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mercoledì 3 maggio 2017

Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017)

PENSIERINO PRE-POST 1: Gente, è un film Marvel. CI SONO SCENE DOPO I TITOLI DI CODA. Plurale. E' possibile che dopo dieci anni ancora non lo sappiate e rompiate le palle a chi rimane seduto in poltrona alzandovi e sciamando dalla sala come un branco di scimmie catarrine appena i titoli cominciano a scorrere? Ma che cavolo avrete mai da fare a casa? Vergogna.
PENSIERINO PRE-POST 2: Invece di sottotitolare i titoli di testa, che è una cosa inguardabile, preoccupatevi di mettere in bocca a Stallone un congiuntivo, altrimenti il povero Amendola mi si rivolta nella tomba. Vergogna al quadrato.


Sono fuori allenamento e ancora un po' preda dei fumi del sake nipponico quindi non so come uscirà fuori questo post su Guardiani della Galassia Vol. 2 (Guardians of the Galaxy Vol. 2), diretto e co-sceneggiato dal regista James Gunn e visto appena tornata dalla vacanza giapponese, dopo un bel merendino del primo maggio. Sopportate qualunque delirio, please.


Trama: Peter Quill, alias Star-Lord, incontra il suo vero padre proprio quando i Guardiani della Galassia sono in guerra con i Sovereign, decisi a uccidere Peter e compagnia a causa di un furto compiuto dal procione Rocket...


Può non piacere lo stile demenziale ma è indubbio che Guardiani della Galassia, arrivato al secondo capitolo, sia probabilmente l'unica "serie" all'interno del MCU capace di imprimersi nella memoria degli spettatori per alcune caratteristiche che lo differenziano dai suoi fratellini cinematografici e non sarà facile per Anthony e Joe Russo, né soprattutto per gli sceneggiatori di Avengers: Infinity War, ritagliare all'interno del film uno spazietto riconoscibile per Star-Lord e compagnia. Meno frenato rispetto al primo capitolo, James Gunn in questo vol. 2 del suo Awesome Mix è riuscito a spingere ancor più l'acceleratore del camp e del trash, sia visivamente che per quel che riguarda dialoghi e sceneggiatura, senza dimenticare però di regalare allo spettatore un degnissimo film di avventura e, soprattutto, inserendolo elegantemente nella continuity del MCU con una serie di rimandi, scene post credits e dettagli che probabilmente saranno stati colti nella loro interezza solo da un Marvel fan all'ultimo stadio o da un espertone come il Dottor Manhattan. Il che, intendiamoci, non è garanzia di un film interamente riuscito, eh. Diciamo anzi che Guardiani della galassia vol. 2 ha tanti difetti quante sono le stelle in cielo (o i pianeti nella Galassia), soprattutto nel primo tempo, durante il quale ho pensato troppo spesso alle ormai storiche recensioni di Leo Ortolani. La prima parte del Vol. 2 è infatti un lungo film comico-demenziale, niente di più, niente di meno. Divertente, fatto di dialoghi brillanti, tempi comici perfetti, momenti esilaranti durante i quali Drax e Baby Groot diventano gran mattatori, soprattutto quando il primo interagisce con Star-Lord o Mantix, ma purtroppo anche zeppo di sequenze in cui il momento che dovrebbe essere serio diventa una cialtronata, un po' come se durante La scelta di Sophie entrasse di corsa Boldi a scoreggiare, lasciando lo spettatore come minimo perplesso. Mi sono ritrovata spesso a sorridere indulgente più che a spaccarmi di risate, pensando "sì, haha, però adesso vogliamo tirar fuori un po' di ciccia?" e anche se il mio cervellino di scimmia è stato blandito dalla presenza di Hasselhoff, Howard il papero e una colonna sonora bellissima (ah, l'adorata Brandy, ah, l'adoratissima My Sweet Lord) ammetto che alla fine del primo tempo avevo sulla testa un punto interrogativo grosso come una casa.


Per fortuna, nel secondo tempo Gunn riesce a cambiare un po' registro, puntando su alcuni confronti emozionanti (quello tra Gamora e Nebula ma soprattutto quello tra Rocket e Yondu), su interessanti ragionamenti legati al termine "famiglia" e su un paio di momenti realmente commoventi, ingredienti necessari a conferire sostanza al film e soprattutto a personaggi che rischiavano di non cambiare di una virgola rispetto al primo capitolo. In questo modo, sono riuscita a godere come si deve degli omaggi ai videogame, alle serie televisive e alla fantascienza anni '80, delle comparsate d'eccezione e anche dello scontro finale col malvagio della pellicola, villain che è risultato lo stesso un po' deboluccio ma non totalmente disprezzabile. In tal senso, Kurt Russell è stata una scelta di casting azzeccata (nonostante il ringiovanimento iniziale al computer mi abbia devastata dalle risate) ma chi esce davvero a testa alta da tutta l'operazione, a differenza della povera Mantis trasformata in bimbo asiatica scema come un tacco e tolto Stallone a cui basta la sola presenza scenica per farmi pregare Gunn di dedicare un intero film al suo personaggio (oltre ad una pellicola tutta per Howard il papero, ça va sans dire), è un grandissimo Michael Rooker che, assieme a Rocket e Baby Groot, conquista le scene più memorabili dell'intera pellicola e si riconferma uno dei migliori caratteristi viventi. Detto questo, non vorrei che pensiate che il film non mi sia piaciuto, anzi. Torno a confermare ciò che ho scritto all'inizio, e cioè che Guardiani della Galassia Vol. 2 è un film che merita di essere visto innanzitutto per passare una serata divertentissima con tutta la famiglia (il film è adatto ai bambini, li farà impazzire) e poi perché stavolta la sfacciataggine di Gunn non ha limiti e tocca le corde degli amanti del trash in un modo che rende impossibile non volergli bene. Con buona pace di chi, come me, vorrebbe i film Marvel più simili a quel trionfo di Loganun po' meno brigittebardòbardò e un po' più "siam peccatori ma figli tuoi, o santa Vergine prega per noi". Ma diciamo che quei cazzoni dei Guardiani non li vedrei bene a deprimersi assieme al canadese artigliato e ai suoi umanissimi problemi.


Del regista e co-sceneggiatore James Gunn ho già parlato QUI. Chris Pratt (Peter Quill/Star-Lord), Zoe Saldana (Gamora), Dave Bautista (Drax), Vin Diesel (voce di Baby Groot), Bradley Cooper (voce di Rocket), Michael Rooker (Yondu), Karen Gillan (Nebula), Sylvester Stallone (Stakar Ogord), Kurt Russell (Ego), Elizabeth Debicki (Ayesha), Rob Zombie (uno dei Ravager), Seth Green (voce originale di Howard il papero), Ving Rhames (Charlie-22), Michael Rosenbaum (Martinex), Michelle Yeoh (Aleta Ogord), Jeff Goldblum (Grandmaster) e David Hasselhoff (Zardu Hasslefrau) li trovate invece ai rispettivi link.

Chris Sullivan interpreta Taserface. Americano, ha partecipato a film come Chi è senza colpa, Morgan e a serie come Stranger Things. Anche produttore e sceneggiatore, ha 37 anni e due film in uscita.


Sean Gunn interpreta Kraglin ed è l'attore che "sostituisce" Rocket sul set. Americano, fratello di James Gunn, ha partecipato a film come Tromeo & Juliet, Guardiani della galassia e a serie quali Angel, Una famiglia del terzo tipo, Una mamma per amica, Glee, Bones e Una mamma per amica: di nuovo insieme. Anche sceneggiatore e produttore, ha 43 anni e un film in uscita, Avengers: Infinity War.


La canadese Pom Clementieff, che interpreta Mantis, tornerà assieme al resto del cast nel già citato Avengers: Infinity War mentre tra le guest star della pellicola figurano nientemeno che Miley Cyrus come voce di Mainframe e ovviamente Stan Lee in quelli dell'astronauta. Tra gli attori rimasti fuori dal film figurano invece Gary Oldman, Viggo Mortensen, Christoph Waltz, Christopher Plummer, Max von Sydow e Liam Neeson, tutti papabili per il ruolo di Ego, rifiutato con certezza solo da Matthew McConaughey. Parliamo un attimo di continuity: Guardians of the Galaxy vol. 3 arriverà dopo Avengers: Infinity War e dovrebbe ragionevolmente coinvolgere il personaggio di Warlock, intravisto in una delle scene post credits del vol. 2 mentre pare che gli eventi di questo secondo capitolo della saga siano da collocare quattro anni prima di Infinity War e un anno prima di Age of Ultron. Per non saper né leggere né scrivere, prima della visione di Guardiani della Galassia vol. 2 consiglio quindi il recupero non solo di Guardiani della galassia ma anche di Iron ManIron Man 2ThorCaptain America - Il primo vendicatoreThe AvengersIron Man 3Thor: The Dark WorldCaptain America: The Winter SoldierAvengers: Age of Ultron , Ant-ManCaptain America: Civil War e Doctor Strange. ENJOY!

domenica 5 febbraio 2017

L'angolo del Bolluomo: Grosso guaio a Chinatown (1986)

Inauguriamo questa rubrica mensile dedicata a una selezione dei film che mi propina (rectius propone) la Bolla!. Eh sì, non paga della mia top 5 per il 2016, la mia dolce metà mi ha proposto di commentare ogni mese un film. Dite che è impazzita? Forse sì, comunque potevo rifiutare questa opportunità?! Certamente no, poi si sa, le donne hanno sempre il modo di minacciare pesanti “sanzioni” (altro che l’austerity della Commissione europea, i maschietti mi hanno capito!).


Una piccola premessa, giusto per farvi capire chi sono. Con la Bolla abbiamo in comune la passione per la scrittura, la musica, la pigrizia (due bradipi!) e, seppur con sfumature diverse, il mondo orientale. Per il resto se lei vive di film e fumetti, io mi dedico a leggi, numeri, ecc.. Un esempio su tutti: anche io avevo un piccolo blog ormai dieci anni or sono (decisamente meno curato di quello della Bolla), ma trattava di argomenti “leggeri” come l’economia e il diritto. Ora, diciamo che scrivo per professione, ma dell’argomento che interessa maggiormente agli italiani… il calcio?... no, il fisco! Sono sicuro, di conseguenza, di poter contare sulla comprensione delle gentili lettrici e dei gentili lettori se ogni tanto mi scapperà qualche termine tecnico inopportuno, oppure, abbonderò nei gerundi.


Passiamo a una brevissima sintesi della trama del film…un camionista (Kurt Russell) arriva a San Francisco dove incontra l'amico cinese Wang Chi. Quest’ultimo gli chiede di accompagnarlo in aeroporto a prendere la sua bella ragazza in arrivo dal Sol Levante. Appena giunta la fanciulla, una moretta con gli occhi verdi, viene rapita da tre cinesi tamarri. I nostri due eroi, come nella più classica delle trame fiabesche, si mettono sulle tracce della povera malcapitata finita schiava in un bordello di Chinatown. Nel corso della ricerca il camionista e l’amico si trovano nel bel mezzo di una lotta fra clan cinesi e “approfondiscono” la conoscenza con un’avvocatessa conosciuta in aeroporto (in altri termini, il camionista ci prova spudoratamente con lei). Il film prosegue con il rapimento, da parte delle tre temibili bufere (tre cinesi dotati di poteri magici) inviate dal famigerato Lo Pan, della ragazza cinese con gli occhi verdi e dell’avvocatessa. A questo punto i due eroi decidono di andare nel palazzo di Lo Pan per liberarle. Lì, dopo esserci battute con le tre bufere e con il padrone di casa, usciranno vittoriosi portando in salvo le due donzelle.


Il film rivisita in chiave ironica molti cliché del mondo orientale (la magia, le arti marziali, i clan, ecc. ecc.), nell’ambito di un contesto molto anni ’80 (basti vedere la canotta e la pettinatura di Kurt Russell!). La pellicola unisce qualche scena di combattimento marziale (non vi aspettate, però, un film alla Bruce Lee!) a un bel po’ di comicità. La trama non spicca certamente per originalità ma, d'altronde, si tratta sostanzialmente di una commedia e non di un film dai contenuti complessi.
I due personaggi che ho apprezzato di più sono Wang Chi che, contrariamente alla prima impressione, riesce a sconfiggere quasi da solo le tre bufere e, naturalmente, il temibile Lo Pan per il suo personaggio!!!! Ve lo consiglio come film, un ottimo modo per passare queste fredde e uggiose giornate invernali!


Alla prossima, sperando che la mia esigente redattrice (la Bolla) non mi abbia licenziato in tronco nel frattempo!

domenica 31 gennaio 2016

The Hateful Eight (2015)

Dear Quentin,

Hello. It's me (leggilo con la voce di Adele, per favore). Sono passati quattro anni dall'ultima lettera d'aMMore che ti ho scritto e sinceramente sono un po' arrabbiata. Innanzitutto, non hai mai risposto ma pazienza, so che mi pensi sempre tanto; seconda cosa, alla prima di The Hateful Eight a Roma c'era persino quella pucchiacca della D'Urso, ti costava tanto togliere il posto a lei e darlo a me? Tra l'altro, dovresti sapere che abito a Savona quindi poteva anche mettermi male andare a vedere il film proiettato in 70 mm come volevi tu ma, per fortuna, a questo ho posto rimedio: sono partita, sono andata fino all'Arcadia di Melzo (un postaccio, mi perdonino i Melziani, anche se il multisala dentro è davvero IL trionfo), solo per fare la Tua Volontà. E quanto ho goduto, santo Te.


'sti profani: "che differenza passa tra la versione 70 mm e quella normale?". Beh. Tolto che, almeno all'Arcadia, lo schermo era talmente grande e le immagini talmente profonde, ben definite e ricche che sembrava di essere DENTRO il film, a ghiacciarsi il midollo nella tormenta di neve o a passeggiare tra le quattro mura dell'emporio di Minnie sfiorando i personaggi presenti. E poi. Quattro minuti di Ouverture, a godersi l'inquietante melodia che il Maestro Morricone ha realizzato per il film senza che nessuna immagine scorresse sullo schermo, pregustandosi l'atmosfera di un western che tale non è, più giallo e horror che racconto di frontiera; la possibilità di avere inquadrature più ampie, consentendo allo spettatore di cogliere dettagli impensabili per un formato "moderno" (aspetto di vedere anche la versione digitale per capire meglio le differenze ma, Quentin bello, anche il mio occhio non allenato ha percepito la meraviglia!); un intermezzo di 12 minuti esatti, dopo il quale il film, per una volta volutamente interrotto al punto giusto, riprende con la tua garrula vocetta narrante a fare da ironico contrappunto alle tesissime vicende appena passate sullo schermo. Basterebbero solo queste poche cose per giustificare un pellegrinaggio nelle tre sale italiane che proiettano The Hateful Eight in questo formato ma la mia competenza non è tale da riuscire a descrivere e farti capire quale esperienza folgorante sia stata la visione "in glorioso 70 mm" del tuo film, quindi mi fermo qui: tanto l'hai girato tu, lo sai.


La storia, non te lo sto nemmeno a dire, l'ho adorata. Qualche vecchio barbogio che non voglio nemmeno nominare in una lettera destinata a te, ha osato dire che The Hateful Eight è noioso, pieno di dialoghi inutili, inconcludenti, altre bestemmie del genere. Ora, questa sensazione l'avevo provata nella prima parte di A prova di morte, sai benissimo che quel film tra tutti è quello che mi è piaciuto di meno (pur essendo sempre meraviglioso, ovvio!!!!), ma stavolta no, che ca**o. Ogni dialogo è funzionale, crea legami tra i personaggi, ci racconta qualcosa della loro personalità, viene ripreso nelle scene seguenti per arricchire di ulteriori significati le loro azioni, insomma, ogni parola spesa in The Hateful Eight (come anche ogni silenzio e ogni gesto) è INDISPENSABILE. Tre ore? Mi sono sembrate una e mezza, nemmeno. Alla fine ne volevo ancora. Quando comincia la parte "gialla", preceduta da un'infinità di scene atte a mettere dubbi non solo ai protagonisti ma anche allo spettatore, io ormai ero già catturata in quel "whoddunnit?" che parte dal primo incontro tra John Ruth e il Maggiore Marquis, ma ho dimenticato tutto nell'esatto momento in cui hai scelto di regalare a Samuel L. Jackson il ruolo migliore dai tempi di Pulp Fiction. Durante quel lungo monologo che conclude il primo tempo sono rimasta ipnotizzata, talmente appesa alle parole del Maggiore che il vero motivo del suo racconto ha colpito anche me come un colpo di pistola; poi, vabbé, è cominciata la peggior macellata dell'ultimo anno e vorrei conoscere UN solo spettatore capace di dire che The Hateful Eight è un film lungo, noioso ed inconcludente. A parte che ad un certo punto sembrava di vedere QUELLA puntata de I Griffin e mi sono sentita male per lo schifo e lo shock, sei riuscito a sconvolgermi non solo con il sangue ma anche con il tripudio di rivelazioni che ne è seguito, che hanno mandato a gambe all'aria buona parte del quadro accusatorio che mi ero fatta, ma anche con quel terribile flashback: in dieci minuti sei riuscito a spezzarmi il cuore e ad ammazzarmi d'ansia NONOSTANTE sapessi come sarebbe andata a finire la storia. Sei cattivo, ma ti amo.


Ti amo anche e soprattutto per avermi restituito delle Iene in gran spolvero. No, dico: unire Le Iene al western, alla storia americana della guerra di secessione, alle atmosfere claustrofobiche de La cosa. Solo tu potevi riuscirci. Tu e la manica di "bastardi" che hai messo assieme. Un po' di diludendo l'ho avuto dalla consapevolezza che non hai sfruttato al meglio gli adorati Tim Roth e Michael Madsen, troppo defilati povere creature, anche se Ted il Tuttofare pareva voler uscire dalle vesti di Oswaldo Mobray e dare idealmente il cinque al Christoph Waltz di Django Unchained. Samuel L. Jackson e Kurt Russell sono favolosi, Walton Goggins è esilarante e sei riuscito persino nella non facile impresa di rendermi gradito quel mollume di Channing Tatum ma i fiori all'occhiello di The Hateful Eight sono Jennifer Jason Leigh e Bruce Dern. Bruce Dern, santo cielo, che si "limita" a fare il vecchio rincoglionito!!! Come sei riuscito a rendere un personaggio simile una delle colonne portanti dell'intera vicenda lo sai solo tu... ma parliamo di Jennifer: un mostro. Mai una donna estrapolata dal contesto di un film horror è riuscita a farmi così "schifo" e allo stesso tempo ispirarmi tenerezza e simpatia. La sua trasformazione da semplice criminale a terrificante strega ricoperta di sangue e senza alcuna parvenza di umanità sul viso non è solo frutto dell'incredibile lavoro di Nicotero, Berger e compagnia, questa donna ha lavorato sugli sguardi, sui gesti, sulla voce (ma che bella è la sua ballata???) ed è diventata l'unico personaggio di sesso femminile capace di tenere testa a delle divinità maschili in guisa di attori! Vogliamo darle l'Oscar? Io lo farei ma so che la Academy ha altri progetti, ahimé. Tuttavia, credo che lavorare in un tuo film sia già di per sé il premio di una vita. Ah, voto 11 anche per avere inserito la sempre carinissima Zoe Bell e il figlio numero 1, povero sfigato.


In sostanza, aMMore mio, ho ADORATO The Hateful Eight. Probabilmente non entrerà nella cinquina dei tuoi film migliori ma ho già voglia di rivederlo e lo farò di sicuro, magari la settimana prossima, perché più ci penso più mi sembra meraviglioso. Sì, anche col doppiaggio italiano, nonostante quel paio di scelte scellerate (lo spagnolo parlato dal doppiatore italiano?? La canzone cantata prima in inglese POI in italiano? Eccheschifo, mettete due sottotitoli, santo Quentin!) e l'orrida voce che ti hanno appioppato. Ora ti saluto, "Mary mi sta chiamando", ha-ha. Ciccio, scherzavo: attendo tue nuove, non costringermi a scrivere una finta lettera di risposta come se fossi un Abramo Lincoln qualunque!!!

Sempre tua,
Bollina


Del regista e sceneggiatore Quentin Tarantino ho già parlato QUI. Samuel L. Jackson (Maggiore Marquis Warren), Kurt Russell (John Ruth), Jennifer Jason Leigh (Daisy Domergue), Walton Goggins (Sceriffo Chris Mannix), Demián Bichir (Bob), Tim Roth (Oswaldo Mobray), Michael Madsen (Joe Gage), Bruce Dern (Generale Sandy Smithers), Zoe Bell (Judy Sei Cavalli) e Channing Tatum (Jody) li trovate invece ai rispettivi link.

James Parks (vero nome James Jean Parks), interpreta O.B. Jackson. Americano, lo ricordo per film come Fuoco cammina con me, Dal tramonto all'alba 2, Kill Bill - Vol. 1, Kill Bill - Vol.2, Grindhouse, Grindhouse - A prova di morte, Machete e Django Unchained; inoltre, ha partecipato a serie come Buffy l'ammazzavampiri, Walker Texas Ranger, Nash Bridges, X-Files, Numb3rs, CSI, Bones e 24. Ha 48 anni e due film in uscita.


Tra gli altri attori segnalo la presenza di Gene Jones (protagonista di The Testament) nei panni di Sweet Jay. Parlando invece di chi non ce l'ha fatta

SPOILER

Viggo Mortensen avrebbe dovuto interpretare Jodie ma ha dovuto rinunciare perché impegnato in altri film; la morte di Jodie stesso avrebbe dovuto essere ben più brutale (mangiato vivo dai ratti dopo essere stato colpito da Warren e Mannix), così come quella del Generale (l'impatto del proiettile lo avrebbe dovuto spedire dritto tra le fiamme del camino) e di Warren (ucciso dalla stessa Daisy). In ultimo, The Hateful Eight è pieno di riferimenti ad altri film girati da Quentin: intanto si svolge nello stesso universo di Django Unchained, come testimoniano alcune delle selle presenti nelle scene, poi il personaggio di Tim Roth è sicuramente un antenato del Archie Hicox di Bastardi senza gloria. E queste sono solo un paio delle tante gioie nascoste in The Hateful Eight: se vi fosse piaciuto, recuperate TUTTA la filmografia di Quentin e riempitevi la vita d'aMMore! ENJOY!


Edit del 1/02/2016

Quentin ha risposto. E come il Maggiore Warren con Lincoln, mi bullo di quest'onore: Tié!


martedì 29 dicembre 2015

Bone Tomahawk (2015)

L'anno sta per concludersi ma io sono riuscita a recuperare ancora un ultimo scampolo di 2015 e a guardare Bone Tomahawk, scritto e diretto dal regista S. Craig Zahler.


Trama: in una cittadina di frontiera ai tempi del Far West, alcune persone vengono rapite da indiani cannibali. Lo sceriffo, assieme all'anziano vice e altri due uomini, vanno al salvataggio ma l'impresa si rivelerà molto pericolosa...


Oltre al cinema di fantascienza, un altro genere che non ho mai apprezzato più di tanto è il western (non cominciamo a nominare Django Unchained e il prossimo The Hateful Eight. Quello è aMMore, non western). E' per questo forse che, nonostante Bone Tomahawk abbia subito fatto gridare al miracolo quasi tutti i blogger che maggiormente stimo, la parte iniziale mi ha lasciata un po' freddina. Diciamo che ci ho messo del tempo per apprezzare i personaggi e le atmosfere, aiutata da una piccola spinta chiamata "David Arquette", attore al quale voglio notoriamente benissimo e che purtroppo si vede solo una decina di minuti scarsi ma una volta entrata nel mood è stato impossibile tirarmene fuori. Bone Tomahawk è infatti un western che solo verso la fine si colora di horror, un cinema di frontiera dal sapore antico che incontra le colline occhiute di Wes Craven e sviscera un orrore che preferisce celarsi tra le sterpaglie del torrido ed assolato deserto piuttosto che nelle ombre; prima ancora degli indiani cannibali, il vero orrore nel film di Zahler sono l'impossibilità di comunicare con la cittadina lontana, la consapevolezza che ogni minuto di sonno potrebbe significare la morte di chi si è andati a salvare oppure l'occasione per un bandito di prendersi la nostra vita, una "banalissima" gamba ingessata, la mancanza di acqua e viveri, l'ignoranza rispetto all'ambiente che ci circonda, l'età che comincia a farsi sentire e soprattutto la perdita di speranza o presenza di spirito. I protagonisti di Bone Tomahawk sono tutti carismatici a modo loro ma non sono affatto superuomini ed ognuno cerca di rendersi utile come può, dolorosamente consapevole dei propri limiti eppure pronto a superarli per riportare a casa le persone amate ed impedire che gli inermi cittadini vengano a poco a poco trucidati da una minaccia che pare quasi uscita da una leggenda superstiziosa.


Gli amanti del western impazziranno dunque per il modo in cui è stata diretta e scritta buona parte del film, impreziosito da una fotografia particolare che parrebbe quasi voler "spegnere" il calore del deserto con le fredde nebbie della morte, ma anche gli amanti dell'horror hanno di che gioire davanti a Bone Tomahawk e non parlo solo del sanguinosetto cameo di Sid Haig ma anche delle trucissime scene ambientate all'interno della grotta dei cannibali e, soprattutto, del modo assai realistico in cui sono state realizzate ferite "classiche" come quelle fatte da una freccia. Ai momenti di violenza "visiva" si accompagnano quelli ben più intensi di violenza psicologica, alimentati da un senso di minacciosa attesa che prende volentieri a schiaffi quello ben più puerile del Green Inferno di Eli Roth; il confronto finale tra Kurt Russel e il capo dei cannibali è da cardiopalma ma non è da meno l'operazione che subisce ad un certo punto Patrick Wilson, il quale si riconferma qui un grandissimo attore. Altro punto a favore di Bone Tomahawk è un cast di prim'ordine che sfrutta al meglio un duro come Kurt Russel, un caratterista di lusso come Richard Jenkins (il racconto del circo delle pulci sarà probabilmente inutile ai fini della storia ma ho pianto come una maledetta, ho adorato il vecchio Chicory) e un Matthew Fox che forse meriterebbe un po' più fortuna rispetto alla suo costante e quasi esclusivo impiego in ruoli televisivi. Come vedete, lo strano ibrido horror/western di Zahler mi ha lentamente conquistata nonostante la mia naturale ritrosia nei confronti del genere; aspettando The Hateful Eight mi sono degnamente consolata e consiglio a voi di guardare Bone Tomahawk nell'attesa che arrivi il febbraio dell'aMMore!


Di Kurt Russell (Sceriffo Hunt), Patrick Wilson (Arthur), Richard Jenkins (Chicory), David Arquette (Purvis) e Sid Haig (Buddy) ho già parlato ai rispettivi link.

S. Craig Zahler è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lavoro dietro la macchina da presa. Americano, anche compositore, ha 42 anni.


Matthew Fox interpreta Brooder. Americano, lo ricordo per film come World War Z e soprattutto per la serie Lost, oltre che per Party of Five. Anche regista, ha 49 anni e film in uscita.


Il progetto di girare Bone Tomahawk risale al 2012 e per allora ad interpretare i coniugi O'Dwyer avrebbero dovuto esserci Peter Sarsgaard e Jennifer Carpenter, con Timothy Olyphant nel ruolo di Brooder; la realizzazione della pellicola è stata poi rimandata, gli attori cambiati e per un po' Jim Broadbent ha addirittura sostituito Richard Jenkins, impossibilitato a partecipare proprio per i ritardi legati alla produzione. Detto questo, se Bone Tomahawk vi fosse piaciuto recuperate L'insaziabile. ENJOY!


martedì 6 dicembre 2011

La cosa (1982)

Siccome non lo vedevo da più di dieci anni e siccome sta per uscire nelle sale italiane il remake, ho deciso di riguardare in questi giorni La cosa (The Thing), diretto da John Carpenter nel 1982 e già remake de La cosa da un altro mondo del 1951.


Trama: all’interno di una base antartica un gruppo di uomini deve tenere a bada “la cosa”, un alieno in grado di assumere le sembianze di qualsiasi essere vivente, dopo averlo ucciso e assimilato.


Come ho detto, La cosa l’ho visto almeno una decina di anni fa, se non di più. Lo ricordavo noioso e di una lentezza rara, decisamente bruttarello, il che mi lasciava perplessa a ripensarci, visto che Carpenter è il mio regista horror preferito. Adesso mi chiedo cosa cavolo ho guardato all’epoca, perché La cosa di noioso e lento non ha proprio nulla, anzi! Erano anni che non mi capitava di venire catturata così da un horror e di provare una tensione palpabile, la curiosità di sapere “come va a finire” e “chi è il mostro”. Probabilmente allora ero stata confusa dalla fotografia un po’ buia, dagli ambienti tutti uguali e dall’abbondanza di personaggi appena abbozzati, cose che adesso con un po’ più di maturità apprezzo e trovo funzionali.


Il bello de La cosa, infatti, è questa lenta ma costante costruzione della tensione, di un senso crescente di paranoia, di claustrofobia. Immaginatevi di essere isolati dal mondo, in un inferno di ghiaccio, per mesi e mesi con le stesse persone… immaginatevi ora di venire minacciati da un alieno in grado di assumere le sembianze di chi vi sta vicino, senza possibilità di distinguerlo da un normale essere umano e sicuramente pronto a farvi la pelle appena avrete abbassato la guardia. L’idea di perdere il controllo di ciò che ci circonda, della nostra percezione della realtà, l’incapacità di distinguere l’amico dal nemico, l’isolamento fanno nascere sicuramente una paranoia che tende ad essere autodistruttiva, e Carpenter gioca molto su questo, riuscendo a riversare sullo spettatore le stesse sensazioni provate dai protagonisti de La cosa con un semplice espediente: mostrare il minimo indispensabile. Il regista ci preclude l’onniscienza, nessuno di noi sa chi, fra i personaggi del film, sia diventato la cosa (pare che non lo sapesse nemmeno lui!). Certo, ci aspettiamo che MacReady non lo sia ed arriviamo a prendere per vero quello che crede lui, ma ad un certo punto non siamo più sicuri neppure di quello, perché il personaggio è tutt’altro che infallibile e può essere facilmente ingannato. Alcune sequenze sono emblematiche di questo “gioco” del regista: l’inizio in primis, dove un cane viene inseguito e braccato senza un motivo apparente, lo stesso cane che si introduce in una stanza dove siede uno dei protagonisti, di cui vediamo solamente l’ombra (quindi chi è quello che, molto probabilmente, è stato infettato?), il finale dove i sopravvissuti si confrontano in un clima di diffidenza a dir poco palpabile.


Centellinare le apparizioni dell’alieno è quindi una diretta conseguenza della scelta di mostrare il minimo indispensabile. Per carità, gli effetti speciali del mitico Rob Bottin sono devastanti, ottimi, rendono proprio il senso dell’aberrazione incarnata da questo essere, della sua natura pericolosa ed ingannevole, e allo spettatore non vengono risparmiate le scene gore (peraltro una la ricordavo molto bene e lo strazio è stato proprio nell’attesa, nel non rammentare quando avrei dovuto chiudere gli occhi!) … ma il vero terrore nasce dalla consapevolezza che la cosa si trova tra i protagonisti e che è impossibile da individuare. Non a caso, la sequenza che più mi ha messo ansia è quella in cui MacReady riunisce tutti i compagni in una sola stanza e prova a smascherare l’alieno osservando le reazioni che il loro sangue presenta vicino ad una fonte di calore, ma sinceramente ad un certo punto mi bastava anche solo che il regista facesse dei primi piani per puntare il dito e dire “o Cristo!! E’ la Cosa!! E’ lui!! Si sta grattando il naso in modo ambiguo!” e questo per darvi anche un’idea di quanto siano bravi tutti gli attori coinvolti… e di quanto sia importante il bellissimo, minaccioso score di Ennio Morricone. Quanto al finale… eeh, il finale. Mah. Sinceramente, non so come prenderlo ma, personalmente, non l’ho vissuto come un happy ending, anzi. Contagiata dalla paranoia? Forse, ma conoscendo Carpenter le risoluzioni felici non esistono. E neppure i film davvero brutti, perdonami se ho dubitato, John!


Del regista John Carpenter ho già parlato qui (tra l’altro compare anche come attore, nei panni di uno dei norvegesi mostrati in uno dei filmati d’archivio), mentre qua trovate il solito trafiletto sul bellissimo Kurt Russell (MacReady) e qui quello su Keith David (Childs).

Wilford Brimley (vero nome Anthony Wilford Brimley) interpreta il Dr. Blair. Americano, lo ricordo per film come Il Grinta, Hotel New Hampshire, il meraviglioso Cocoon, l’energia dell’universo, Cocoon, il ritorno, Il socio e In & Out, inoltre ha partecipato a serie come Walker Texas Ranger. Anche stuntman, ha 77 anni.


Richard Masur interpreta Clark. Americano, lo ricordo innanzitutto per avere interpretato il “breve ma intenso” Stan Uris dell’It televisivo e per altri film come lo straziante Papà ho trovato un amico, L’uomo senza volto, Il mio primo bacio e Mi sdoppio in quattro; ha inoltre partecipato a serie come MASH, Happy Days e Blossom. Anche regista e sceneggiatore, ha 63 anni.


Donald Moffat interpreta Garry. Inglese, ha partecipato a film come Popeye – Braccio di ferro, Il falò delle vanità e A proposito di Henry, oltre a serie come La casa nella prateria, Dallas, La signora in giallo, Ai confini della realtà, Colombo. Ha 81 anni.


Nel cast doveva anche esserci il meraviglioso Donald Pleasence, già collaboratore di Carpenter nel bellissimo Il signore del male, ma l’attore ha dovuto rinunciare per impegni pregressi, mentre gente del calibro di Jeff Bridges e Nick Nolte hanno rifiutato il ruolo di MacReady. Passando invece all’ambiguo finale, pare ne esistano almeno due alternativi: uno in cui MacReady viene sottoposto a delle analisi del sangue, girato nel caso in cui il pubblico avesse mostrato reazioni negative verso quello “vero”, e un altro in cui un cane lascia la base, correndo tra i ghiacci. Finali a parte, dopo averne letto peste e corna comunico ufficialmente che il remake se ne starà dov’è e che, al massimo, lo recupererò in altro modo! ENJOY!

sabato 8 maggio 2010

Grosso Guaio a Chinatown (1986)

Dunque, siccome ho tenuto “ferma” questa recensione per un bel po’ di giorni, spero solo di non scrivere un’illeggibile schifezza e di rendere degnamente omaggio ad uno dei film che preferivo da piccola, ovvero quel piccolo capolavoro che è Grosso Guaio a Chinatown (Big Trouble in Little China), diretto nel 1986 da John Carpenter. Visto quando ancora passavano in tv e in prima serata dei film con le palle.

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La trama: il camionista Jack Burton si ritrova senza camion ed invischiato in una storia di leggende cinesi ed antica magia quando, arrivato a Chinatown, cerca di aiutare l’amico Wang Chi a liberare la promessa sposa Miao Yin dalle grinfie del demoniaco Lo Pan.

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Svuotate il cervello e mettetevi davanti allo schermo con un sacchetto di pop - corn, perché Grosso Guaio a Chinatown è un film d’avventura nel senso più stretto del termine, intrattenimento allo stato puro. I dialoghi sono serratissimi e necessariamente ironici e “cool”, come tutti i personaggi del resto, ma anche un po’ al limite del trash perché quello che conta è l’azione. E di azione ce n’è a pacchi, visto che Carpenter ci ha infilato dentro di tutto; magie cinesi, antiche leggende, arti marziali, sparatorie, mafia, demoni, mostri, belle ragazze. In pratica un’accozzaglia di ogni clichè dei film di genere, soprattutto quelli infimi, di serie Z.

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Eppure Grosso Guaio a Chinatown non è un film di serie Z, ma un bellissimo omaggio al genere. Tamarro quanto volete, ovvio, ma bello proprio per questo. C’è il tipico eroe canottierato, ironico e piacione che andava tanto di moda negli ’80 (Bruce Willis docet) e che, diciamocela tutta però, in questo film non fa altro che prendere botte salvo il colpo di puro culo finale; ci sono orde di cinesi che combattono, esibendosi in tutte quelle inutili mossette, preparazioni e coreografie che noi occidentali non abbiamo mai capito e mai capiremo probabilmente (di questi tempi un film simile sarebbe alla moda, ma pensate un po’ all’epoca quanto dovrà essere sembrato particolare, soprattutto per noi italiani abituati a Bud Spencer e Terence Hill…); c’è un malvagio dall’aspetto meravigliosamente kitsch, con quelle unghie lunghe tre metri, ma anche inquietante; ci sono mostriciattoli che sbucano, inaspettatamente, da ogni angolo, rendendo questo film ancora più ibrido; e infine c’è il meraviglioso saggio cinese, che nel tempo libero fa l’autista di pulman turistici, con più assi nella manica di un baro e più barbatrucchi di un Barbapapà. Se si è fan dell’horror, dei film di arti marziali, o più semplicemente dei vecchi action movie non si può non amare ciò che Carpenter ha messo in piedi, né perdersi nella sua atmosfera provando un bel po’ di nostalgia per quello che un tempo si poteva fare con effetti speciali dignitosi ma ben lontani dalla CG odierna.

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Certo, non si può dire che Grosso guaio a Chinatown sia perfetto. Al di là della pessima scelta di un’attrice come Suzee Pai che sembrerebbe una nativa americana più che una cinese, anche grazie alle lenti a contatto verdi, ci sono un po’ di buchetti nella trama. Personalmente, mi sono sempre chiesta da dove spuntasse l’avvocatessa Gracie Law e perché ne sapesse così tanto di leggende cinesi sconosciute ai più. Inoltre, all’inizio viene mostrato l’interrogatorio a cui un avvocato sottopone il vecchio Egg Shen, dopo che quest’ultimo è stato indicato, assieme a Jack, come distruttore di mezza Chinatown. Ovvio che chiunque avrà visto esplodere gli edifici, ma come diamine hanno fatto gli sbirri a sapere cosa è successo in sotterranei che erano praticamente l’anticamera dell’inferno cinese? A parte tutto, queste domande non compromettono il fatto che questo film debba essere un caposaldo per ogni figlio degli anni ’80 e una piacevole visione per chi ritiene che il cinema possa ancora essere un mezzo di sano, artigianale e semplice divertimento.

John Carpenter è il regista del film. Quest’uomo è uno dei maestri del cinema horror, assieme a Romero, Craven e Cronenberg, forse il mio preferito tra i quattro, per essere una “via di mezzo” tra la critica sociale di Romero, il cinema più “mainstream” di Craven e gli inquietanti deliri di Cronenberg. Tra i suoi film ricordo Halloween: la notte delle streghe, 1997: fuga da New York (e il suo seguito, Fuga da Los Angeles), La Cosa, Christine la macchina infernale, lo splendido Il signore del male, Essi vivono, Il seme della follia (forse il mio horror preferito dopo Shining), Il villaggio dei dannati, il meraviglioso Vampires e per la TV due episodi dei Masters of Horror, tra cui il migliore della prima serie, Cigarette Burns. Ha 62 anni e tre film di prossima uscita.

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Kurt Russell interpreta il mitico Jack Burton. Attore che ritengo ancora oggi affascinantissimo, assai attivo negli anni della mia infanzia, lo ricordo per film come 1997: fuga da New York (e il suo seguito, Fuga da Los Angeles), La Cosa; Tango & Cash, Stargate, Vanilla Sky e Grindhouse: A prova di morte (dove avevo già parlato di lui, ma siccome è uno dei vecchi post ed è fatto coi piedi, meglio riscrivere tutto!); inoltre ha partecipato ad un episodio del telefilm Charlie’s Angels. Come doppiatore, ha prestato la voce alla volpina di Red & Toby: Nemici amici e all’Elvis di Forrest Gump. Ha 58 anni e un film in uscita.

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Kim Catrall interpreta Gracie Law. L’attrice inglese, dopo una gavetta come gnoccolona nei film di genere, ha ottenuto il successo e la consacrazione internazionale grazie al telefilm Sex & The City e ai due film nati dalla serie, dove intrerpretava la più vajassa delle 4 sgallettate protagoniste. Tra gli altri film che contano la sua presenza segnalo Porky’s questi pazzi pazzi porcelloni (ossignur!), Scuola di Polizia, Il falò delle vanità e 15 minuti – follia omicida a Manhattan; per la tv ha partecipato a telefilm come Colombo, Starsky & Hutch, L’incredibile Hulk, Charlie’s Angels e Oltre i limiti, mentre ha doppiato serie come Rugrats e I Simpson. Ha 54 anni e due film in uscita.

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Tra l’insieme di attori di origine asiatica che affollano il film, segnalo Victor Wong, alias Egg Shen, che assieme a Pat Norita di Karate Kid detiene la palma di orientale più utilizzato nei ruoli di maestro di arti marziali per ragazzetti americani, e che ha recitato assieme a Dennis Dun (il co - protagonista Wang Chi) in un altro film di Carpenter, Il Signore del male. Invece James Hong, alias David Lo Pan, ha dato e darà la voce a Ping, il padre del panda Po in Kung Fu Panda e nel suo imminente seguito, Kung Fu Panda: The Kaboom of Doom. Ovviamente, a chi fosse piaciuto il genere, non posso non consigliare il mio film preferito della serie dedicata a Indiana Jones, ovvero Indiana Jones e il tempio maledetto, che fa il paio con Grosso Guaio a Chinatown per essere stato un mio mito d’infanzia; assai affine allo spirito un po’ “tamarro” dei due film, anche se più recente e più fantasy, è anche il carinissimo Stardust. E ora vi lascio con il trailer originale del film.... ENJOY!!






mercoledì 6 giugno 2007

Grindhouse - A prova di morte (2007)

Dopo tanto aspettare, ecco arrivare anche in Italia, finalmente, l'ultima fatica di Tarantino. Vero è che dobbiamo vederla, grazie ai fratelli Weinstein e al pubblico bue americano, sottoforma di un banale filn di due ore e passa, invece del divertissement cinefilo che doveva essere nelle intenzioni di Tarantino e Rodriguez, un doppio spettacolo intervallato da Trailers inventati ad hoc, omaggio ai film di serie Z anni 70 e alla cultura dei Drive-In. Tuttavia, al di là di questa mancanza (alla quale spero rimedierà un bel dvd fatto come si deve), a Tarantino donato non si guarda in bocca anche perché il film in sé, nonostante timori iniziali (lo ammetto) è un piccolo capolavoro.



La trama di Death Proof è quanto di più semplice ci sia al mondo, da buon omaggio ai B Movies anni 70. Stuntman Mike (Kurt Russell) è una maniaco che, sulla sua Mustang " a prova di morte" uccide le ragazze di cui si infatua, con un movente, ovviamente, non ben chiaro. Fine. The End. Questo è quanto. In questo film, più che in altre pellicole di Quentin, non è importante cosa ma COME. Al di là del fatto che i dialoghi a base di cibo, sesso, cinema, telefilm, cultura pop sono ormai un pò inflazionati, ciò che Quentin non ha perso ma, anzi, è diventato la base del suo cinema (forse per questo Death Proof potrà essere amato solo da regular Quentin fans  e cinefili incalliti) è il gusto per la citazione e l'omaggio cinefilo.

Detto questo, cominciamo col far notare che la pellicola si può dividere (ed è in effetti divisa) in due parti, prologo e 14 mesi dopo. Nella prima parte ci troviamo di fronte un gruppo di quattro sgallettate alle prese con un'uscita serale a base di ragazzi (uno dei quali è Eli Roth, regista di Hostel e Cabin Fever), alcool, marijuana e una scommessa. Questo frammento di film è un omaggio ai BMovies Horror anni 70, con protagoniste sexy, scosciate ma anche innocenti vittime del maniaco di turno, girati con interpreti trentenni che dovevano farsi passare per adolescenti o poco più. La pellicola è rovinata, Quentin ha avuto anche il coraggio di mettere i puntini neri tipici dei vecchi film la cui qualità è ormai logorata dalle frequenti proiezioni. Il montaggio è dilettantesco, la macchina da presa piuttosto statica, com' era all'epoca. La zampata Tarantiniana qui, qual è? La marea di riferimenti a pellicole più o meno conosciute, una colonna sonora da urlo (Down in Mexico , sulle cui note Butterfly regala a Stuntman Mike la famigerata Lap Dance che solo noi europei, chissà perché, possiamo vedere, è un pezzo splendido), autocitazionismo a piene mani (l'ossessione per i piedi, tipica di Quentin, diventa quasi caricaturale e percorre tutto il film. Si parla del Big Kahuna Burger, c'è un cameo dello stesso Tarantino nei panni del barista e torna anche lo sceriffo, interpretato da Michael Parks, che troviamo in Kill Bill e, prima ancora, in Dal Tramonto all'Alba, sempre accompagnato dal Son number one. Si potrebbe quindi dedurre che la storia narrata avvenga prima degli eventi di Dal Tramonto all'Alba, ma occhio: non siamo negli anni 70 anche se da macchine e abiti così parrebbe, e questo è il bello. Basta un cellulare per infrangere l'illusione, sicuramente escamotage voluto dallo stesso Quentin).



La seconda parte è un omaggio ai film di Russ Meyers, con le sue donne sexy, procaci e soprattutto forti e assassine, nonché ai film come il citato Punto Zero, giocattoloni a base di macchine, velocità e stunts. Proprio nel mondo del cinema e degli stuntman è ambientato questo segmento, che parla di quattro donne, meno sgallettate delle prime, perseguitate dallo stesso maniaco durante una pausa dal set. Lo stacco tra i due frammenti è dato dalla scritta 14 mesi dopo e dal fatto che l'inizio della seconda parte è in bianco e nero. Simbolo di una giuntura tra due pellicole mal eseguita, certo, ma mi pare che anche i film di Russ Meyers fossero in bianco e nero. Anche qui, colonna sonora meravigliosa (c'è anche l'omaggio ai poliziotteschi all'italiana), citazionismo a palate, da quello palesemente dichiarato al fantomatico Punto Zero che è alla base della trama, dialoghi che nominano film quali Zozza Mary Pazzo Gary (con un Peter fonda d'annata) e autocitazionismo: una delle protagoniste, Zoe Bell, era nientemeno che la stunt che sostituiva Uma Thurman in alcune scene di Kill Bill. Nel negozio dove Rosario Dawson va a fare spese si vede una guida TV con CSI in copertina (vorrei ricordare a chi ha vissuto su Marte che Quentin ha girato per la serie l'episodio Grave Danger), la suoneria del suo telefonino è la melodia fischiata da Daryl Hannah in Kill Bill, e una delle ragazze chiede un pacchetto di sigarette Red Apple, la marca inventata da Quentin che campeggia in ogni suo film. Può essere che mi sia sfuggito altro, o me lo sia dimenticato ma, direi che rendo l'idea.


Ma alla fin fin di tutto sto sproloquio... m'è piaciuto Death Proof?

SI mi è piaciuto un sacco e mezzo, è splendido per tutti i motivi elencati sopra e perché i rushdown finali di ogni parte, sia che il maniaco attacchi, sia che venga attaccato, sono una sintesi di quello che deve essere il meccanismo filmico che provoca terrore e ansia, ansia a palate.

Eeeeeeeeeeeeeeeh, non ci credo, ce l'avrà pure un difetto sto film?

Si, lo ammetto. La prima parte del film è più debole della seconda, non fosse altro che per i dialoghi interminabili e vuoti che non portano a nulla e a tratti non sono neppure divertenti. Altro difetto, se così si può chiamare è che questo NON è un film per tutti, e capisco che in America abbia fatto fiasco, così come farà fiasco anche in Italia. E' un film per fan di Quentin, che sanno come divertirsi con lui, col suo citazionismo, e per cinefili trash e insaziabili. Questi erano solo aspetti marginali nei suoi primi film, ma ora gioca parecchio su questo, e ogni film è uno scrigno prezioso per chi ha voglia di stare attento, non per chi cerca un film d'intrattenimento.

E ora, parliamo di Quentin Tarantino, che se non si fosse ancora capito è il mio regista (e sceneggiatore, e produttore) preferito. La sua abilità consiste nel ripescare antichi generi, film e attori (John Travolta, David Carradine, Daryll Hannah, Pam Grier devono ergergli un monumento) e renderli nuovamente cool, oltre che nel promuovere nuovi talenti (tra i registi il fratello di sangue Rodriguez, tra gli attori Michael Madsen, Steve buscemi, Tim Roth, Uma Thurman). Ex commesso di un videostore, divoratore insaziabile di qualunque genere di film, cultore del trash e del cool nonché sopraffino esperto di musica, esordisce nel 1987 con My Best Friend's Birthday un filmetto quasi introvabile girato tra amici. La consacrazione arriva nel 1992 con Le iene. Nel 1994 il film che poi diventerà un cult, Pulp Fiction, premiato con l'Oscar per la sceneggiatura (fu battuito come miglior film da Forrest Gump, tanto di cappello ma condivido poco). Dopodiché arriva l'episodio The Man From Hollywood  per il mezzo flop Four Rooms, Jackie Brown, la definitiva consacrazione a genio con Kill Bill e la collaborazione per Sin City. Attivo anche per la TV ha girato un episodio di ER e uno di CSI. Inoltre è anche un discreto e divertente attore, tra le sue comparsate memorabili (oltre che in quasi tutti i suoi film) cito quella in Dal Tramonto all'Alba, Alias, Desperado. Se siete dei veri fans trovatevi la puntata del Saturday Night Live presentata da lui, è esilarante. Quentin ha 44 anni e un film in produzione, il sospirato e rimandato da tempo Inglorious Bastard.



Kurt Russel è il killer della pellicola, Stuntman Mike. Vecchia gloria degli anni ottanta, compagno di Goldie Hawn (ma non padre di Kate Hudson) ha all'attivo parecchie pellicole più o meno storiche, tra cui ricordo 1997: fuga da New York dove da volto e voce all'icona Jena Plissken (in inglese Snake Plissken) così come avverrà nel seguito Fuga da Los Angeles, sempre di John Carpenter. Con lo stesso regista ha interpretato La Cosa e Grosso guaio a Chinatown, che personalmente adoro. Tra gli altri film più o meno famosi ricordo Vanilla Sky e Stargate. Ha 56 anni.


Rosario Dawson interpreta Abernathy, la protagonista del secondo segmento del film. La splendida attrice ha partecipato a La 25sima ora , splendida pellicola di Spike Lee, Sin City (nel ruolo di Gail), Clerks II e compare anche nelle scene eliminate di The Devil's Rejects di Rob zombie. Ha 28 anni e tre film in uscita tra cui il seguito di Sin City.



Vanessa Ferlito interpreta Butterfly, la protagonista del primo segmento di film. Ha partecipato a diverse serie televisive di successo tra cui 24 e I Soprano e CSI Miami. Ha partecipato al già citato La 25esima ora e inoltre ha una breve comparsata anche in Spider Man 2. Ha 27 anni.

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Rose McGowan interpreta Pam, la sfortunata hippie. Famosa per il ruolo di Paige Halliwell nel telefilm Streghe e per una relazione ormai conclusa con la rockstar Marilyn Manson, la ricordo volentieri in film come Scream e Amiche cattive. Ha un ruolo anche nel segmento Planet Terror di Rodriguez. Ha 34 anni e un film in uscita. Ecco come appare nei due segmenti di GrindHouse.

 Mora e con gambetta armata per Rodriguez....


Bionda e svampita per Quentin...











E ora, visto che i trailers di Grindhouse li ho già messi qui , beccatevi la chicca di Tarantino che partecipa a Muppet's Wizard of Oz e intimorisce Kermit.. da paura, ma for fans only ^^



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