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venerdì 3 febbraio 2023

Anche io (2022)

E' uscito la scorsa settimana al cinema Anche io (She Said), diretto nel 2022 dalla regista Maria Schrader, un film che mi aveva intrigata già dal trailer e che è stato tratto dal libro She Said, scritto dalle reporter Jodi Kantor e Megan Twohey.


Trama: Due giornaliste del New York Times conducono una difficile indagine sulla lunghissima storia di abusi sessuali perpetrati da Harvey Weinstein ai danni di donne alle dipendenze della Miramax e di svariate attrici.


"Lei ha detto". Un titolo (ripetuto sul finale in mille lingue tranne credo l'italiano, visto che gli adattatori hanno deciso di tradurre invece il "Me Too", mancando di qualche centimetro l'argomento centrale del film) che spalanca un universo di riflessioni. "Lei ha detto" di essere stata violentata da Harvey Weinstein, per esempio. Weinstein, il mogul della Miramax, facoltoso, potente, importante. E quindi cosa vorrà fare questa "lei", se non screditare una persona che dà da lavorare a mille altre e che ha le mani in pasta ovunque? Vorrà per caso dei soldi? Siccome "l'ha detto lei", e magari ci ha messo qualche anno a trovare il coraggio di dirlo, non è che magari era consenziente e adesso ha deciso di ritrattare tutto solo per un po' di fama e denaro? Ma poi, quello che dice "lei", quanto peso ha rispetto a quello che può dire Weinstein e, soprattutto, rispetto al muro di silenzio che la povera "lei" si trova a dover affrontare quando le parole finalmente le escono di bocca, dolorose e amare come il fiele? Magari ci sono anche, e sono tantissimi, quelli che le consiglieranno di dimenticare, perché non ne vale la pena, perché "che vuoi che sia", perché "così ti rovini la vita", perché "non potrai mai vincere", che fiaccano il coraggio ed alimentano i dubbi non solo relativamente al fare la cosa giusta, ma anche sull'interpretazione data a un evento orribile, in grado di distruggere l'esistenza di chi lo ha subito. Ecco perché ci sono voluti anni prima che alle "lei" passate sotto le manazze di Weinstein venisse data la possibilità di "dire", di urlare le loro storie a tutto il mondo attraverso la penna delle giornaliste Jodi Kantor e Megan Twohey, ma il retroscena più triste di questa brutta storia il film non lo racconta: al New York Times sapevano già nel 2004 degli abusi di Weinstein, ma quest'ultimo si era recato in visita alla redazione, e quindi addio indagini approfondite e conseguente articolo, almeno fino a quando non ci si è messo in mezzo anche Ronan Farrow, anni dopo. Ma facciamo finta che al Times siano tutti dei santi, anche il giornalista Glenn Thrush, che nel film non compare perché lavora tuttora per il giornale nonostante sia stato accusato (in seguito all'ondata di coraggio infusa da questi articoli) di comprovate molestie sessuali, e parliamo di Anche io.


Anche io è un'angosciante indagine filtrata dall'occhio di due giornaliste che tentano di scoperchiare un'immane cloaca di abusi e violenze tenuti nascosti da decenni di omertà e terrore. Rigorosissimo per quanto riguarda la regia e le indagini di Jodi Kantor e Megan Twohey (salvo per qualche ovvia licenza "poetica"), il film concede poco al sentimentalismo e molto allo schifo, alla frustrazione di avere "off records" tutte le prove per incastrare Weinstein e ritrovarsi comunque con le mani legate perché le testimoni sono state imbavagliate, impossibilitate a parlare da accordi di segretezza o, banalmente, dalla paura di rimanere una singola voce che non verrà creduta e che, quindi, si ritroverà con la vita rovinata, inutilmente. Allo spettatore viene risparmiata la vista delle atrocità commesse da Weinstein, sostituite da immagini di donne sconfitte che hanno cercato di andare avanti, ma la voce di queste donne (tra ricostruzioni, attrici che ci mettono la faccia dopo essere state davvero vittime di Weinstein, e un paio di intercettazioni reali che mettono letteralmente i brividi) convoglia tutto l'orrore e la vergogna delle esperienze passate, e indigna più di quanto farebbero delle sequenze esplicite. Zoe Kazan e Carey Mulligan conferiscono alle due protagoniste tutta l'umanità necessaria affinché lo spettatore venga coinvolto dalla loro indagine e resti col fiato sospeso nonostante sappia che, alla fine, l'articolo è stato per fortuna pubblicato con tutto ciò che ne è seguito; trama, regia e montaggio concorrono a creare una sensazione di disagio e minaccia palpabile, tracciano l'immagine di due professioniste la cui vita familiare viene in qualche modo "sporcata" da una sensazione di paranoia derivante dalla natura infida e tentacolare di Weinstein e di coloro che lo proteggono, in più la Kazan infonde nel suo personaggio una dolcezza incredibile e la Mulligan la cazzimma che la contraddistingue da sempre, con risultati che, ovviamente, aggiungono ulteriore valore a una vicenda che già di suo meritava di venire raccontata.  Anche io non sarà un film memorabile o innovativo, ma è una visione assai piacevole nella sua sgradevolezza e, come accade per questo genere di pellicole, spinge indubbiamente a volersi informare e ad aprire gli occhi sullo schifo che ci circonda, il che, per me, è sempre un punto in più. Se lo proiettano ancora dalle vostre parti recuperatelo!


Di Zoe Kazan (Jodi Kantor), Carey Mulligan (Megan Twohey), Patricia Clarkson (Rebecca Corbett), Jennifer Ehle (Laura Madden), Samantha Morton (Zelda Perkins) e Gwyneth Paltrow (solo come voce, interpreta se stessa) ho già parlato ai rispettivi link.

Maria Schrader è la regista del film. Tedesca, ha diretto film come I'm Your Man e la serie Unorthodox. Anche attrice, sceneggiatrice e produttrice, ha 58 anni.


Ashley Judd interpreta se stessa. Americana, la ricordo per film come Poliziotto in blue jeans, Natural Born Killers, Heat - La sfida e Il collezionista, inoltre ha partecipato a serie quali Twin Peaks: Il ritorno. Anche produttrice e regista, ha 55 anni. 


Se Anche io vi fosse piaciuto recuperate The Post, Il caso Spotlight, Tutti gli uomini del presidente, Bombshell - La voce dello scandalo e anche Promising Young Woman. ENJOY!


martedì 13 febbraio 2018

The Party (2017)

Nonostante qualche problemino tecnico, ho avuto anch'io la possibilità di guardare The Party, scritto e diretto nel 2017 dalla regista Sally Potter.


Trama: durante una cena fra amici organizzata per festeggiare la sua elezione a primo ministro, Janet si ritrova a dover fare i conti con una miriade di segreti che rischiano di distruggere la sua vita apparentemente perfetta...


Non è passato tantissimo tempo da quando ho guardato il pluripremiato e apprezzatissimo (dagli altri) Perfetti sconosciuti e proprio nei commenti al post in questione l'esperto Giovanni mi aveva consigliato di recuperare The Party, quando sarebbe uscito. Anche nel caso del film di Sally Potter, come in quello di Veronesi, abbiamo un invito a cena che si trasforma nella sagra della cattiveria e delle brutte sorprese ma qui l'atmosfera è parecchio diversa, come si evince fin dal titolo. "The Party" si può infatti intendere come festa ma anche come partito, il fulcro della vita della protagonista Janet, che ad esso ha consacrato la sua esistenza fino a riuscire a diventare Primo Ministro dopo una fulgida carriera. Gli invitati alla festa in suo onore non sono quindi persone semplici ma alti esponenti della società inglese, raffinati, colti e "liberal", ognuno pronto a trasformare una semplice chiacchierata in un confronto di intelletti ben lontano dalle banali preoccupazioni del popolino e per questo ancora più "full of shit" e ridicolo di noi poveri mortali. Accanto alla novella prima ministra abbiamo dunque l'attivista lesbica che dopo una vita di proteste sta vivendo una serena vecchiaia mantenuta da libri e saggi a tema scritti di suo pugno, mentre la giovane compagna (una banalissima cuoca, come sottolineato spesso) fatica a vivere al cospetto di tanta grandezza; abbiamo una cinica e raffinatissima signora accompagnata dall'odiato marito, un life coach autodefinitosi guru; abbiamo il giovane marito della vice di Janet, un parvenu che si occupa di alta finanza e quindi risulta inviso al 90% degli invitati in quanto "triviale"; abbiamo, infine, il marito di Janet, il quale invece di festeggiare con la moglie si ubriaca pesantemente per i motivi che diventeranno la causa scatenante del fallimento della cena. A differenza di film come Perfetti sconosciuti o Cena tra amici l'impressione che si ha fin dall'inizio è che la festa di Janet riunisca forzatamente persone prive di una storia comune alle spalle, conosciutesi giusto perché amiche/colleghe o di Janet o di Bill, e più che di cameratismo o voglia di scherzare si avverte il desiderio di sopraffarsi a vicenda, espresso in una serie di punzecchiature ironiche o false cortesie che gli invitati usano a mo' di scudo così che la loro personale maschera di superiorità e consapevolezza non venga mai scalfita né scoperta.


Immersi in un bianco e nero raffinatissimo che li allontana ancora più dalla bassa società e concentra l'attenzione dello spettatore sugli attori più che sull'ambiente in cui si muovono, i personaggi di The Party sono ognuno emblema di incredibile egoismo ed ipocrisia, troppo occupati a celebrare sé stessi per accorgersi di quello che accade sotto il loro naso e talmente costretti nel loro ruolo da non riuscire a far fronte ad eventuali imprevisti. Emblemi di fredda inglesità, gli ospiti della festa e la loro padrona di casa accolgono le emozioni forti causate da shock e dolore con una sorta di diffidenza che li priva persino della gioia dello sfogo e li spinge a diventare delle bombe ad orologeria che rischiano di fare più danni del dovuto una volta che il meccanismo è innescato; non è un caso che a causare le irreparabili rotture alle quali assistiamo siano due agenti esterni, l'arricchito Tom e qualcosa di infido come la malattia, perché la follia di un sentimento sanguigno e la natura sono gli unici due elementi che i protagonisti non possono controllare, come arriveranno a scoprire tutti a loro spese. Prima ancora di una sceneggiatura e una regia perfette, prive di sbavature, colpiscono gli interpreti di The Party, tutti magistrali, con qualcuno che spicca sugli altri. Timothy Spall per esempio, occhio spento e volto scavato da un bianco e nero impietoso, è un attore grandioso che dovrebbe venire utilizzato un po' più spesso come protagonista principale invece che come caratterista, perché riesce ad entrare nel cuore con poche battute e un'interpretazione tutta fatta di sguardi, silenzi e nervi. Interpretazione opposta la da un'altrettanto stupenda Patricia Clarkson, logorroica e crudele, una raffinatissima "coscienza negativa" pronta ad elargire un insulto creativo a tutti, soprattutto al povero Bruno Ganz che le fa da marito, continuamente colpito dagli strali annoiati della moglie; alla Clarkson è dunque affidato l'umorismo freddo e amaro della pellicola, mentre gli altri personaggi sono tutti ugualmente miserevoli e ridicoli, persino uno apparentemente positivo come la Jinny di Emily Mortimer, ritrovatasi costretta in una situazione probabilmente non proprio desiderata per assecondare i dettami di una moglie importante. Un film come The Party, con la sua aria patinata, i protagonisti antipatici e i dialoghi che talvolta sconfinano anche nel filosofico, potrebbe sembrare uno scoglio a molti spettatori ma (vista anche la brevissima durata) vi invito a guardarlo anche solo per non perdervi il colpo di scena finale più inaspettato dell'anno, che vale da solo il prezzo del biglietto.


Di Timothy Spall (Bill), Kristin Scott Thomas (Janet), Patricia Clarkson (April), Bruno Ganz (Gottfried), Emily Mortimer (Jinny) e Cillian Murphy (Tom) ho già parlato ai rispettivi link.

Sally Potter è la regista e sceneggiatrice del film. Inglese, ha diretto film come Orlando e Lezioni di tango. Anche compositrice, attrice e produttrice, ha 69 anni e film in uscita.


Cherry Jones interpreta Martha. Americana, ha partecipato a film come Erin Brockovich - Forte come la verità, La tempesta perfetta, Signs, The Village, Ocean's Twelve e a serie quali 24, 22.11.63 e Black Mirror. Ha 62 anni e tre film in uscita.


Se il film vi fosse piaciuto recuperate Festen - Festa in famiglia e Cena tra amici. ENJOY!

martedì 7 novembre 2017

Lars e una ragazza tutta sua (2007)

Era in lista da qualche mese e, dopo tanto, sono riuscita a recuperare Lars e una ragazza tutta sua (Lars and the Real Girl), diretto dal regista Craig Gillespie nel 2007.


Trama: Lars è un ragazzo talmente timido ed introverso da sfociare nel patologico e i rapporti con fratello, cognata e colleghi di lavoro sono praticamente inesistenti. La sua vita però cambia con l'arrivo di Bianca, una ragazza molto particolare...



Qualche tempo fa mi è capitato di incappare in una di quelle solite trasmissioni assurde su Fuffa TV (Real Time o Cielo, ora non rammento), nella quale si parlava delle perversioni sessuali degli inglesi. Nel corso di questa trasmissione è stato nominato un distinto signore che da anni vive assieme alla sua bambola gonfiabile, portandola in giro e vestendola come se fosse una persona normale e mi sono così ricordata dell'esistenza di Lars e una ragazza tutta sua, film di cui avevo sempre sentito parlare bene e che ho proposto immantinente al Bolluomo. A dirla tutta, Mirco non ne è rimasto particolarmente entusiasta mentre io sono uscita dalla visione deliziata e con una gran voglia di pizzicare le guanciotte paffutelle di Ryan Gosling, protagonista a dir poco perfetto. Posso però capire che Mirco si sia rotto un po' le scatole guardando questo film, in quanto Lars e una ragazza tutta sua è una di quelle pellicole dal sapore indie molto spiccato, debitrice di atmosfere alla Wes Anderson, Michael Gondry o Spike Jonze, fatta di lunghi silenzi e dialoghi non proprio terra terra, popolata soprattutto da personaggi peculiari e afflitti da problemi apparentemente ben lontani da quelli di noi comuni mortali. Apparentemente, perché il trauma del povero Lars è comprensibile quanto la sua scelta di affrontarlo isolandosi dal mondo e a reagire con sacro terrore ad ogni tipo di relazione sociale, dalla semplice conversazione casuale ad una ben più complicata cena in famiglia; il suo tentativo di crearsi un mondo ideale con una "ragazza" perfetta e completamente dipendente da lui è la naturale risposta alla morte della madre, alla distanza emotiva del padre, ad un fratello che ha scelto di farsi la propria vita, ad un mondo insomma sul quale non ha mai avuto il controllo e che, a quanto pare, non ha mai avuto bisogno di lui. Il percorso affrontato nel corso del film dal personaggio per prendere coscienza non solo di sé ma anche di chi lo circonda passa per momenti surreali di comicità mai greve (nonostante l'argomento trattato), dialoghi introspettivi durante i quali Lars si confronta principalmente con una psicologa, a sua volta "psicanalizzata" da lui, e momenti più commoventi, che innescano nello spettatore un'incredibile empatia non solo con Lars ma anche con "la ragazza tutta sua" del titolo, un po' come succede agli increduli abitanti di una cittadina che ricorda tanto quelle portate su schermo da Lasse Hallström.


E se una delle attrici alle quali ci si affeziona di più proprio tanto attrice non è, la cosa certa è che Ryan Gosling offre un'interpretazione stupenda (Madonna, cosa non è la sequenza dell'orsacchiotto!!), ben lontana da quei ruoli di duro un po' sbruffone o affascinante rubacuori ai quali ci ha abituati nelle pellicole che sarebbero venute dopo Lars e una ragazza tutta sua. Anzi, oserei dire che questo è il Ryan Gosling che ho preferito finora, stralunato, timido e pacioccone, con quei lampi di testarda picca infantile capaci di renderlo ancora più delizioso, al punto che verrebbe voglia di abbracciarlo (o forse meglio di no, lo infastidirebbe!). A fargli compagnia c'è un cast di attori e caratteristi praticamente perfetto, tutti personaggi capaci di bucare lo schermo anche solo per un paio di minuti, anche se il mio cuore è andato alla "bruttina" Margo, invaghitasi dell'uomo più difficile della terra e impossibilitata a competere con una ragazza che, effettivamente, non ha un difetto che sia uno. A completare l'atmosfera un po' malinconica della pellicola concorrono delle musiche molto belle (tra le altre, This Must Be the Place dei Talking Heads è stata scelta da Ryan Gosling proprio per la peculiare scena del ballo) e un gusto per i costumi e le scenografie, naturali e non, capace di trasformare una cittadina canadese in qualche remoto luogo della Svezia o di qualche altra freddissima nazione del nord. Come si sul dire, mani fredde cuore caldo e Lars e una ragazza tutta sua cuore ne ha in abbondanza, non perdetelo assolutamente!


Del regista Craig Gillespie ho già parlato QUI. Ryan Gosling (Lars Lindstrom), Emily Mortimer (Karin) e Patricia Clarkson (Dagmar) li trovate invece ai rispettivi link.

Paul Schneider interpreta Gus. Americano, ha partecipato a film come Elizabethtown e a serie quali Channel Zero. Anche sceneggiatore, regista e produttore, ha 41 anni.


Kelli Garner interpreta Margo. Americana, ha partecipato a film come The Aviator, Horns e a serie quali Buffy l'ammazzavampiri, inoltre ha lavorato come doppiatrice in American Dad!. Ha 33 anni e un film in uscita.


Se Lars e una ragazza tutta sua vi fosse piaciuto recuperate Lei, Se mi lasci ti cancello, Lost in Translation e magari anche Harold e Maude. ENJOY!

domenica 20 luglio 2014

The Untouchables - Gli intoccabili (1987)

In questi giorni ho deciso di recuperare un classico, ovvero The Untouchables - Gli intoccabili (The Untouchables), diretto nel 1987 dal regista Brian De Palma, liberamente tratto dalla serie anni '50 Gli intoccabili, a sua volta basata sulla figura realmente esistita dell'agente Eliot Ness e della sua squadra del Dipartimento Proibizionismo di Chicago.


Trama: per contrastare lo strapotere di Al Capone e il contrabbando di alcoolici, l'agente Eliot Ness mette in piedi un quartetto di poliziotti al di sopra della legge, i cosiddetti "Intoccabili".



The Untouchables è uno di quei film che hanno passato in TV innumerevoli volte e che, ciò nonostante, non ero mai riuscita a guardare per intero, forse perché da ragazzina avevo idea che fosse troppo lungo e noioso. E' un vero peccato e me ne sono amaramente pentita visto che non mi capitava da tempo di vedere un film così ben fatto, dove la mano del regista risaltasse così tanto da eclissare qualsiasi altro elemento (persino due grandi nomi come Ennio Morricone Giorgio Armani), sceneggiatura e attori compresi. Eppure, è proprio così: la mano felice di De Palma riesce a trasformare un “semplice” gangster movie tratto da una serie televisiva di successo in un collage di sequenze emblematiche dove la tensione, fin dall'inizio, si taglia col coltello e rapisce lo spettatore lasciandolo col fiato sospeso a chiedersi cosa diamine accadrà dopo. Dalla prima, deflagrante scena che da il via alla lotta di Eliot Ness contro Al Capone, passando per l'inquietante soggettiva che segue Malone all'interno dell'appartamento, fino ad arrivare al tesissimo confronto finale in stazione (parodiato ovviamente in Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale), quando il tempo sembra non passare mai, tutti potrebbero essere i nemici e l'omaggio alla Corazzata Potemkin diventa un mirabile esempio di come bisognerebbe citare i grandi capolavori contestualizzandoli, tutte le sequenze sono un trionfo di tecnica registica e montaggio, all'interno delle quali ogni dialogo sarebbe inutile e ridondante. L'intera pellicola gravita attorno a questi momenti clou, a scene costruite senza lasciare nulla  al caso e, ovviamente, a momenti di incertezza assoluta ed improvvisa violenza che rendono The Untouchables ancora più avvincente.


Nonostante quello che ho detto all'inizio del post, comunque, sarebbe un delitto non citare quegli attori che incarnano dei protagonisti magari un po' stereotipati ma comunque impossibili da non amare. Kevin Costner, che non mi ha mai fatta impazzire senza una calzamaglia addosso, è un perfetto Eliot Ness, integerrimo poliziotto preso tra la sua salda intenzione di rispettare la legge e il suo bruciante desiderio di punire Al Capone per almeno uno dei suoi crimini; a fargli da degna spalla, rubandogli spesso la scena, c'è uno Sean Connery mattatore in un ruolo che sembra scritto apposta per lui e per il quale ha giustamente vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista (anche se io quella “eSSCe” in lingua originale non la riesco a sentire, mi sembra di vedere un cartone animato di Svicolone!) e, soprattutto, Charles Martin Smith, che col suo personaggio di contabile trasformato in Untouchable riesce con pochissime battute ad entrare nelle simpatie dello spettatore. Robert De Niro col suo “sei solo chiacchiere e distintivo” e per il modo originale di giocare a baseball durante una cena è diventato a dir poco iconico ma, se devo essere sincera, il cattivo che mi ha veramente colpita è stato il terribile gangster con la faccia di Billy Drago, freddo, sanguinario e a dir poco inquietante, un babau che potrebbe comparirti alle spalle quando meno te l'aspetti! L'unica cosa che forse non ho molto apprezzato di The Untouchables, stranamente, sono le musiche di Ennio Morricone: a tratti le ho trovate inadatte all'atmosfera della pellicola, altre volte troppo “stereotipate” oppure inopportunamente allegre. Ciò è davvero strano perché adoro Morricone ma, sicuramente, si tratta solo di una percezione soggettiva che non mi impedisce di definire The Untouchables uno dei cult da vedere almeno una volta nella vita... anzi, anche più di una!


Del regista Brian De Palma ho già parlato qui. Sean Connery (Jim Malone), Andy Garcia (Agente George Stone/Giuseppe Petri), Robert De Niro (Al Capone) e Patricia Clarkson (Catherine Ness) li trovate invece ai rispettivi link.

Kevin Costner (vero nome Kevin Michael Costner) interpreta Eliot Ness. Sex symbol degli anni '80-'90, caduto in disgrazia fino a diventare testimonial del tonno Rio Mare, lo ricordo per film come Fandango, Silverado, L'uomo dei sogni, Balla coi lupi (che gli ha fatto vincere l'Oscar come regista e come miglior attore protagonista), JFK - Un caso ancora aperto, Robin Hood - Principe dei ladri, Guardia del corpo, Un mondo perfetto, Waterworld, L'uomo del giorno dopo e L'uomo d'acciaio. Anche produttore e regista, ha 59 anni e tre film in uscita.


Charles Martin Smith interpreta l'agente Oscar Wallace. Americano, ha partecipato a film come American Graffiti, American Graffiti 2, Herbie sbarca in Messico, Starman, Deep Impact e a serie come Ai confini della realtà, Oltre i limiti, X-Files, Ally McBeal e Kingdom Hospital. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 59 anni.


Billy Drago (vero nome Billy Eugene Burrows) interpreta Frank Nitti. Americano, ha partecipato a film come Tremors 4 - Agli inizi della leggenda, Le colline hanno gli occhi, Children of the Corn: Genesis e a serie come Moonlightning, Hunter, Walker Texas Ranger, Nash Bridges, X-Files, Streghe, Masters of Horror e Supernatural. Anche produttore e sceneggiatore, ha 69 anni e tre film in uscita.


In caso De Niro avesse rifiutato il ruolo di Al Capone, De Palma aveva già pronto Bob Hoskins come eventuale sostituto; la conferma di De Niro ha consentito a Hoskins di ricevere comunque, grazie ad una clausola del suo contratto, 200.000 dollari solo per il "disturbo". Mickey Rourke, Jack Nicholson ed Harrison Ford hanno invece direttamente rifiutato il ruolo di Eliott Ness (per il quale, tra l'altro, Giorgio Armani avrebbe voluto Don Johnson) mentre Andy Garcia era stato chiamato per quello di Frank Nitti. Per quanto riguarda le scene eliminate, il confronto finale tra Ness, Stone e gli scagnozzi di Capone nella stazione avrebbe dovuto svolgersi su un treno ma la Paramount riteneva che sarebbe diventata una scena troppo costosa; De Palma non si è perso d'animo e ha riciclato il progetto per la sequenza nel successivo Carlito's Way. E a proposito di progetti: da anni si vocifera che Brian De Palma abbia in progetto un prequel dal titolo The Untouchables: Capone Rising ma, al momento, non si hanno notizie in merito e forse è meglio così. Nel frattempo, se The Untouchables vi fosse piaciuto, vi consiglio di recuperare Era mio padre, Carlito's Way, Scarface, Quei bravi ragazzi, Donnie Brasco e Heat - La sfida. ENJOY!

domenica 14 ottobre 2012

Jumanji (1995)

In questi giorni ho riguardato un film che non vedevo da parecchio tempo, ovvero Jumanji, diretto nel 1995 dal regista Joe Johnston e tratto dall’omonimo libro di Chris Van Allsburg.


Trama: negli anni ’60 il piccolo Alan scompare davanti agli occhi dell’amichetta Sarah, risucchiato all’interno del gioco da tavolo Jumanji. Una trentina d’anni dopo, i fratellini Judy e Jack trovano in soffitta il gioco e un Alan ormai adulto è costretto a concludere la vecchia partita…


Jumanji, almeno sulla carta, è un vero delirio. L’idea che esista un gioco “maledetto”, in grado di penalizzare davvero i giocatori e scatenare su di loro tutti gli orribili, pericolosissimi ostacoli che una persona potrebbe trovare durante un viaggio nella giungla più selvaggia è semplicemente geniale ed è resa ancora più interessante dal fatto che le persone coinvolte siano costrette a sottostare letteralmente alle regole del gioco. Tuttavia, fermo restando che sarebbe stato molto più bello per me vedere una variante a tema horror, gli anni non hanno giovato granché a Jumanji che, oggi più di allora, patisce di un’inusuale rigidezza sia del protagonista principale (un Robin Williams stranamente sottotono), che di una certa ripetitività ammorbata da melassa in abbondanza, solo vagamente stemperata da alcuni momenti di ironia: l’idea del gioco maledetto e la presenza di due orfani, infatti, veicola una riflessione sul rapporto tra padri e figli, sulla difficoltà di crescere in un mondo che è una sorta di giungla in piccolo, dove comunque l’imprevisto è sempre in agguato, dove vige la legge del più forte e del più furbo e c’è poco spazio per mostrare sentimenti e debolezze. Infatti, il terribile cacciatore Van Pelt è interpretato, non a caso, dallo stesso attore che recita la parte del padre di Alan ed è l’essere che più terrorizza il protagonista perché, al di là dell’ovvia minaccia rappresentata dal fucile, incarna l’estremizzazione della cecità, dell’intransigenza, della freddezza e della supposta infallibilità del genitore. 


Riflessioni a parte, quello che all’epoca aveva attirato miriadi di ragazzini al cinema era l’incredibile dispendio di effetti speciali, fiore all’occhiello di Jumanji e figli dell’alta tecnologia utilizzata per Jurassic Park. Oggi alcuni di essi risultano un po’ datati e le bestiole hanno comunque quell’aria di “finto”, soprattutto il leone e le scimmie, ma non si può negare che la maggior parte delle sequenze risultino tuttora spettacolari, basti solo pensare alla crescita della pianta carnivora, al monsone (con conseguente inondazione) che si scatena all’interno della villa o alla devastante carica di rinoceronti ed elefanti impazziti che travolgono ogni cosa al loro passaggio. Inquietante anche la resa del gioco stesso, con il suono di tamburi in lontananza che attira le malcapitate vittime e la bellissima, evocativa confezione vintage con tanto di sfera verdastra a produrre indovinelli sibillini che preannunciano il peggio agli incauti giocatori. Visto una volta, quindi, Jumanji raggiunge sicuramente lo scopo di intrattenere, divertire ed emozionare, ma rivisto anche a distanza di anni subentra quella ripetitività di cui parlavo sopra, con i personaggi che tirano il dado, subiscono la penitenza e, una volta scampato il pericolo, ricominciano tutto da capo. Non un capolavoro, quindi, ma comunque un film godibile ed ideale per fare un salto nel passato.


Del regista Joe Johnston ho già parlato qui, mentre Robin Williams (Alan Parrish) e Kirsten Dunst (Judy Shepherd) li trovate ai rispettivi link.

Jonathan Hyde interpreta sia Van Pelt che Sam Parrish. Australiano, ha partecipato a film come Richie Rich – Il più ricco del mondo, Anaconda, Titanic e La mummia. Ha 64 anni. 


Bonnie Hunt interpreta Sarah. Americana, la ricordo per film come Rain Man – L’uomo della pioggia, Beethoven, Dave – Presidente per un giorno, Beethoven 2, Jerry Maguire, Il miglio verde; inoltre, ha doppiato pellicole come A Bug’s Life – Megaminimondo, Monsters & Co., Cars – Motori ruggenti, Toy Story 3 – La grande fuga e Cars 2. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 51 anni.


Patricia Clarkson interpreta Carol Parrish. Americana, la ricordo per film come The Untouchables – Gli intoccabili, Scherzi del cuore, Il miglio verde, Lontano dal paradiso, Carrie (il film TV) e Shutter Island, inoltre ha partecipato a serie come Six Feet Under. Ha 53 anni e un film in uscita.


Adam Hann – Byrd interpreta Alan da ragazzino. Americano, lo ricordo per film come Il mio piccolo genio, Diabolique, Tempesta di ghiaccio e Halloween H20: Venti anni dopo. Ha 30 anni.


Bradley Pierce invece, che interpreta il piccolo Peter, è stato la voce originale di Chicco in La Bella e la Bestia. Il libro scritto da Chris Van Allsburg si conclude un po’ diversamente, con Judy e Peter che si sbarazzano del gioco solo per poi vederlo, poco dopo, tra le braccia di due ragazzini che diventeranno i protagonisti di un altro racconto dello scrittore, Zathura (da cui è stato tratto il film Zathura -  Un’avventura spaziale, nel 2005), assai simile a Jumanji ma a tema spaziale, appunto. Rimanendo sempre in tema di seguiti e affini, pare che sia in progetto da qualche tempo di girare un remake di Jumanji, ma il tutto è ancora avvolto nel mistero… se però l’avventura nella giungla non vi fosse bastata sappiate che esiste anche un’omonima serie animata tratta dal film, andata in onda in Italia negli anni ’90 su Disney Channel e Rai 2. Per finire, se la pellicola vi fosse piaciuta, consiglio la visione di Inkheart – La leggenda del cuore d’inchiostro e Hook – Capitan uncino. ENJOY! 

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