Trama: il piccolo Finney finisce nelle grinfie del Rapace, un maniaco che rapisce e uccide i bambini. Nella sua disperata lotta per la fuga, troverà inaspettati alleati...
Il dubbio che mi ha accompagnata alla fine della rilettura de Il telefono nero, avvenuta poche settimane fa, è stato "Come hanno fatto a trarre un intero film da qui?". Il racconto di Joe Hill è, in effetti, una cosina breve e molto basica, che comincia nel momento esatto in cui il protagonista, Finney, viene rapito e si conclude dopo pochi giorni di permanenza nel seminterrato del suo aguzzino. Quest'ultimo non è particolarmente connotato a livello descrittivo o motivazionale, si dice solo che è grasso e che "non vorrebbe fare del male a nessuno", e lo stesso Finney viene lasciato molto all'immaginazione del lettore, al quale vengono fornite poche informazioni per quanto riguarda la famiglia, i passatempi e l'aspetto del piccolo. Questo perché il fulcro della storia è il telefono nero del titolo, che rende il racconto una rapida ed inquietante ghost story imperniata su una giusta vendetta postuma, non tra le più memorabili che ho letto, ma comunque gradevole. Gli stessi due aggettivi potrebbero valere per il film di Derrickson, il quale, assieme al fido C. Robert Cargill, trasforma Il telefono nero in un'opera ben più Kinghiana di quanto fosse in origine quella del figlio del Re. La cittadina portata sullo schermo da Derrickson sembra popolata solo da bambini o ragazzi impegnati nelle loro terrificanti battaglie personali, lasciati soli da insegnanti poco attenti e, soprattutto, da genitori completamente assenti, persi in demoni fatti di alcool, traumi e lutti mai elaborati. Per fare davvero paura, il Rapace di Ethan Hawke deve indossare maschere che richiamano quella de La maschera del demonio (opera, per inciso, di Tom Savini), ma i pericoli tangibili e reali, quelli che mettono davvero angoscia a protagonista e spettatore, sono incarnati dai terribili bulli che danno la caccia a Finney a scuola e, soprattutto, dal padre ubriacone e violento; le scene di pestaggio di Black Phone, riprese con crudo realismo, sono tra le più orribili che mi sia mai capitato di vedere, e sfido chiunque a trattenere insulti e magone davanti all'angosciante litigio con cinghiate annesse tra Jeremy Davies e la piccola attrice che interpreta Gwen (personaggio, tra l'altro, ben più riuscito e interessante del protagonista, soprattutto grazie alla bravura di Madeleine McGraw).
Tutta questa violenza quotidiana si contrappone a un Rapace che gioca quasi di sottrazione per buona parte del film. Come un totem malvagio, il Rapace attende, ammantato da un'aura sovrannaturale e accompagnato da troppi rimandi a It, talmente tanti da risultare quasi fastidiosi; è vero, i palloncini neri ci sono anche nel racconto originale, ma il vero "plagio" compiuto da Hill ai danni del padre, al limite, è N0s4a2, e direi che inserire nella trasposizione di Black Phone un tizio con della biacca sulla faccia, palloncini come se piovessero, una ragazzina con l'impermeabile giallo e un look generale che rimanda moltissimo al primo It diretto da Andy Muschietti, non era necessario per renderlo apprezzabile. Anche perché Derrickson riesce a dare personalità al tutto seguendo il proprio stile senza andare a pescare da altri, e si vede nel modo in cui sono realizzate non solo le sequenze in cui Finney usa il telefono (una in particolare nasconde il jump scare più efficace del film, vedere per bestemm... ehm, credere) ma anche quelle dei sogni di Gwen, resi come un filmino Super 8, senza contare lo scantinato, che richiama l'ormai iconica locandina di Sinister. A proposito, si vede che io ormai non ho più memoria per nulla e sono sempre meno fisionomista, ma un altro trait d'union tra il mondo di Derrickson e quello di King è James Ransone, che compare sia nei due Sinister sia in It. Ciò detto, ho sentito le peggio cose su Black Phone, quindi mi sento in dovere di spezzare una lancia sulla bontà dell'operazione. Sicuramente non si parla dell'horror più memorabile dell'anno e nemmeno uno dei migliori, ma è un ottimo prodotto "commerciale" che val la pena andare a vedere, nell'attesa che arrivino i pezzi grossi come X e Nope.
Del regista e co-sceneggiatore Scott Derrickson ho già parlato QUI. Ethan Hawke (Il Rapace), Jeremy Davies (Terrence) e James Ransone (Max) li trovate invece ai rispettivi link.
Madeleine McGraw interpreta Gwen. Americana, ha partecipato a film come American Sniper, Ant-Man and The Wasp e a serie quali Bones, Outcast, Criminal Minds; come doppiatrice ha lavorato in Toy Story 4 e I Mitchell contro le macchine. Ha 14 anni e due film in uscita.
Sono andato a vederlo quasi per disperazione (nel senso che in casa avevo circa 50° e non sapevo dove sbattere la testa, sarei andato a vedere qualsiasi cosa...) e invece ti dirò che non mi è affatto dispiaciuto. Non sapevo che il figlio di King scrivesse (e magari è anche bravo?) e che questo film fosse tratto da un suo racconto. Fattostà che è un onesto horror citazionista con una parvenza di analisi sociale, girato per il pubblico giovane ma che può essere letto su più livelli. Mi ha piacevolmente sorpreso :)
RispondiEliminap.s. molto brava la ragazzina!
EliminaTi è andata bene allora, nella disgrazia! Il figlio di King a mio avviso è molto bravo, ed è attivo anche nel campo dei fumetti: la bellissima serie Locke and Key (trasformata da Netflix in un orrido scempio) è opera sua, per esempio, ma anche gli altri suoi romanzi sono interessanti.
EliminaIgnara di tutto ho iniziato la visione per caso. 5 minuti e mi è venuto in mente il Re. 10 minuti e sfogliavo il database mnemonico (che inizia a far acqua con l'età) e non riuscivo a ricollegare questa trasposizione ad alcun racconto di S. King. Troppe cose che non apparterrebbero mai alla grande sensibilità e alle tematiche fondamentali del Re. Una scopiazzatura brutta. Poi frugo nei meandri del web.....ed il testo originale appartiene all'inqualificabile figlio di King. Che detesto con tutto il cuore. Brutto film che ,come fa il figlio schiappa, vorrebbe rievocare le tematiche, le atmosfere, l'horror peculiare di un grande scrittore. Flop, fate altro. Stephen King non è fotocopiabile.
RispondiEliminaIn realtà, povero Joe, le scopiazzature non sono farina del suo sacco, almeno in questo caso, ma di sceneggiatori e regista che hanno inserito anche troppi "omaggi", chiamiamoli così. A me, il film non è affatto dispiaciuto e ti dirò che anche alcuni romanzi e racconti di Joe mi sono piaciuti parecchio, anche se la sua opera migliore rimane il fumetto Locke and Key, trasposto (quello sì, ignobilmente) in quell'orribile adattamento Netflix che ho a malapena sopportato per una stagione.
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