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venerdì 2 settembre 2022

Crimes of the Future (2022)

Quale gioia è stata, martedì, tornare finalmente al cinema per un film di David Cronenberg, quel Crimes of the Future che temevo non sarebbe mai stato distribuito in Italia, figuriamoci a Savona!


Trama: in un futuro prossimo ed inquinato, dove mutazioni corporee proliferano, due artisti sfruttano tecniche autoptiche per trasformare in performance i cambiamenti della carne...


Non rinnego quel che ho scritto all'inizio. Dove c'è Cronenberg c'è gioia, almeno per me. Purtroppo, stavolta c'è stata anche un po' di noia, ma lì la colpa è mia, causa stanchezza e orario di proiezione infame; mi sono ripromessa di riguardare al più presto Crimes of the Future, quindi questa, più che una recensione definitiva, è un tentativo di ragionare su ciò che ho visto e capito dopo una prima visione "superficiale", un reminder che rileggerò in futuro per ricordare l'esperienza. Di fatto, ho ritrovato in Crimes of the Future il Cronenberg viscerale, quello che amo fin dagli esordi, quello che i ragionamenti sulle mutazioni della carne te li sbatte in faccia, senza prendere vie traverse (per quanto interessanti) e psicologiche, come accadeva nelle sue opere recenti. Nel suo ultimo film la Nuova Carne ha vinto o, meglio, ha dimostrato di non poter venire controllata, perché l'uomo non è stato in grado di gestire l'ambiente e si è ritrovato a vivere su un pianeta inquinato dove, apparentemente, il progresso scientifico è comunque andato molto avanti (dolore ed infezioni sono quasi scomparse, delle macchine "organiche" aiutano le persone a dormire e mangiare, e questa è solo la punta dell'iceberg). Il risultato è che il corpo umano è impazzito e le persone hanno cominciato a produrre organi nuovi e sconosciuti, che i "poteri forti" cercano di controllare e catalogare in un'atmosfera di assoluto squallore che denota tutta l'arrogante impotenza delle autorità (in)competenti. All'interno di questo universo andato a male, due artisti sfruttano la proliferazione incontrollata di organi per le loro performance a base di chirurgia estrema; Saul Tenser è una fucina di nuovi organi e la sua assistente Caprice li tatua e li tira fuori dal corpo di lui nel corso di spettacoli che somigliano terribilmente a delle autopsie. In tutto questo, un'organizzazione sovversiva tenta di contrastare la morte e il decadimento dimostrando che i mutamenti (anche quelli artificiali) possono diventare ereditari e quindi naturali, consentendo all'uomo di adattarsi alle condizioni infelici che rischiano di spazzarlo via dalla faccia della terra.


Quanto sopra è ciò che ho capito relativamente alla trama, di cui ho dovuto farmi un mezzo riassunto perché sto diventando davvero tarda con l'età. Rileggendola, mi sono resa conto che, invecchiando, io mi sarò sicuramente rincoglionita ma il buon David ha abbracciato ancor più il pessimismo cosmico e consegna allo spettatore l'immagine di un'umanità senza possibilità di redenzione, fin dalle prime sequenze. Il bambino che gioca nelle acque limpide è la facciata che nasconde decadimento e morte, eros e thanatos sono indissolubilmente legati (o, meglio, "la chirurgia è il nuovo sesso"), le emozioni sono veicolate a stimoli fisici impensabili e l'inquinamento, gli elementi tossici che uccidono il pianeta diventano fonte di nutrimento e persino di commozione, sancendo definitivamente la vittoria e la supremazia all'interno del cerchio della (non) vita di tutto ciò che è "insano". Nei film precedenti c'era chi cercava di ribellarsi a un destino infausto, spesso fallendo miseramente ma almeno ci provava; in Crimes of the Future l'orrore è routine e chi cerca di mettere un freno ad esso è il vero "cattivo" della storia, spinto da oscuri motivi o da semplice desiderio di mantenere uno status quo. Lo stesso protagonista, Saul Tenser, è in balia di ciò che viene raccontato nel film e di ciò che avviene nel suo corpo, ben poco in grado di imporre la propria volontà a meno di non chiamare tale la trasformazione in "arte" di qualcosa che si illude di controllare; l'unica scelta che compie, in definitiva, è quella di arrendersi su un finale lasciato volutamente ambiguo, dopo un intero film in cui la reale sofferenza di un Viggo Mortensen incapace di stare dritto in piedi per più di qualche minuto (causa incidente accorso prima delle riprese) si unisce inestricabilmente al dolore di finzione provato dal suo personaggio e, per estensione, a quello del regista di cui Soul Tenser non è altro che un alter ego.


Cronenberg si dimostra, dunque, uno dei pochi registi (soprattutto horror) che ancora rimangono coerenti a se stessi dopo anni di carriera, un Autore a cui poco interessa il pubblico, preferendogli giustamente la possibilità di raccontare quel che vuole come vuole. Ciò detto, vado subito contro ai desideri di un Regista che amo, affermando convinta che avrei preferito un taglio (haha!) meno prolisso e dialogato, magari anche più incomprensibile, ma più viscerale e affascinante. Non che Crimes of the Future non lo sia, affascinante intendo, in un suo modo tutto perverso che continua a farmi arrossire come un'educanda ogni volta che Cronenberg riesce a trasmettermi chiaramente la sensualità dello schifo e a farmela capire ed apprezzare (ammetto pubblicamente che, per quanto gracchiante, sciancato e moscio, avrei consentito a Viggo di portarmi nel macchinario per autopsie e di farmi un po' quello che voleva)... però ho percepito anche troppa freddezza, troppo distacco, forse della ripetitività che, in alcuni momenti, è sfociata in una noia che, probabilmente, sono stata arrogante a provare (della serie: ah sì, i cambiamenti della carne, le perversioni, le solite cose "alla Cronenberg!") ma che è arrivata comunque, indesiderata come un nuovo organo sconosciuto. Come ho scritto prima, questi sono solo i miei personalissimi pensieri sconclusionati a fine visione: se volete delle recensioni serie e migliori, ne trovate QUI, QUI e QUI. Se, invece, volete godere dell'opera di uno degli ultimi veri Autori esistenti correte al cinema e ignorate la miopia dei distributori dementi, che piangono la morte della sala ma mai che facciano uscire un film in Italia prima che sia disponibile illegalmente ovunque già da mesi. 


Del regista e sceneggiatore David Cronenberg ho già parlato QUI. Viggo Mortensen (Saul Tenser), Léa Seydoux (Caprice), Scott Speedman (Lang Dotrice) e Kristen Stewart (Timlin) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Crimes of the Future vi fosse piaciuto recuperate Videodrome, eXistenZ, Crash e Inseparabili. ENJOY! 

venerdì 25 marzo 2022

Spencer (2021)

E' finalmente uscito ieri, dopo mille rinvii causa Covid, Spencer, diretto nel 2021 dal regista Pablo Larraín, film che vede Kristen Stewart candidata come Miglior Attrice Protagonista.


Trama: costretta a passare il Natale a Sandrigham House assieme all'intera Famiglia Reale, Diana si ritrova a mettere in discussione la sua intera esistenza...


Spencer
non è una biografia di Lady Diana, bensì la versione più o meno romanzata della sua decisione di liberarsi dal giogo della Famiglia Reale in generale e di Carlo in particolare. Ambientato nel Natale del 1991 (un anno prima che i problemi matrimoniali dei coniugi reali cominciassero a diventare il pane quotidiano dei tabloid inglesi), Spencer copre un periodo temporale di tre giorni festivi in cui Diana, costretta a recarsi a Sandrigham House, diventa sempre più insofferente alle regole secolari della Famiglia e al protocollo da seguire anche durante quella che, per le persone normali, sarebbe una simpatica riunione familiare a base di regali, abbuffate e allegre tradizioni; fin dalle prime immagini, Diana viene connotata come un piccolo agente di caos da tenere sotto controllo, da allontanare da tutto ciò che potrebbe ricordarle il passato, spiata in ogni istante "per il suo bene", prima ancora che per quello della nazione. Il film abbraccia in toto il punto di vista della protagonista e ciò che viene percepito dallo spettatore è la continua presenza di muri ed ostacoli alla libertà e alla felicità, costruiti da eminenze oscure che si impegnano fino allo spasimo a negare un minimo di ossigeno a un piccolo topolino al quale basterebbero davvero poche briciole di "normalità" per tornare a rinascere come persona e come donna. Questa sensazione di claustrofobia costante e di luoghi "nemici", viene riprodotta da Larraín attraverso riprese soggettive che trasformano Sandrigham House in un incubo labirintico e che contrastano con il rigore di riprese esterne dove l'edificio e i dintorni vengono mostrati in tutta la loro eleganza architettonica e naturale; alcune sequenze ricordano parecchio quelle in cui Danny vaga per l'Overlook Hotel, e a ciò va aggiunta anche la scelta di ricorrere, talvolta, a flashback ed allucinazioni che rappresentano il delirio mentale della Principessa.


Ad accrescere il senso di soffocamento che permea l'intero film, concorre ovviamente la splendida interpretazione di Kristen Stewart, giustamente nominata all'Oscar (sono molto indecisa sul tifo, quest'anno: la Stewart o la Chastain? Chissà!). Diana io la ricordo poco, o meglio, la ricordo bene come icona, ma ricordo ben poco del suo modo di esprimersi e di muoversi, ma chi l'ha ancora bene in mente dice che la Stewart è semplicemente perfetta per quanto riguarda voce, accento e modo di muoversi, e io non stento a crederci; da par mio, ho percepito interamente tutta la fragilità di una donna in procinto di spezzarsi, con ogni fibra del corpo pervasa dal desiderio di scappare via, di sottrarsi al peso enorme che le è stato messo sulle spalle, ma anche la forza di una donna che un tempo era stata "solo" Diana, elegante, felice e libera anche senza l'altisonante titolo di Sua Altezza Reale. Il disperato desiderio di Diana di riappropriarsi della sua identità, come donna e anche madre, trasuda da ogni gesto e da ogni sguardo della Stewart, che a tratti stringe il cuore non solo durante i teneri momenti passati coi figli, ma anche negli scontri sempre più "cruenti" con chi rifiuta di vederla come essere umano e non come titolo, inutile e scostante Carlo in primis. L'intento di Larraín, per quello che mi è parso, non è quello di glorificare Diana né di demonizzare i Windsor, che al limite sembrano sciocchi e ottusi, più che cattivi (il vero cattivo è un altro e ha il volto sempre inquietante di Timothy Spall), bensì quello di raccontare l'ordalia di una persona che cerca di liberarsi dai suoi demoni per raggiungere la luce e la libertà, e l'obiettivo mi sembra sia stato ampiamente raggiunto. Spencer è un film "piccolo", sussurrato, eppure riesce a regalare tantissime emozioni e, nonostante si sappia poi che fine abbia fatto Diana, anche un minimo di speranza. 


Del regista Pablo Larraín ho già parlato QUI. Kristen Stewart (Diana), Timothy Spall (Maggiore Alistar Gregory), Sean Harris (Darren) e Sally Hawkins (Maggie) li trovate ai rispettivi link.


Se Spencer vi fosse piaciuto recuperate Jackie (lo trovate a pochissimo su Chili o Prime Video) e Marie Antoinette (lo trovate su Netflix). ENJOY!

venerdì 7 febbraio 2020

Underwater (2020)

Per fuggire alla prima serata di Sanremo sono corsa al cinema a vedere Underwater, diretto dal regista William Eubank.


Trama: un gruppo di ricercatori rimane bloccato in una stazione sottomarina sul fondo della Fossa delle Marianne e i vari membri dovranno cercare di sopravvivere in un oceano improvvisamente zeppo di misteriosi pericoli.


Non sono fatta per certi film. Solo due cose, viste al cinema, mi fanno realmente morire d'ansia (lasciamo perdere le bambole assassine): gente in procinto di precipitare da altezze vertiginose, assieme a Spider-Man che zompetta tra i grattacieli, e gente bloccata sott'acqua. Il film può essere anche una zozzeria inguardabile a livello Alien degli abissi ma se mi tocca vedere per più di cinque minuti dei subacquei impossibilitati a risalire in superficie mi si ferma il cuore. Questo per dire che Underwater, benché non sia la stella più fulgida all'interno del panorama horror/sci-fi subbaqui, mi ha innervosita così tanto che, complici anche gli antibiotici che mi avvelenano l'organismo, ho passato l'ultima mezz'ora preda di attacchi di nausea e desiderio compulsivo di respirare aria fresca. Quindi il post potrebbe non essere molto obiettivo per quanto riguarda una pellicola "catastrofica" che sarebbe stata perfetta anche negli anni '80 o '90, popolata da personaggi tagliati con l'accetta e ben riconoscibili (final girl, macchietta di colore, capitano duro & puro, uomo mezzo matto ma di buon cuore, tipa dolcissima ed ingenua, tizio che permane morto per metà film), gettati in mezzo a tutto ciò che di orribile potrebbe comparire negli oceani a causa del dissennato sfruttamento delle risorse naturali, con una comparsata finale di Lui in persona. Il problema, guardando Underwater, è che non c'è il tempo materiale di riflettere sui suoi difetti o sul suo essere un Alien/Leviathan meets Armageddon, perché William Eubank e i suoi sceneggiatori ci catapultano già dopo 3 minuti scarsi nel vivo dell'azione, laddove per "azione" intendo esplosioni ininterrotte e fughe dalla morte imminente come se piovessero, e hai voglia a chiedere un attimo di tregua per mancanza d'ossigeno.


Ad aggravare la sensazione di claustrofobia ci pensano delle riprese subacquee fatte di ombre, sporadiche lucette al neon, filtri torbidi e jump scare tentacolati ed esplosivi; a un certo punto Cassel (sprecato, mi duole dirlo, unico reale neo del film) minaccia di passare all'infrarosso e lì ho pensato davvero di alzarmi e uscire, perché è un'altra cosa che mi terrorizza. Per fortuna la parentesi all'infrarosso dura poco, il resto sono visioni di mostri tentacoluti e più o meno schifidi e sequenze concitatissime di fuga dalla morte&distruzione, con qualche incursione in uno splatter scoppiereccio che talvolta stona con le atmosfere "raffinate" evocate da colei che è passata dall'essere inespressiva ragazzetta protagonista di commercialate scrause ad essere fascinosa musa di autori indipendenti. Sì, lasciatemi spendere due parole su Kristen Stewart, ché solo gli scemi non cambiano mai idea. Con la testa rasata e la tinta bionda, l'ex Bella Swan si getta con "gioia" (si fa per dire, la ragazza la gioia la lascia sempre altrove) in un ruolo che sarebbe stato perfetto per una Milla Jovovich più giovane, sfoggiando, maledetta lei, un fisico invidiabile quando è costretta a recitare senza le pesantissime tute da immersione e ad omaggiare Ripley in mutande e top (lo stesso vale per Jessica Henswick e prima che inveiate contro Eubank per l'eventuale sessismo, dico solo che costui è un signore e gente come David Ayer o Mark Tonderai dovrebbero solo imparare a realizzare inquadrature che non si concentrino solo su tette e culi) ma anche l'intensa espressività di chi è tormentato dalla paura e da orribili traumi passati. Per dire, la sequenza finale è di una bellezza incredibile e non solo grazie al regista e ai mostroni ma anche e soprattutto grazie alla Stewart. Quindi, onestamente devo ancora capire se ho visto un b-movie pompato dalle mie paure oppure quello che potrebbe definirsi un sci-fi/horror subacqueo con tutti i crismi ma poco importa: sono uscita dal cinema molto soddisfatta e questo è quello che conta!


Di Kristen Stewart (Norah), Vincent Cassel (Capitano), T.J. Miller (Paul) e John Gallager Jr (Smith) ho parlato ai rispettivi link.

William Eubank è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come The Signal. Anche sceneggiatore e produttore, ha 38 anni.


Jessica Henwick, che interpreta Emily, è stata la Colleen Wing delle serie Iron Fist e The Defenders. Il film è stato girato nel 2017 ma l'acquisizione della Fox da parte di Disney ne ha ritardato l'uscita di tre anni. Detto questo, se Underwater vi fosse piaciuto recuperate The Abyss, Leviathan, Crawl e 47 metri. ENJOY!

venerdì 1 marzo 2019

Lizzie (2018)

Finita la carrellata di film consigliati da Dread Central, passiamo a quelli consigliati a fine 2018 da Lucia. Quest'anno sono stata particolarmente brava e me ne mancavano davvero pochi, tra cui questo Lizzie, diretto nel 2018 dal regista Craig William Macneill.



Trama: Lizzie Borden è una donna schiva che vive col padre autoritario, la matrigna e la sorella in una magione dove, un giorno, va a lavorare la giovane Bridget Sullivan. Tra le due sboccia subito un sentimento di amicizia, che a poco a poco diventerà un sentimento più profondo e pericoloso...



Nominare Lizzie Borden negli USA, dove la donna è divenuta protagonista di innumerevoli opere di fiction e ne ha ispirate altrettante, ne richiama subito alla mente la tragica vicenda mentre forse qui in Italia è un po' meno conosciuta, anche se negli anni '80, così dice Wikipedia, è stato realizzato un film TV ricalcato sul suo caso. Per chi non sapesse di cosa sto parlando, nel 1892 in casa Borden sono stati ritrovati i cadaveri del padre e della matrigna di Lizzie, massacrati con svariati colpi di accetta, e la donna, unica presente in casa assieme alla domestica, è stata accusata dell'omicidio per poi essere prosciolta perché, secondo la difesa, "incapace di sferrare così tanti fendenti in quanto donna". Uno dei molti delitti irrisolti di cui è pieno il mondo, particolarmente interessante perché, ovviamente, la figura di Lizzie si è caricata di un'aura di mistero e lo stesso vale per la sua domestica. Anche quest'ultima era coinvolta? Quali erano i motivi per compiere un omicidio così efferato? Come ha fatto Lizzie a cavarsela? Ad alcune di queste domande cerca di dare risposta Craig William Macneill con questo elegantissimo film, che sviscera innanzitutto la condizione disagiata delle due protagoniste, imprigionate e soffocate dalla società e dal loro ruolo di donne. Lizzie è una pluritrentenne, zitella e soggetta a crisi epilettiche, una donna dal carattere fragile ma deciso che non esita ad impuntarsi contro le decisioni del padre, un riccone gretto, pitocco e privo di qualsivoglia affetto per la figlia che arriverebbe persino ad affidare il proprio patrimonio al cugino debosciato solo perché "uomo". Dall'altra parte c'è Bridget, servetta di umili origini che pur di tenersi un lavoro importante è costretta a subire le attenzioni sessuali del padre di Lizzie. Tra le due, animi fragili e vessati, scatta subito un'intesa, un'amicizia fondata sul reciproco sostegno; ognuna a modo proprio, Lizzie e Bridget cercano di difendersi l'un l'altra dalle prevaricazioni del signor Borden e da tutte le conseguenze delle sue scelte scellerate, che mirano a minare la libertà della figlia, e in questo modo giungono ad avvicinarsi fino a diventare amanti, creandosi un'effimera bolla di felicità all'interno della quale dimenticare la loro triste condizione.


Messa così, sembrerebbe quasi che Lizzie si soffermi sull'aspetto "passionale" del delitto, cercando i motivi dello stesso all'interno di un amore proibito. In realtà, il sentimento che lega Lizzie e Bridget è sì qualcosa di incomprensibile ed aberrante per gli altri ma è soprattutto dolente per loro due, un'illusione pericolosa nella quale indulgere a caro prezzo e che rischia di distoglierle dalla realtà dei fatti, soprattutto per quanto riguarda Lizzie, donna troppo colta ed acculturata per accettare il suo ruolo all'interno della società ma anche tremendamente accecata dal suo orgoglio. A un certo punto, infatti, sembra quasi che Lizzie arrivi ad approfittarsi di Bridget come suo padre, coinvolgendola in qualcosa di orribile "approfittando" della sua condizione sociale e dell'affetto misto a soggezione che la domestica prova per lei, di fatto portandola (magari involontariamente) a sperare in qualcosa che non potrà mai esistere. Lizzie dunque si concentra più su quanto ha portato al delitto rispetto agli aspetti gore e giuridici della vicenda, cercando di ricostruire, tenendo ovviamente a mente tutte le licenze poetiche del caso, un antefatto quanto più coerente ed emozionante possibile, messo nelle mani di due attrici bravissime, misurate e decisamente in parte, soprattutto la Sevigny, che si annulla completamente nel personaggio di Lizzie senza renderla né caricaturale, né esageratamente pazza; piuttosto, da l'idea di una donna stanca, al limite della sopportazione, incapace di trovare altri modi per liberarsi e tornare a volare come i suoi amati piccioni. La Stewart le fa da degna, misurata spalla e le consente di brillare ancor più riuscendo allo stesso tempo a sottolineare l'importanza fondamentale del personaggio di Bridget, silente testimone e involontaria scintilla della follia di Lizzie. Insomma, lungi da essere una tragedia gore, Lizzie è un dramma teso e misuratissimo, che esplode sul finale in una violenza che liberatoria, ahimé, non è, un po' come accadeva già in The Boy, e che contribuisce a rendere ancora più affascinante e misteriosa la figura già leggendaria della Borden. Detto questo, posso solo sperare che il film ottenga una distribuzione in Italia, almeno su Netflix, perché merita realmente una visione.


Del regista Craig William Macneill ho già parlato QUI. Kristen Stewart (Bridget Sullivan), Chloë Sevigny (Lizzie Borden), Kim Dickens (Emma Borden) e Denis O'Hare (John Morse) li trovate invece ai rispettivi link.

Fiona Shaw interpreta Abby Borden. Irlandese, ha partecipato a film come Il mio piede sinistro, Super Mario Bros., Jane Eyre, Harry Potter e la pietra filosofale, Harry Potter e la camera dei segreti, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Harry Potter e l'Ordine della Fenice, Harry Potter e i doni della Morte - Parte I, The Tree of Life e a serie come True Blood e Channel Zero. Ha 61 anni.


Jamey Sheridan interpreta Andrew Borden. Americano, ha partecipato a film come Jumpin'Jack Flash, Tempesta di ghiaccio, Syriana, Il caso Spotlight, Sully e a serie come L'ombra dello scorpione. Anche produttore, ha 68 anni.


Se Lizzie vi fosse piaciuto, recuperate altre due pellicole tratte dalla stessa storia, ovvero The Legend of Lizzie Borden e Il caso di Lizzie Borden, con Christina Ricci. ENJOY!


martedì 3 luglio 2018

Personal Shopper (2016)

Con Personal Shopper, diretto e sceneggiato nel 2016 dal regista Olivier Assayas, finisco il recupero degli horror 2017 by Lucia.


Trama: Maureen, personal shopper di un'attrice famosa, cerca di superare la morte del fratello gemello e di contattarlo attraverso i suoi poteri di sensitiva...



Via il dente, via il dolore, su. Da brava cinefila ignorante qual sono (oserei quasi dire cinOfila a questi punti...) quella di Personal Shopper è stata la mia prima esperienza con Olivier Assayas, se non contiamo la visione di Quello che non so di lei, di cui il regista è co-sceneggiatore. Onestamente, non posso dire di esserne rimasta entusiasta e, miracolo!, non a causa dell'interpretazione di Kristen Stewart, qui impegnata nel ruolo di depressa cronica che più le si confà e quindi (ossignore domani si apriranno le sette porte dell'inferno Lenziano) decisamente brava, ma proprio per il film in generale. Thriller psicologico raffinato, governato a tratti dalle regole della ghost story moderna, quella becera a base di jump scare per intenderci, il film di Assayas è uno spaccato della vita di Maureen, giovane personal shopper che ha appena perso il fratello gemello a causa di una malformazione congenita al cuore. La ragazza è intrappolata in un lavoro che le fa schifo, è costretta rimanere a Parigi perché desidera entrare in contatto con lo spirito del fratello e passa le sue giornate immobilizzata in un limbo, lontana dall'affetto del fidanzato che vive all'estero per lavoro, mentre tutti intorno a lei sembrano andare avanti e vivere la propria vita. Quel che rimane a Maureen sono le briciole di quella altrui, in quanto lei di suo non ha nulla: la ragazza fa da personal shopper ma non può provare gli abiti della cliente che non vede mai, attraverso i suoi poteri deve "disinfestare" la casa che era di suo fratello affinché altri possano andare ad abitarvi, se raggiungerà il fidanzato vivrà come ospite mentre lui lavorerà, la ex del gemello le è amica ma si sta già ricostruendo un'esistenza con un altro uomo... insomma, Maureen è disperatamente sola ed alienata e se inizialmente pare che la questione non la scalfisca da un certo punto del film in poi essa parrebbe intaccare persino la sua sanità mentale. O magari sbaglio io, per carità. Personal Shopper è uno di quei film che ha un inizio lineare e poi si sfilaccia rimanendo sospeso, al punto che ogni spettatore può dare l'interpretazione che vuole e avere un 50% di possibilità di aver capito tutto oppure nulla.


Ciò farebbe di Personal Shopper una pellicola terribilmente affascinante, se non fosse che le vicende di Maureen non mi hanno toccata e il suo personaggio mi ha lasciata completamente indifferente. Forse non sono abbastanza profonda da riuscire a scavare nell'animo di una protagonista sofferente con la quale non è facile empatizzare di primo impatto, chissà. Ribadisco, non è per la faccia della Stewart che sì, continua a starmi immensamente sulle balle: la sua bellezza alternativa, sfuggente, è perfetta per delineare una ragazza costretta a stare nelle retrovie ma impossibile da non notare, dotata di una durezza di carattere che fatica a rimanere nascosta, inoltre l'attrice regge il film da sola, anche impegnata in sequenze non facili, quindi tanto di cappello. Ma davvero, sul finale non mi è importato più di tanto capire quale fosse il suo problema, se mai ce n'è stato uno. Inoltre, non ho particolarmente apprezzato le intrusioni nel campo dell'horror, che a mio avviso non aggiungono nulla al film e lasciano il tempo che trovano anche per quel che concerne la loro realizzazione, dal retrogusto leggermente "fasullo"; molto meglio le riprese insistite di abiti, negozi, ambienti lussuosi ma deserti e soprattutto dell'indispensabile cellulare, veicolo di alienazione e follia molto più inquietante di qualsiasi fantasma mostrato sullo schermo. Insomma, come già è capitato per Annientamento, apprezzo tantissimo la confezione, l'Autorialità di Assayas (al quale darò di sicuro un'altra chance) e il coraggio della Stewart, sempre più impegnata in film particolari e lontana dalla Sgnaccamaroni di Twilightiana memoria, però non posso dire che Personal Shopper mi abbia convinta né che lo riguarderei. Quello che posso fare è però consigliarvi di "provarlo", in quanto a moltissime persone che di cinema ne capiscono ben più di me è piaciuto quindi non date retta ai miei sproloqui!


Di Kristen Stewart, che interpreta Maureen, ho già parlato QUI.

Olivier Assayas è il regista e sceneggiatore della pellicola. Francese, ha diretto film come Il bambino d'inverno, Irma Vep e Sils Maria. Anche attore, ha 63 anni e un film in uscita.


Kristen Stewart, Lars Eidinger, Nora von Waldstätten e Benoit Peverelli hanno partecipato tutti al film precedente di Assayas, Sils Maria, che non ho ancora visto e che quindi non posso consigliarvi anche se mi dicono sia molto bello! ENJOY!


domenica 14 agosto 2016

Equals (2015)

Come ennesima riprova di una distribuzione estiva quest'anno stranamente attiva, oggi parlerò di Equals, diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista Drake Doremus.


Trama: in un futuro distopico in cui provare sentimenti è visto come una malattia, Silas e Nia arrivano ad innamorarsi l'uno dell'altra...


Nonostante ciò che puntualmente leggete sul Bollalmanacco, dovete sapere che sotto sotto sono una romanticona. Non che vada a cercare col lanternino film d'amore, per carità, tuttavia guardando horror, action, serie TV e quant'altro mi ritrovo spesso a convertire il mio cervellino grebano in modalità fangirl e a sperare contro qualsiasi razionalità nell'evoluzione di improbabili storie d'amore tra personaggi, rimanendo spesso col cuoricino spezzato davanti a relazioni contrastate, finali non graditi et cetera et cetera. L'amore ai tempi della distopia anafettiva era quindi potenzialmente qualcosa di devastante per la sottoscritta, a rischio "fontane del niagara" a livelli di Non lasciarmi, quindi spinta anche e soprattutto dalla presenza dell'ormai quotatissimo Nicholas Hoult, oltre che dall'effettiva bellezza delle immagini viste nel trailer, ho scelto di dare una chance ad Equals. Non me ne sono pentità perché Equals è un film che coinvolge molto e che scorre veloce nonostante un'innegabile prevalenza di gesti e sguardi sui dialoghi, tuttavia devo anche dire che la storia d'amore tra Silas e Nia, per quanto contrastata, difficile e necessariamente tenuta segreta, non mi ha provata emotivamente tanto quanto avrei creduto. Ciò che mi ha intrigata durante la visione del film non è stato infatti lo svisceramento dei sentimenti dei protagonisti (ho una mia teoria sul motivo ma ne parlerò più avanti), rappresentato in modo particolare ed interessante nella prima metà del film ma in maniera meno efficace nella seconda, quanto la rappresentazione di una società in cui le persone ritengono naturale non provare emozioni. Nella distopia di Equals la sensibilità è un difetto del DNA che gli scienziati provvedono a correggere già alla nascita e che spesso sfugge tuttavia al controllo, rendendo così necessaria la presenza di un regime di polizia atto a stanare i malati, a curarli durante i primi stadi del "morbo" e infine a rinchiuderli in un istituto dove verranno condannati a morte; non è dato sapere con precisione il perché di una simile evoluzione della società ma nel corso del film arriviamo ad intuire che il motivo di tale soppressione dei sentimenti potrebbe coincidere con una guerra devastante che in passato ha distrutto buona parte del pianeta Terra. Il risultato è un mondo dove le persone interagiscono nei limiti della reciproca utilità lavorativa, con fredda cortesia, bombardati da continue "istruzioni" su come comportarsi in caso subentrassero emozioni indesiderate e spinti a segnalare la presenza di vicini o colleghi che potrebbero essere affetti dalla temibile "malattia", in un clima costante di oppressivo e guardingo terrore.


Come dicevo, la parte interessante di Equals è quindi il modo in cui Silas reagisce alle sensazioni nuove che cominciano a germogliare dentro di lui, dapprima temendole poi abbandonandovisi quasi con beata incoscienza, e il primo stadio del rapporto che si instaura tra lui e Nia, che convive con la sua stessa malattia ma, a differenza di Silas, non ha fatto rapporto alle istituzioni sanitarie e vive dunque in una condizione di pericolo costante. I primi, timidi accenni di contatto tra i due sono un trionfo di inquadrature focalizzate su sguardo, labbra e mani, con la cinepresa che entra a spiare nell'unico, claustrofobico posto in cui i protagonisti possono essere liberi di parlarsi e toccarsi, interamente illuninato da una fredda luce blu che, di fatto, è il colore prevalente della pellicola, soprattutto quando i personaggi agiscono nei confini della "legalità" (Silas e Nia vivono la prima fase del loro amore all'interno della ditta per cui lavorano, quindi sottoposti al rischio di essere scoperti dall'occhio del Grande Fratello). In seguito, non voglio dire che Equals si afflosci, tuttavia segue percorsi già battuti ed indugia forse troppo sulle promesse d'amore eterno di Silas e Nia, scadendo spesso e volentieri nel melodrammatico. Il problema di cui parlavo sopra è la mia incapacità di provare più di una limitata empatia verso i protagonisti, molto probabilmente perché, per quanto non neghi la sua bravura all'interno di questo film, proprio non sopporto la faccia di Kristen Stewart (come già non sopportavo quella della Knightley) e continuo a trovarla non solo inespressiva e brutta da morire, ma anche e soprattuttamente una "resting bitch face". Non è colpa sua, poveraccia, quella faccia lì ce l'hai e te la tieni, ma davvero non c'era nessun'altra da affiancare a Nicholas Hoult, sempre tenerello e tanto bravo? Mah. Probabilmente però non era nelle intenzioni di Doremus portare il pubblico a piangere a dirotto, tant'è che Equals mi è sembrato in generale molto trattenuto, quasi una propaggine delle dure leggi che governano la distopia rappresentata, diretto con piglio ferreo ed elegante e persino privo di una colonna sonora "strappalacrime"; comunque, parliamo di un film sicuramente meritevole di una visione, soprattutto se vi piace questo genere di pellicola.


Di Nicholas Hoult (Silas), Kristen Stewart (Nia) e Guy Pearce (Jonas) ho parlato ai rispettivi link.

Drake Doremus è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Like Crazy. Anche attore, ha 33 anni.


Jennifer Lawrence ha letto lo script del film assieme a Nicholas Hoult e se n'è innamorata, tuttavia ha scelto di non interpretare il personaggio di Nia, non sentendolo suo. Detto questo, se Equals vi fosse piaciuto consiglierei la lettura del bellissimo romanzo The Giver di Lois Lowry. ENJOY!

mercoledì 28 gennaio 2015

Still Alice (2014)

Dopo la tamarreide torniamo in territorio Oscar con Still Alice, diretto e co-sceneggiato nel 2014 dai registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland, tratto dal romanzo Perdersi di Lisa Genova e candidato a un premio Oscar per Julianne Moore come miglior attrice protagonista.


Trama: Alice Howland è una stimata linguista a cui un giorno viene diagnosticata una forma di Alzheimer precoce. Nonostante i ricordi e la percezione di sé stessa e della propria famiglia comincino a scivolare via a poco a poco, la donna cerca in qualche modo di affrontare la malattia...


L'Academy, si sa, adora i malati. Adora le storie strappalacrime, le storie vere di americani che "ce l'hanno fatta" o che possano fungere da esempio per le masse, raccontando vicende edificanti o strazianti, dove il pedale della lacrima facile e del dramma patinato è talmente tanto pigiato che spesso la macchina si sfonda prima di arrivare a fine corsa. Non deve stupire, dunque, che Julianne Moore abbia praticamente in mano la statuetta di miglior attrice protagonista e purtroppo, nonostante il mio tifo continui ad andare spudoratamente verso Rosamund Pike, non troverei motivo alcuno per dare torto all'Academy. Still Alice, infatti, E' Julianne Moore. L'intera pellicola ruota attorno alla figura di Alice, donna di mezza età, intelligente e bella, ammalatasi di Alzheimer precoce; il percorso inevitabile che porterà la protagonista da signora sicura di sé ed ammirata a vegetale privo di ricordi ed incapace di focalizzare ciò che la circonda è graduale, filtrato attraverso i gesti, gli sguardi e le parole di un'attrice che, per fortuna, non cerca né la pietà del pubblico né i fiumi di lacrime che mi sarei aspettata di versare (cosa che non è avvenuta) ma tenta piuttosto di trasmettere l'angoscia di una condizione terribile, di un "inferno sulla terra", di un lento deterioramento che la protagonista avverte come qualcosa di tangibile, che la viola nel profondo. La battaglia contro l'Alzheimer mostrata nel film non diventa un inno alla ricerca di cure alternative o una campagna sui diritti delle persone malate ma mantiene una dimensione interamente personale e non contempla né eroi né scienziati in grado di salvare Alice; il destino della protagonista è segnato fin dall'inizio e a noi non resta che testimoniare, impotenti, al cambiamento fisico e psicologico incarnato alla perfezione da Julianne Moore, mentre il montaggio della pellicola si fa sempre più frammentato e le immagini sempre più evanescenti. Questi sono i lati positivi di Still Alice... eppure, attrice protagonista a parte, il film non mi ha né emozionata né particolarmente soddisfatta.


L'incredibile, ingenuo difetto di Still Alice, infatti, è la mancanza di personaggi secondari e attori capaci di "smussare" l'indubbio carisma della protagonista e fornire un'amalgama di sensazioni e punti di vista in grado di stordire emotivamente lo spettatore. Fin dalla prima inquadratura della famiglia riunita a un tavolo, fin dalle prime parole dei convenuti, si avverte già una terribile sensazione di dejà vu e pare di vedere spuntare sulla fronte degli attori delle etichette indelebili: marito comprensivo fino a un certo punto ma comunque assente, figlio buono ma inutile, figlia approfittatrice che sarà simpatica e disponibile finché le cose andranno bene ma quando la merda colpirà il ventilatore scapperà finché le andranno le gambe, figlia scapestrata che per amore di mammà si rivelerà la persona migliore di tutte. Non c'è un minuto di incertezza in Still Alice, né c'è la possibilità di empatizzare con personaggi che incarnano ogni cliché del genere e che sono di conseguenza interpretati da attori mediocri ma perfetti per la parte, come per esempio Kristen Stewart che, nei panni della scazzatona ribelle con velleità attoriali, calza i panni di Lydia come se avesse addosso un guanto e risulta così molto meno irritante del solito. Altro punto dolente, l'irreale momento "thriller" con tanto di messaggio dal passato che, se da un lato vuole testimoniare l'eccezionale intelligenza di Alice, dall'altro risulta anche troppo stiracchiato e non porta ad alcuna riflessione costruttiva sul disagio che una malattia come l'Alzheimer provoca non solo a chi ne è affetto ma anche a chi ha la sfortuna di essere sano e vedere la persona amata diventare un'estranea priva di ricordi, una tabula rasa che si "limita" a respirare e vivere l'attimo senza fare tesoro di alcuna esperienza. Sono convinta che un argomento simile meritasse un approccio più coraggioso e più lontano dal melodramma, qualcosa che portasse lo spettatore a porsi domande difficili e a mettere in discussione sé stesso e il suo rapporto con la famiglia e la società; realizzato così, mi spiace dire che Still Alice rischia di essere per molti spettatori (me compresa) soltanto un freddo esercizio di bravura attoriale.


Di Julianne Moore (Alice Howland), Alec Baldwin (John Howland) e Kristen Stewart (Lydia Howland) ho già parlato ai rispettivi link.

Richard Glatzer è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, affetto da SLA, ha diretto film che non avevo mai sentito nominare, come Fluffer e Quinceañera. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 63 anni.


Wash Westmoreland è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Fluffer e Quinceañera. Anche aiuto regista, sceneggiatore, produttore e attore, ha 48 anni.


Kate Bosworth (vero nome Catherine Anne Bosworth) interpreta Anna Howland-Jones. Americana, ha partecipato a film come Le regole dell'attrazione, Superman Returns e Comic Movie. Anche produttrice, ha 31 anni e cinque film in uscita.


Nonostante la Moore sia candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista pare che il ruolo di Alice fosse stato offerto prima a Michelle Pfeiffer, Julia Roberts Nicole Kidman, che hanno tutte rifiutato. Detto questo, se Still Alice vi fosse piaciuto recuperate La teoria del tutto. ENJOY!

mercoledì 18 luglio 2012

Biancaneve e il cacciatore (2012)

Galvanizzata dalla visione dell’incredibile, trashissimo, spacchiuso trailer di The Expendables 2, ieri sera mi sono sparata per intero Biancaneve e il cacciatore (Snow White and the Huntsman) di Rupert Sanders. Occhio agli SPOILER e alle inquietanti foto che corredano il post!


Trama: in un regno lontano, la malvagia strega Ravenna riesce a salire al trono uccidendo re Magnus dopo averlo sposato. La figlia di quest’ultimo, Biancaneve, viene rinchiusa in una torre, ma  al raggiungimento della maggiore età riesce a fuggire prima che la strega decida di ucciderla in quanto “più bella del reame”. Per evitare di venire sconfitta, Ravenna mette sulle tracce della fanciulla un cacciatore, che non tarderà a prendere le difese di Biancaneve…

Versione: merluzzo fresco di giornata sìori, venghino!
 Da questo Biancaneve e il cacciatore mi aspettavo le peggio cose. Le mie aspettative non sono state deluse, ovviamente, quindi non vi starò a consigliare di andarlo a vedere, ma prima di cominciare a lanciare strali lasciatemi spendere due righe sulle poche cose valide della pellicola. I motivi per cui Biancaneve e il cacciatore non merita di venire messo definitivamente al bando nemmeno fosse un Video Nasty sono essenzialmente cinque: Charlize Theron, i costumi, le scenografie, gli effetti speciali e le battaglie. Partendo dal fondo, gli scontri tra gli eserciti, soprattutto quello finale, sono a dir poco epici e molto ben coreografati, con poco da invidiare a, giusto per citare due titoli, quelli presenti in 300 o Il signore degli anelli. Anche gli scontri singoli non sono male, Chris Hemsworth ha sicuramente il phisique du role e anche l’abilità di arciere del Principe regala alcuni momenti di pura “arte guerriera”. Gli effetti speciali, inutile dirlo, rappresentano il cinquanta per cento del valore del film e non potrebbe essere altrimenti quando la trama contempla l’uso della magia. Le trasformazioni della strega Ravenna, i guerrieri fatti di frammenti di vetro nero, lo stesso Specchio che interagisce con la Regina come fosse un inquietante idolo dorato sono una gioia per gli occhi e sono talmente ben fatti da sembrare veri; ad incrementare ulteriormente la spettacolarità del tutto concorrono le splendide scenografie, che alternano scorci di paesaggi reali a dir poco mozzafiato ad ambienti creati ad hoc come l’inquietante Foresta Nera, e ovviamente gli incredibili costumi creati da Colleen Atwood, che si è sbizzarrita soprattutto per quanto riguarda gli abiti indossati da Charlize Theron. Per quanto riguarda quest’ultima, neanche a dirlo, voto UNDICI. Al di là del fatto che darei un braccio per essere bella anche solo la metà di quanto lo è lei in versione vecchia rugosa, il personaggio di Ravenna, nonostante il nome buffo per un pubblico italiano, è sicuramente il migliore e più sfaccettato dell’intera pellicola: a fronte della banalità di una fanciulla candida e pura, di un cacciatore ubriacone ma fondamentalmente buono, di nani burberi ma dal cuore tenero, di un principe mollo come la panissa, gli sceneggiatori offrono invece un’inedita rilettura del classico personaggio della Regina cattiva, trasformandola in una creatura segnata dal rancore verso gli uomini e consapevole del potere che la sua bellezza e femminilità possono esercitare su questi ultimi. E’ difficile non provare pietà per questa strega così crudele e invincibile ma anche, paradossalmente, così umana e fragile, segnata da un passato di morte e sopraffazione. Sicuramente come personaggio è molto più carismatico e affascinante di quello della protagonista, e con questo chiudiamo la parentesi positiva e ci sfoghiamo brutalmente condannando Biancaneve e il cacciatore all’oblio, come merita.

Versione berluscona, con le orecchie paraboliche
 Innanzitutto vi sorprenderò dicendo che Kristen Stewart (nonostante il servizio fotografico che, come vedete, le sto dedicando) non è il primo ed unico elemento che affossa definitivamente il film. Ovvio, ‘sta ragazza è un mostro, non si può guardare. Inespressiva ed assente come una sadopapera di gomma, come un merluzzo essiccato, come la drogata che chiede gli spicci all’angolo della stazione, la ragazzetta ha solo due modi di esprimere le mille emozioni che dovrebbero passare per la testolina di Biancaneve: sguardo scazzato e bocca semiaperta oppure, sul finale, sguardo talmente arrapato che Chris Hemsworth si è ritrovato stuprato senza nemmeno accorgersene. True story. Non esagero quando dico che durante i primi piani della Stewart mi giravo dall’altra parte allargando le braccia sconsolata, soprattutto quando il regista e i montatori, con il tatto di un branco di elefanti, pretendevano di alternare le sue immagini a quelle della Theron, roba da denunciarli per manifesta bastardaggine. Ma, come ho detto, ci sono cose ben più terribili di una protagonista sciapa. Per esempio, otto nani che nani non sono. Ma sant’Iddio, con tutti gli attori “diversamente alti” che ci sono perché prendere volti arcinoti del cinema, sacre icone come Bob Hoskins, Nick Frost e Toby Jones, solo per fare tre nomi, e rimpicciolirli deformandoli, creando così i nani più imbarazzanti e ridicoli della storia del cinema? Per la funzione poi che hanno ‘ste creature, poi… uno schiatta per la gioia dei puristi, lasciando Biancaneve con i canonici SETTE nani, gli altri si limitano ad incoronarla Regina del mondo, Prescelta, novella Gandalf, Fenice dei poveri, Lady Saori di ‘sta ceppa, insomma, mettete il nome di una figura mitica e carismatica a caso, tanto è la stessa, perché la storia mica contemplava una chissà quale dimensione cristologica o salvifica per la fanciulla, anzi: sapevate che nella fiaba originale Biancaneve non viene né avvelenata né risvegliata dal bacio del principe ma, più banalmente, soffoca perché le rimane un pezzetto di mela in gola che riuscirà poi a sputare quando la muoveranno con la bara? Immaginate quindi quanto sia plausibile che una così demente possa essere definita salvatrice del mondo intero anche solo per sbaglio…

Versione: drogata scappata di casa con l'impepata di cozze sullo stomaco, lì lì per smarmottare
 Riallacciandoci a questa immagine di eroina senza macchia e paura arriviamo al punto più basso, triste e camp dell’intera pellicola: l’orrenda parentesi bucolica durante la quale i personaggi si immergono in un mondo verde e fasullo come una moneta da 3 euro, zeppo di animaletti disneyani, fate, orridi esseri dalle orecchie puntute, farfalle, tartarughe fatte d’erba, cervi albini pluricornuti e chi più ne ha, più ne metta. Della serie, se l’incoronazione di Biancaneve a regina significa la nascita di un mondo simile, come effettivamente ci spiega Orbolo, il nano cieco, decapitatela subito e buonanotte. Ancora adesso, tra l’altro, mi chiedo se è peggio questa tremenda “pausa” dal generale clima gotico/bimbominkico/fantasy che permea Biancaneve e il cacciatore, lo sfacciato plagio della scena de La storia infinita in cui Atreiu perde il fido destriero nelle paludi della tristezza (tra l'altro: Biancaneve fuggendo dal castello trova l'unico cavallo bianco nel giro di kilometri che l'aspetta lì? E che poi schiatta nelle paludi solo per poi ricomparire alla fine come se niente fosse???), oppure gli osceni, banalissimi dialoghi messi in bocca ai personaggi nei due momenti chiave del film, ovvero quando il Cacciatore insegna a Biancaneve a uccidere i nemici (“Guardali negli occhi finché non vedi scomparire l’anima” – a cacciatò, mavvaaaaaffff…..!) e quando quest’ultima, dopo essere risorta in tutto il suo splend…mfgghggffbluargh…ore rifila all’adorante marmaglia in cortile uno spiegone totalmente privo di senso ed ispirazione per convincerli a seguirla in battaglia. Basta, finisco qui la recensione che non ne posso più di sprecare tempo per questa belinata. Chiudo gli occhi e mi ripeto come un mantra i titoli di tutte le belle cose che usciranno nei prossimi mesi: Django Unchained, Le belve, The Brave, Ralph Spaccatutto, Prometheus, The Man With the Iron Fists, Frankenweenie, The Expendables 2…. Uuh, mi sento già meglio! Via, via, camurrìa!

Versione: minchiaohcioé sto 'n bottissima...! Che, ce l'hai un saffi?
 Di Chris Hemsworth (il cacciatore), Bob Hoskins (il nano Muir), Ian McShane (il nano Beith), Ray Winstone (il nano Gort), Toby Jones (il nano Coll), Nick Frost (il nano Nion) e Noah Huntley (Re Magnus) ho già parlato nei rispettivi link.

Rupert Sanders è il regista della pellicola. Inglese, alla sua prima prova da regista, dovrebbe dirigere anche il seguito di Biancaneve e il cacciatore, annunciato ma ancora privo di una data di uscita.


Kristen Stewart interpreta Bianca Neve. Attrice (vabbé…) americana che non credevo sarebbe mai neppure entrata nelle mie solite “minimonografie” di fine blog, assurta al ruolo mondiale di divinità cinematografica e merluzzo.. ehm.. figa spaziale dopo l’insulso ruolo di Bella nell’insulsa saga di Twilight, ha partecipato anche ad altri film come Panic Room, The Messengers e Into the Wild. Anche produttrice, ha 22 anni e tre film in uscita, tra cui l’episodio conclusivo di quella minchiata dove i vampiri brillano e il probabile seguito di Biancaneve e il cacciatore.

Versione: un tamarro dietro un angolo voleva in***armi la Vespa
Charlize Theron interpreta Ravenna. Di origini Sudafricane, sicuramente una delle più belle e capaci attrici al mondo, la ricordo per film come L’avvocato del Diavolo, La moglie dell’astronauta, Le regole della casa del sidro, 15 minuti – Follia omicida a New York, La maledizione dello scorpione di Giada, The Italian Job, Monster, North Country (due film che le sono valsi, rispettivamente, la vittoria e la nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista) e Prometheus, inoltre ha doppiato un episodio di Robot Chicken. Anche produttrice, ha 37 anni e quattro film in uscita tra cui, OMG, un nuovo episodio della serie Mad Max dal titolo provvisorio Mad Max: Fury Road

Oh specchio, ma dove ce li hai gli occhi??
Eddie Marsan (vero nome Edward Maurice Charles Marsan) interpreta il nano Duir. Inglese, ha partecipato a film come Gangster No. 1, Gangs of New York, V per vendetta, Mission: impossible III, Miami Vice, Sherlock Holmes e Sherlock Holmes – Gioco di ombre. Ha 44 anni e cinque film in uscita.  


Johnny Harris interpreta il nano Quert. Inglese, ha partecipato a film come Gangster No.1, Rocknrolla, Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il Diavolo, Dorian Gray e Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni. Ha 38 anni e due film in uscita.


L’ottavo nano, per citare una geniale trasmissione televisiva, è nientemeno che il figlio di Brendan Gleeson, Brian, mentre il principe William è interpretato da Sam Claflin, che in Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare interpretava il ragazzetto innamorato della sirena. Sempre rimanendo in tema di casting, vi interesserà sapere che sia Viggo Mortensen che Hugh Jackman erano stati interpellati per interpretare il Cacciatore ma hanno giustamente fatto una leva tanta all'intera produzione, mentre la carinissima Lily Collins è stata scartata in favore del merluzzo essiccato ma è poi finita ad interpretare Biancaneve nel sicuramente più trash ma tanto più simpatico e bello Mirror, Mirror di Tarsem Singh che, ovviamente, vi consiglio di recuperare! ENJOY!

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