suo secondo lungometraggio. Anche sceneggiatore e attore, ha 43 anni.
Se Chi è senza colpa vi fosse piaciuto recuperate il meraviglioso Mystic River, sempre sceneggiato da Dennis Lehane. ENJOY!
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martedì 31 marzo 2015
venerdì 12 settembre 2014
Il tocco del male (1998)
So che ultimamente mi sono data ai film recenti ma non crediate che tralasci i recuperi o la visione di film già stravisti ma amatissimi, come per esempio Il tocco del male (Fallen), diretto nel 1998 dal regista Gregory Hoblit.
Trama: il poliziotto John Hobbes cattura il pluriomicida Edgar Reese e lo fa condannare a morte. Poco dopo, tuttavia, i delitti riprendono con un modus operandi simile a quello di Reese e Hobbes si ritrova perseguitato da un'entità misteriosa e pericolosissima...
Trame come quella de Il tocco del male, de L'alieno e, per estensione, anche de Il male di Dylan Dog mi hanno sempre messo addosso un'ansia terribile perché in esse le pulsioni omicide e la follia si diffondono con un semplice tocco e chiunque può diventare, inconsapevolmente, un pericoloso criminale; l'imprevedibilità e la conseguente paranoia sono alla base di queste storie inquietantissime e la loro bellezza sta proprio nell'impossibilità di dare un volto al "colpevole", che può cambiare così in un batter d'occhio. Peggio di una possessione circoscritta ad un unico individuo, infatti, c'è solo la possibilità che il male si propaghi come un virus e che da esso non vi sia difesa ed è proprio quello che accade ne Il tocco del male. La pellicola di Gregory Hoblit, raccontata furbamente da una voce fuori campo come se fosse un noir d'altri tempi, rappresenta tutto ciò che avrebbe dovuto essere Liberaci dal male per poter funzionare, perché immerge l'orrore religioso in un contesto poliziesco, dando vita ad un interessantissimo ibrido che vede scontrarsi delle ordinarie indagini di normalissimi poliziotti contro l'inspiegabile e il paradossale, contro forze esistenti ancor prima che l'uomo arrivasse sulla Terra. L'angelo caduto Azazel, presenza invisibile agli occhi ma anche troppo "tangibile", coinvolge il protagonista Denzel Washington in un gioco tra gatto e topo talmente serrato da diventare a tratti quasi insostenibile, nel quale l'atmosfera di totale incertezza e pericolo imminente riesce senza troppi problemi ad eclissare la pomposità della solita lotta tra il Male sovrannaturale e un inconsapevole prescelto umano e a farsi perdonare alcune ingenuità pseudo-new age.
Se Il tocco del male, già molto inquietante per la trama, funziona a meraviglia, il merito va in gran parte al cast stellare. Denzel Washington è un protagonista validissimo e solido ma la parte del leone la fanno tutti gli altri grandissimi attori e caratteristi che gli sono stati affiancati, a partire da un Elias Koteas che, nonostante si veda solo all'inizio, si incide a fuoco nella mente dello spettatore grazie ad un carisma magnetico (vi sfido a non mettervi a cantare a squarciagola Time Is on My Side degli Stones, tema portante del film, dopo averlo visto fare a lui nella scena della prigione!); Donald Sutherland, James Gandolfini e John Goodman si fanno condurre docilmente per mano da questa grandissima prova attoriale e si giostrano lo spettatore come vogliono, alternando momenti di normalità ad atteggiamenti "sospetti" in grado di mettere i brividi. La regia di Gregory Hoblit è solida e classica ma lascia spazio all'innovazione al momento di mostrare la soggettiva di Azazel (ottenuta grazie all'ausilio di un tipo di pellicola denominato Ektachrome) e, soprattutto, tocca vertici di pura classe nella sequenza in cui Embeth Davidtz viene presa di mira ed inseguita dall'angelo caduto, che propaga la sua essenza di persona in persona per un intero isolato grazie a semplici tocchi, sapientemente coreografati, inquadrati e montati: horror ne ho visti parecchi, ormai lo sapete, e Il tocco del male l'ho guardato ben più di una volta, eppure trovo che questa particolare sequenza sia una delle più belle che siano mai state girate per un film di genere e mi lascia sempre senza fiato. Per non spoilerare eccessivamente la storia è meglio che mi fermi qui ma direi che basterebbe solo questo per spingermi a consigliare la visione de Il tocco del male a tutti, non solo agli appassionati del sovrannaturale... credo comunque che anche dare una scorsa ai grandi nomi coinvolti sia un valido incentivo, quindi recuperatelo se non lo avete mai fatto!!
Di John Goodman (Jonesy), Donald Sutherland (Stanton), Embeth Davidtz (Gretta Milano), James Gandolfini (Lou) ed Elias Koteas (Edgar Reese) ho già parlato ai rispettivi link.
Gregory Hoblit è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Schegge di paura, Frequency - Il futuro è in ascolto, Il caso Thomas Crawford, Nella rete del serial killer ed episodi di serie come N.Y.P.D.. Anche produttore e sceneggiatore, ha 70 anni.
Denzel Washington (vero nome Denzel Hayes Washington Jr.) interpreta John Hobbes. Americano, lo ricordo per film come Il giustiziere della notte, Glory - Uomini di gloria (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista), Mo' Better Blues, Malcom X, Il rapporto Pelican, Philadelphia, Allarme rosso, Il collezionista di ossa, Training Day (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attore protagonista), Déjà Vu - Corsa contro il tempo e Pelham 1 2 3 - Ostaggi in metropolitana. Anche produttore e regista, ha 60 anni e un film in uscita.
Se Il tocco del male vi fosse piaciuto recuperate anche L'ultima profezia e Angel Heart - Ascensore per l'inferno. ENJOY!
Trama: il poliziotto John Hobbes cattura il pluriomicida Edgar Reese e lo fa condannare a morte. Poco dopo, tuttavia, i delitti riprendono con un modus operandi simile a quello di Reese e Hobbes si ritrova perseguitato da un'entità misteriosa e pericolosissima...
Trame come quella de Il tocco del male, de L'alieno e, per estensione, anche de Il male di Dylan Dog mi hanno sempre messo addosso un'ansia terribile perché in esse le pulsioni omicide e la follia si diffondono con un semplice tocco e chiunque può diventare, inconsapevolmente, un pericoloso criminale; l'imprevedibilità e la conseguente paranoia sono alla base di queste storie inquietantissime e la loro bellezza sta proprio nell'impossibilità di dare un volto al "colpevole", che può cambiare così in un batter d'occhio. Peggio di una possessione circoscritta ad un unico individuo, infatti, c'è solo la possibilità che il male si propaghi come un virus e che da esso non vi sia difesa ed è proprio quello che accade ne Il tocco del male. La pellicola di Gregory Hoblit, raccontata furbamente da una voce fuori campo come se fosse un noir d'altri tempi, rappresenta tutto ciò che avrebbe dovuto essere Liberaci dal male per poter funzionare, perché immerge l'orrore religioso in un contesto poliziesco, dando vita ad un interessantissimo ibrido che vede scontrarsi delle ordinarie indagini di normalissimi poliziotti contro l'inspiegabile e il paradossale, contro forze esistenti ancor prima che l'uomo arrivasse sulla Terra. L'angelo caduto Azazel, presenza invisibile agli occhi ma anche troppo "tangibile", coinvolge il protagonista Denzel Washington in un gioco tra gatto e topo talmente serrato da diventare a tratti quasi insostenibile, nel quale l'atmosfera di totale incertezza e pericolo imminente riesce senza troppi problemi ad eclissare la pomposità della solita lotta tra il Male sovrannaturale e un inconsapevole prescelto umano e a farsi perdonare alcune ingenuità pseudo-new age.
Se Il tocco del male, già molto inquietante per la trama, funziona a meraviglia, il merito va in gran parte al cast stellare. Denzel Washington è un protagonista validissimo e solido ma la parte del leone la fanno tutti gli altri grandissimi attori e caratteristi che gli sono stati affiancati, a partire da un Elias Koteas che, nonostante si veda solo all'inizio, si incide a fuoco nella mente dello spettatore grazie ad un carisma magnetico (vi sfido a non mettervi a cantare a squarciagola Time Is on My Side degli Stones, tema portante del film, dopo averlo visto fare a lui nella scena della prigione!); Donald Sutherland, James Gandolfini e John Goodman si fanno condurre docilmente per mano da questa grandissima prova attoriale e si giostrano lo spettatore come vogliono, alternando momenti di normalità ad atteggiamenti "sospetti" in grado di mettere i brividi. La regia di Gregory Hoblit è solida e classica ma lascia spazio all'innovazione al momento di mostrare la soggettiva di Azazel (ottenuta grazie all'ausilio di un tipo di pellicola denominato Ektachrome) e, soprattutto, tocca vertici di pura classe nella sequenza in cui Embeth Davidtz viene presa di mira ed inseguita dall'angelo caduto, che propaga la sua essenza di persona in persona per un intero isolato grazie a semplici tocchi, sapientemente coreografati, inquadrati e montati: horror ne ho visti parecchi, ormai lo sapete, e Il tocco del male l'ho guardato ben più di una volta, eppure trovo che questa particolare sequenza sia una delle più belle che siano mai state girate per un film di genere e mi lascia sempre senza fiato. Per non spoilerare eccessivamente la storia è meglio che mi fermi qui ma direi che basterebbe solo questo per spingermi a consigliare la visione de Il tocco del male a tutti, non solo agli appassionati del sovrannaturale... credo comunque che anche dare una scorsa ai grandi nomi coinvolti sia un valido incentivo, quindi recuperatelo se non lo avete mai fatto!!
Di John Goodman (Jonesy), Donald Sutherland (Stanton), Embeth Davidtz (Gretta Milano), James Gandolfini (Lou) ed Elias Koteas (Edgar Reese) ho già parlato ai rispettivi link.
Gregory Hoblit è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Schegge di paura, Frequency - Il futuro è in ascolto, Il caso Thomas Crawford, Nella rete del serial killer ed episodi di serie come N.Y.P.D.. Anche produttore e sceneggiatore, ha 70 anni.
Denzel Washington (vero nome Denzel Hayes Washington Jr.) interpreta John Hobbes. Americano, lo ricordo per film come Il giustiziere della notte, Glory - Uomini di gloria (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista), Mo' Better Blues, Malcom X, Il rapporto Pelican, Philadelphia, Allarme rosso, Il collezionista di ossa, Training Day (per il quale ha vinto l'Oscar come miglior attore protagonista), Déjà Vu - Corsa contro il tempo e Pelham 1 2 3 - Ostaggi in metropolitana. Anche produttore e regista, ha 60 anni e un film in uscita.
Se Il tocco del male vi fosse piaciuto recuperate anche L'ultima profezia e Angel Heart - Ascensore per l'inferno. ENJOY!
mercoledì 9 ottobre 2013
Zero Dark Thirty (2012)
Nonostante fosse stato addirittura nominato all’Oscar come miglior film a inizio anno, non mi era ancora capitato di vedere Zero Dark Thirty, diretto nel 2012 dalla regista Kathryn Bigelow, così qualche sera fa mi sono cimentata nell’impresa.
Trama: dopo gli eventi delll’11 settembre, una giovane agente CIA si consacra anima e corpo, per ben dieci anni, nella caccia a Bin Laden…
Diversamente dal solito la recensione di questo film sarà assolutamente oggettiva (quindi molto breve) perché se dovessi inserire anche dei giudizi personali comincerei dicendo che Zero Dark Thirty rientra in quel filone di pellicole che non sopporto, ovvero i drammoni politico-militari ambientati in qualche recondita località mediorientale con protagonisti perennemente incazzati/nervosi e comprimari dalle facce tutte uguali che pronunciano nomi di persone, luoghi e cose talmente identici tra loro che, tempo due secondi, riescono a formare nel mio piccolo cervello un groviglio inestricabile. Di fatto, la pellicola non mi ha purtroppo catturato né il cuore né la mente, della crociata personale della tostissima Maya non me ne poteva fregar di meno e l'ultima mezz'ora immersa nel verde con i Navy Seals a caccia del "grand'uomo" in persona mi ha entusiasmata così tanto che ho dovuto riguardarla il giorno dopo, di pomeriggio, quando ero sicura che gli occhi non mi si sarebbero chiusi ogni due secondi per la troppa emozione. E detto questo mi scuso con tutti quelli che hanno amato spassionatamente questo film, ma ci sarà un genere di pellicole che anche a voi farebbero cadere i sentimenti persino se le avessero girate i vostri registi preferiti, no? In caso contrario, come direbbe Zerocalcare, sticazzi. Il Bollalmanacco dev'essere sincero.
Poi, oggettivamente parlando, questo Zero Dark Thirty è un filmone con tutti i crismi. Innanzitutto ha una sceneggiatura solidissima che non si concede né a facili patriottismi né a momenti strappalacrime ma, con una lucidità incredibile, si limita a raccontare un pezzo di terribile e drammatica storia recente attraverso gli occhi di chi, dalle retrovie, si è impegnato affinché un decennio di morte e terrore cessasse. La protagonista, una bellissima e bravissima Jessica Chastain, senza forza né violenza (cit.) ma soltanto contando su una volontà di ferro e un'intelligenza sopraffina getta alle ortiche la propria natura di donna (I'm the motherfucker who found it) e di essere umano e si consacra completamente ad una causa che, paradossalmente, non si è scelta e che probabilmente le causerà più problemi (psicologici innanzitutto) che fama e gloria. Il cast dei comprimari è ovviamente di prim'ordine e uno dei momenti in cui la mia attenzione si è ridestata è stato durante la breve comparsa dell'adorato James Gandolfini ma, per fortuna, sono riuscita ad apprezzare anche Jason Clarke e Jennifer Ehle, entrambi protagonisti delle uniche due sequenze che mi hanno emozionata davvero, sebbene causandomi non poca sofferenza: le torture a inizio pellicola sono avvilenti e terribili anche per chi, come me, è abituata agli horror, mentre la scena dell'attesa con conseguente tragedia finale è un magistrale capolavoro di tensione e tristezza. Inutile aggiungere, quindi, che la regia, la fotografia e anche la colonna sonora "minimal" sono perfette e concorrono a rendere questo film un gioiello nel panorama cinematografico moderno... e però, non è proprio il mio genere, che peccato. Voi lettori, però, non perdetevelo assolutamente, eh!
Di Jessica Chastain (Maya), Kyle Chandler (Joseph Bradley), Harold Perrineau (Jack), James Gandolfini (il capo della CIA), Joel Edgerton (Patrick, caposquadra dei Seals) e Chris Pratt (Justin dei Seals) ho già parlato ai rispettivi link.
Kathryn Bigelow è la regista della pellicola. Americana, ha diretto film come Il buio si avvicina, Point Break, Strange Days, Il mistero dell’acqua e The Hurt Locker, che ha vinto l’Oscar come miglior regia e miglior pellicola. Anche sceneggiatrice, produttrice e attrice, ha 62 anni.
Jason Clarke interpreta Dan. Australiano, ha partecipato a film come Nemico pubblico, Wall Street – Il denaro non dorme mai, Il Grande Gatsby e alla soap Home and Away. Anche produttore, ha 45 anni e sei film in uscita tra cui La conquista del pianeta delle scimmie.
Jennifer Ehle interpreta Jessica. Americana, ha partecipato a film come Wilde, Il discorso del re e Contagion. Ha 45 anni e quattro film in uscita tra cui RoboCop.
Inizialmente, avrebbe dovuto essere Rooney Mara ad interpretare Maya ma alla fine l’attrice ha rinunciato mentre per altri ruoli erano stati contattati Tom Hardy, Guy Pearce e Idris Elba. Ci sono stati cambiamenti anche alla regia visto che James Cameron, ex marito di Kathryn Bigelow, avrebbe dovuto dirigere il film ma ha rinunciato per realizzare i seguiti di Avatar (il primo dei quali è previsto per il 2016, per inciso). Nell’attesa che escano, se Zero Dark Thirty vi fosse piaciuto consiglio il recupero di The Hurt Locker, Zodiac e Tutti gli uomini del presidente. ENJOY!!
Trama: dopo gli eventi delll’11 settembre, una giovane agente CIA si consacra anima e corpo, per ben dieci anni, nella caccia a Bin Laden…
Diversamente dal solito la recensione di questo film sarà assolutamente oggettiva (quindi molto breve) perché se dovessi inserire anche dei giudizi personali comincerei dicendo che Zero Dark Thirty rientra in quel filone di pellicole che non sopporto, ovvero i drammoni politico-militari ambientati in qualche recondita località mediorientale con protagonisti perennemente incazzati/nervosi e comprimari dalle facce tutte uguali che pronunciano nomi di persone, luoghi e cose talmente identici tra loro che, tempo due secondi, riescono a formare nel mio piccolo cervello un groviglio inestricabile. Di fatto, la pellicola non mi ha purtroppo catturato né il cuore né la mente, della crociata personale della tostissima Maya non me ne poteva fregar di meno e l'ultima mezz'ora immersa nel verde con i Navy Seals a caccia del "grand'uomo" in persona mi ha entusiasmata così tanto che ho dovuto riguardarla il giorno dopo, di pomeriggio, quando ero sicura che gli occhi non mi si sarebbero chiusi ogni due secondi per la troppa emozione. E detto questo mi scuso con tutti quelli che hanno amato spassionatamente questo film, ma ci sarà un genere di pellicole che anche a voi farebbero cadere i sentimenti persino se le avessero girate i vostri registi preferiti, no? In caso contrario, come direbbe Zerocalcare, sticazzi. Il Bollalmanacco dev'essere sincero.
Poi, oggettivamente parlando, questo Zero Dark Thirty è un filmone con tutti i crismi. Innanzitutto ha una sceneggiatura solidissima che non si concede né a facili patriottismi né a momenti strappalacrime ma, con una lucidità incredibile, si limita a raccontare un pezzo di terribile e drammatica storia recente attraverso gli occhi di chi, dalle retrovie, si è impegnato affinché un decennio di morte e terrore cessasse. La protagonista, una bellissima e bravissima Jessica Chastain, senza forza né violenza (cit.) ma soltanto contando su una volontà di ferro e un'intelligenza sopraffina getta alle ortiche la propria natura di donna (I'm the motherfucker who found it) e di essere umano e si consacra completamente ad una causa che, paradossalmente, non si è scelta e che probabilmente le causerà più problemi (psicologici innanzitutto) che fama e gloria. Il cast dei comprimari è ovviamente di prim'ordine e uno dei momenti in cui la mia attenzione si è ridestata è stato durante la breve comparsa dell'adorato James Gandolfini ma, per fortuna, sono riuscita ad apprezzare anche Jason Clarke e Jennifer Ehle, entrambi protagonisti delle uniche due sequenze che mi hanno emozionata davvero, sebbene causandomi non poca sofferenza: le torture a inizio pellicola sono avvilenti e terribili anche per chi, come me, è abituata agli horror, mentre la scena dell'attesa con conseguente tragedia finale è un magistrale capolavoro di tensione e tristezza. Inutile aggiungere, quindi, che la regia, la fotografia e anche la colonna sonora "minimal" sono perfette e concorrono a rendere questo film un gioiello nel panorama cinematografico moderno... e però, non è proprio il mio genere, che peccato. Voi lettori, però, non perdetevelo assolutamente, eh!
Di Jessica Chastain (Maya), Kyle Chandler (Joseph Bradley), Harold Perrineau (Jack), James Gandolfini (il capo della CIA), Joel Edgerton (Patrick, caposquadra dei Seals) e Chris Pratt (Justin dei Seals) ho già parlato ai rispettivi link.
Kathryn Bigelow è la regista della pellicola. Americana, ha diretto film come Il buio si avvicina, Point Break, Strange Days, Il mistero dell’acqua e The Hurt Locker, che ha vinto l’Oscar come miglior regia e miglior pellicola. Anche sceneggiatrice, produttrice e attrice, ha 62 anni.
Jason Clarke interpreta Dan. Australiano, ha partecipato a film come Nemico pubblico, Wall Street – Il denaro non dorme mai, Il Grande Gatsby e alla soap Home and Away. Anche produttore, ha 45 anni e sei film in uscita tra cui La conquista del pianeta delle scimmie.
Jennifer Ehle interpreta Jessica. Americana, ha partecipato a film come Wilde, Il discorso del re e Contagion. Ha 45 anni e quattro film in uscita tra cui RoboCop.
Inizialmente, avrebbe dovuto essere Rooney Mara ad interpretare Maya ma alla fine l’attrice ha rinunciato mentre per altri ruoli erano stati contattati Tom Hardy, Guy Pearce e Idris Elba. Ci sono stati cambiamenti anche alla regia visto che James Cameron, ex marito di Kathryn Bigelow, avrebbe dovuto dirigere il film ma ha rinunciato per realizzare i seguiti di Avatar (il primo dei quali è previsto per il 2016, per inciso). Nell’attesa che escano, se Zero Dark Thirty vi fosse piaciuto consiglio il recupero di The Hurt Locker, Zodiac e Tutti gli uomini del presidente. ENJOY!!
martedì 8 ottobre 2013
L'uomo che non c'era (2001)
In questi giorni ho riguardato, dopo un sacco di anni, L'uomo che non c'era (The Man Who Wasn't There), diretto nel 2001 da Joel ed Ethan Coen. La recensione che segue sarà un po' atipica e vi spiegherò meglio il perché...
Trama: Ed Crane, un silenzioso barbiere sposato ad una moglie infedele, per ottenere denaro ricatta l'amante di lei e mette in moto una serie di tragici eventi...
Prima di cominciare la recensione dovete sapere che io, tutte le mattine, mi concedo mezz'ora di film da guardare mentre faccio colazione. Vivendo ancora con i miei, capita che mmadree sia ancora a letto mentre io sono già in piedi e ovviamente tengo basso il volume per non disturbare. La decisione, inoltre, di acquistare DVD in Inghilterra a causa del prezzo notevolmente più basso e l'assenza di spese di spedizione fa sì che, spesso, la traccia audio preveda solo la lingua inglese e, ahimé, l'assenza di sottotitoli. Questo è stato il caso di L'uomo che non c'era, di cui ho ovviamente capito gli aspetti salienti della trama perdendo però almeno il 50% del costante monologo del protagonista Ed Crane, che accompagna come nella migliore tradizione noir le immagini della pellicola. Premesso che, prima o poi, riguarderò per la terza volta L'uomo che non c'era in condizioni migliori, l'inconveniente mi ha fatta però concentrare sulle tre cose che rendono questo film l'ennesimo capolavoro dei Fratelli Coen e cioé la bellezza delle immagini, la delicatezza della colonna sonora e l'incredibile bravura di un Billy Bob Thornton praticamente perfetto.
L'uomo che non c'era è un bellissimo omaggio al cinema degli anni '50, girato in un bianco e nero talmente nitido che ogni dettaglio risalta alla perfezione, dai capelli tagliati dal barbiere al fumo di sigaretta che avvolge costantemente Ed Crane, sia nelle riprese esterne, che siano notturne o diurne, sia in quelle girate in interni. La colonna sonora è composta da una semplice ma intensa partitura per pianoforte, che comincia ad insinuarsi maggiormente nelle orecchie dello spettatore dopo l'arrivo di Birdy, la ragazzina pianista interpretata da una giovanissima Scarlett Johansson, mescolandosi alla voce roca e monocorde del protagonista e sottolineando i momenti più amaramente tragici e riflessivi della vicenda. Come quasi tutte le opere dei Coen, infatti, il film racconta la tragica banalità delle quotidiane vicende umane e quello che accade quando persone prive di nerbo decidono (o si trovano costrette a) di cambiare, seppur brevemente, il loro modo di essere: quando Crane, il laconico, passivo e rassegnato Crane decide di investire soldi in quella che è palesemente una fregatura "moderna", mette in moto eventi ampiamente prevedibili e per questo ancora più grotteschi e a loro modo tristi, sanguinosi. L'assurdità dell'intera faccenda viene sottolineata da riferimenti costanti a quei terribili giornaletti come Life magazine, a credenze popolari legate agli alieni e da personaggi sopra le righe come l'avvocato di Tony Shalhoub, profittatore e pieno di sé, perfetta incarnazione di una giustizia a dir poco kafkiana.
Billy Bob Thornton, come ho detto, è perfetto e avrebbe meritato l'Oscar. Sono ben pochi i moti di sorpresa o dolore che donano espressività al volto del suo personaggio, che diventa così un perfetto "Uomo che non c'era": Crane è inesistente sia per la moglie, una scazzata e bravissima Frances McDormand, sia per il logorroico cognato, sia per il padre di Birdy che si assopisce in sua presenza come se non avesse nessuno in salotto, sia per l'avvocato che non crede alla sua confessione di colpevolezza. Le uniche tre persone che si accorgeranno della presenza di Crane (tra le quali spicca il mio adorato James Gandolfini) saranno, molto ironicamente, quelle che poi lo porteranno alla rovina definitiva, chi in un modo chi in un altro... ma la verità è che, come tutti i perdenti del cinema dei Coen, Crane era già destinato ad una vita (o una morte) come minimo insignificante o insoddisfacente. L'uomo che non c'era, dunque, è un film particolare, forse uno dei più assurdi e di difficile interpretazione dei fratelli Coen ma anche uno dei più belli ed eleganti, dei più tristi e definitivi. Recuperatelo e, magari, ascoltate bene i dialoghi, non fate come me!
Dei registi e sceneggiatori Joel ed Ethan Coen ho già parlato qui mentre Billy Bob Thornton (Ed Crane), Frances McDormand (Doris Crane), Michael Badalucco (Frank), Scarlett Johansson (Birdy Abundas), Richard Jenkins (Walter Abundas) e Tony Shalhoub (Freddy Riedenschneider) li trovate ai rispettivi link.
James Gandolfini (vero nome James Joseph Gandolfini Jr.) interpreta Big Dave Brewster. Grandissimo attore purtroppo prematuramente scomparso, ha raggiunto il successo con la serie I Soprano ma lo ricordo anche per film come L’ultimo boyscout – Missione sopravvivere, Una vita al massimo, Get Shorty, She’s So Lovely – Così carina, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Il tocco del male, 8MM – Delitto a luci rosse, The Mexican, Il castello, Cogan – Killing Them Softly e Zero Dark Thirty. Anche produttore, è morto quest’anno all’età di 51 anni ma ha ancora un film in uscita.
Jon Polito (vero nome John Polito) interpreta Creighton Tolliver. Americano, lo ricordo per film come Highlander – L’ultimo immortale, Il corvo – The Crow, Il grande Lebowski, Stuart Little – Un topolino in gamba e Gangster Squad, inoltre ha partecipato alle serie Miami Vice, La signora in giallo, Innamorati pazzi, NYPD, Pappa e ciccia, Millennium, Nash Bridges, Una mamma per amica, Scrubs, Tutto in famiglia, Desperate Housewives, Masters of Horror, Medium, Ghost Whisperer, Two and a Half Men e Monk. Ha 63 anni e due film in uscita tra cui Big Eyes, l’ultima pellicola di Tim Burton.
Nel cast figura anche, nei panni di Ann Brewster, l’attrice Katherine Borowitz, moglie di John Turturro. Il film, candidato all’Oscar per la miglior fotografia, è stato girato a colori e poi virato in bianco e nero ma, per errore, ne era stata distribuita una copia “non trattata” che è finita poi, in alcuni Paesi, nell’edizione speciale del DVD. A prescindere da questa curiosità, se L’uomo che non c’era vi fosse piaciuto consiglio la visione di Sin City, Blood Simple e l’originale Il postino suona sempre due volte. ENJOY!
Trama: Ed Crane, un silenzioso barbiere sposato ad una moglie infedele, per ottenere denaro ricatta l'amante di lei e mette in moto una serie di tragici eventi...
Prima di cominciare la recensione dovete sapere che io, tutte le mattine, mi concedo mezz'ora di film da guardare mentre faccio colazione. Vivendo ancora con i miei, capita che mmadree sia ancora a letto mentre io sono già in piedi e ovviamente tengo basso il volume per non disturbare. La decisione, inoltre, di acquistare DVD in Inghilterra a causa del prezzo notevolmente più basso e l'assenza di spese di spedizione fa sì che, spesso, la traccia audio preveda solo la lingua inglese e, ahimé, l'assenza di sottotitoli. Questo è stato il caso di L'uomo che non c'era, di cui ho ovviamente capito gli aspetti salienti della trama perdendo però almeno il 50% del costante monologo del protagonista Ed Crane, che accompagna come nella migliore tradizione noir le immagini della pellicola. Premesso che, prima o poi, riguarderò per la terza volta L'uomo che non c'era in condizioni migliori, l'inconveniente mi ha fatta però concentrare sulle tre cose che rendono questo film l'ennesimo capolavoro dei Fratelli Coen e cioé la bellezza delle immagini, la delicatezza della colonna sonora e l'incredibile bravura di un Billy Bob Thornton praticamente perfetto.
L'uomo che non c'era è un bellissimo omaggio al cinema degli anni '50, girato in un bianco e nero talmente nitido che ogni dettaglio risalta alla perfezione, dai capelli tagliati dal barbiere al fumo di sigaretta che avvolge costantemente Ed Crane, sia nelle riprese esterne, che siano notturne o diurne, sia in quelle girate in interni. La colonna sonora è composta da una semplice ma intensa partitura per pianoforte, che comincia ad insinuarsi maggiormente nelle orecchie dello spettatore dopo l'arrivo di Birdy, la ragazzina pianista interpretata da una giovanissima Scarlett Johansson, mescolandosi alla voce roca e monocorde del protagonista e sottolineando i momenti più amaramente tragici e riflessivi della vicenda. Come quasi tutte le opere dei Coen, infatti, il film racconta la tragica banalità delle quotidiane vicende umane e quello che accade quando persone prive di nerbo decidono (o si trovano costrette a) di cambiare, seppur brevemente, il loro modo di essere: quando Crane, il laconico, passivo e rassegnato Crane decide di investire soldi in quella che è palesemente una fregatura "moderna", mette in moto eventi ampiamente prevedibili e per questo ancora più grotteschi e a loro modo tristi, sanguinosi. L'assurdità dell'intera faccenda viene sottolineata da riferimenti costanti a quei terribili giornaletti come Life magazine, a credenze popolari legate agli alieni e da personaggi sopra le righe come l'avvocato di Tony Shalhoub, profittatore e pieno di sé, perfetta incarnazione di una giustizia a dir poco kafkiana.
Billy Bob Thornton, come ho detto, è perfetto e avrebbe meritato l'Oscar. Sono ben pochi i moti di sorpresa o dolore che donano espressività al volto del suo personaggio, che diventa così un perfetto "Uomo che non c'era": Crane è inesistente sia per la moglie, una scazzata e bravissima Frances McDormand, sia per il logorroico cognato, sia per il padre di Birdy che si assopisce in sua presenza come se non avesse nessuno in salotto, sia per l'avvocato che non crede alla sua confessione di colpevolezza. Le uniche tre persone che si accorgeranno della presenza di Crane (tra le quali spicca il mio adorato James Gandolfini) saranno, molto ironicamente, quelle che poi lo porteranno alla rovina definitiva, chi in un modo chi in un altro... ma la verità è che, come tutti i perdenti del cinema dei Coen, Crane era già destinato ad una vita (o una morte) come minimo insignificante o insoddisfacente. L'uomo che non c'era, dunque, è un film particolare, forse uno dei più assurdi e di difficile interpretazione dei fratelli Coen ma anche uno dei più belli ed eleganti, dei più tristi e definitivi. Recuperatelo e, magari, ascoltate bene i dialoghi, non fate come me!
Dei registi e sceneggiatori Joel ed Ethan Coen ho già parlato qui mentre Billy Bob Thornton (Ed Crane), Frances McDormand (Doris Crane), Michael Badalucco (Frank), Scarlett Johansson (Birdy Abundas), Richard Jenkins (Walter Abundas) e Tony Shalhoub (Freddy Riedenschneider) li trovate ai rispettivi link.
James Gandolfini (vero nome James Joseph Gandolfini Jr.) interpreta Big Dave Brewster. Grandissimo attore purtroppo prematuramente scomparso, ha raggiunto il successo con la serie I Soprano ma lo ricordo anche per film come L’ultimo boyscout – Missione sopravvivere, Una vita al massimo, Get Shorty, She’s So Lovely – Così carina, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Il tocco del male, 8MM – Delitto a luci rosse, The Mexican, Il castello, Cogan – Killing Them Softly e Zero Dark Thirty. Anche produttore, è morto quest’anno all’età di 51 anni ma ha ancora un film in uscita.
Jon Polito (vero nome John Polito) interpreta Creighton Tolliver. Americano, lo ricordo per film come Highlander – L’ultimo immortale, Il corvo – The Crow, Il grande Lebowski, Stuart Little – Un topolino in gamba e Gangster Squad, inoltre ha partecipato alle serie Miami Vice, La signora in giallo, Innamorati pazzi, NYPD, Pappa e ciccia, Millennium, Nash Bridges, Una mamma per amica, Scrubs, Tutto in famiglia, Desperate Housewives, Masters of Horror, Medium, Ghost Whisperer, Two and a Half Men e Monk. Ha 63 anni e due film in uscita tra cui Big Eyes, l’ultima pellicola di Tim Burton.
Nel cast figura anche, nei panni di Ann Brewster, l’attrice Katherine Borowitz, moglie di John Turturro. Il film, candidato all’Oscar per la miglior fotografia, è stato girato a colori e poi virato in bianco e nero ma, per errore, ne era stata distribuita una copia “non trattata” che è finita poi, in alcuni Paesi, nell’edizione speciale del DVD. A prescindere da questa curiosità, se L’uomo che non c’era vi fosse piaciuto consiglio la visione di Sin City, Blood Simple e l’originale Il postino suona sempre due volte. ENJOY!
lunedì 16 settembre 2013
Get Babol! #78
Buon lunedì a tutti!! Inizio di settimana decisamente tumultuoso il mio, spero che il vostro sia stato nettamente migliore. Sul fronte occidentale, ovvero negli USA, parecchie uscite questa settimana... ma pare che il sito GetGlue non abbia nulla o quasi da consigliarmi. Tuttavia, nonostante sappia che non è il mio genere, non posso fare a meno di segnalare l'uscita di Enough Said, l'ultimo film del grandissimo James Gandolfini, una commedia romantica che lo vede nei panni di un uomo divorziato in procinto di rifarsi una vita. Cercherò di recuperarlo per rispetto al grande, ma nel frattempo... ENJOY!!
A Single Shot
Di David M. Rosenthal
Con Sam Rockwell, Jeffrey Wright, Kelly Reilly
Trama (da Imdb): La tragica morte di una bellissima ragazzina innesca un tesissimo gioco gatto/topo tra il cacciatore John Moon e i criminali che vogliono il suo sangue.
Il sito me lo consiglia perché mi è piaciuto Amabili Resti. A prescindere, lo voglio vedere a tutti i costi. Innanzitutto c'è William H. Macy e ciò mi ricorda molto Fargo, secondariamente questo film ha qualcosa anche di Soldi sporchi, altro caposaldo del genere. Certo, Sam Rockwell non mi ha mai fatta impazzire ma se ci aggiungiamo Jason "Lucius mi necessita la bacchetta" Isaacs e quella gran donna di KellyReilly direi che non posso evitare di guardarlo!! Purtroppamente, e mi sembra anche giusto, un'uscita italiana non esiste ancora, ma non perdo la speranza...
A Single Shot
Di David M. Rosenthal
Con Sam Rockwell, Jeffrey Wright, Kelly Reilly
Trama (da Imdb): La tragica morte di una bellissima ragazzina innesca un tesissimo gioco gatto/topo tra il cacciatore John Moon e i criminali che vogliono il suo sangue.
Il sito me lo consiglia perché mi è piaciuto Amabili Resti. A prescindere, lo voglio vedere a tutti i costi. Innanzitutto c'è William H. Macy e ciò mi ricorda molto Fargo, secondariamente questo film ha qualcosa anche di Soldi sporchi, altro caposaldo del genere. Certo, Sam Rockwell non mi ha mai fatta impazzire ma se ci aggiungiamo Jason "Lucius mi necessita la bacchetta" Isaacs e quella gran donna di KellyReilly direi che non posso evitare di guardarlo!! Purtroppamente, e mi sembra anche giusto, un'uscita italiana non esiste ancora, ma non perdo la speranza...
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giovedì 20 giugno 2013
James Gandolfini (1961-2013)
Il giovedì di solito è il giorno dedicato alle uscite cinematografiche della settimana, ma questo giovedì in particolare è abbastanza triste e scioccante per me.
La prima notizia che mi colpisce come un macigno è quella della morte di uno dei miei attori preferiti, James Gandolfini.
Era in vacanza a Roma, pare, ed è stato colpito da un attacco cardiaco.
Il come e il perché importano poco, morire a 51 anni è sempre una maledetta fregatura.
E così, con un magone così grosso da non riuscire nemmeno a parlare, mi viene in mente l'incredibile bravura e professionalità con cui, per anni, il buon James ha interpretato una delle figure più grandiose della tv americana, il boss Tony Soprano, con le sue fisime, le sue imperfezioni, i suoi attacchi d'ansia.
Mi viene in mente il suo sorriso dolce e minaccioso, quello che precede il devastante pestaggio ai danni della povera Patricia Arquette in Una vita al massimo.
Mi viene in mente il tirapiedi con bambina a seguito di Get Shorty.
Mi vengono in mente 8 MM, The Mexican, L'uomo che non c'era: ruoli ben più sostanziosi ed importanti, a loro modo sempre negativi, perché, diciamocelo, Gandolfini aveva il perfetto phisique du role per essere criminale anche quando impegnato nel ruolo di generale, come ne Il castello.
Ci sono ancora parecchie sue pellicole che devo ancora guardare... ma mi dispiace tantissimo che, a questo lungo elenco di film "mancanti", non potranno più aggiungersene altri.
So long, James.
La prima notizia che mi colpisce come un macigno è quella della morte di uno dei miei attori preferiti, James Gandolfini.
Era in vacanza a Roma, pare, ed è stato colpito da un attacco cardiaco.
Il come e il perché importano poco, morire a 51 anni è sempre una maledetta fregatura.
E così, con un magone così grosso da non riuscire nemmeno a parlare, mi viene in mente l'incredibile bravura e professionalità con cui, per anni, il buon James ha interpretato una delle figure più grandiose della tv americana, il boss Tony Soprano, con le sue fisime, le sue imperfezioni, i suoi attacchi d'ansia.
Mi viene in mente il suo sorriso dolce e minaccioso, quello che precede il devastante pestaggio ai danni della povera Patricia Arquette in Una vita al massimo.
Mi viene in mente il tirapiedi con bambina a seguito di Get Shorty.
Mi vengono in mente 8 MM, The Mexican, L'uomo che non c'era: ruoli ben più sostanziosi ed importanti, a loro modo sempre negativi, perché, diciamocelo, Gandolfini aveva il perfetto phisique du role per essere criminale anche quando impegnato nel ruolo di generale, come ne Il castello.
Ci sono ancora parecchie sue pellicole che devo ancora guardare... ma mi dispiace tantissimo che, a questo lungo elenco di film "mancanti", non potranno più aggiungersene altri.
So long, James.
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