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mercoledì 2 ottobre 2024

Cuckoo (2024)

Altro film che puntavo da un po' e che non ha ancora una data di uscita in Italia, è questo Cuckoo, scritto e diretto dal regista Tilman Singer.


Trama: dopo la morte della madre, Gretchen viene trascinata dal padre e la matrigna, assieme alla sorellastra muta, nelle montagne bavaresi, dove l'uomo dovrebbe progettare un resort. Lì scoprirà un inquietante segreto...


Tilman Singer
è un autore che mi è nuovo, anche se ricordo di aver letto belle cose sul suo precedente lavoro, Luz. In realtà, il motivo per cui ho recuperato Cuckoo è il mio desiderio di non perdere neppure un horror con Dan Stevens, e non sono tuttora sicura che il film abbia incontrato al 100% i miei gusti. Sì perché Cuckoo è un film che va a braccetto col weird e, probabilmente, per fare breccia nel mio cuore avrebbe dovuto essere dichiaratamente un b-movie; mi è parso, invece, che Cuckoo avesse delle velleità autoriali che poco si confanno alla sceneggiatura leggermente zoppicante. Il film mi ha riportata a 4 anni fa, quando, durante il lockdown, proliferavano i film allucinanti dove i protagonisti (per la maggior parte problematici o ben poco simpatici) erano costretti ad avere a che fare con bizzarri esperimenti che li vedevano coinvolti loro malgrado. In questo, Cuckoo è molto simile. Abbiamo, infatti, una famiglia disfunzionale dove la comunicazione tra i membri è assente, in un caso letteralmente, e questa famiglia si ritrova in un luogo isolato dove cominciano ad accadere strane cose e da dove, neanche a dirlo, è impossibile uscire. Questo pesa soprattutto a Gretchen, vittima di un lutto pesantissimo e costretta a trasferirsi nelle Alpi Bavaresi con un padre distante, una matrigna oca e una sorellastra piccolina ed innocente che vorrebbe invece esserle amica. Ora, a Gretchen non si può non voler bene, non solo perché la bravissima Hunter Schafer si carica sulle spalle tutto il film, quanto piuttosto per l'immenso dolore che la schiaccia e che, nonostante ciò, non le impedisce di essere umana e creare legami con una sorellina che avrebbe ogni motivo di disprezzare. Proprio il tentativo di rendere Gretchen un personaggio tridimensionale, però, porta Cuckoo ad essere uno slow burn dal ritmo discontinuo, che si perde in dettagli che ho trovato personalmente inutili (ma quell'abbozzo di love story, santo cielo, a cosa belin serve che è recitato con la stessa verve che aveva Natolia negli sketch dei Bulgari?) e lascia cadere nel limbo domande ed eventi ai quali forse serviva dare un minimo di risoluzione. Ammetto, dunque, di avere avuto qualche difficoltà a rimanere sveglia, questo almeno finché il film non entra nel vivo, mettendo da parte sfasamenti temporali che mi perplimono tutt'ora e arrivando alla ciccia in pieno stile mad doctor.


Cuckoo
mi sarebbe piaciuto molto di più se la locura dell'ultimo atto avesse permeato anche quelli precedenti, con le sue allucinanti spiegazioni pseudo evolutive/fantascientifiche messe in bocca a personaggi serissimi, mostri scatenati che fanno cose brutte (lo slime!! Ewwww!!) e una protagonista che regge l'anima coi denti ma continua imperterrita a lottare, con lo scazzo dipinto in volto di chi ha a che fare con degli abelinati e non li sopporta più. Uno di detti abelinati, per inciso, ha la meravigliosa faccetta di Dan Stevens, che per l'occasione sfoggia un favoloso accento tedesco in grado di condannare ad ignominia perpetua ogni eventuale tentativo di doppiare Cuckoo in italiano, come troppo spesso accade negli ultimi tempi (ho ancora le orecchie che sanguinano per Immaculate, uno dei film migliori dell'anno trasformato in vaccata proprio dall'adattamento e doppiaggio nostrani). A proposito di Italia, ad arricchire tutta una serie di scelte stilistiche che accentuano l'effetto weird di Cuckoo (in primis una cura certosina del sonoro, ma anche tesissime scene in notturna e l'inserimento di dettagli stranianti nelle immagini, che sconcertano sia la protagonista che lo spettatore) c'è nientemeno che LORETTA GOGGI con la canzone Il mio prossimo amore, utilizzata con gusto eccezionale all'interno di una sequenza in cui la tensione si taglia col coltello e che non sfigurerebbe all'interno dell'eventuale top 5 delle scene horror migliori del 2024. In virtù di tutti questi motivi, direi che i pro superano i contro e che Cuckoo, riflettendoci, mi è piaciuto. Forse mi aspettavo qualcosa di meglio e di diverso, ma è uno di quei film che bisogna guardare senza farsi condizionare dai giudizi altrui, perché le sue particolarità potrebbero non essere la cup of tea di tutti e diventare ugualmente la bevanda preferita di qualcun altro. Fatemi sapere nei commenti!


Di Marton Csokas (Luis), Dan Stevens (Herr König) e Jessica Henwick (Beth) ho parlato ai rispetti link.

Tilman Singer
è il regista e sceneggiatore della pellicola. Tedesco, ha diretto il film Luz. Anche produttore, ha 36 anni.


Hunter Schafer
interpreta Gretchen. Americana, ha partecipato al film Kinds of Kindness e doppiato la versione inglese di Belle. Anche regista, produttrice e sceneggiatrice, ha 26 anni e un film in uscita. 



martedì 19 ottobre 2021

The Last Duel (2021)

Attirata da un trailer a dir poco spettacolare, non potevo farmi scappare The Last Duel, diretto da Ridley Scott e tratto dal libro The Last Duel: A True Story of Trial by Combat in Medieval France di Eric Jager.


Trama: Francia, quattordicesimo secolo. Il Cavaliere Jean De Carrouges sfida ad un duello mortale lo scudiero Jacques Le Gris, accusandolo di avere stuprato la moglie. 


I duellanti
è stato il primo lungometraggio realizzato da Ridley Scott. Sarebbe stata davvero un'amara ironia se The Last Duel fosse stata l'ultima pellicola del regista, ma per fortuna il mese prossimo uscirà House of Gucci, quindi almeno per questo possiamo stare tranquilli e mettere da parte l'irrazionalità superstiziosa. Ho tirato in ballo quest'ultima, però, non a caso, in quanto The Last Duel fonda l'ultima parte della sua lunga ed articolata trama proprio sulle false credenze medievali, quasi tutte sfruttabili per annientare le donne, e dipinge un mondo talmente orribile che ci si chiede come abbiamo fatto ad arrivare a sopravvivere, come umanità, fino al 2021. Nonostante, infatti, il trailer ingannevole parli della "donna che ha cambiato la Francia", in realtà la povera Marguerite de Carrouges altro non è che la vittima di una società profondamente ignorante e maschilista, all'interno della quale donne un minimo più colte del normale rischiano di fare una brutta fine in quanto consapevoli dei loro diritti e ben poco disposte a farsi calpestare da false accuse o brutali violenze, e di fatto non ha cambiato proprio nulla. Ma torniamo un attimo a I duellanti. Il primo film di Ridley Scott raccontava la storia di un'ossessione nata da questioni d'onore che finivano per perdersi in un vortice di duelli quasi immotivati, e vedeva il ferino Feraud di Harvey Keitel perseguitare per tutta la vita l'integerrimo d'Hubert di Keith Carradine; nonostante non ci fossero buoni o cattivi nel film, col tempo il primo assumeva connotazioni oscure e malvagie, soprattutto perché del secondo ci veniva mostrato tutto, anche la vita familiare e tranquilla, e in The Last Duel accade un po' la stessa cosa, anche se le carte in tavola vengono ulteriormente mescolate. La bellezza dell'ultimo film di Scott, infatti, deriva dalla pluralità di punti di vista che raccontano la stessa storia e dall'ingresso a gamba tesa di uno sguardo innocente, puro ed incredulo, che ridimensiona entrambi i contendenti sottolineandone i moltissimi lati negativi a scapito dei pochi positivi. 


Apparentemente, il protagonista "buono" è Jean de Carrouges, mentre Jacques De Gris è il "cattivo" scudiero che vive di leccate di piedi e gli ruba persino la virtù della moglie; in realtà, l'indomito e indiscutibile valore del Cavaliere Jean nasconde un animo gretto, una testardaggine inamovibile, un egoismo senza pari che non vacilla neppure davanti all'idea dell'orribile morte della moglie, nell'eventualità della sconfitta nel corso del duello. Ma anche De Gris, per quanto deprecabile, ancor più perché scatenato da un "sentimento" da consumare a tutti i costi, ha qualche lato positivo, soprattutto prima di impazzire per amore, e sembrerebbe quasi che la sua discesa nell'abisso dell'abiezione nasca principalmente dall'incapacità di Carrouges di ignorarlo e lasciare correre, godendosi la fortuna che la vita gli ha concesso, ovvero la bella, intelligente e fedele moglie Marguerite. Marguerite, poverina, di par suo non è né una dea né una strega, ma una donna normalissima che si impegna per essere fedele a un marito che le è stato imposto e che cerca quel minimo di felicità innocente per sfuggire alla pressione di essere una moglie inadempiente (sapevate che nel Medioevo si pensava che una donna potesse rimanere incinta solo dopo aver raggiunto l'orgasmo? Ecco, immaginate quali accuse doveva sostenere chi non riusciva a fare figli...), finendo per ritrovarsi vittima di una faida di decenni dove non contano più né lei né l'amore, ma solo la sopraffazione, l'affermazione davanti a un Dio menefreghista quanto i nobilastri che infestano la pellicola, a partire dal disgustoso Pierre per arrivare all'orrido Re bambino Carlo VI. L'ossessione senza fine, per l'appunto, che si ripropone da I duellanti a The Last Duel.


Avrete capito che la storia raccontata in The Last Duel mi ha avvinta parecchio e, a mio avviso, dimostra come la coppia Ben Affleck/Matt Damon possa ancora fare faville alla sceneggiatura, ma ho ovviamente apprezzato anche la regia e gli attori, chi più chi meno. Ho in particolare amato moltissimo i piccoli dettagli e cambiamenti a livello di regia ed atmosfera tra le sequenze apparentemente uguali raccontate dai diversi punti di vista, dai momenti più eclatanti (la violenza di Marguerite, vista attraverso gli occhi di Le Gris, è praticamente un soft core dove lei, pur terrorizzata, non è così riottosa e lancia segnali assai espliciti allo scudiero, mentre dal punto di vista della donna è un orrore che mozza il fiato, qualcosa di squallido e terribile nella sua disgustosa "banalità") a quelli più sottili, dove bisogna stare molto attenti per cogliere le importanti differenze; inoltre, le battaglie, soprattutto il duello finale, sono violentissime e rozze, talmente tese da risultare, a tratti, difficili da sostenere. Per quanto riguarda gli attori, non seguendo serie TV per mancanza di tempo, sono rimasta sorpresa dalla bravura di Jodie Corner, attrice che non conoscevo per nulla, mentre invece ho avuto ulteriore conferma della versatilità di Adam Driver, che qui offre nuovamente un'interpretazione ricchissima di sfumature, perfetta. Inguardabili, invece, i due sceneggiatori, Affleck e Damon, ma è una pura questione di estetica dovuta ai tagli di capelli e tinte improponibili che gli hanno appioppato, tranquilli, ché sono molto bravi anche loro. Siccome da giovedì usciranno fior di film della Madonna, il mio consiglio è quello di correre al cinema ORA così da non lasciarvi scappare The Last Duel sacrificandolo ad altre pellicole più "importanti", perché rischiate di perdervi davvero un lavoro egregio. 


Del regista Ridley Scott ho già parlato QUI. Matt Damon (Sir Jean De Carrouges), Adam Driver (Jacques Le Gris), Ben Affleck (Pierre D'Alençon) e Marton Csokas (Crespin) li trovate invece ai rispettivi link. 

Jodie Comer interpreta Marguerite De Carrouge. Inglese, ha partecipato a film come Star Wars - L'ascesa di Skywalker, Free Guy - Eroe per gioco e a serie quali Killing Eve. Anche produttrice, ha 27 anni. 


Alex Lawther
, che interpreta Re Carlo VI, era il protagonista di The End of the F***ing World. Ben Affleck avrebbe dovuto interpretare Le Gris ma ha optato per un ruolo "minore" onde evitare contrattempi sul set del prossimo film di Adrian Lyne. Ciò detto, se The Last Duel vi fosse piaciuto, perché non recuperare il più volte citato I duellanti? ENJOY!

venerdì 17 marzo 2017

Loving (2016)

E' uscito ieri in tutta Italia il film Loving, diretto e sceneggiato nel 2016 dal regista Jeff Nichols nonché candidato all'Oscar per la Migliore Attrice Protagonista.


Trama: Mildred e Richard, lei nera e lui bianco, si sposano a Washington D.C. contravvenendo tuttavia alle leggi razziali dello Stato in cui vivono, la Virginia. Condannati a venticinque anni di esilio dallo stato, i coniugi Loving cominciano un calvario fatto di cause legali che li farà arrivare fino alla Corte Suprema...



Normalmente, ormai lo avrete capito, non sono cattiva con i film che non lo meritano. Per venire stroncato dalla sottoscritta un film dev'essere una trashata invereconda, recitato da bestie, oppure non essere all'altezza del regista e degli interpreti coinvolti. Ormai dovreste anche sapere che mi piacciono molto le pellicole basate su vicende realmente accadute, soprattutto quando dette vicende raccontano aspetti della storia americana, così piena di contraddizioni da non smettere di affascinarmi. Come si intrecciano queste due premesse così diverse all'ultimo film di Jeff Nichols?Loving, incentrato su un importantissimo capitolo della lotta americana per i diritti civili, avrebbe dovuto per logica coinvolgermi tantissimo, commuovermi, farmi giustamente infuriare per il destino toccato ai poveri Mildred e Richard, coppia interrazziale costretta a fuggire dalle leggi di uno Stato che riteneva illegale un matrimonio legalmente contratto. Invece, e mi fa male dirlo visto che nutrivo molte aspettative e che Jeff Nichols è un autore che mi piace molto, ho passato due ore e fischia immersa nel tedio più assoluto e conseguentemente ne risentirà anche il tono del post, che non sarà una stroncatura ma nemmeno un apprezzamento della pellicola in questione. Diciamo che, dal mio ignorantissimo punto di vista, a Loving avrebbe innanzitutto giovato una durata più breve, in quanto i concetti di ingiustizia e amore vengono espressi alla perfezione già in un paio di dialoghi ed inquadrature, non serviva dilatare i tempi fino ad abbattere lo spettatore; solitamente non soffro i film lunghi ma ritrovarmi, à la Homer Simpson, a pensare alle scimmiette ballerine durante la visione di Loving è stato indicativo dello scarso interesse provato. Le parentesi legate al mondo dei motori tanto amato da Richard (meccanico e "massacan", cosa volere di più?), le cause legali intentate per telefono, gli interminabili scorci di campagna atti ad enfatizzare la semplicità dei protagonisti e la natura del paese retrogrado ma bellissimo in cui sono nati e cresciuti appesantiscono un film già trascinato sull'orlo del baratro da un casting valido ma, a posteriori, infelice.


Parliamo un attimo di Joel Edgerton. Per carità di Dio, sicuramente Richard Loving sarà stato uno di quegli uomini taciturni, ignoranti ma di buon cuore, gretti e musoni ma esemplari come lavoratori e padri di famiglia, quelli che si vedono spesso nei paesini di campagna e che non esiterei a definire "liguri" in qualche modo, quindi l'interpretazione di Joel Edgerton è oggettivamente perfetta, davvero. Però, consentitemi di dire, pesante ed invalidante come una palla al c***o. Già il film è lungo come la quaresima e Nichols è riuscito a farmi percepire cinque ore invece di due, in più devo continuamente vedere sbiascicare Edgerton con quella faccia sconfitta e i capelli biondi tagliati a spazzoletta, che a momenti sembra un reduce de Il villaggio dei dannati? Anche no, vi prego. L'unica gioia del film è Ruth Negga, della quale potrei stare a magnificare le lodi per ore (magari non quando interpreta Tulip in Preacher ma la colpa lì è degli sceneggiatori). Anche lì, non è che il personaggio abbia chissà quale aura carismatica, però la Negga ha il fascino di un'attrice anni '20, ha una bellezza particolarissima e la sua interpretazione trattenuta conferisce ancora più forza d'animo alla figura di Mildred, donna che ha rinunciato alla famiglia, agli amici e alle sue radici per amore e ha sopportato per anni una situazione terribile, con una dignità ed un contegno a dir poco strabilianti. Se non fosse stato per Ruth Negga, unica stella fulgida di una pellicola senza infamia né lode e non a caso fonte dell'unica candidatura per gli Academy Awards, forse non avrei neppure finito di guardare Loving. Ma, considerata l'accoglienza ricevuta a Cannes e nei circoli cinefili, molto probabilmente sono io che non capisco una cippa quindi non datemi retta e se doveste trovarlo distribuito in qualche cinema vicino andate a vederlo.


Del regista e sceneggiatore Jeff Nichols ho già parlato QUI. Joel Edgerton (Richard), Marton Csokas (Sceriffo Brooks) e Michael Shannon (Grey Villet) li trovate invece ai rispettivi link.

Ruth Negga interpreta Mildred. Nata in Etiopia, ha partecipato a film come World War Z e a serie quali Misfits, Agents of S.H.I.E.L.D. e Preacher. Ha 35 anni.


Nick Kroll interpreta Bernie Cohen. Americano, ha partecipato a film come Vi presento i nostri; come doppiatore, ha lavorato nei film Sausage Party - Vita segreta di una salsiccia, Sing e nelle serie American Dad!, I Griffin e I Simpson. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 39 anni e un film in uscita.


La storia dei coniugi Loving è stata raccontata in un documentario del 2011, The Loving Story, da cui sono stati tratti buona parte dei dialoghi presenti nel film di Nichols, e in un film TV del 1996, Mr. and Mrs. Loving, con Timothy Hutton nella parte di Richard Loving. Se Loving vi fosse piaciuto potreste recuperare entrambi e aggiungere Selma - La strada per la libertà, Una moglie per papà e Lontano dal paradiso. ENJOY!

mercoledì 8 agosto 2012

Dream House (2011)

L'estate si sta avviando verso la fine, e nell'attesa che arrivino filmoni un po' più importanti, le sale continuano a proporci riempitivi più o meno validi. Ieri sera, per esempio, sono andata a vedere il thriller Dream House, diretto nel 2011 dal regista Jim Sheridan.


Trama: Will Atenton è uno scrittore che decide di trasferirsi con la famiglia in una casetta in campagna. La vita scorre lieta, almeno finché l'uomo non scopre che l'amena dimora era stata teatro, anni prima, di una terribile strage...


Sono sincera, mi aspettavo il peggio del peggio da questo Dream House, invece nonostante tutto è un film che si lascia tranquillamente guardare. La trama è sicuramente di una banalità sconcertante, nonostante il doppio twist che sorprende lo spettatore a metà pellicola e sul finale, e sicuramente il film non si distingue per eccessiva complicatezza o ardite scelte registiche, né per la particolare bravura degli attori, ma nonostante tutto Dream House intrattiene per tutta la sua durata e riesce a catturare all'amo lo spettatore con la solita, semplicissima domanda: "cos'è davvero successo in quella casa?". Le risposte arriveranno, con un po' di pazienza e qualche scena "da Mulino Bianco" che rallenta la prima parte della pellicola, ma dalla seconda parte in poi il ritmo accelera e le domande si moltiplicano, così come vengono risolte alcune apparenti incongruenze che mi avevano fatto storcere il naso e lanciare strali contro lo sceneggiatore (la fretta, in questo caso, è cattiva consigliera!). Il risultato finale, almeno per quanto riguarda la trama, non è male ed è risolutivo, a tratti anche commovente, ma sicuramente Dream House vince per la motivazione scatenante più idiota sulla faccia della terra, un misunderstanding talmente grossolano che verrebbe voglia di prendere a badilate in faccia tutti i coinvolti.


Passando all'aspetto tecnico, sarebbe bene segnalare che il regista si è praticamente visto strappare dalle mani il film dai produttori, che lo hanno rimontato in base ai propri gusti, costringendo praticamente Sheridan e gli attori a disconoscere la pellicola. Ciò detto, nonostante Dream House sia una ghost story non ci sono praticamente effetti speciali, il che non è un male in questo caso. Le scenografie mi sono piaciute molto, soprattutto per quel che riguarda la casa del titolo, che riesce ad essere contemporaneamente calda, accogliente (vedi gli infantili ma graziosi fiori che Libby disegna sui muri) e labirintica e misteriosa (il sotterraneo dove Craig trova i mocciosi intenti a celebrare i loro rituali mi ha sconcertata lì per lì!). Gli attori, secondo me, non danno proprio il loro meglio, sebbene Craig e la Weisz si siano conosciuti e innamorati proprio sul set. La migliore tra tutti è sicuramente Rachel Weisz, nei panni di una moglie e madre la cui vita perfetta viene travolta da eventi inspiegabili e sempre più tragici, costretta a prendere consapevolezza di una realtà che sarebbe meglio ignorare; Naomi Watts, l'altra presenza femminile della pellicola, è purtroppo costretta in uno dei ruoli peggiori della sua carriera, poco meno che insignificante, mentre Daniel Craig è bravino, soprattutto quando il personaggio arriva finalmente a scoprire l'atroce verità legata agli omicidi, ma quell'espressione perennemente imbroncettata e una vaga mollezza me lo rendono un po' inviso. Infine, per quanto riguarda la presenza di ottimi caratteristi come Elias Koteas e Marton Csokas, come al solito mi spiace vederli sprecati in ruoli che non ne esaltano le qualità. Riassumendo, quindi, Dream House è un thriller soprannaturale che non stupisce né esalta, ma è comunque un valido intrattenimento ed è sicuramente ben realizzato. Se amate le ghost story un po' particolari come me non dovreste rimanerne delusi, ma se cercate emozioni forti evitate pure.


Di Daniel Craig (Will Atenton), Naomi Watts (Ann Patterson), Rachel Weisz (Libby), Elias Koteas (Boyce) e Marton Csokas (Jack Patterson) ho già parlato nei rispettivi link. 

Jim Sheridan è il regista della pellicola. Irlandese, ha diretto film "storici" come Il mio piede sinistro e Nel nome del padre. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 63 anni e tre film in uscita.


Jane Alexander (vero nome Jane Quigley) interpreta la dottoressa Greeley. Americana, ha partecipato a film come Tutti gli uomini del presidente, Kramer contro Kramer, Le regole della casa del sidro, The Ring, Il mai nato e Terminator Salvation. Anche produttrice, ha 63 anni e un film in uscita.


Le due splendide bimbe protagoniste del film, Taylor e Claire Geare, avevano già interpretato la figlia di Leonardo di Caprio (in età diverse, ovviamente) nel bellissimo Inception, mentre Rachel G. Fox, che in Dream House interpreta la figlia di Naomi Watts, aveva già partecipato alla serie Desperate Housewives come figliastra di Lynette. Se il film vi fosse piaciuto, consiglio la visione di Shutter Island, Il sesto senso, Secret Window, The Others o Number 23. ENJOY!


mercoledì 25 luglio 2012

La leggenda del cacciatore di vampiri (2012)

L’estate continua, cinematograficamente parlando, all’insegna di “quel che passa al convento”. L’altra sera, quindi, sono andata a vedere La leggenda del cacciatore di vampiri (Abraham Lincoln: Vampire Hunter) del regista Timur Bekmambetov, tratto dall’omonimo libro dello scrittore e sceneggiatore Seth Grahame – Smith.


Trama: un giovane Lincoln vede la sua famiglia sterminata da un vampiro. Desideroso di vendetta, incontra sul suo cammino Henry Sturges, un uomo che gli insegna a diventare un cacciatore provetto, ma nella mente di Lincoln cominciano anche a profilarsi idee di libertà e giustizia per gli schiavi…


La leggenda del cacciatore di vampiri è tutto quello che mi aspettavo, ovvero un innocuo fumettone estivo, poco horror e molto fracassone, che prende la storia americana, la mastica, la digerisce e la sputa riadattandola a favore di un pubblico di decerebrati, con un occhio alle mode del momento. Timur Bekmambetov dirige con la stessa grazia che avrebbe un metallaro strafatto all’Opera di Parigi, fulminando lo spettatore con scene d’azione velocissime, mosse al ralenti, accettate che staccano teste e inondano la scena di mucchi di sangue, grandiose sequenze catastrofiche e molti, troppi effetti che avrebbero reso solo inforcando gli occhiali 3D (per una volta, invece, dalle mie parti questa dubbia tecnologia è stata snobbata), mentre come al solito la sceneggiatura di Seth Grahame – Smith ignora con allegria alcuni passaggi fondamentali e rende la trama lacunosa e piena di personaggi che saltano fuori senza motivo e senza coerenza.


Premesso questo, La leggenda del cacciatore di vampiri si conferma comunque un buon prodotto di intrattenimento, a patto di non andare a cercare troppo il pelo nell’uovo come ho fatto io. I personaggi sono simpatici e il nocciolo della storia è interessante, soprattutto nella prima parte del film, che si concentra sulla gioventù di Abramo Lincoln e cerca, anche se spesso in modo un po’ forzato, di giustificare le scelte del vero uomo politico rivedendole in chiave fantahorror, con questa cricca di vampiri “sudroni” che approfittano della schiavitù per pasteggiare indisturbati. Assistiamo così all’”educazione” del futuro presidente per mano di un esilarante personaggio che sembra essere stato creato apposta per Robert Downey Jr. (cialtrone, alcolizzato, a modo suo figo) e ai primi approcci al mestiere, con dovizia di zanne, accettate, sparatorie e sangue. Se il film si fermasse dopo la prima ora, lasciando in sospeso il futuro di Lincoln, forse il mio giudizio sarebbe stato totalmente positivo, nonostante alcune insostenibili tamarrate registiche di cui parlerò; il problema è che poi Seth Grahame – Smith comincia a perdere il controllo della sua creatura, crea una sorta di banda di cacciatori di vampiri nata dal nulla, ci presenta un Lincoln ormai cinquantenne e truccato malissimo, santo cielo!!, non chiarisce cosa possano fare i vampiri agli umani (sicuramente si nutrono delle persone, ma diventa vampiro solo chi vogliono loro, forse il loro sangue è velenoso, non possono attaccarsi a vicenda ma la cosa viene contraddetta sul finale… insomma, un gran casino) e, sinceramente, se discendessi da qualche povero contadinasso che ha combattuto all’epoca per il Sud mi infurierei non poco, visto che lo sceneggiatore ha deciso di dipingere i sudisti come un branco di carogne che non esitavano ad usare i vampiri per negare la libertà agli schiavi.


Passando ad aspetti più tecnici, la regia di Timur Bekmambetov è adrenalinica come al solito e, nonostante non mi faccia impazzire come stile, è sicuramente la più adatta per un film simile, lo ammetto. Ho molto apprezzato la sequenza in cui le immagini sembrano un quadro dipinto in movimento, ho ammirato le coreografie dei vari combattimenti, affascinata dai movimenti d’accetta di Lincoln e dai balzi felini della vampiressa, inoltre la battaglia finale sul treno, con i personaggi che combattono immersi nelle scintille di fuoco, è davvero notevole, ma ogni sentimento mi è caduto durante la sequenza girata in mezzo ad un branco di cavalli impazziti. Ecco, lì la definizione di sboroneria non rende l’idea di cos’è questa tamarrata: Lincoln contro uno dei vampiri che saltano sui cavalli in corsa, immersi nella polvere, combattendosi talvolta a colpi di cavallo (giuro…), con l’umano che si vede piombare addosso più di 100 chili di bestia e non si spezza neppure la schiena. Un’incredibile str***ata, grossa quanto l’idea che basti provare odio verso qualcosa per spaccare con un sol colpo d’accetta un albero. Peccato per queste cadute di stile, perché se dovessi dire la verità ho trovato molto validi anche tutti gli attori coinvolti e gli effetti speciali nonostante, come ho detto, il trucco che invecchia i personaggi segnando il passare degli anni faccia davvero schifo. Purtroppo La leggenda del cacciatore di vampiri è penalizzato anche da quintali di insopportabile retorica filoamericana, cosa che trovo assolutamente fastidiosa, il che mi spinge a dare comunque un voto negativo all’intera operazione e a consigliarvi di non spendere soldi per la pellicola, a meno che davvero non abbiate voglia di spararvi un’ora e fischia di calci, sangue, botti e “God bless the USA”… ma per quello arriveranno a breve I mercenari, non temete!


Del regista Timur Bekmambetov ho già parlato qui, mentre Mary Elizabeth Winstead, che interpreta Mary Todd, la trovate qua.

Benjamin Walker interpreta Abramo Lincoln. Americano, ha partecipato a film come Flags of Our Fathers. Ha 30 anni e tre film in uscita.


Dominic Cooper interpreta Henry Sturges. Inglese, ha partecipato a film come La vera storia di Jack lo squartatore, Mamma Mia!, Capitan America: il primo vendicatore e Marilyn. Ha 34 anni e sei film in uscita.


Anthony Mackie interpreta Will Johnson. Americano, ha partecipato a film come 8 Mile, Million Dollar Baby, I guardiani del destino e Real Steel. Anche sceneggiatore, ha 33 anni e sette film in uscita, tra cui Captain America: The Winter Soldier.


Rufus Sewell interpreta Adam. Inglese, ha partecipato a film come Hamlet, Dark City, La mossa del diavolo, L’ultimo cavaliere e La leggenda di Zorro. Ha 45 anni e tre film in uscita.


Marton Csokas interpreta Jack Barts. Neozelandese, ha partecipato a film come Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello, xXx, Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, Alice in Wonderland e alle serie Hercules, Cleopatra 2525 e Xena principessa guerriera. Ha 46 anni e due film in uscita.


Tom Hardy avrebbe dovuto interpretare Lincoln, ma siccome stava già girando Il ritorno del Cavaliere Oscuro non se n’è fatto nulla. Altri due nomi eccellenti che hanno rinunciato a partecipare al film sono Joaquin Phoenix per il ruolo di Henry e Trent Reznor, che avrebbe dovuto scrivere dei pezzi per la colonna sonora e anche comparire nella pellicola. Meglio così per tutti loro, mi sa. ENJOY!!

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