Visualizzazione post con etichetta taissa farmiga. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta taissa farmiga. Mostra tutti i post

venerdì 15 settembre 2023

The Nun 2 (2023)

Non è che fossi proprio convinta di andarlo a vedere, ma un horror al cinema non si rifiuta mai, quindi eccovi il post su The Nun 2, diretto dal regista Michael Chaves.


Trama: Dopo essere diventata suora, Irene è costretta ad affrontare nuovamente il demone Valak, riuscito a fuggire alla sua prigione.


Avendo un profilo Facebook, sono iscritta ad un paio di gruppi dedicati al cinema horror, e sono rimasta assai perplessa nel constatare che The Nun 2 era uno degli horror più attesi dell'anno. Non solo, le prime recensioni del film erano incredibilmente entusiaste, cosa che mi lascia basita soprattutto ora che ho visto The Nun 2; fortunatamente, sono poi arrivati commenti che lo classificavano come monnezza, e a questo punto mi chiedo quanto cavolo devi essere paraculo per parlare bene di un film solo perché ti invitano alle anteprime, ma poi mi direbbero che la mia è tutta invidia. Comunque, The Nun 2 l'ho visto una settimana dopo l'uscita ufficiale, e magari nel frattempo è invecchiato male, sta di fatto che mi sento più vicina ai recensori che l'hanno cestinato. Definirlo monnezza è forse eccessivo, di sicuro è un horror anonimo che "vive" solo della bruttezza rara e del colore dell'abito della Nun del titolo, entrambi perfetti per confezionare jump scare adatti all'età dei minori di 14 anni ai quali questo film è vietato (ironia della sorte...), dunque ampiamente prevedibili e contrastabili ponendosi la sempre efficace mano semiaperta davanti agli occhi. C'è anche un altro mostrillo simpatico, che ha entusiasmato soprattutto il mio compare di visione, ma è poca roba considerato che già il primo The Nun mancava del coraggio di abbracciare il weird decerebrato e sanguinolento che ci saremmo goduti negli anni '70/'80 se un horror con suore fosse finito nelle mani di un regista italiano; qui, oltre alle suore, ci sono le studentesse di un collegio femminile, e ce ne fosse una che venga posseduta o, Valak non voglia, uccisa. Come se non bastasse, il demone in questione passa per essere potentissimo ma è, in realtà, un pigro perculatore che sfrutta questa potenza in base a quanto fa comodo alla sceneggiatura.


Demone e mostrillo a parte, The Nun 2 preferisce battere i sentieri tanto cari a Dan Brown, affiancando al "gotico" horror ambientato nel collegio femminile l'indagine di suor Irene e della sua utilissima compagna (messa lì giusto per dare colore. Badabum-tss!!), le quali a un certo punto si imbarcano in un delirio fanta-religioso tale che alcune sequenze mi hanno ricordato gli episodi più mistici di Sailor Moon, con tanto di power-up finale e rivelazioni da soap opera. In realtà, se gli sceneggiatori Ian Goldberg, Richard Naing e Akela Cooper mi dessero retta, capirebbero che l'unica scelta vincente per evitare la discesa nell'abisso della saga sarebbe creare un universo condiviso col Padre Amorth di Russell Crowe, in cui Irene benedirebbe intere cantine di vino/birra, consentendo al rubicondo prete esorcista di sbarazzarsi dei demoni per mezzo di fiatella alcoolica santa, come un novello Superciuk. Ma siccome questo è un sogno irrealizzabile, mi limiterò a segnalarvi le poche cose buone di The Nun 2. Una è Taissa Farmiga, sempre più simile alla sorella Vera e sempre bravissima, anche se sarebbe meglio godersela in lingua originale, e l'altra è una raffinatissima sequenza in cui le pagine dei giornali di un'edicola francese prendono letteralmente vita. Anche lì però, c'è modo e modo di creare atmosfera e convogliare un senso di claustrofobia sfruttando le strade labirintiche di un paesello di campagna, ma Michael Chaves preferisce usare nebbiolina e lucine, e allora tocca accontentarsi di una sola sequenza valida e constatare l'ennesimo spreco dell'idea potenzialmente validissima di un demone suora che lotta contro una novizia. E, purtroppo, aspettare l'ennesimo sequel stantio, sperando che The Conjuring: Last Rite risollevi un po' le sorti del franchise.


Del regista Michael Chaves ho già parlato QUI. Taissa Farmiga (Irene), Patrick Wilson (Ed Warren) e Vera Farmiga (Lorraine Warren) li trovate invece ai rispettivi link.

Jonas Bloquet interpreta Maurice. Belga, lo ricordo per film come Elle, The Nun - La vocazione del male e serie quali 1899. Anche regista, ha 31 anni. 


Se The Nun 2 vi fosse piaciuto, è arrivato il momento di recuperare tutti i film del Conjuringverse in ordine cronologico: The Nun - La vocazione del male,Annabelle: Creation, Annabelle, L'evocazione - The Conjuring, Annabelle 3, La llorona - Le lacrime del male, The Conjuring- Il caso Enfield e The Conjuring - Per ordine del diavolo. Per sapere in tempo reale dove su quale servizio streaming potete trovare questi film andate su Filmamo, ci trovate anche le mie mini-recensioni! ENJOY!


venerdì 29 aprile 2022

John and the Hole (2021)

Ultimamente mi capita di consultare un paio di pagine horror sul sito Letterboxd e, tra i tanti film che settimanalmente vengono segnalati proprio lì, mi è balzato all'occhio John and the Hole, diretto dal regista Pascual Sisto.


Trama: l'adolescente John trova un bunker abbandonato in mezzo al bosco e decide di rinchiudervi i suoi familiari...


A riprova di quanto la mia memoria sia ormai labile, non ricordo più perché io abbia dato priorità a John and the Hole rispetto ai mille altri film da recuperare consigliati da amici fidati; probabilmente in una delle varie recensioni intraviste su Internet mi ha colpita quella che ha definito il film "un Mamma ho perso l'aereo diretto da Lanthimos e con sprazzi di Haneke", cosa che dovrebbe far capire quanto fin troppo spesso i "critici" sul web scrivano per iperboli inutilmente esagerate, oppure quanto io non capisca più una mazza di cinema, se mai abbia capito qualcosa. Guardando le pellicole dei due mostri sacri citati, onestamente, non mi è mai capitato di perplimermi o, meglio, mi è capitato per forza di cose ma era una perplessità "(in)sana", derivante da deliri oggettivamente interessanti e capaci di mettere in moto i pochi neuroni del mio cervello, oltre a tutta una serie di inquietudini, paure, dubbi, moti di disgusto e varie emozioni non del tutto piacevoli ad accompagnare il mio sguardo estasiato per la messa in scena. John and the Hole, purtroppo, non ha scatenato in me nessuna emozione, salvo un insano desiderio di picchiare selvaggiamente il ragazzino protagonista (per la cronaca, un Charlie Shotwell ormai abbonato ai ruoli di piccola merda) e di andare dallo sceneggiatore e chiedergli "... ma quindi???". Se, infatti, Kevin McCallister si ritrovava indipendente per botta di fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, John fa tutto da solo e decide di sbarazzarsi dei genitori e della sorella chiudendoli in un bunker abbandonato, tuttavia le sue motivazioni non sono mai chiare e, ancora peggio, è molto difficile empatizzare con lui. 


Cosa vuole John? Assaggiare l'indipendenza e cercare di capire cosa significhi essere adulti e avere qualcuno che dipende completamente da noi? Godersi un lungo momento di libertà da tutte le responsabilità dei ragazzini della sua età e dalle pressioni che magari un adulto non riesce a percepire come tali? Vendicarsi di una famiglia troppo impegnata in altre faccende per accorgersi di lui come dovrebbe? Oppure John, come mi è parso di evincere dall'interpretazione di Shotwell, ha qualche disturbo molto profondo a livello mentale di cui nessuno si è mai accorto e che lo ha portato a smattare senza un perché? Vi avviso che, arrivati alla fine del film, avrete più domande che risposte, soprattutto perché a un certo punto vengono introdotti due personaggi che non  hanno nulla a che spartire con la storia principale (apparentemente) e che fungono da contraltare per la vicenda di John, ragazzo spinto dalla volontà di liberarsi dei suoi familiari in contrasto con chi invece non vorrebbe venire abbandonato. Come ho scritto su, tutto molto interessante, se non fosse che empatizzare col protagonista è impossibile e non c'è nemmeno verso di provare un minimo di ansia per il destino dei suoi familiari imprigionati; l'unico aspetto veramente positivo di John and the Hole è l'abbondanza di sequenze "poetiche", dalla bellissima fotografia, tuttavia dietro l'innegabile bellezza ho percepito un retrogusto di intellettualità criptica a tutti i costi che mi ha reso la pellicola ancora più invisa. Forse non era il periodo giusto per guardarla, chissà!


Charlie Shotwell (John), Michael C. Hall (Brad), Jennifer Ehle (Anna) e Taissa Farmiga (Laurie) li trovate ai rispettivi link.

Pascual Sisto è il regista della pellicola. Spagnolo, è al suo primo lungometraggio. Anche produttore e sceneggiatore, ha 47 anni.



martedì 12 febbraio 2019

Il corriere - The Mule (2018)

Avrei voluto recuperare Il primo re ma a Savona, quando salti la prima settimana di programmazione, sei letteralmente foutu e ti ritrovi a dover andare al cinema ad orari improponibili. A salvarmi la domenica cinefila ci hanno pensato però Clint Eastwood e il suo Il corriere - The Mule (The Mule).


Trama: Earl, floricoltore novantenne, si ritrova in gravi ristrettezze economiche e, anche un po' per gioco, accetta la proposta di fare da corriere per un cartello messicano, diventando presto uno dei "dipendenti" più quotati.


Ammetto di non essere molto esperta del cinema di Clint Eastwood ma da lui tutto mi sarei aspettata tranne la "leggerezza" che permea Il corriere nel corso del primo tempo. Leggerezza senza superficialità, si badi bene, ché il grande vecchio del cinema americano ci mette di fronte a un mezzo road movie dolceamaro filtrato dagli occhi di un novantenne pronto a recuperare tutte le mancanze nei confronti della famiglia attraverso una ca**ata ancora più grande e, così facendo, ci spinge a riflettere sul modo in cui spesso sprechiamo il tempo che ci viene concesso. Protagonista di questa storia vera (basata sull'articolo del New York Times "The Sinaloa Cartel's 90-Year Old Drug Mule") è Earl, anziano coltivatore di Emerocallidi caduto in disgrazia dopo un'esistenza passata a concentrarsi solo sul proprio lavoro, al punto da dimenticarsi ricorrenze importanti come il matrimonio della figlia. Aperta parentesi sui day lily coltivati da Earl. Il fatto che questi gigli siano stati scelti come oggetto della passione del protagonista, a mio avviso, ha un senso, perché dicono molto della personalità di Earl, uomo convinto che tutto possa rigenerarsi e rimanere lì, immobile e perenne, ad aspettarlo; assai simili, per ciclo vitale, alle Belle di notte, i fiori delle Emerocallidi durano solo un giorno e vengono rimpiazzati subito da altri sullo stesso stelo, quindi virtualmente non smettono mai di essere splendidi. Non così, ovviamente, per la vita di Earl, uomo che della noncuranza e della perdita di tempo ha fatto un vanto, tanto da accettare con leggerezza il fatto di poter fungere da corriere della droga in virtù della sua esperienza e del suo innegabile fascino, che porta persino i narcos a chiudere un occhio sulle sue stramberie o i suoi strappi alla regola. Persona fondamentalmente di buon cuore (persino il suo razzismo e la sua ignoranza sono talmente ingenui da non causare neppure scandalo), il vegliardo accetta il lavoro di corriere per procurarsi soldi destinati ad altri, al matrimonio della nipote o al circolo dei reduci, poi ovviamente si ritrova sempre più invischiato in un mondo da cui è impossibile uscire ed è lì che qualcosa "scatta", sia nel personaggio che nel film. Il lavoro, di qualunque genere, si priva di fascino davanti alla prospettiva concreta di perdere definitivamente ciò che di importante c'è nella vita, davanti alla consapevolezza che ciò che va non torna più, a differenza dei fiori perenni, e capirlo a novant'anni, quando il tempo è ormai agli sgoccioli, è qualcosa di talmente doloroso da spezzare il cuore. Il viaggio verso la consapevolezza di Earl è il fulcro de Il corriere. Il resto, gli agenti della DEA in crisi, la lotta interna al cartello, l'aspetto "crime" della pellicola, è tutto mero contorno alla figura fragile e granitica di Clint Eastwood.


Sarà questa l'ultima performance del "texano dagli occhi di ghiaccio"? Non lo so ma, a prescindere, è una bellissima performance, sia dietro che davanti la macchina da presa. Clint Eastwood, nonostante siano passati anni dalla sua ultima prova di attore, non si nasconde dagli anni impietosi che passano, mette al servizio del film la sua figura esile, un passo strascicato, la debolezza di carni flaccide e segnate dal tempo, un sorriso che indubbiamente, pur non essendo più quello ammaliante di un tempo, non passa inosservato, capelli radi, una voce arrochita e stonata (ma oh, quanto accattivante!) e un po' di demenza senile a completare il quadro. Talvolta non gli si perdona, diciamolo pure, scivoloni da anziani, quelle inquadrature lascive su chiappe mulatte e ben tornite, momenti di umorismo forse eccessivo e altrettanto eccessivo melò, benché a un certo punto mi sia ritrovata piangere lacrime copiose per una delle morti più realistiche e naturalmente inevitabili viste sullo schermo. Eppure, sul finale, con quel sole che gli colpisce il volto insanguinato e tumefatto, quella smorfia amarissima di chi ormai non ha più nulla da perdere, avrei pensato che Bradley Cooper sarebbe stato colpito da una pallottola sparata a freddo dall'ultimo grande pistolero di Hollywood, un vecchio che avrà anche perso tutto ma non la dignità di andarsene nel modo a lui più consono, un regista e un attore capace di tirare ancora delle belle zampate e fare emozionare con questa improbabilissima storia vera. Da sottolineare anche la presenza di attori assai validi ad accompagnare Eastwood nel percorso, soprattutto per quel che riguarda le "quote rosa", sostenute da una dolcissima Taissa Farmiga, da una rediviva Dianne Wiest e da una delle tante figlie di Clint Eastwood, la bionda Iris, che chissà non abbia insinuato un che di autobiografico nell'odio del personaggio verso il papà. E con questa bassissima insinuazione chiuderei, consigliando di dare ancora una chance a questo quasi novantenne sempre arzillo e mai banale.


Del regista Clint Eastwood, che interpreta Earl Stone, ho già parlato QUIBradley Cooper (Colin Bates), Michael Peña (Trevino), Taissa Farmiga (Ginny), Andy Garcia (Laton), Laurence Fishburne (Agente Speciale DEA), Dianne Wiest (Mary) e Clifton Collins Jr. (Gustavo) li trovate invece ai rispettivi link.


domenica 30 settembre 2018

The Nun: La vocazione del male (2018)

Mercoledì sono finita al cinema in una sala zeppa di ragazzetti imbelli a vedere The Nun: La vocazione del male (The Nun), diretto dal regista Colin Hardy.


Trama: dopo il suicidio di un suora, un prete e una novizia vengono mandati in un convento di clausura in Romania ad indagare. Scopriranno che il convento è infestato dalle forze del male...



Dopo essersi palesata in The Conjuring - Il caso Enfield in tutta la sua Marilynmansonica bruttezza, la suora demoniaca ha finalmente ottenuto un film tutto suo. Film che, nonostante l'abbondanza di momenti perplimenti, protagonisti mosci e jump scare prevedibilissimi, non è nemmeno male come avrei pensato, soprattutto in virtù di un setting molto affascinante che non si limita alle mere location esterne ma anche e soprattutto agli ambienti in cui si ritrovano a soffrire e fuggire i personaggi principali. Ma partiamo dai difetti, suvvia, anche perché essi sono concentrati essenzialmente a livello di trama e caratterizzazione dei personaggi, al punto che, forse, di tutti i film derivanti dall'universo creato da James Wan, The Nun è il più debole ed involontariamente ridicolo in questo senso. Padre Burke e Sorella Irene sono, infatti, la summa degli stereotipi dell'horror a tema religioso, partendo da L'esorcista fino ad arrivare a robette recenti come, che so, qualsiasi pellicola che nell'adattamento italiano si sia vista affibbiare un "del male" all'interno del titolo. Lui è l'esorcista top del Vaticano, colui che viene mandato dagli alti prelati a risolvere le beghe della Chiesa benché porti dentro di sé il dolore di non essere riuscito a salvare un pargolo dalla possessione demoniaca (pargolo che riciccerà fuori più volte nel corso della pellicola) mentre lei, nonostante sia ancora postulante e nemmeno novizia, viene scelta dal Vaticano perché dotata del dono della "vedenza". In pratica, i due dovrebbero essere, almeno sulla carta, il Superman e la Wonder Woman della Chiesa, peccato che il demone faccia fare ad entrambi (soprattutto al primo) delle figure da cioccolatai talmente grandi che spesso mi sono ritrovata vittima di facepalm compulsivi. Ad accompagnare i due allegri fringuelli, un ragazzotto francese dotato della funzione di spalla comica, l'occhio "esterno" e laico di cui in effetti non si sentiva il bisogno. Questo trio, all'erta e pieno di brio, si destreggia tra uno jump scare e l'altro, vagando per conventi, boschi e cimiteri infestati da suore malvagie e demoni assortiti prendendo ogni scelta sbagliata possibile ed immaginabile (si separano, seguono creature che sono palesemente demoni per poi lamentarsi se questi ultimi fanno brutte cose, ficcano il naso dove non devono, ecc. ecc.) fino all'inevitabile risoluzione finale che arriva a citare, attenzione, persino Il cavaliere del male, l'unica cosa che mi ha fatto saltare il cuore in petto, sì, ma di pura gioia.


Se i protagonisti sono sull'imbecille andante, la suora demoniaca non è da meno o, meglio, è un po' indecisa. Di base, se è vero che al demone serve un corpo per incarnarsi, non sarebbe opportuno possedere Irene invece di star tanto lì a menarsela con visioni e preticelli? Invece, il demone Valak adora sbattere gente contro i muri e spaventarla, lasciando alle sue vittime tutto il tempo di fare ricerche, conversare, visitare conventi, gingillarsi con fantasmi o demoni minori e persino farsi pisolini tra un buco di sceneggiatura (solo la storia della chiave all'inizio e dei bombardamenti che svegliano il Male sono dei maccosa grossi come una casa) e l'altro. Però, in tutto questo, c'è da dire che The Nun è assai evocativo e dotato di un'interessante e piacevole atmosfera gotica. Gli ambienti, interamente ricostruiti in studio, ché in Romania (dov'è stato girato il film) è vietato riprendere l'interno degli edifici religiosi, sono davvero molto belli e, come giustamente suggeriva il mio esaltatissimo compagno di visioni, a tratti evocano le atmosfere de La Chiesa di Michele Soavi; regia e fotografia sono molto raffinate per una pellicola simile, fanno grande uso di nebbie rarefatte e di una pazzesca illuminazione che rende corridoi, stanze e boschi molto inquietanti e peccato che questo senso di inquietudine venga spezzato dalla banalità della suora che ciccia fuori nell'ombra, giusto dietro le spalle dei protagonisti oppure veloce veloce davanti alla cinepresa, perché se i realizzatori avessero scelto di lasciare l'orrore sottopelle, ispirandosi interamente al compianto Bava e appoggiandosi un po' di più ad alcune suggestioni fulciane gettate qui e là, probabilmente avremmo avuto un capolavoro. Bravo quindi il regista Corin Hardy, costretto ahimé a piegarsi alle regole dell'horror commerciale, un po' meno bravi gli sceneggiatori, adagiati sugli allori di una storia banale che svilisce di rimando anche la bellezza di regia e fotografia. Insomma, non proprio un diludendo ma nemmeno un film memorabile o particolarmente spaventoso. Aspettiamo ora i prossimi, inevitabili capitoli del franchise, tanto dubito di essermi liberata definitivamente della  terribile Nun!


Di Demián Bichir (Padre Burke), Taissa Farmiga (Sorella Irene) e Michael Smiley (Vescovo Pasquale) ho già parlato ai rispettivi link.

Corin Hardy è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto il film The Hallow. Anche sceneggiatore, animatore e produttore, ha 43 anni.


All'interno di The Nun vengono riprese intere sequenze da The Conjuring - Il caso Enfield (nel prologo) e L'evocazione - The Conjuring (durante l'epilogo, benché le sequenze siano state ovviamente rimaneggiate nelle immagini e nei dialoghi), così da garantire la continuità con quello che è spin-off ma anche prequel della saga; per avere un quadro più completo dell'universo di The Conjuring recuperate quindi questi due film e aggiungete Annabelle e Annabelle: Creation, nell'attesa che arrivino The Conjuring 3 e The Crooked Man. ENJOY!


domenica 1 novembre 2015

The Final Girls (2015)

La fine dell'anno si sta avvicinando e come al solito questo periodo è un florilegio di titoli interessanti. Tra di loro rientra di diritto The Final Girls, diretto dal regista Todd Strauss-Schulson e sicuro candidato per la Top 5 horror del 2015!!!!


Trama: durante una maratona horror, Max si ritrova con gli amici all'interno del film che stavano guardando, uno slasher la cui protagonista è proprio la madre della ragazza, che dovranno difendere da un terribile serial killer...



Ormai viviamo in tempi in cui dell'horror è stato detto quasi tutto e in cui tematiche, cliché, stilemi e canovacci sono ormai talmente consolidati che è difficile per lo spettatore scafato sorprendersi. Eventuali registi o sceneggiatori che desiderano cimentarsi col genere senza dover per forza girare dei remake si trovano davanti un paio di strade percorribili, a seconda della loro onestà, bravura ed intelligenza: c'è chi decide di prendere la via facile del "pochi soldi, tanta pubblicità, miliardi di sequel", chi decide di realizzare l'horror autoriale ed intelligente che parla più alla mente che agli occhi, chi prova a contaminare i generi e chi ad omaggiare le pellicole cult del passato. Quest'ultima tendenza si è affermata parecchio negli ultimi tempi ma, anche lì, ci sono da fare alcune distinzioni. Lost After Dark, per esempio, replica esattamente le atmosfere di uno slasher anni '80 e lo imita sia nello stile che nella trama mentre, andando un po' più indietro nel tempo, c'è stato Quella casa nel bosco, che metteva alla berlina i cliché del genere sfruttando le tipiche domande che sorgono spontanee davanti a un horror e, ancora prima, era arrivato Scream a giocare con "le regole per sopravvivere in uno slasher". The Final Girls si avvicina di più a queste ultime due pellicole e trascina letteralmente i protagonisti all'interno di un horror esageratamente anni '70 fin dal titolo, Camp Bloodbath, che è praticamente la versione "poveraccia" di Venerdì 13. Max e i suoi amici si ritrovano ad essere parte di una pellicola che praticamente conoscono a memoria e devono cercare di sopravvivere ed uccidere il killer prima dei titoli di coda, accertandosi allo stesso tempo che i personaggi stereotipati del film non attirino il sanguinario Billy facendo tutte quelle cose stupide che tanto ci fanno trasecolare quando guardiamo un horror. Partendo da questo spunto originale, regista e sceneggiatori riescono a realizzare un vero gioiellino, nonché una dichiarazione di puro amore verso lo slasher che tuttavia non rimane mai fine a sé stessa; The Final Girls è un film con tanto, tantissimo sentimento, popolato da personaggi tridimensionali ai quali è impossibile non affezionarsi, esseri umanissimi che vivono, soffrono, crescono e cercano di scendere a patti con un dolore insormontabile (alla fine si piange moltissimo, io vi avviso).


Fulcro di The Final Girls è lo splendido rapporto tra la giovane Max e sua madre Amanda, attrice che ha avuto il suo momento di gloria proprio con Camp Bloodbath ed è rimasta legata al ruolo di Nancy, letteralmente "la bionda svampitella ma gentile che perde la verginità e viene uccisa dal killer dopo mezz'oretta di film". Sfruttando questo legame tra le due, gli sceneggiatori non sviluppano solo la personalità della protagonista ma scavano anche nel personaggio "di finzione" monodimensionale, portando a galla la vera personalità della bionda Nancy, le sue insicurezze e la successiva, dolorosa consapevolezza di essere stata creata solo per essere un personaggio di contorno, un'inutile esemplare di carne da macello tipico dell'horror. Certo, ai suoi compagni non viene concesso lo stesso trattamento, ché scemi erano e scemi rimarranno fino alla fine, tuttavia la delicatezza con la quale gli sceneggiatori hanno creato questa "nicchia" drammatica all'interno di una pellicola fondamentalmente divertente e sanguinosa dà l'idea di come The Final Girls sia un prodotto di rara intelligenza all'interno di un panorama horror sempre più piatto e banale. La cura immessa nella realizzazione del progetto balza comunque all'occhio fin dalla scelta degli attori, tutti incredibilmente bravi (e lo dice una che non va matta né per Taissa Farmiga né, soprattutto, per Malin Akerman), dall'utilizzo di una colonna sonora bellissima (non ascolterete più Bette Davis Eyes con lo stesso stato d'animo, ve lo garantisco) e dalle scelte di regia e montaggio che rendono The Final Girls una vera chicca: la scena iniziale di Camp Bloodbath ripetuta in loop è geniale ma mai quanto l'originale utilizzo del flashback e inoltre l'epico pre-finale, con quel cielo palesemente finto su cui poi scorrono i titoli di coda, potrebbe davvero essere una delle sequenze da ricordare in questo 2015. Ci sarebbero un sacco di altre cose da dire su The Final Girls ma rischierei di incappare in sgradevoli spoiler quando invece il film di Todd Strauss-Schulson è da gustare dall'inizio alla fine, rimanendo ipnotizzati davanti allo schermo come è successo a me. Guardatelo, perché qui siamo davvero in presenza dell'horror dell'anno!


Di Taissa Farmiga (Max Cartwright), Malin Akerman (Nancy/Amanda Cartwright) e Alexander Ludwig (Chris Briggs) ho già parlato ai rispettivi link.

Todd Strauss-Schulson è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Harold e Kumar, un Natale da ricordare. Anche sceneggiatore, produttore, attore e tecnico degli effetti speciali, ha 35 anni.


Nina Dobrev (vero nome Nikolina Constantinova Dobreva) interpreta Vicki Summers. Bulgara, ha partecipato a film come Noi siamo infinito e soprattutto alla serie The Vampire Diaries; come doppiatrice, ha inoltre lavorato per serie come I Griffin e Robot Chicken. Ha 26 anni e un film  in uscita.


Angela Trimbur, che interpreta la disnibita Tina, aveva già partecipato a uno slasher, ovvero all'Halloween II di Rob Zombie. Detto questo, se The Final Girls vi fosse piaciuto recuperate Quella casa nel bosco e Lost After Dark. ENJOY!

venerdì 4 ottobre 2013

Bling Ring (2013)

Potenza delle recensioni negative: martedì sono entrata assieme a un'amica in una sala completamente vuota a vedere Bling Ring (The Bling Ring) l'ultima fatica della regista Sofia Coppola.


Trama: un gruppo di ragazzini passa le serate a derubare le case delle celebrità, godendosi i frutti delle rapine tra discoteche, foto, provini e droga...


La stupidità della Facebook generation filtrata dallo sguardo modaiolo e chic di Sofia Coppola. Così potrebbe essere tranquillamente riassunto Bling Ring, un film criticato per la mancanza di contenuti, per l'inconsistenza della trama (tratta da fatti realmente accaduti e già riportati nell'ormai famigerato articolo The Suspects Wore Louboutins di Nancy Jo Sales) e per la lentezza. Volete la verità? Forse sarò scema come le ragazzine descritte dalla Coppola ma a me è bastato stordirmi con la stilosissima colonna sonora e vedere le borse Chanel, le valanghe di scarpe tacco 12, gli accessori assurdi e le mise intriganti delle protagoniste per passare un'ora e mezza di incredulo divertimento e riuscire anche a riflettere sul desolante vuoto che riempie la testa e le giornate non solo di questi mocciosi sbandati, ma di tutti noi, chi più chi meno. Quanto sono diverse le wannabe coppoliane dalle persone che hanno passato giorni su internet, davanti alla tv o con la faccia nei giornali per non perdersi nemmeno un istante del fantasticissimissimo matrimonio di Belen Rodriguez mentre l'Italia andava letteralmente a catafascio? Quante persone passano le serate allo stesso modo di Nicki e compagnia, sculettando seminude e ubriache fradice o, se uomini, conciati come dei tamarri sperando invano che qualche talent scout li consacri a nuove star televisive da imporre a modello per giovani sempre più demotivati e in cerca del successo facile? E guardate un po' quelle terribili trasmissioni con i cantanti bambini, che si sgolano su testi che probabilmente non capiscono, non amano e non conoscono, con i genitori che li spingono sul palco a calci in culo per essere giudicati manco fossero a Sanremo? La Coppola sarà vuota e furbetta quanto volete ma Bling Ring racconta, né più né meno, la nostra triste realtà.


Poi, se si vuole criticare il fatto che sì, i sospetti avranno anche indossato Louboutin ma è anche vero che i VIP gli lasciavano le porte aperte, gli antifurti scollegati, le casseforti sullo zerbino, i gioielli in bella vista, i portafogli sui sedili anteriori delle macchine e quant'altro, la cosa ha fatto ridere anche me e lo ammetto. Se si vuole criticare il fatto che Bling Ring non è altro che una ripetuta sequenza di furti su cui lo sguardo della Coppola indugia compiaciuto e poco vario (tranne nella spettacolare ripresa della casa interamente trasparente di Audrina) perdendosi tra ninnoli ed abiti, non posso negare che a lungo andare il gioco può stancare. Ma sinceramente, generazioni stupide di individui viziati venerano idoli stupidi e inutili quanto loro (rubare in casa di una che di "mestiere" fa l'ereditiera o di un'altra che, a sua volta, ruba nelle gioiellerie e si ritrova in carcere con chi le ha recato danno può davvero essere considerato un crimine...?) e la noia della loro vita sciocca e sciapa si ripropone inevitabilmente anche nella routine del furto: avete notato come la Coppola, all'inizio della pellicola, si sofferma sul dettaglio e poi, a poco a poco, comincia ad inquadrare solo disordinati e scintillanti cumuli di roba? Una perfetta riproduzione della mentalità di questi tristi mocciosi che sciupano subito persino il brivido del proibito, assimilandolo come un fatto dovuto di cui vantarsi con gli amici o su Facebook... o di una società che è riuscita, attraverso i loro gesti "criminali", a farli diventare quello che volevano: famosi. Alla faccia di chi si impegna per raggiungere degli obiettivi, infatti, sappiate che la vera Nicki (interpretata da una Watson perfetta che tranquillamente svetta su tutti gli altri attori), tale Alexis Neiers, ha vissuto della fama derivata dalla vicenda attraverso blog, Youtube, interviste e quant'altro e lo stesso vale per buona parte dei membri della banda. E anche se così non fosse stato, è arrivata la Coppola a ricordarci e a romanzare la loro esistenza con questo film che a me, se non si fosse capito, è piaciuto parecchio.


Di Emma Watson, che interpreta Nicki, ho già parlato qui.

Sofia Coppola è la regista e co-sceneggiatrice della pellicola. Americana, figlia di Francis Ford Coppola, ha diretto i film Il giardino delle vergini suicide, Lost in Translation, Marie Antoinette e Somewhere. Anche attrice, produttrice e costumista, ha 42 anni e ha vinto un Oscar per la sceneggiatura di Lost in Translation.


Taissa Farmiga interpreta Sam. Sorella di Vera Farmiga, ha partecipato alla prima serie di American Horror Story e tra qualche giorno tornerà nella terza, Coven. Ha 19 anni e due film in uscita.

  
Leslie Mann interpreta Laurie. Americana, ha partecipato a film come Il rompiscatole, George re della giungla…?, Orange County, 40 anni vergine e alla serie Hercules, inoltre ha lavorato come doppiatrice in ParaNorman. Ha 39 anni e due film in uscita.


Tra gli altri attori, segnalo l'apparizione di Kirsten Dunst e Paris Hilton, ovviamente nei panni di loro stesse, mentre Orlando Bloom, Audrina Patridge e Lindsay Lohan compaiono brevemente in alcune immagini di repertorio. L'articolo di Vanity Fair era già stato trasposto in un film per la TV del 2011 intitolato sempre The Bling Ring. Non avendolo mai visto, non vi consiglio di recuperarlo, ma se Bling Ring vi fosse piaciuto guardatevi anche Spring Breakers e Somewhere. ENJOY!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...