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martedì 10 ottobre 2023

Talk to Me (2022)

Era l'horror sulla bocca di tutti e finalmente, dopo una settimana, è uscito anche a Savona. Sto parlando di Talk to Me, diretto nel 2022 dai registi Danny Philippou (anche co-sceneggiatore) e Michael Philippou.


Trama: Mia, orfana di madre, comincia ad avere strane visioni dopo avere partecipato ad un gioco virale in cui i partecipanti devono stringere una misteriosa mano che consentirebbe di parlare coi morti...


Siccome tutti hanno detto la loro su Talk to Me e io arrivo grandemente in ritardo, cercherò di astenermi dallo scrivere banalità o trivia sui due registi esordienti, ma spero mi perdonerete ugualmente se ciò che troverete su questo post lo avrete già letto da qualche altra parte. Cominciamo intanto dall'aspetto che mi ha colpita di più di Talk to Me, ovvero la sua cattiveria ineluttabile. Il film dei fratelli Philippou è un horror che non si nasconde dietro il PG-13 e confeziona sequenze abbastanza difficili da sostenere, soprattutto se avete un minimo di empatia e vi fate "fregare", come la sottoscritta, quando la sceneggiatura vi fa affezionare ai personaggi nel giro di pochi minuti, senza spiegoni né arzigogoli complicati (ma soltanto, per esempio, facendogli cantare in macchina Chandelier di Sia, in una delle rarissime volte in cui ho sorriso di cuore al cinema, come se stessi passeggiando e vedessi una scena simile per strada). La protagonista, Mia, ha perso la madre, non parla col padre e ha una sola amica, Jade; con quest'ultima ha un rapporto talmente stretto da fungere da sorella maggiore per il fratellino di lei, ma vive anche con disagio il fatto di saperla fidanzata con Daniel, per cui aveva una cotta da ragazzina. Da questi e altri dettagli capiamo che Mia è una ragazza incredibilmente sola, messa da parte da un tessuto sociale che premia solo i "cool kids", distrutta da un evento luttuoso le cui implicazioni le sono state tenute nascoste dal padre, il che fa di lei la vittima perfetta per una challenge che consente di parlare coi defunti. Non solo: l'interazione coi morti, attraverso la mano "spacciata" dai due bulletti del liceo, ha effetti paragonabili allo sballo delle droghe e lascia una sensazione di euforia aumentata dalla consapevolezza di essere diventati popolari per quei cinque minuti in cui gli immancabili cellulari hanno reso virali le riprese delle singole prove. In poche parole, Mia è condannata fin dal principio ad afferrare con forza quella mano e fare tutte le scelte stupide dei protagonisti dei teen horror, eppure è impossibile tacciarla di stupidità e non patire le pene dell'inferno quando ogni singolo briciolo di felicità viene sottratto a lei e alle persone che la circondano, in un decorso prevedibile che, tuttavia, non smette di sorprendere nemmeno per un secondo.


Ed è sorprendente anche il giro sulle montagne russe che è questo Talk to Me. Non so se per me è l'horror dell'anno (questo 2023 mi sta regalando alcune opere molto belle, ma nessuna di loro mi ha ancora rubato il cuore) ma, di sicuro, è uno di quelli che mi ha messo più angoscia. L'introduzione alla festa iniziale è già una sequenza capace di innervosire lo spettatore, ma la prima "seduta spiritica" inchioda alla poltrona grazie a una miracolosa sinergia di regia, montaggio e bravura dell'attrice Sophie Wilde, le cui reazioni rispecchiano quelle del pubblico: abbiamo paura, non vogliamo continuare ad andare avanti col "gioco", ma vogliamo comunque vedere e il risultato finale ci renderà euforici, il tutto grazie ad una mimica facciale e corporea appena aiutata da un minimo di make-up e lenti a contatto grandi e nere. Da lì ci sono almeno altre due o tre scene sorprendenti, soprattutto se si pensa che i fratelli Philippou sono solo al loro primo lungometraggio e già bisognerebbe farlo vedere a tutti quelli che pensano di poter fare passare un horror al cinema senza sporcarsi di sangue; ad oggi, giusto La casa - Il risveglio del male mi ha dato la gioia di vedere una splatterata in sala, ma lì era tutto più esagerato e giocoso, passatemi il termine. Come ho scritto all'inizio, invece, i due registi di Talk to Me fanno male e fanno sentire male, un male fisico che deriva da menomazioni anche facili da collegare ad incidenti domestici particolarmente gravi, il che è peggio di quando comincia a farsi preponderante l'elemento sovrannaturale, comunque assai efficace in quanto più legato a suggestioni che a jump scare veri e propri (poi c'è un brevissimo, ma intenso, momento 100% horror infernale che avrebbe fatto la gioia di Clive Barker). In definitiva, Talk to Me mi è piaciuto molto. Ha i suoi difetti, che mi impediscono di essere entusiasta al 100% (la sceneggiatura, a volte, va un po' dove vuole, con "regole" per l'uso della mano aggiunte a seconda di chi deve usarla), ma è un film che rivedrei volentieri, anche per godere di quell'accento aussie che sicuramente impreziosirà i dialoghi e di cui ho sentito la mancanza nel momento esatto in cui sono comparsi i loghi della Screen Australia e della The South Australian Film Corporation. Io lo dico da anni che aussies do it better


Di Miranda Otto, che interpreta Sue, ho già parlato QUI.

I gemelli Danny Philippou (anche co-sceneggiatore) e Michael Philippou sono i registi del film, al loro primo lungometraggio. Australiani, hanno 31 anni e hanno anche lavorato come attori, montatori e produttori.


Se Talk to Me vi fosse piaciuto recuperate It Follows e Smile. ENJOY!

mercoledì 15 maggio 2019

The Silence (2019)

Tornata dalle ferie mi sono trovata un attimo bloccata con la "programmazione" delle visioni ed è quindi subentrata Netflix che consigliava The Silence, diretto dal regista Jon R. Leonetti e tratto dal romanzo omonimo di Tim Lebbon.



Trama: degli uccelli preistorici cominciano ad attaccare le città d'America. L'unico modo per sopravvivere alla calamità è rimanere in perfetto silenzio, come scopriranno ben presto Ally, divenuta sorda a seguito di un incidente, e la sua famiglia.


SPOILER: fossi in voi non mi affezionerei troppo al cane. 
Su Imdb, sito dal quale recupero solitamente dati e curiosità, si sottolinea che il romanzo dal quale è tratto The Silence è precedente alla realizzazione di A Quiet Place: Un posto tranquillo, e che il cammino di entrambe le pellicole è cominciato nel 2017, con la differenza che il film di John Krasinski è stato distribuito al cinema mentre The Silence è rimasto nel limbo finché Netflix non lo ha recuperato. A questo punto mi domando se la famosissima piattaforma digitale non stia diventando una sorta di cassonetto della serie B perché guardando The Silence ho avuto la stessa impressione provata davanti alla visione di quei film catastrofici televisivi che andavano di moda negli anni '90 oppure di uno di quei mockbuster della Asylum, con la differenza che qui i pochi effetti speciali non sono sgradevoli e si può vantare la presenza di un paio di attori famosi. Ma se cercate qualcosa di più da The Silence cascate davvero male. Anzi, a chi già avesse trovato Bird Box trito e derivativo sconsiglierei la visione del film di Leonetti perché The Silence è prevedibile dall'inizio alla fine e segue il pattern tipico di questo genere di pellicole in cui un'apocalisse "animale" distrugge gli USA. Diciamo che, se era plausibile l'annientamento della razza umana per mano di esseri invisibili che spingono al suicidio, lo è meno l'idea che un branco di uccelli preistorici nascosti in una caverna riesca nel giro di una settimana a moltiplicarsi e costringere i pochi sopravvissuti a cercare rifugio in luoghi dal clima artico, visto che 'ste bestie devono deporre le uova e aspettare che si schiudano prima di raggiungere numeri così grandi. Ma così è, non questioniamo. The Silence ci introduce così alla vita felice di Ally e della sua famiglia, tutti esperti in linguaggio dei segni e lettura del labiale perché la ragazzina è sorda. E, guarda un po', come da titolo, il trucco per rimanere vivi in presenza delle mordaci bestiole preistoriche è stare in completo silenzio. Siccome per i protagonisti sarebbe quindi stato troppo facile sopravvivere, gli sceneggiatori a un certo punto infilano anche culti religiosi composti da matti, ché si sa come l'animale peggiore di tutti sia sempre l'uomo.


Di The Silence ho apprezzato, oltre a un paio di momenti di ovvia tensione (per quanto tu possa girare un film derivativo e banale, comunque l'idea di avere sospeso sul capo come una spada di Damocle un essere carnivoro acquattato nel buio e pronto a mangiarti al minimo rumore un po' di ansia la mette), l'allegra malvagità della famigliola felice, che a un certo punto condanna a morte una signora per pura stupidità prima di insediarlesi in casa, il barbatrucco usato dal culto di matti per stanare Ally e gli altri dalla suddetta abitazione e infine il modo assai funzionale in cui viene sfruttata l'unica vera tragedia del film. Stanley Tucci è sempre un gran signore, anche se cosa ci faccia in una pellicola simile probabilmente non lo sa nemmeno lui (un po' come John Malkovich non sapeva che stava facendo in Velvet Buzzsaw, o perlomeno voglio sperare che sia così) e Kiernan Shipka ha una faccetta così carina che è impossibile volerle male anche se siamo ben distanti dall'ispirata interpretazione di chi sordo lo è davvero, come la splendida Millicent Simmonds, per il resto The Silence è un film privo di pregi evidenti e molto facilone. Tanto per dirne una, l'umanità sarà anche condannata, e morire che due missili ben assestati o ancor meglio un bel plotone di Navy Seals o simili possa fare piazza pulita degli animali preistorici, ma a patto di avere la corrente per ricaricare tablet e cellulari questi orpelli del Demonio funzionano, con tanto di rete per mandarsi comodamente messaggi via chat. Altrimenti, la nostra dose di teen romance come l'avremmo avuta? Meh. Insomma, The Silence non è così brutto da meritare ignominia perpetua, come un Cell qualsiasi, ma come accade alla maggior parte degli originali Netflix è maledettamente insipido e lo dimostra il fatto, poi lo giuro smetto di fare paragoni con A Quiet Place, che un film simile è incapace persino di sfruttare l'unica cosa che avrebbe messo davvero angoscia: il silenzio.


Del regista John R. Leonetti ho già parlato QUI. Stanley Tucci (Hugh Andrews) e Miranda Otto (Kelly Andrews) li trovate invece ai rispettivi link.

Kiernan Shipka interpreta Ally Andrews. Americana, ha partecipato a serie come Monk, Heroes, Non fidarti della str**** dell'interno 23, Feud e Le terrificanti avventure di Sabrina, oltre ad aver lavorato come doppiatrice in Quando c'era Marnie, American Dad! e I Griffin. Ha 20 anni e due film in uscita.


Se The Silence vi fosse piaciuto recuperate il ben più riuscito A Quiet Place - Un posto tranquillo e aggiungete Bird Box e The Mist. ENJOY!

mercoledì 16 agosto 2017

Annabelle: Creation (2017)

Nonostante la chiusura estiva del multisala non potevo certo perdere Annabelle: Creation, diretto dal regista David F. Sandberg. Come sarà andato l'ennesimo appuntamento con la pupazza più bastarda del cinema horror recente? (Male. Malissimo.)


Trama: anni dopo la morte della figlioletta, un fabbricante di bambole e la moglie ospitano in casa un gruppo di orfane e la suora loro tutrice. Inizialmente felici davanti a tanta fortuna, le ragazzine e la suora scopriranno che avrebbero fatto meglio a rimanere senza un tetto sulla testa...


Come si fa a scrivere un post su un film che non ho visto? Io ricordo benissimo che il primo Annabelle non era nulla di che sia per quel che riguarda la regia che la trama eppure mi aveva spaventata parecchio; nel caso di Annabelle: Creation, però, parliamo di vero terrore, di un'ora e 49 minuti di tensione costante, di maschi che urlavano in sala come Solange dopo una manicure sbagliata, di bestemmie volanti, di un sollievo devastante alla comparsa della scritta "fine primo tempo", della sensazione di avere corso i 100 metri piuttosto che essere rimasta seduta in poltrona al cinema. Davanti a un film durante il quale più volte ho ribadito al mio amico "non ce la faccio più, basta, andiamo via!" prima di mettermi a strillare incurante della natura pubblica di un cinema, come posso parlare con cognizione di causa della regia (che a me è sembrata valida, con movimenti di macchina strani e una cura del dettaglio molto piacevole ma considerate il fatto che esisteva il terribile "filtro mano" quindi la particolarità percepita poteva anche semplicemente derivare dal modo contorto in cui stavo seduta in poltrona...), degli effetti speciali o degli interpreti? Annabelle: Creation è sicuramente derivativo, stiamo pur sempre parlando del quarto capitolo di una franchise, però non è stupidello come Annabelle, che a tratti sembrava la versione poveraccia di Rosemary's Baby, bensì è permeato di una cattiveria tale da far tremare i polsi persino a Ouija: L'origine del male. Benché, infatti, il bodycount finale sia esiguo, la sceneggiatura di Gary Dauberman (il quale ha evidentemente imparato dagli errori di Annabelle) non ha un solo momento morto e sfrutta ogni topos legato a bambole assassine, possessioni demoniache, case infestate, patti col demonio e malvagio pupazzame assortito per far letteralmente ca*are in mano lo spettatore, agendo in sinergia con un regista particolarmente amante del buio e di ciò che in esso si nasconde.


Tolta infatti la cattivissima faccia da ca**o di Annabelle (che vorrei capire quale bambina sana di mente vorrebbe averla in casa o anche solo sfiorarla e 'sto cretino di fabbricante ne avrebbe costruite ben CENTO, mica una, Cristo!) quello che fa più paura è ciò che non viene mostrato: corridoi bui, palline che vengono scagliate nell'oscurità, pozzi profondi, angoli morti dove potrebbe nascondersi la qualunque, lampadine che si svitano o esplodono lasciando la vittima inerme a pregare tutte le inutili divinità del creato, stanze enormi dove qualcosa si muove appena oltre la messa a fuoco della cinepresa, specchi che mostrano ombre inquietanti, sono tutti elementi visivi che annichiliscono lo spettatore rendendolo incapace di prevedere il jump scare perché, di fatto, Annabelle: Creation è uno jump scare continuo. Come ho detto, non c'è un attimo di tregua e persino il finale, che si collega direttamente ad Annabelle, è un'ultima zampata di cagarella sicura. Diretta conseguenza di questa scelta di "non mostrare" è l'aria molto artigianale di Annabelle: Creation, che si appoggia a pochi effetti speciali di ottima fattura, incentrati soprattutto sulla figura del demone nascosto all'interno della bambolaccia, e a delle scenografie molto belle ed evocative, zeppe di croci più o meno rovesciate ed elementi horror nascosti qua e là. Detto questo, io avevo già subodorato la morte per attacco cardiaco dopo aver visto la faccetta inquietante della piccola Lulu Wilson, nuova reginetta dell'horror che già aveva dato molte soddisfazioni in Ouija: L'origine del male, ma diciamo che anche tutti gli altri attori (a parte le due mocciose anonime messe giusto per far numero) hanno il loro perché e non sembrano dei pezzi di carne da macello che aspettano solo l'arrivo di Annabelle a farli morire d'ansia. Poi, per carità, può anche darsi che mi sia inventata tutto e che Annabelle: Creation sia un film orribile e per nulla pauroso: tanto, chi l'ha visto?


Del regista David F. Sandberg ho già parlato QUI. Miranda Otto (Esther Mullins) e Anthony LaPaglia (Samuel Mullins) li trovate invece ai rispettivi link.

Stephanie Sigman interpreta Sorella Charlotte. Messicana, ha partecipato a film come il bellissimo Miss Bala, Spectre, Once Upon A Time in Venice e alla serie Narcos. Ha 30 anni.


Nella foto delle suore in Romania, quella che Sorella Charlotte fa vedere al Sig. Mullins, si intravede una suora in penombra: quella suora non è altro che l'entità malvagia di cui parlerà The Nun, girato proprio in Romania ed ennesimo spin-off della saga iniziata con L'evocazione e continuata con The Conjuring - Il caso Enfield, dove la suora compare per la prima volta; The Nun dovrebbe uscire l'anno prossimo mentre The Conjuring 3 al momento è in fase di sceneggiatura e ci sono voci persino sulla realizzazione di un film relativo all'Uomo Storto del secondo The Conjuring. Inutile dire che converrebbe recuperaste tutta la franchise e ovviamente Annabelle se questo Annabelle: Creation vi fosse piaciuto. ENJOY!



domenica 22 giugno 2014

Il signore degli anelli - Il ritorno del re (2003)

Eccoci arrivati alla fine dei post dedicati alla trilogia de Il signore degli Anelli! Si conclude in bellezza con Il ritorno del re (The Lord of the Rings: The Return of the King), diretto nel 2003 dal regista Peter Jackson.


Trama: le forze di Sauron stanno per scagliarsi contro la fortezza di Gondor e la guerra minaccia di segnare la fine dell'era degli uomini. Mentre Aragorn, Gandalf, Merry, Pipino, Legolas e Gimli si preparano per quella che potrebbe essere l'ultima battaglia della loro vita, Frodo, Sam e un sempre più malvagio Gollum devono trovare un modo per penetrare nel cuore di Mordor e arrivare, non visti, al monte Fato per distruggere l'Anello...


Il ritorno del re è sicuramente il film della trilogia che preferisco perché, mentre La compagnia dell'anello fungeva da introduzione ed era in qualche modo più "lieto" e Le due torri era principalmente concentrato su epiche battaglie, quest'ultima pellicola si sofferma maggiormente sulle emozioni dei singoli personaggi ed è pervaso, dall'inizio fino alla fine, da un'intensa atmosfera di ineluttabilità, malinconia e flebile speranza. Ognuno dei protagonisti, infatti, è consapevole della possibilità di stare combattendo una battaglia persa in partenza e di stare letteralmente proseguendo nel cammino a braccetto con la morte e molti, di fronte a questa consapevolezza, scelgono ad un certo punto di arrendersi. In questo senso, la figura che mi ha sempre colpita maggiormente è quella del padre di Boromir e Faramir, Denethor, che si getta a testa bassa nel vortice della follia e della rassegnazione, spinto da un orgoglio fasullo e da una sete di potere senza pari, e solo quando la fine è imminente capisce quanto fossero inutili i valori a cui si è sempre aggrappato; a differenza di Re Theoden, che riesce a trovare nuova linfa vitale nelle situazioni disperate, Denethor soccombe al dolore e decide di abbandonare tutto, distruggere regno e famiglia senza dare battaglia, un po' come un novello Mazzarò che sceglie di portare con sé la sua "roba". Allo stesso modo anche Sam, fino a questo momento la voce della semplicità, dell'innocenza e della saggezza "di campagna", si ritrova a perdere tutto a causa delle macchinazioni di Gollum e per un attimo, un attimo incredibilmente toccante e umano, perde di vista la via rischiando così di condannare quella povera oloturia di Frodo nonché l'intera Terra di Mezzo. Il ritorno del re inoltre (almeno all'epoca, prima che arrivasse Lo Hobbit) significa dare l'addio a meravigliosi personaggi a cui ci siamo affezionati, creature che, inevitabilmente, sono rimaste toccate nel profondo dai terribili, per quanto epici, eventi raccontati. Ritornare senza pensieri alla vita di prima non è umanamente pensabile, perché il male assoluto può aiutare a cambiare in meglio ma lascia anche cicatrici profonde e un'altrettanto profonda stanchezza; il finale de Il ritorno del re tira sì ogni filo lasciato in sospeso ma devasta lo spettatore con una malinconia infinita, lasciandolo nella triste consapevolezza che il tempo delle favole, della magia e delle epiche battaglie appartiene a un mondo che ormai non esiste più e che può tornare, di tanto in tanto, solo in forma di racconto.


E il racconto in questione Peter Jackson e i responsabili della WETA l'hanno realizzato talmente bene che, ad ogni fotogramma, ad ogni evento, ad ogni inquadratura, veniamo risucchiati nello schermo e viviamo sulla nostra pelle tutto ciò che accade ai protagonisti. La tremenda Shelob, nascosta nel ventre della montagna, rischia di annidarsi negli incubi dello spettatore anche a distanza di anni, il confronto tra il Re dei Nazgul ed Eowyn è semplicemente da applauso, la rabbia con cui i "buoni" si scagliano disperati contro le forze di Mordor fa venire voglia di impugnare una spada e affiancarsi a loro nella battaglia, la scalata di Frodo e Sam al Monte Fato è in grado di fiaccare l'animo e lo spirito, il geniale montaggio che mostra il destino di Faramir e, contemporaneamente, il disgustoso banchetto di Denethor è in grado di fomentare un inaudito desiderio di uccidere il Reggente, la riunione finale nella camera da letto di Frodo fa sciogliere in lacrime e risate liberatorie: tutto questo, nonostante Il signore degli Anelli sia commerciale quanto volete, è per me indice di grande Cinema e anche l'Academy ha dovuto chinare il capo e inondare di Oscar l'opera di Jackson (Miglior film, miglior regia, miglior adattamento, miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi, miglior make-up, miglior colonna sonora, migliore canzone, miglior suono e migliori effetti speciali) pur snobbando degli attori che, non stiamocela a raccontare, in tutti quegli anni sono diventati tutt'uno con i personaggi. Ne Il ritorno del re persino Elijah Wood diventa credibile e un po' più espressivo rispetto agli altri due film, Merry e Pipino riescono finalmente ad uscire dalla sorta di anonimato a cui il loro ruolo di "spalle" li aveva condannati assumendo quello di spettatori esterni che vedono due regni andare in rovina e poi risorgere, Aragorn subisce una metamorfosi incredibile da outsider a vero Re di Gondor (perdendo almeno 800 punti fascino ma così è la vita...) e, ovviamente, Sean Astin nei panni di Sam svetta su chiunque grazie alla sua sensibilità e il faccino pacioso, stanco e disperato. Ci sarebbero mille altre cose da dire su quella che è diventata LA trilogia con cui confrontarsi a partire dal 2000, ci sarebbe da insultare Peter Jackson che ha deciso di cavar sangue da una rapa e sputare sulla sua meravigliosa creatura sperando di replicarla dividendo in tre Lo Hobbit, ci sarebbe anche, ovviamente, da muovere delle critiche da "puristi" rispetto alle diversità tra film e romanzo... ma rischierei di dilungarmi e diventare noiosa. Secondo me, c'è solo da riprendere in mano i DVD o i BluRay e immergersi senza pensieri in questa splendida Trilogia, seguendo l'affascinante ed ipnotico richiamo dell'Unico Anello.


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson (che compare anche durante la battaglia al Fosso di Helm) ho già parlato quiElijah Wood (Frodo Baggins), Sean Astin (Samwise "Sam" Gamgee), Sean Bean (Boromir), Cate Blanchett (Galadriel), Orlando Bloom (Legolas), Billy Boyd (Peregrino "Pipino" Tuc), Bernard Hill (Theoden), Ian Holm (Bilbo), Ian McKellen (Gandalf il grigio), Dominic Monaghan (Meriadoc "Merry" Brandybuck), Viggo Mortensen (Aragorn), Miranda Otto (Eowyn), John Rhys-Davies (Gimli), Andy Serkis (Gollum/Smeagol), Liv Tyler (Arwen), Karl Urban (Eomer), Hugo Weaving (Elrond) e David Wenham (Faramir) li trovate invece ai rispettivi link.

Durante il film riusciamo finalmente a vedere Andy Serkis "quasi" al naturale, nei panni di Smeagol. La cosa buffa è che, all'inizio, i realizzatori pensavano di utilizzare un altro attore per interpretarlo! Tra le comparse segnalo invece lo stesso Peter Jackson (il corsaro colpito dalla freccia di Legolas), il figlio di Viggo Mortensen, Henry, il pronipote di J.J.R. Tolkien, Royd, e la figlia di Sean Astin, Alexandra. Il ritorno del re segue La compagnia dell'anello e Le due torri quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate il primo capitolo e il secondo capitolo della trilogia, leggete assolutamente Il Signore degli anelli cartaceo e, se vi va, proseguite guardando i primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit. ENJOY!

venerdì 20 giugno 2014

Il signore degli anelli - Le due torri (2002)

Dopo aver parlato de La compagnia dell'anello oggi si prosegue con Il signore degli anelli - Le due torri (The Lord of the Rings - The Two Towers), seconda parte della trilogia diretta nel 2002 dal regista Peter Jackson.


Trama: la Compagnia dell'anello si è divisa. Mentre Frodo e Sam incontrano Gollum e si dirigono verso Mordor per distruggere l'Anello, Pipino e Merry vengono salvati dal misterioso Barbalbero; Aragorn, Gandalf, Legolas e Gimli vengono invece coinvolti in un'epica battaglia tra le forze del malvagio Saruman e gli abitanti del regno di Rohan.



Le due torri, di fatto una sorta di raccordo tra il primo e il terzo capitolo de Il signore degli anelli, è la parte di trilogia che meno preferisco, sebbene la versione estesa sia molto più completa e piacevole da vedere rispetto a quella che era passata nei cinema italiani. All'epoca l'avevo trovata eccessivamente lunga e lievemente tediosa perché il fulcro della sceneggiatura è l'epica battaglia finale al Fosso di Helm, una mezz'ora buona di frecce, esplosioni, orchi e cavalli che, nonostante fosse stata realizzata in maniera impeccabile, al limite della commozione, non era riuscita comunque ad entusiasmarmi come avrebbe dovuto. Altra pecca della pellicola (ma lì la "colpa" risiede nella natura del personaggio, ereditata dai libri di Tolkien) è l'introduzione del noiosissimo Ent Barbalbero, un'enorme quercia semovente amante degli spiegoni e incarnazione dello spirito ecologista che anima questa parte della pellicola, quasi interamente imperniata sulla battaglia tra tradizione e progresso, natura e industria. Il crudele Saruman, ormai completamente asservito a Sauron, non esita a distruggere foreste o deviare fiumi, affidandosi totalmente all'"industria" del fuoco, del metallo e della magia nera per ottenere il potere portando morte ed oscurità nella Terra di Mezzo, mentre invece gli sparuti membri della Compagnia dell'Anello continuano a preferire la comunione con la Natura e l'unione "corretta" delle forze, ottenuta attraverso la difficile ricostruzione di vecchie alleanze. Se la grandiosa battaglia al Fosso di Helm, diretta conseguenza di questi scontri, è la parte più importante dell'Opera, non bisogna comunque dimenticare che il successo della missione di Frodo e Sam è ciò da cui dipende la vittoria del bene o del male e ne Le due torri le vicende dei due Hobbit compiono un importantissimo passo avanti grazie soprattutto all'arrivo di Gollum.


Gollum è uno dei tre personaggi nuovi introdotti nel secondo capitolo della trilogia e, neanche a dirlo, è uno dei migliori della saga. Interpretata magistralmente da un Andy Serkis completamente nascosto da un sembiante digitale, questa creatura è il terribile esempio del potere dell'Anello, un essere tormentato dalla bramosia, dalla sete di vendetta e da una follia che lo sdoppia in due distinte personalità, da una parte l'infantile e timoroso Smeagol e, dall'altra, il freddo e crudele Gollum, che compirebbe ogni sorta di nefandezza per rimettere le zampe sul Tessoro. Gollum ovviamente rappresenta ciò che potrebbe diventare Frodo se si lasciasse sedurre dalle lusinghe dell'Anello ed è quindi inevitabile che tra i due si instauri una connessione da cui il povero Sam rimane escluso; ed ecco che, di fatto, diventa  proprio Samvise Gamgee il lato fondamentale di questo particolare triangolo, l'unico ad essere riuscito a mantenere una dimensione umana, una mentalità semplice in grado di toccare il cuore e l'animo di persone ormai troppo immerse nel dolore e nell'odio, come si può vedere nello splendido, commovente dialogo tra lui e Faramir. L'altro stupendo personaggio a venire introdotto è Eowyn, femminile e forte allo stesso tempo, la "dama sfortunata" che rischia di perdere l'amato zio Theoden a causa delle macchinazioni di Saruman (e della new entry Vermilinguo, meravigliosamente interpretato da un viscidissimo Brad Dourif) e che, per quanto si sforzerà, non potrà mai essere alla pari dell'elfa Arwen e scalzarla dal cuore di Aragorn; sarà perché sono donna e perché la mia dose di due di picche immotivati me la sono presa ma ogni volta che Eowyn compare mi viene voglia di prendere a ceffoni sul coppino l'erede di Isildur per il modo in cui si ostina a rendere triste la poveretta, già segnata da mille sofferenze. Questi personaggi nuovi, ai quali aggiungo anche Faramir e re Theoden, sono talmente ben tratteggiati da riuscire tranquillamente a rivaleggiare con quelli conosciuti nel primo capitolo (sicuramente surclassano Gimli e Legolas) e saranno a dir poco fondamentali per il terzo, ovviamente.


Tecnicamente parlando, anche Le due torri è un capolavoro. Barbalbero, per quanto risulti odioso come personaggio, è comunque realizzato in maniera divina e sembra davvero che porti in spalla di due hobbit quando cammina ma l'olifante che si vede ad un certo punto non è da meno e, ovviamente, Gollum è qualcosa di inimmaginabile. Per quel che riguarda le sequenze invece, il fiore all'occhiello della pellicola è sicuramente la delirante battaglia al fosso di Helm, che ha richiesto mesi di riprese e innumerevoli aggiustamenti fatti al computer (tanto che il cast alla fine portava delle magliette con su scritto "I survived Helm's Deep") per poter essere completata al meglio, tuttavia io sono molto più affezionata alla vertiginosa carrellata che, finalmente, svela quale inferno si nasconda sotto la torre di Saruman e a due sequenze "statiche" che mi mettono sempre i brividi: una è il primo piano del viso di Vermilinguo solcato da una singola lacrima, peraltro vera e frutto dell'abilità di Brad Dourif, mentre l'altra mostra una solitaria Eowyn che si staglia contro Edoras, disperata e vulnerabile ma allo stesso tempo fiera, mentre il vento porta via la bandiera con lo stemma della sua casata e l'evocativa musica di Howard Shore riempie le orecchie e il cuore dello spettatore. Per quel che riguarda il cast, fortunatamente, valgono le stesse parole dette nel post precedente. Si vede che tutti gli attori tenevano particolarmente alla riuscita della trilogia e l'atmosfera di amicizia ed intesa, reciproca e rivolta verso il regista Peter Jackson, traspare da ogni gesto, sguardo o fotogramma del film. Mi rendo conto di aver scritto un papiro che farebbe invidia a Tolkien, quindi concludo qui lo sproloquio relativo a Le due torri e mi preparo perché domenica tocca a Il ritorno del re!!


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson (che compare anche durante la battaglia al Fosso di Helm) ho già parlato qui. Elijah Wood (Frodo Baggins), Sean Astin (Samwise "Sam" Gamgee), Sean Bean (Boromir), Cate Blanchett (Galadriel), Orlando Bloom (Legolas), Billy Boyd (Peregrino "Pipino" Tuc), Brad Dourif (Grima Vermilinguo), Bernard Hill (Theoden), Christopher Lee (Saruman), Ian McKellen (Gandalf il grigio), Dominic Monaghan (Meriadoc "Merry" Brandybuck), Viggo Mortensen (Aragorn), John Rhys-Davies (Gimli ma da anche la voce a Barbalbero), Andy Serkis (Gollum), Liv Tyler (Arwen), Karl Urban (Eomer), Hugo Weaving (Elrond) e David Wenham (Faramir) li trovate invece ai rispettivi link.

Miranda Otto interpreta Eowyn. Australiana, ha partecipato a film come La sottile linea rossa, Le verità nascoste, Il signore degli anelli - Il ritorno del Re, La guerra dei mondi, Locke & Key, I, Frankenstein e a serie come The Flying Doctors. Ha 47 anni e un film in uscita.


Il film ha vinto due Oscar, uno per il miglior sonoro e uno per i migliori effetti speciali; a tal proposito, purtroppo, Andy Serkis non ha potuto ricevere una meritata nomination per gli Oscar perché il suo personaggio era stato generato al computer. Per quanto riguarda invece i nuovi personaggi introdotti in questo secondo capitolo, il ruolo di Eowyn era stato offerto a Kate Winslet, che già aveva lavorato con Peter Jackson nel meraviglioso Creature del cielo; addirittura, durante le prime fasi di pre-produzione si era pensato ad Uma Thurman per il ruolo di Eowyn e a Ethan Hawke per quello di Faramir. Le due torri segue La compagnia dell'anello e precede Il ritorno del re quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate il primo capitolo della trilogia, proseguite col terzo, leggete assolutamente Il Signore degli anelli cartaceo e, se vi va, proseguite guardando i primi due episodi della trilogia de Lo Hobbit. ENJOY!

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