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venerdì 29 aprile 2022

John and the Hole (2021)

Ultimamente mi capita di consultare un paio di pagine horror sul sito Letterboxd e, tra i tanti film che settimanalmente vengono segnalati proprio lì, mi è balzato all'occhio John and the Hole, diretto dal regista Pascual Sisto.


Trama: l'adolescente John trova un bunker abbandonato in mezzo al bosco e decide di rinchiudervi i suoi familiari...


A riprova di quanto la mia memoria sia ormai labile, non ricordo più perché io abbia dato priorità a John and the Hole rispetto ai mille altri film da recuperare consigliati da amici fidati; probabilmente in una delle varie recensioni intraviste su Internet mi ha colpita quella che ha definito il film "un Mamma ho perso l'aereo diretto da Lanthimos e con sprazzi di Haneke", cosa che dovrebbe far capire quanto fin troppo spesso i "critici" sul web scrivano per iperboli inutilmente esagerate, oppure quanto io non capisca più una mazza di cinema, se mai abbia capito qualcosa. Guardando le pellicole dei due mostri sacri citati, onestamente, non mi è mai capitato di perplimermi o, meglio, mi è capitato per forza di cose ma era una perplessità "(in)sana", derivante da deliri oggettivamente interessanti e capaci di mettere in moto i pochi neuroni del mio cervello, oltre a tutta una serie di inquietudini, paure, dubbi, moti di disgusto e varie emozioni non del tutto piacevoli ad accompagnare il mio sguardo estasiato per la messa in scena. John and the Hole, purtroppo, non ha scatenato in me nessuna emozione, salvo un insano desiderio di picchiare selvaggiamente il ragazzino protagonista (per la cronaca, un Charlie Shotwell ormai abbonato ai ruoli di piccola merda) e di andare dallo sceneggiatore e chiedergli "... ma quindi???". Se, infatti, Kevin McCallister si ritrovava indipendente per botta di fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, John fa tutto da solo e decide di sbarazzarsi dei genitori e della sorella chiudendoli in un bunker abbandonato, tuttavia le sue motivazioni non sono mai chiare e, ancora peggio, è molto difficile empatizzare con lui. 


Cosa vuole John? Assaggiare l'indipendenza e cercare di capire cosa significhi essere adulti e avere qualcuno che dipende completamente da noi? Godersi un lungo momento di libertà da tutte le responsabilità dei ragazzini della sua età e dalle pressioni che magari un adulto non riesce a percepire come tali? Vendicarsi di una famiglia troppo impegnata in altre faccende per accorgersi di lui come dovrebbe? Oppure John, come mi è parso di evincere dall'interpretazione di Shotwell, ha qualche disturbo molto profondo a livello mentale di cui nessuno si è mai accorto e che lo ha portato a smattare senza un perché? Vi avviso che, arrivati alla fine del film, avrete più domande che risposte, soprattutto perché a un certo punto vengono introdotti due personaggi che non  hanno nulla a che spartire con la storia principale (apparentemente) e che fungono da contraltare per la vicenda di John, ragazzo spinto dalla volontà di liberarsi dei suoi familiari in contrasto con chi invece non vorrebbe venire abbandonato. Come ho scritto su, tutto molto interessante, se non fosse che empatizzare col protagonista è impossibile e non c'è nemmeno verso di provare un minimo di ansia per il destino dei suoi familiari imprigionati; l'unico aspetto veramente positivo di John and the Hole è l'abbondanza di sequenze "poetiche", dalla bellissima fotografia, tuttavia dietro l'innegabile bellezza ho percepito un retrogusto di intellettualità criptica a tutti i costi che mi ha reso la pellicola ancora più invisa. Forse non era il periodo giusto per guardarla, chissà!


Charlie Shotwell (John), Michael C. Hall (Brad), Jennifer Ehle (Anna) e Taissa Farmiga (Laurie) li trovate ai rispettivi link.

Pascual Sisto è il regista della pellicola. Spagnolo, è al suo primo lungometraggio. Anche produttore e sceneggiatore, ha 47 anni.



venerdì 15 novembre 2019

The Nightingale (2018)

Attendevo da anni il ritorno dietro la macchina da presa di Jennifer Kent. Lo ha fatto nel 2018 con The Nightingale, e non avrei potuto essere più spiazzata e soddisfatta di così.



Trama: Tasmania, 1820. Clare, irlandese deportata, si affida alla guida dell'aborigeno Billy per inseguire nel bush gli uomini che le hanno distrutto la famiglia.



"This is my home. This is my land". Credo di non essermi mai sentita tanto piccola e vergognosa, nella mia sicumera di bianca privilegiata, come nel vedere un aborigeno piangere davanti alla "concessione" di poter mangiare al tavolo assieme ai padroni della sua terra. E' stato come se mi avessero tirato uno schiaffo, perché dopo due ore di atrocità perpetrate da soldati e coloni inglesi ai danni degli aborigeni originari della Tasmania, non potevo fare altro che apprezzare l'apertura mentale di un anziano signore, l'unico pronto ad accogliere i due protagonisti di The Nightingale e a trattarli come esseri umani. Poi è arrivato, appunto, l'ennesimo schiaffo della Kent: cosa c'è da apprezzare? Perché Billy, ultimo superstite della sua stirpe massacrata, dovrebbe ringraziare chi lo tratta come ospite in una terra che lo ha visto nascere, con un'ipocrisia tale da fare rabbrividire? Ecco come, grazie a due battute e un primo piano, Jennifer Kent è riuscita ad annullare le barriere del tempo, riversandomi addosso l'orribile storia di una barbarie che continua e che ha visto gli invasi venire divorati dalla perniciosa influenza degli invasori, assumendo su di loro i peggiori difetti dell'uomo bianco, diventando una minoranza di persone che vivono spesso, ancora oggi, ai margini della società, annebbiate dai fumi dell'alcool. Io l'Australia (non la Tasmania) un po' l'ho vissuta. E' troppo facile dimenticare, tra un g'day e un mate, la sua natura di colonia penale inglese. Troppo facile dimenticare come gli aborigeni fossero considerati meno che umani, è vero, ma anche gli irlandesi o gli scozzesi non se la passassero meglio, specialmente le donne. Ma pensate cosa dev'essere stato, a inizio ottocento, essere donna e venire mandata a scontare una pena per reati spesso futili in una terra selvaggia e sconosciuta dove la maggior parte degli abitanti "bianchi" erano galeotti o soldati di sesso maschile. Posso solo immaginare che gli stupri, i soprusi e le esecuzioni sommarie fossero all'ordine del giorno e, per quanto la prima mezz'ora di The Nightingale sia atroce, da spezzare il cuore, che motivo c'è di nascondere la testa sotto la sabbia ed edulcorare ciò che sta alla base di un film che parla del disperato tentativo di due persone di rimanere umane nonostante tutto?


Perché The Nightingale non è un rape and revenge. Sì, la base da cui parte tutto è la stessa di un b-movie anni '70 a tema, ma giustamente alla Kent la vendetta interessa fino a un certo punto, in quanto The Nightingale sviluppa essenzialmente il rapporto di amicizia e reciproca comprensione tra due reietti che si scoprono "fratelli", al di là del colore della pelle e delle differenze di sesso (interpretati da due semi-esordienti di allucinante bravura). Accomunati da terribili perdite, a rischio di diventare inumani quanto i loro aguzzini, Clare e Billy all'inizio si odiano, avviluppati da un reticolo di pregiudizi e diffidenza: agli occhi di Clare, Billy è innanzitutto un maschio (e dopo essere stata violentata più volte, vorrei vedere quale donna si fiderebbe ancora) e poi un selvaggio probabilmente pronto a ucciderla o mangiarla; agli occhi di Billy, Clare è l'invasore, un'inglese (non irlandese) come tutti gli altri, degna solo di disprezzo. Sarebbe stato facile mostrare la catarsi violenta di due giustizieri improvvisati, punire i malvagi e poi ognuno per la sua strada, ma la Kent è interessata innanzitutto a mostrare la fatica di cambiare, di staccarsi da un cammino tracciato in anni di violenza e orrore, di ricominciare a vivere conservando almeno un minimo di umanità e dignità anche all'interno di un mondo destinato a non cambiare. Di fatto, è brutto da dire, Clare e Billy non sono i rivoluzionari forieri di importanti mutamenti sociali. Sono due uccellini che possono solo sperare di costruirsi un nido di pace temporaneo, persi davanti a un orizzonte di una bellezza abbacinante che può giusto liberarli per qualche istante dalla loro misera condizione. Quello che riserverà loro il futuro la Kent non lo dice ma sarebbe inutile essere ingenui; The Nightingale racconta ciò che è stato, il fondamento di ciò che in effetti ancora è, di questa nostra società così iniqua e sbagliata, le cui prospettive sono declinate secondo valori occidentali, "bianchi" e principalmente maschili. E' quindi giusto inorridire davanti a The Nightingale e non solo per le terribili scene di violenza, talmente realistiche da far stare male, ma anche per quello che racconta di noi attraverso il filtro dell'illusoria sicurezza di una distanza temporale. E se volete sapere perché The Nightingale è anche tecnicamente un film splendido, uno dei migliori dell'anno, vi rimando all'articolo di Lucia, che sicuramente ve lo spiega meglio di me, nell'attesa che The Nightingale venga distribuito anche qui in Italia.


Della regista e sceneggiatrice Jennifer Kent ho già parlato QUI. Sam Clafin (Hawkins) e Charlie Shotwell (Eddie) li trovate invece ai rispettivi link.

Damon Herriman interpreta Ruse. Australiano, ha partecipato a film come The Mask 2, La maschera di cera, J. Edgar, The Lone Ranger, C'era una volta a... Hollywood e a serie quali Cold Case, CSI- Scena del crimine e Breaking Bad. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 49 anni.




mercoledì 23 ottobre 2019

Eli (2019)

In questi giorni ho guardato, quasi per scherzo, Eli, il nuovo film Netflix diretto dal regista Ciarán Foy, senza aspettarmi nulla di che. Mi sono dovuta ricredere, ma ora non so come scrivere un post privo di SPOILER.


Trama: il piccolo Eli, affetto da una malattia autoimmune, viene portato come ultima spiaggia in una casa isolata dove la dottoressa Horn afferma di poterlo curare. All'interno della casa, però, cominciano a succedere cose strane...



Facciamo così. In questo primo paragrafo bandirò gli spoiler e cercherò di spiegarvi brevemente perché Eli è un film che merita di venire visto a prescindere dalla sua apparente banalità. Nel secondo paragrafo mi sfogherò un po' di più e sconfinerò nel terrificante territorio dello spoiler, perché era già qualche tempo che un horror non mi soddisfaceva in questo modo. Eli parte da un assunto intrigante, che unisce l'horror "medico" a quello più paranormale e che prevede un protagonista reso ancora più fragile da un difetto fisico o malattia (in questo caso Eli è costretto a vivere in ambienti completamente sterili e ad uscire di casa con una tuta simile a quella degli astronauti), inserito in un luogo potenzialmente pericoloso e popolato da personaggi ambigui. In apparenza, la casa di cura gestita dalla dottoressa Horn è irreprensibile, anche se vi sono posti, all'interno, dove non è consentito andare e che non sono completamente sterili, tuttavia le cure che vengono inflitte ad Eli sono al limite della tortura medievale e, come se ancora non bastasse, il piccolo si ritrova presto a venire attaccato nottetempo da alcuni spettri malevoli, senza peraltro venire creduto. La trama, come vedete, è abbastanza infarcita di cliché e lo stile di regia e sceneggiatura è quello tipico di un prodotto Blumhouse a base di entità malvagie, un The Conjuring ambientato in un ospedale (o al limite un Sinister, visto che Foy ha diretto il secondo capitolo della saga), durante la cui visione lo spettatore deve stare attento a non morire d'infarto causa jump scare assortiti filtrati da specchi o vetri, particolarmente diffusi all'interno della casa di cura. Tuttavia, tra gli strilli e l'interpretazione convintissima del piccolo Charlie Shotwell e tanti piccoli indizi che mostrano una famiglia disperata e nemmeno troppo unita (bellissima l'inquadratura all'interno della quale le mani dei genitori si dividono non appena si è chiusa la porta alle spalle del figlio), la sceneggiatura ci porta nel vivo della storia senza perdersi in spiegoni e soprattutto non cala di tensione nemmeno per un istante, anche quando i jump scare scompaiono e il film abbraccia la sua seconda anima. Se vi fidate di me anche con queste poche, scarne informazioni, il consiglio è quello di recuperare Eli senza remore perché è uno degli originali Netflix migliori al momento in catalogo... altrimenti proseguite, a vostro rischio e pericolo, perché entriamo nel regno dello


SPOILER

A un certo punto la sceneggiatura di Eli cambia completamente direzione e ribalta il punto di vista dello spettatore, che arriva a sentirsi intelligentemente gabbato e comincia a ripensare a tanti piccoli dettagli che lì per lì non quadravano, in primis l'impossibilità di avere un'intera magione sterilizzata. Certo, passata l'onda dell'entusiasmo c'è anche da dire che l'intero impianto scricchiola quanto le assi dei pavimenti di una casa infestata (arrivare a convincere il figlio di essere malato per curarlo del suo vero male? Ma a che pro? Bastava un esorcista, santo cielo. In tutta l'America ci sono solo queste tre suore scappate di casa in grado di esorcizzare pargoli o eliminare la progenie del Demonio? Peraltro passando per "fasi" in cui è persino necessario praticargli dei fori nella scatola cranica? Aiuto.), però è talmente convincente il modo in cui la sceneggiatura riesce a farsi beffe dell'utente Netflix, medio o scafato che sia, sviandolo in almeno due/tre modi differenti, che non si può non arrivare alla fine di Eli con un bel sorriso sulle labbra. L'idea dei fantasmi in apparenza malvagi che in realtà aiutano il protagonista, per esempio, era "sgamabile" sin dall'inizio ma onestamente non avrei mai pensato che le entità fossero davvero maligne perché lo è anche il loro protetto. E così lo spettatore per la maggior parte della durata si ritrova a fare il tifo per Eli, a volere bene alla madre Rose (nomen omen) che pare manipolata da un marito orco, a detestare l'ambigua dottoressa Horn e a sperare che il povero pargolo guarisca e sopravviva o magari muoia in maniera eroica per salvare altri bimbi come lui... finché tutto crolla, in un finale concitato ed ironicamente crudele. Come ho scritto sopra, Eli non racconta nulla di nuovo e si appoggia a svariati cliché del genere, ma è il modo in cui vengono mescolati a convincere e a spingere lo spettatore a sorvolare su alcune incongruenze e forzature. E poi, insomma, è sempre bello vedere Kelly Reilly, soprattutto perché la sua interpretazione da mamma apprensiva ed esageratamente dolce, tutta sussurri e trucchetti per calmarsi, nasconde una voragine di angoscia e segreti taciuti. Come sempre, non c'è nulla di meglio di un piccolo protagonista malvagio per ravvivare un film, e decisamente Eli si è conquistato un posto nell'olimpo dei miei preferiti!

FINE SPOILER/POST



Del regista Ciarán Foy ho già parlato QUI. Kelly Reilly (Rose) e Lily Taylor (Dr. Horn) le trovate invece ai rispettivi link.

Charlie Shotwell interpreta Eli. Americano, ha partecipato a film come Captain Fantastic, Tutti i soldi del mondo e The Nightingale. Ha 10 anni e tre film in uscita.


Sadie Sink, che interpreta Haley, è la Max di Stranger Things. ENJOY!

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