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martedì 8 aprile 2025

The Last Showgirl (2024)

Purtroppo a Savona hanno pensato bene di non fare uscire The Shrouds, quindi ho dovuto consolarmi con The Last Showgirl, diretto nel 2024 dalla regista Gia Coppola.


Trama: Shelly è una ballerina ultracinquantenne, impegnata da trent'anni nello show Le Razzle Dazzle, a Las Vegas. Quando arriva la notizia della chiusura improvvisa dello spettacolo, Shelly si ritrova a dover mettere in discussione la sua vita...


Come mi succede ormai da qualche anno, sono andata a vedere The Last Showgirl senza avere visto neppure un trailer, né sapere di cosa parlasse il film. Mi sono mossa "a sentimento", spinta da un cast di attrici che adoro, e curiosa di vedere come se la sarebbe cavata Pamela Anderson in quello che credo sia il suo primo film serio. Sono uscita dalla sala commossa, e con una gran voglia di riguardare Un sogno chiamato Florida, film con cui The Last Showgirl condivide il concetto di "morte del sogno americano" all'interno di uno dei luoghi simbolo della cultura popolare mondiale. Sean Baker raccontava lo squallore che circonda Disneyworld, in coloratissimi motel chiamati Magic Castle o simili, Gia Coppola racconta lo squallore nascosto dalle luci perenni di Las Vegas e, attraverso esso, parla dell'illusione di sentirsi parte di una magia eterna, immuni al tempo che passa, mentre il mondo attorno a noi cambia e diventa sempre meno tenero coi ruderi di una gloria ormai superata. Shelly ha 56 anni, per trenta ha lavorato in uno show (che noi non vedremo mai, per inciso) chiamato Le Razzle Dazzle, in cui bellissime ballerine in sontuosi costumi mostrano il corpo nudo o semi-nudo, impegnate in eleganti coreografie. Una sorta di Moulin Rouge a Las Vegas, quel tipo di spettacolo che attira sempre meno spettatori e turisti, tanto che, un giorno, arriva il fatidico annuncio: Le Razzle Dazzle chiuderà per sempre, e tanti saluti alle ballerine. Il mondo di Shelly crolla in un istante, quel mondo che la donna aveva bisogno di credere immutabile, soprattutto dopo aver sacrificato ad esso l'affetto della figlia, un possibile futuro a New York, una vita diversa. The Last Showgirl ha tantissime similarità non solo con Un sogno chiamato Florida, ma anche con il recente The Substance. Anche qui si parla di donne che non riescono a stare al passo coi tempi, che desiderano conservare l'illusione di essere bellissime e desiderabili, che vengono surclassate da ragazze più giovani e belle. A differenza di Elizabeth, però, Shelly non cova nel cuore acredine e disperazione, bensì l'ingenua speranza di poter continuare a rimanere sotto i riflettori per sempre, così com'è; se Elizabeth vede i suoi difetti al punto da scegliere di cambiare il proprio corpo, Shelly li ignora testardamente, chinando il capo ad ogni spostamento verso il fondo della fila di ballerine, pur di continuare a brillare, di rimanere in uno show sul cui manifesto c'è una lei di trent'anni prima, splendida e sorridente. 


Shelly è un personaggio positivo, benché non perfetto, ed è per questo che The Last Showgirl non prende mai la china di un Viale del Tramonto. La sceneggiatura del film, infatti, è molto attenta ad affiancare alla protagonista delle figure che rappresentano diversi modi di affrontare la terribile realtà al centro della trama. C'è Annette, che pur essendosi riciclata come cameriera non è mai riuscita a "crescere" e vive di stravizi come una ventenne; c'è Eddie, che non ha mai avuto problemi di vecchiaia e bellezza, sia perché è un uomo, sia perché è sempre rimasto dietro le quinte, nel lavoro e nella vita (ed è talmente clueless che persino il suo tentativo abbozzato di mansplaining fa tenerezza); ci sono Jodie e Mary-Anne, che mai vorrebbero il male di Shelly, ma hanno tutta la vita davanti per risolvere i loro problemi ed imparare dagli errori della loro "mamma" adottiva; c'è Hannah, che è veramente figlia di Shelly e che ha cercato di crearsi un futuro disprezzando chi ha scelto un successo effimero invece di passare l'esistenza con lei. L'interazione di Shelly con ognuno di questi personaggi ci permette non solo di scoprirne il carattere a poco a poco, ma anche di osservarne l'evoluzione a seguito del trauma subito, con tutte le umanissime reazioni di disperazione, rabbia, speranza e malinconia. Mai avrei pensato di scriverlo sul blog, ma Pamela Anderson è favolosa. In un mondo di Courtney Cox e Nicole Kidman, lei, un tempo paladina del ritocco estetico, ha scelto di mostrarsi al naturale, col volto deturpato dalla vecchiaia. Tutta la dignità infusa in questa scelta, la Anderson la riversa nel personaggio di Shelly, una donna fragile ma ottimista, orgogliosa di ciò che è stata e di ciò che potrebbe ancora essere, se il mondo non fosse un luogo così spietato. Vedere la Anderson vagare per le strade deserte di una Las Vegas fuori fuoco, o mentre si carica ogni sera di lustrini e trucco pesantissimo stringe già il cuore, ma mai quanto il confronto con il caustico regista di Jason Schwartzman (una delle sequenze più belle del film) o mentre sorride sul commovente finale, accompagnata dalle note di Beautiful that Way di Miley Cyrus.


Come ho scritto sopra, gli altri attori sono il sostegno perfetto alla performance sensazionale di Pamela Anderson. Sono tutti davvero bravi, ma il mio cuore è andato ad un'altra Signora, che non si vergogna assolutamente di mostrare i segni del tempo e della natura matrigna, una Jamie Lee Curtis consapevole di ciò che è stata (una grandissima, tostissima gnocca) e di ciò che sarà ancora, grazie alla sua personalità carismatica. Non c'entra nulla con The Last Showgirl ma sto rileggendo One Piece e lei sarebbe stata una Kureha perfetta. Che gran perdita. Tornando al film, una particolarità che, a causa della miopia e di un po' di astigmatismo, mi ha reso un po' difficile seguire inizialmente le immagini, deriva dalla scelta di Gia Coppola di girarlo come fosse un documentario, ispirata più dalle fotografie che dai film. E' stato fatto dunque largo uso di camera a mano, per seguire da vicino le attrici nei loro movimenti, con una predominanza di primi e primissimi piani che, a causa di lenti particolari, rendono molto sfocato tutto ciò che circonda il soggetto principale, e ciò è stato causa di un po' di mal di mare, almeno finché non mi sono abituata. Inoltre, Gia Coppola e la direttrice della fotografia, Autumn Durald Arkapaw, hanno scelto di non girare in digitale, ma su pellicola. Il risultato è che le immagini di The Last Showgirl sono permeate di toni caldi e molto morbidi, e risultano un po' sgranate, come se i protagonisti vivessero in un mondo da sogno che lentamente si sta disfacendo, lasciando dietro di sé nugoli di lustrini scintillanti, il glitter leggero sulla pelle di Shelly e il blu più triste a cui possiate pensare. Ho scritto il solito sproloquio confuso, quindi tenete a mente solo questo: The Last Showgirl è un film splendido e dovete assolutamente vederlo. Ne uscirete un bel po' depressi, ma è un film che parla anche di speranza, grazie ad alcuni dialoghi molto interessanti, e sta allo spettatore coglierla e farne importantissimo tesoro.


Di Kiernan Shipka (Jodie), Dave Bautista (Eddie), Jamie Lee Curtis (Annette), Billie Lourd (Hannah) e Jason Schwartzman (il regista) ho già parlato ai rispettivi link.

Gia Coppola (vero nome Giancarla Coppola) è la regista del film. Nipote di Francis Ford Coppola, ha diretto film come Palo Alto e Mainstream. Anche attrice, sceneggiatrice e produttrice, ha 38 anni. 


Pamela Anderson
interpreta Shelly. Canadese, famosa per il ruolo di C.J. Parker in Baywatch, ha partecipato a film come Barb Wire, Scooby-Doo, Scary Movie 3, Superhero - Il più dotato fra i supereroi, Baywatch e ad altre serie quali La Tata, Quell'uragano di papà e V.I.P. Vallery Irons Protection; come doppiatrice ha lavorato in Futurama e Stripperella. Anche produttrice e regista, ha 58 anni e un film in uscita, il remake de La pallottola spuntata


Brenda Song
, che interpreta Mary-Anne, era la London Tipton delle serie Zack e Cody al Grand Hotel e Zack e Cody sul ponte di comando. Se The Last Showgirl vi fosse piaciuto, recuperate Un sogno chiamato Florida. ENJOY!

martedì 27 agosto 2024

Longlegs (2024)

Perdonatemi, ma non ce l'ho fatta. E' assolutamente VERGOGNOSO che, in Italia, uno dei film più importanti dell'anno esca con quattro mesi di ritardo rispetto al resto del mondo. Quindi, nell'attesa di riguardarlo come si deve in sala, mi sono permessa di recuperare altrove Longlegs, diretto e sceneggiato dal regista Osgood Perkins, e di parlarne SENZA SPOILER.


Trama: Lee, agente dell'FBI, viene coinvolta nel caso di Longlegs, misterioso assassino che da 30 anni stermina intere famiglie senza lasciare traccia salvo alcune lettere indecifrabili...


Cominciamo a togliere di mezzo la fastidiosa domanda generata dall'intenso battage pubblicitario americano: Longlegs è il film più spaventoso degli ultimi tempi? La risposta sincera è no, ma c'è da elaborare. L'ultimo lavoro di Osgood Perkins, per buona parte della sua durata, non lega la sua narrazione al genere horror, ma svia l'attenzione dello spettatore mirando, apparentemente, al modello di thriller pesantemente contaminati dal nostro genere preferito, come Se7en e Il silenzio degli innocenti. Questi due film balzano subito alla mente guardando Longlegs, non solo perché la protagonista è poco più che una recluta con alcune caratteristiche che la rendono "particolare", ma per una generale aura di plumbea pesantezza e pericolo imminente che sembrano volerla schiacciare fin dalle primissime scene. A dire il vero, a me il film ha però ricordato, piuttosto, alcuni degli episodi di X-Files più riusciti (non a caso, siamo negli anni '90 del sorridente Clinton), e, soprattutto, le prime due stagioni di Twin Peaks. L'elemento lynchiano di Longlegs, se mi passate il termine, risiede nella weirdness (talvolta, ingannevolmente esilarante) di tutti i personaggi presenti nel film, ognuno dei quali, persino quelli che dovrebbero garantire legge, ordine o tranquillità famigliare, hanno una caratteristica che stona all'interno di un contesto verosimile, e offrono di conseguenza il fianco alla possibilità di qualcosa che esista qualcosa di "sbagliato", di perturbante. Longlegs svariona pesantemente e gradevolmente sul finale, ma fino a quel momento cammina su un filo assai equilibrato di incertezza, nel centro perfetto del dualismo di una trama che segue un'investigazione tutto sommato lineare, e una regia che fa di tutto per confermare che di normale, in Longlegs, non c'è proprio nulla. Più volte, nel film, viene consigliato di osservare a lungo, di guardare, ma è difficile farlo quando il nostro punto di vista è condizionato da una regia fatta di grandangoli e prospettive sghembe che schiacciano le immagini rendendole claustrofobiche, spesso centrate su una Maika Monroe ripresa a distanza, come se qualcosa la osservasse, non visto. E quel qualcosa c'è, eccome. Perkins lo schiaffa a tradimento negli angoli nascosti, come un elemento dissonante, un male ineluttabile che agisce di nascosto ma neppure troppo, perché masticare e sputare gli inutili esseri umani è fin troppo facile. Per questo è importantissimo, in Longlegs, sapere dove guardare, in quanto, come nei migliori thriller, tutto è lì fin dall'inizio, e l'arte sta nel rendere spettatori e protagonisti dei burattini da sviare a piacimento, magari focalizzando la loro attenzione su Nicolas Cage.


Il brutto di vivere in un mondo ormai governato da social spoilerosi, è che Nic lo avrete già visto, nel suo trucco che lo rende quasi irriconoscibile, quando sarebbe stato meglio non sapere nulla di lui (e qui torniamo sulla questione dei quattro mesi di gap tra noi e il resto del mondo. Ribadisco, vergogna). Ma non importa, da un certo punto di vista, perché Cage, impegnato in una delle sue migliori performance, non è l'elemento fondamentale di Longlegs. Lui è l'uomo nero, certo, ma apre le porte a domande ben più insidiose, non solo legate all'"altro" da noi, ma proprio a ciò che in noi si nasconde, quello che non possiamo o non vogliamo vedere, quello che mettiamo da parte per qualcosa di più grande, vittime di un amore che diventa terreno fertile per l'orrore più profondo. Cage è la punta dell'iceberg, ma ciò che chiede Longlegs è di scavare, schiantarci come il Titanic contro un film che mette i brividi fin dalla prima inquadratura, che ti fa accendere le luci in casa, perché non sia mai che, al buio, ci sia qualcosa a fissarti. Poi, se volete, vi dico anche che Perkins è un mago della simmetria e delle simbologie nascoste, che riesce a trasformare il formato dei filmini casalinghi in qualcosa di ancora più terrificante di ciò che veniva mostrato in Sinister, che sul finale confeziona alcune delle sequenze e delle singole immagini più belle e agghiaccianti che vedrete quest'anno, e che Longlegs ha una colonna sonora di tutto rispetto e una fotografia da urlo, ma vi lascio il piacere di scoprire tutte queste cose da soli. Per quanto mi riguarda, Longlegs non è il film più terrificante degli ultimi decenni, ché ormai mi risulta difficile spaventarmi davvero, ma mi ha lasciato sicuramente la sensazione come di qualcuno che sia sempre lì a toccarti sulle spalle, pronto a farti "cucù" (e non in modo simpatico come Russell Crowe), oltre alla voglia di rivederlo ancora e ancora. La possibilità che diventi un grande classico e un cult è più che tangibile e io forse ho trovato l'horror dell'anno.


Del regista e sceneggiatore Osgood Perkins ho già parlato QUI. Maika Monroe (Agente Lee Harker), Nicolas Cage (Longlegs), Alicia Witt (Ruth Harker) e Kiernan Shipka (Carrie Anne Camera) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Longlegs vi fosse piaciuto, recuperate Il silenzio degli innocenti, Zodiac e Se7en. ENJOY!

martedì 5 dicembre 2023

Totally Killer (2023)

Un altro degli horror recenti che volevo vedere era Totally Killer, diretto dalla regista Nahnatchka Khan e disponibile su Prime Video.


Trama: una cittadina vive nel mito e nel terrore del "Killer delle sedicenni", attivo negli anni '80. Ai giorni nostri, la figlia di una delle sopravvissute si ritrova a viaggiare nel tempo per impedire ulteriori omicidi...


Cercate un horror leggero da fare vedere ai vostri figlioli tween/teen? Non disperate, perché Totally Killer è il film che fa per voi! Infatti credo di essere un po' fuori target per apprezzare appieno una pellicola che vorrebbe essere divertente come Tanti auguri per la tua morte ma alla fine risulta una versione moscia di The Final Girls (purtroppo, senza il suo commovente, tragico cuore), tant'è che ho dovuto interrompere e riprendere più volte la visione, mandando indietro nei punti dove mi ero assopita. Non avrei dovuto aspettarmi molto da un BlumHouse distribuito da Prime Video, non dopo le esperienze pregresse, pertanto non sarò neppure eccessivamente feroce nella critica, perché comunque qualche risata Totally Killer la strappa. Il film funziona non tanto nella parte horror, le cui dinamiche (viaggi nel tempo compresi) sono già state sviscerate meglio altrove, quanto per il clash culturale tra la giovane Jamie e i suoi coetanei degli anni '80, un'epoca dove non si badava tanto ad educazione, razzismo, sessismo, privacy o salute: attraverso gli occhi della protagonista, arriviamo a chiederci come cazzo siamo sopravvissuti con adulti che ci fumavano in faccia, controlli superficiali e rispetto della privacy inesistente, ma l'umorismo funziona finché non ricordiamo che oggi non è che si sia tanto più progressisti, nonostante le sparate del personaggio. Cosa più grave, invece, che a distanza di due settimane dalla visione non ricordi quasi chi sia il killer e perché uccida le persone, a dimostrazione di come la scrittura di Totally Killer sia assai superficiale, al punto da non riuscire neppure a creare un assassino carismatico o, al limite, indimenticabile nella sua cialtroneria.


La Shipka nei panni della protagonista Jamie ha carisma sufficiente, si potrebbe dire che regga da sola il peso del film, non fosse che Olivia Holt le fa da degna spalla; si vede che le due fanciulle sono brave, ma purtroppo la sceneggiatura e la natura monodimensionale dei personaggi non le aiuta, e neppure lo fa il resto del cast, in cui spicca una Jamie Bowen sprecata, ahimé. Per quanto riguarda la regia, si vede che Nahnatchka Khan viene dalla commedia. Le sequenze di vita scolastica, così come ogni interazione tra adolescenti e genitori o anche il "twist" finale, sono gestite con sapienza e sono permeate da un'atmosfera frizzante e divertente, mentre quelle horror lasciano ben poco allo spettatore. Il confronto iniziale tra la Pam adulta e il killer è l'unico momento in cui mi sono sinceramente divertita e, allo stesso tempo, ho avuto qualche brivido, il resto è abbastanza sciatto e anonimo, un po' come la maschera del killer, che a me ha ricordato parecchio Johnny Bravo; in realtà, pare che i realizzatori abbiano voluto "omaggiare" gli attori bellocci che andavano di moda all'epoca, così che le giovani vittime potessero vedere il bianchissimo sorriso dell'assassino come ultima cosa prima di morire, quindi sono io a non avere capito ed apprezzato. E lo stesso vale, probabilmente, per il mio giudizio sul film, visto che a moltissimi altri spettatori è piaciuto, ed è per questo che non vi dissuaderò dal vederlo, anzi, fatemi sapere nei commenti come vi è sembrato!


Di Kiernan Shipka (Jamie Hughes), Lochlyn Munro (Blake Hughes), Randall Park (Sceriffo Dennis Lim) e Julie Bowen (Pam Hughes) ho già parlato ai rispettivi link.

Nahnatchka Khan è la regista della pellicola. Americana, ha diretto film come Finché forse non vi separi ed episodi di serie quali Non fidarti della str**** dell'interno 23. Anche produttrice, sceneggiatrice e attrice, ha 50 anni. 


Olivia Holt, che interpreta Pam Miller, era la Dagger della serie Cloak and Dagger. Se Totally Killer vi fosse piaciuto recuperate The Final Girls, Auguri per la tua morte e Ancora auguri per la tua morte. ENJOY!

mercoledì 15 maggio 2019

The Silence (2019)

Tornata dalle ferie mi sono trovata un attimo bloccata con la "programmazione" delle visioni ed è quindi subentrata Netflix che consigliava The Silence, diretto dal regista Jon R. Leonetti e tratto dal romanzo omonimo di Tim Lebbon.



Trama: degli uccelli preistorici cominciano ad attaccare le città d'America. L'unico modo per sopravvivere alla calamità è rimanere in perfetto silenzio, come scopriranno ben presto Ally, divenuta sorda a seguito di un incidente, e la sua famiglia.


SPOILER: fossi in voi non mi affezionerei troppo al cane. 
Su Imdb, sito dal quale recupero solitamente dati e curiosità, si sottolinea che il romanzo dal quale è tratto The Silence è precedente alla realizzazione di A Quiet Place: Un posto tranquillo, e che il cammino di entrambe le pellicole è cominciato nel 2017, con la differenza che il film di John Krasinski è stato distribuito al cinema mentre The Silence è rimasto nel limbo finché Netflix non lo ha recuperato. A questo punto mi domando se la famosissima piattaforma digitale non stia diventando una sorta di cassonetto della serie B perché guardando The Silence ho avuto la stessa impressione provata davanti alla visione di quei film catastrofici televisivi che andavano di moda negli anni '90 oppure di uno di quei mockbuster della Asylum, con la differenza che qui i pochi effetti speciali non sono sgradevoli e si può vantare la presenza di un paio di attori famosi. Ma se cercate qualcosa di più da The Silence cascate davvero male. Anzi, a chi già avesse trovato Bird Box trito e derivativo sconsiglierei la visione del film di Leonetti perché The Silence è prevedibile dall'inizio alla fine e segue il pattern tipico di questo genere di pellicole in cui un'apocalisse "animale" distrugge gli USA. Diciamo che, se era plausibile l'annientamento della razza umana per mano di esseri invisibili che spingono al suicidio, lo è meno l'idea che un branco di uccelli preistorici nascosti in una caverna riesca nel giro di una settimana a moltiplicarsi e costringere i pochi sopravvissuti a cercare rifugio in luoghi dal clima artico, visto che 'ste bestie devono deporre le uova e aspettare che si schiudano prima di raggiungere numeri così grandi. Ma così è, non questioniamo. The Silence ci introduce così alla vita felice di Ally e della sua famiglia, tutti esperti in linguaggio dei segni e lettura del labiale perché la ragazzina è sorda. E, guarda un po', come da titolo, il trucco per rimanere vivi in presenza delle mordaci bestiole preistoriche è stare in completo silenzio. Siccome per i protagonisti sarebbe quindi stato troppo facile sopravvivere, gli sceneggiatori a un certo punto infilano anche culti religiosi composti da matti, ché si sa come l'animale peggiore di tutti sia sempre l'uomo.


Di The Silence ho apprezzato, oltre a un paio di momenti di ovvia tensione (per quanto tu possa girare un film derivativo e banale, comunque l'idea di avere sospeso sul capo come una spada di Damocle un essere carnivoro acquattato nel buio e pronto a mangiarti al minimo rumore un po' di ansia la mette), l'allegra malvagità della famigliola felice, che a un certo punto condanna a morte una signora per pura stupidità prima di insediarlesi in casa, il barbatrucco usato dal culto di matti per stanare Ally e gli altri dalla suddetta abitazione e infine il modo assai funzionale in cui viene sfruttata l'unica vera tragedia del film. Stanley Tucci è sempre un gran signore, anche se cosa ci faccia in una pellicola simile probabilmente non lo sa nemmeno lui (un po' come John Malkovich non sapeva che stava facendo in Velvet Buzzsaw, o perlomeno voglio sperare che sia così) e Kiernan Shipka ha una faccetta così carina che è impossibile volerle male anche se siamo ben distanti dall'ispirata interpretazione di chi sordo lo è davvero, come la splendida Millicent Simmonds, per il resto The Silence è un film privo di pregi evidenti e molto facilone. Tanto per dirne una, l'umanità sarà anche condannata, e morire che due missili ben assestati o ancor meglio un bel plotone di Navy Seals o simili possa fare piazza pulita degli animali preistorici, ma a patto di avere la corrente per ricaricare tablet e cellulari questi orpelli del Demonio funzionano, con tanto di rete per mandarsi comodamente messaggi via chat. Altrimenti, la nostra dose di teen romance come l'avremmo avuta? Meh. Insomma, The Silence non è così brutto da meritare ignominia perpetua, come un Cell qualsiasi, ma come accade alla maggior parte degli originali Netflix è maledettamente insipido e lo dimostra il fatto, poi lo giuro smetto di fare paragoni con A Quiet Place, che un film simile è incapace persino di sfruttare l'unica cosa che avrebbe messo davvero angoscia: il silenzio.


Del regista John R. Leonetti ho già parlato QUI. Stanley Tucci (Hugh Andrews) e Miranda Otto (Kelly Andrews) li trovate invece ai rispettivi link.

Kiernan Shipka interpreta Ally Andrews. Americana, ha partecipato a serie come Monk, Heroes, Non fidarti della str**** dell'interno 23, Feud e Le terrificanti avventure di Sabrina, oltre ad aver lavorato come doppiatrice in Quando c'era Marnie, American Dad! e I Griffin. Ha 20 anni e due film in uscita.


Se The Silence vi fosse piaciuto recuperate il ben più riuscito A Quiet Place - Un posto tranquillo e aggiungete Bird Box e The Mist. ENJOY!

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