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martedì 5 agosto 2025

Una pallottola spuntata (2025)

Domenica sera sono andata a vedere Una pallottola spuntata (The Naked Gun), diretto e co-sceneggiato dal regista Akiva Schaffer.


Trama: dopo l'apparente suicidio di un ingegnere informatico, l'agente di polizia Frank Drebin rimane coinvolto in una vicenda criminale che coinvolge la sorella del morto e il guru della tecnologia Richard Caine...


Se volete capire la differenza tra gli ZAZ (Jerry Zucker, Jim Abrahams, David Zucker, le menti dietro la trilogia originale de Una pallottola spuntata) e Seth MacFarlane, produttore del remake diretto da Akiva Schaffer, vi basta guardare in sequenza i due film omonimi, quello del 1988 e quello del 2025, come ho fatto io. Certo, il confronto è impari, andrebbe fatto tenendo in conto le opere realizzate all'apice della svogliatezza da entrambe le parti, ma anche così le differenze sostanziali non cambiano. Quello degli ZAZ è un umorismo universale e senza tempo, anche nei momenti di minor efficacia, radicato nei cliché storici della comicità demenziale e parodica, che hanno contribuito a sviluppare, ed è un giusto mix tra situazioni assurde veicolate dalle immagini in movimento e dialoghi surreali, con ovvie concessioni alla sfera sessuale e scatologica. Quello di MacFarlane è un umorismo di grana ancora più grossa, dove le concessioni diventano gag spesso infantili, e che fa ampio uso di un effetto nostalgia rabbioso, di un citazionismo a mitraglia che presupporrebbe una cultura nerd/pop smisurata; è un tipo di umorismo che adoro preso a piccole dosi, come per esempio nelle opere animate che hanno reso famoso MacFarlane, ma che mi lascia indifferente e anche un po' annoiata sulla lunga distanza, come è accaduto durante la visione dei suoi film da regista. Nel film di Schaffer, ciò si traduce, anche per colpa di un adattamento italiano fiacco, in un legacy sequel con tanti momenti di stanca, dove non si ride mai di cuore, neppure di fronte alle molteplici strizzate d'occhio a Una pallottola spuntata, di cui ricalca la trama aggiornandola (?, poi vi spiego perché ho messo un punto interrogativo) al gusto attuale. Frank Drebin Jr., come si intuisce, è il figlio del tenente Frank Drebin e, dal padre, ha ereditato l'invidiabile sicumera con la quale affronta ogni situazione nonostante un'incapacità e una stupidità congenite. Anche lui si ritrova ad avere a che fare con un caso che sembra uscito fuori da un film di James Bond, con tanto di machiavellico complotto ordito da un ricchissimo supercriminale apparentemente immacolato; anche lui si innamora di una femme fatale tenera e pasticciona, in qualche modo legata alle indagini in corso, facendo pace con una vita sentimentale fino a quel momento tragica. Questa è l'ossatura della trama, sulla quale Schaffer e gli altri sceneggiatori hanno innestato una serie di gag più o meno efficaci, davanti alle quali mi sono però spesso chiesta quale fosse il target del nuovo Una pallottola spuntata, da cui il punto interrogativo precedente.


I fan duri e puri di Una pallottola spuntata, ovviamente, hanno urlato allo scandalo, quindi li toglierei dall'equazione, perché dubito che il film fosse dedicato a loro. Le nuove generazioni sono un pubblico altrettanto implausibile, in quanto tantissime gag fanno riferimento a usi, costumi, gruppi e telefilm anni '90/inizio millennio, e rischiano di cadere nel vuoto anche con persone un po' più adulte, come la sottoscritta. Non fraintendetemi, il riferimento a Buffy the Vampire Slayer mi ha scaldato il cuore, ma non ho capito dove fosse l'ironia nella lunghissima sequenza dedicata al TiVo, e ho trovato molto cringe i dialoghi su Black Eyed Peas e Fergie, solo per fare un esempio, o la scelta di riproporre in maniera quasi filologica il "gioco delle ombre" porno di Austin Powers (lo so, Kevin Durand ha esordito proprio nel secondo film della saga, ma sono finezze da nerd). Spettatori di riferimento a parte, un altro problema del nuovo Una pallottola spuntata è Liam Neeson. Sulla carta, era la scelta perfetta, perché un candidato all'Oscar, da anni votato a una carriera di action "seri", poteva fungere da ottimo contrasto con le situazioni ridicole presenti nel film. Purtroppo, mentre Leslie Nielsen perdeva rarissime volte il suo aplomb e l'aura di uomo distinto venuto a trovarsi suo malgrado in un film comico, Neeson scivola spesso in un registro grottesco e caricaturale, e lo stesso vale per Danny Huston, con conseguenze nefaste su quel cortocircuito mentale che spingeva gli spettatori a ridere a crepapelle. All'interno di un cast all star, chi ne esce davvero a testa alta, confermando una rinascita che le auguro continui ancora a lungo, è Pamela Anderson, perfetta per il ruolo di Beth e unita a Neeson da un'alchimia reale, come si è poi visto sui vari red carpet, dove la coppia si è rivelata essere vera, nata proprio sul set. Forse per questo, forse per la presenza della topa impagliata, forse per dei titoli di coda che rispettano lo spirito dell'opera originale, forse per l'appuntamento con svolta horror (praticamente un film nel film), non sono riuscita a volere troppo male al nuovo Una pallottola spuntata. Non vi consiglio di spenderci dei soldi, né di guardarlo se la pellicola del 1988 è uno dei vostri capisaldi, ma quando uscirà in streaming magari vi servirà per passare una serata spensierata.   


Di Liam Neeson (Frank Drebin Jr.), Pamela Anderson (Beth Davenport), Paul Walter Hauser (Ed Hocken Jr.), Danny Huston (Richard Cane), CCH Pounder (Capo Davis), Kevin Durand (Sig Gustafson), Weird Al' Yankovic (se stesso) e Dave Bautista (se stesso) ho già parlato ai rispettivi link.

Akiva Schaffer è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Hot Rod - Uno svitato in moto, Vicini del terzo tipo, Vite da popstar e Cip e Ciop: Agenti speciali. Anche produttore e attore, ha 48 anni. 


Nel film compaiono anche il rapper Busta Rhymes, nei panni del rapinatore interrogato da Frank, e Priscilla Presley, che riprende il ruolo di Jane Spencer in un blink and you'll miss it tra i telespettatori dello spettacolo di capodanno. Una pallottola spuntata è il seguito del film omonimo e di Una pallottola spuntata 2½ - L'odore della paura e Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale quindi, se vi fosse piaciuto, recuperateli. ENJOY! 

martedì 8 aprile 2025

The Last Showgirl (2024)

Purtroppo a Savona hanno pensato bene di non fare uscire The Shrouds, quindi ho dovuto consolarmi con The Last Showgirl, diretto nel 2024 dalla regista Gia Coppola.


Trama: Shelly è una ballerina ultracinquantenne, impegnata da trent'anni nello show Le Razzle Dazzle, a Las Vegas. Quando arriva la notizia della chiusura improvvisa dello spettacolo, Shelly si ritrova a dover mettere in discussione la sua vita...


Come mi succede ormai da qualche anno, sono andata a vedere The Last Showgirl senza avere visto neppure un trailer, né sapere di cosa parlasse il film. Mi sono mossa "a sentimento", spinta da un cast di attrici che adoro, e curiosa di vedere come se la sarebbe cavata Pamela Anderson in quello che credo sia il suo primo film serio. Sono uscita dalla sala commossa, e con una gran voglia di riguardare Un sogno chiamato Florida, film con cui The Last Showgirl condivide il concetto di "morte del sogno americano" all'interno di uno dei luoghi simbolo della cultura popolare mondiale. Sean Baker raccontava lo squallore che circonda Disneyworld, in coloratissimi motel chiamati Magic Castle o simili, Gia Coppola racconta lo squallore nascosto dalle luci perenni di Las Vegas e, attraverso esso, parla dell'illusione di sentirsi parte di una magia eterna, immuni al tempo che passa, mentre il mondo attorno a noi cambia e diventa sempre meno tenero coi ruderi di una gloria ormai superata. Shelly ha 56 anni, per trenta ha lavorato in uno show (che noi non vedremo mai, per inciso) chiamato Le Razzle Dazzle, in cui bellissime ballerine in sontuosi costumi mostrano il corpo nudo o semi-nudo, impegnate in eleganti coreografie. Una sorta di Moulin Rouge a Las Vegas, quel tipo di spettacolo che attira sempre meno spettatori e turisti, tanto che, un giorno, arriva il fatidico annuncio: Le Razzle Dazzle chiuderà per sempre, e tanti saluti alle ballerine. Il mondo di Shelly crolla in un istante, quel mondo che la donna aveva bisogno di credere immutabile, soprattutto dopo aver sacrificato ad esso l'affetto della figlia, un possibile futuro a New York, una vita diversa. The Last Showgirl ha tantissime similarità non solo con Un sogno chiamato Florida, ma anche con il recente The Substance. Anche qui si parla di donne che non riescono a stare al passo coi tempi, che desiderano conservare l'illusione di essere bellissime e desiderabili, che vengono surclassate da ragazze più giovani e belle. A differenza di Elizabeth, però, Shelly non cova nel cuore acredine e disperazione, bensì l'ingenua speranza di poter continuare a rimanere sotto i riflettori per sempre, così com'è; se Elizabeth vede i suoi difetti al punto da scegliere di cambiare il proprio corpo, Shelly li ignora testardamente, chinando il capo ad ogni spostamento verso il fondo della fila di ballerine, pur di continuare a brillare, di rimanere in uno show sul cui manifesto c'è una lei di trent'anni prima, splendida e sorridente. 


Shelly è un personaggio positivo, benché non perfetto, ed è per questo che The Last Showgirl non prende mai la china di un Viale del Tramonto. La sceneggiatura del film, infatti, è molto attenta ad affiancare alla protagonista delle figure che rappresentano diversi modi di affrontare la terribile realtà al centro della trama. C'è Annette, che pur essendosi riciclata come cameriera non è mai riuscita a "crescere" e vive di stravizi come una ventenne; c'è Eddie, che non ha mai avuto problemi di vecchiaia e bellezza, sia perché è un uomo, sia perché è sempre rimasto dietro le quinte, nel lavoro e nella vita (ed è talmente clueless che persino il suo tentativo abbozzato di mansplaining fa tenerezza); ci sono Jodie e Mary-Anne, che mai vorrebbero il male di Shelly, ma hanno tutta la vita davanti per risolvere i loro problemi ed imparare dagli errori della loro "mamma" adottiva; c'è Hannah, che è veramente figlia di Shelly e che ha cercato di crearsi un futuro disprezzando chi ha scelto un successo effimero invece di passare l'esistenza con lei. L'interazione di Shelly con ognuno di questi personaggi ci permette non solo di scoprirne il carattere a poco a poco, ma anche di osservarne l'evoluzione a seguito del trauma subito, con tutte le umanissime reazioni di disperazione, rabbia, speranza e malinconia. Mai avrei pensato di scriverlo sul blog, ma Pamela Anderson è favolosa. In un mondo di Courtney Cox e Nicole Kidman, lei, un tempo paladina del ritocco estetico, ha scelto di mostrarsi al naturale, col volto deturpato dalla vecchiaia. Tutta la dignità infusa in questa scelta, la Anderson la riversa nel personaggio di Shelly, una donna fragile ma ottimista, orgogliosa di ciò che è stata e di ciò che potrebbe ancora essere, se il mondo non fosse un luogo così spietato. Vedere la Anderson vagare per le strade deserte di una Las Vegas fuori fuoco, o mentre si carica ogni sera di lustrini e trucco pesantissimo stringe già il cuore, ma mai quanto il confronto con il caustico regista di Jason Schwartzman (una delle sequenze più belle del film) o mentre sorride sul commovente finale, accompagnata dalle note di Beautiful that Way di Miley Cyrus.


Come ho scritto sopra, gli altri attori sono il sostegno perfetto alla performance sensazionale di Pamela Anderson. Sono tutti davvero bravi, ma il mio cuore è andato ad un'altra Signora, che non si vergogna assolutamente di mostrare i segni del tempo e della natura matrigna, una Jamie Lee Curtis consapevole di ciò che è stata (una grandissima, tostissima gnocca) e di ciò che sarà ancora, grazie alla sua personalità carismatica. Non c'entra nulla con The Last Showgirl ma sto rileggendo One Piece e lei sarebbe stata una Kureha perfetta. Che gran perdita. Tornando al film, una particolarità che, a causa della miopia e di un po' di astigmatismo, mi ha reso un po' difficile seguire inizialmente le immagini, deriva dalla scelta di Gia Coppola di girarlo come fosse un documentario, ispirata più dalle fotografie che dai film. E' stato fatto dunque largo uso di camera a mano, per seguire da vicino le attrici nei loro movimenti, con una predominanza di primi e primissimi piani che, a causa di lenti particolari, rendono molto sfocato tutto ciò che circonda il soggetto principale, e ciò è stato causa di un po' di mal di mare, almeno finché non mi sono abituata. Inoltre, Gia Coppola e la direttrice della fotografia, Autumn Durald Arkapaw, hanno scelto di non girare in digitale, ma su pellicola. Il risultato è che le immagini di The Last Showgirl sono permeate di toni caldi e molto morbidi, e risultano un po' sgranate, come se i protagonisti vivessero in un mondo da sogno che lentamente si sta disfacendo, lasciando dietro di sé nugoli di lustrini scintillanti, il glitter leggero sulla pelle di Shelly e il blu più triste a cui possiate pensare. Ho scritto il solito sproloquio confuso, quindi tenete a mente solo questo: The Last Showgirl è un film splendido e dovete assolutamente vederlo. Ne uscirete un bel po' depressi, ma è un film che parla anche di speranza, grazie ad alcuni dialoghi molto interessanti, e sta allo spettatore coglierla e farne importantissimo tesoro.


Di Kiernan Shipka (Jodie), Dave Bautista (Eddie), Jamie Lee Curtis (Annette), Billie Lourd (Hannah) e Jason Schwartzman (il regista) ho già parlato ai rispettivi link.

Gia Coppola (vero nome Giancarla Coppola) è la regista del film. Nipote di Francis Ford Coppola, ha diretto film come Palo Alto e Mainstream. Anche attrice, sceneggiatrice e produttrice, ha 38 anni. 


Pamela Anderson
interpreta Shelly. Canadese, famosa per il ruolo di C.J. Parker in Baywatch, ha partecipato a film come Barb Wire, Scooby-Doo, Scary Movie 3, Superhero - Il più dotato fra i supereroi, Baywatch e ad altre serie quali La Tata, Quell'uragano di papà e V.I.P. Vallery Irons Protection; come doppiatrice ha lavorato in Futurama e Stripperella. Anche produttrice e regista, ha 58 anni e un film in uscita, il remake de La pallottola spuntata


Brenda Song
, che interpreta Mary-Anne, era la London Tipton delle serie Zack e Cody al Grand Hotel e Zack e Cody sul ponte di comando. Se The Last Showgirl vi fosse piaciuto, recuperate Un sogno chiamato Florida. ENJOY!

mercoledì 6 marzo 2024

Dune - Parte due (2024)

Domenica siamo corsi a vedere Dune - Parte 2 (Dune - Part 2), diretto e co-sceneggiato da Denis Villeneuve a partire dal romanzo Dune di Frank Herbert.


Trama: dopo l'incontro-scontro con la tribù dei Fremen, Paul ne impara i costumi diventando uno dei guerrieri più potenti. Ma l'ombra di un futuro sanguinoso come Messia incombe su di lui...


Sarò priva di mezze misure: Dune - Parte 2 è un trionfo. Lo dico da profana, perché dal 2021, anno di uscita di Dune, non ho mica trovato il tempo di leggermi il romanzo di Herbert e, in tutta sincerità, ero persino riuscita a dimenticarmi il primo capitolo (guardato con estrema soddisfazione, per la seconda volta, nel weekend), quindi il mio è il commento a caldo di una mente fresca. Ripeto quello che avevo giù dichiarato tre anni fa: "Gli ultimi Star Wars, ma anche quelli vecchi, con tutto il rispetto, a Dune spicciano casa", e gli spiccia casa qualsiasi saga moderna, in primis i fumettoni Marvel da cui il regista ha preso tre quarti del cast. Serio ed epico, senza alcuna concessione nemmeno alla più piccola briciola di umorismo, Dune - Part 2 mette in scena la crescita di Paul Atreides, da rampollo in fuga di una nobile famiglia a ragazzo maturo, deciso a prendere il futuro tra le sue mani senza seguire un cammino che qualcuno ha scelto per lui, almeno per buona parte del film. Il desiderio di vendetta verso chi ha sterminato la sua casata lascia presto il posto a un sentimento più complesso verso la tribù dei Fremen, alimentato sì dall'amore verso la bella Chani, ma anche dall'ammirazione verso la tenacia, l'intelligenza e gli usi di un popolo ben lontano dall'accozzaglia di selvaggi dipinta dalla nobiltà ignorante. Purtroppo per Paul, il mondo di Dune è fatto di complotti vecchi di secoli, invischiato in una tela tessuta in primis dalle Bene Gesserit, ed è difficile sottrarsi ad apocalittiche visioni di un tragico futuro, quando quella stessa ignoranza che rende ciechi i nobili viene sfruttata per aizzare il fondamentalismo di popolazioni isolate, istigandole a combattere una guerra santa in nome di segni e profezie assai facili da manipolare e fare avverare. Se i terribili Harkonnen sono i nazisti, quindi orribili e malvagi per definizione, le Bene Gesserit sono la Santa Inquisizione, gli Atreides i Crociati e gli invasati Fremen dei fondamentalisti islamici, e ben sappiamo a cosa possa portare ogni tipo di estremismo, anche quello che nasce con intenti "buoni", soprattutto quando ci si distanzia sempre più dal popolo che si vorrebbe guidare, e subentrano interessi personali. 


Come già succedeva nel primo capitolo, Villeneuve fa corrispondere il valore della storia narrata alla grandeur di una fantascienza visiva fatta di mostruose navi spaziali che si muovono e crollano con la lentezza di giganti, trascinando con sé buoni e cattivi, di paesaggi sconfinati che lo schermo fa fatica a contenere, di battaglie epiche girate e montate con nitida chiarezza anche a fronte del limite del PG13 (che non impedisce la percezione di torture e morti orripilanti, soprattutto quando si ha a che fare con i mostruosi Harkonnen), il tutto con l'ausilio di una CGI mai invasiva né "finta". Un'altra cosa che adoro di Villeneuve è la capacità di dare ad ogni ambiente la sua personalità, sfruttando non solo la regia, ma anche la scenografia e i costumi, oltre che la coinvolgente colonna sonora di Hans Zimmer. Le inquadrature ampie della zona nord di Arrakis, la ricostruzione di questo deserto sconfinato, benché pericoloso, dove una comunione con la natura inclemente può garantire libertà e un futuro tranquillo, fanno a pugni con le sequenze realizzate per rappresentare la zona sud dei fondamentalisti, più claustrofobiche, con lo schermo che si riempie di impenetrabili tempeste di sabbia e folle di persone adoranti, chiuse all'interno di sotterranei dove la novella Reverenda Madre Jessica (sulla quale poi tornerò) tesse le sue trame. Il pianeta degli Harkonnen è invece un glaciale, geometrico orrore in odore di espressionismo tedesco, dove prevalgono il bianco e il nero di tristissimi fuochi d'artificio che "esplodono" silenziosi come macchie di inchiostro, mentre la natura "medievale" dei luoghi dove risiedono l'imperatore e la figlia viene richiamata da chiostri, mise che sembrano uscite dal ciclo arturiano e interni che, per quanto moderni, contengono elementi architettonici assimilabili a quelli di un castello. Alcune chicche, come l'inquadratura ravvicinata di formiche brulicanti sul cranio e sull'orecchio di un certo personaggio, oppure la rappresentazione iniziale delle truppe Harkonnen come silenziosi scarafaggi volanti, mi hanno fatto apprezzare la regia ancora di più e chissà quante cose ci sarebbero da dire dopo una seconda visione.


Per quanto riguarda gli interpreti, a me pare che Villeneuve sia riuscito a tirare fuori il meglio da ognuno dei coinvolti. Per quanto non mi sia mai strappata i capelli né per le doti recitative di Chalamet né per il suo fisico da twink, il ruolo di Paul Atreides gli calza a pennello, con quell'espressione malinconica e fiera che si ritrova, e ammetto di essermi parecchio emozionata nei momenti decisivi della sua ascesa a messia, con tanto di vecchia che urlava all'abominio e altri istanti di pura esaltazione che vi lascio scoprire. Il legame che si va a creare tra Paul e Chani viene reso alla perfezione non solo da un regista che rifugge la via dell'amore bimbominkia, ma soprattutto da due giovani attori dall'interessante alchimia, capaci di mantenere l'innocenza dei ragazzi e la consapevolezza quasi rassegnata di due persone adulte che ne hanno viste di cotte e di crude, scambiandosi sguardi e gesti che, sul finale, diventano commoventi. Tra le nuove aggiunte al cast spicca, neanche a dirlo, un irriconoscibile Austin Butler, affascinante nell'assoluta empietà di un personaggio che tiene tranquillamente testa al sempre valido Stellan Skarsgård e ad annientare il povero Bautista, mentre tra i "vecchi" non si può non citare un ottimo Javier Bardem assurto al ruolo di Paolo Brosio della situazione (grazie a Kara Lafayette, alla quale ho rubato la citazione!). Il mio cuore, però, sarà per sempre di Rebecca Ferguson. Se nel primo film l'attrice viveva di pochi sguardi fragili che la rendevano umana anche a fronte di una natura tenace e dura, ottimamente dissimulata, in Dune - Parte 2 Jessica perde ogni traccia di umanità (sia in una realtà che la vede spesso celata dietro veli e tatuaggi, ma anche in visioni da incubo) e diventa un'invasata dallo sguardo folle, pronta a tutto pur di favorire il figlio e metterla nello stoppino alle maledette vecchiacce che l'hanno resa così, trasudante di fascino e carisma dalla prima all'ultima inquadratura. Aspettare altri quattro anni per rivederla, conoscere il destino finale di Paul e cogliere più di uno scintillio della bellezza particolare di Anya Taylor-Joy sarà una cosa durissima, ma se Villeneuve riuscirà a confezionare un altro film come questo, varrà la pena soffrire!


Del regista e co-sceneggiatore Denis Villeneuve ho già parlato QUITimothée Chalamet (Paul Atreides), Zendaya (Chani), Rebecca Ferguson (Jessica), Javier Bardem (Stilgar), Josh Brolin (Gurney Halleck), Austin Butler (Feyd-Rautha), Florence Pugh (Principessa Irulan), Dave Bautista (Rabban), Christopher Walken (Imperatore), Léa Seydoux (Lady Margot Fenring), Stellan Skarsgård (Barone Harkonnen), Charlotte Rampling (Reverenda Madre Mohiam) e Anya Taylor-Joy (Alia Atreides) li trovate invece ai rispettivi link.


Stephen McKinley Henderson
e Tim Blake Nelson hanno girato delle scene nei panni, rispettivamente, di Thufir Hawat e del Conte Hasimir Fenring, ma sono state tagliate e i due attori sono stati ringraziati nei credit, mentre Sting ha rifiutato di comparire in un cameo. Non ce l'hanno fatta, invece, Bill Skarsgård e Barry Keoghan, in lizza per il ruolo di Feyd-Rautha; addirittura, per il ruolo di Margot Fenring si erano fatti i nomi di Elizabeth Debicki, Eva Green, Amy Adams, Natalie Dormer, Olivia Taylor Dudley e Gwyneth Paltrow. Inutile dire che Dune - Parte due va visto dopo Dune e, nel caso non vi basti, potete aggiungere anche il Dune di David Lynch o la miniserie televisiva Dune - Il destino dell'universo, oltre a leggere i libri. ENJOY!

mercoledì 24 maggio 2023

Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023)

Con tutta la calma del mondo, domenica sono finalmente andata a vedere Guardiani della Galassia Vol. 3 (Guardians of the Galaxy Vol. 3) diretto e sceneggiato dal regista James Gunn.


Trama: mentre Quill cerca ancora di riprendersi dal ritorno di Gamora e gli altri Guardiani della Galassia rimettono a posto Knowhere per renderlo la loro nuova casa, una minaccia dal passato di Rocket rischia di distruggere ogni cosa...


E così, James Gunn se n'è andato. Dopo alterne vicende che non starò qui a riassumere, il creatore dei Guardiani della Galassia cinematografici, ovvero l'unico Autore in grado di imprimere un minimo di personalità a una saga costretta necessariamente a confluire all'interno di un affresco più grande, ha trovato casa alla DC, come capo dei DC Studios. Grandissima perdita per l'MCU, se chiedete a me. Ovviamente, non starò qui a glorificare Gunn, e in tutta sincerità posso affermare che dimenticherò anche Guardiani della Galassia Vol. 3 nel giro di un mese o due, come del resto ho fatto con i suoi predecessori, ma mi sento anche di dire, altrettanto sinceramente, che il suo ultimo atto d'amore verso i Guardiani svetta rispetto alla merda che abbiamo dovuto inghiottire dopo il Doctor Strange di Raimi. Gunn ama i suoi personaggi e si vede; senza fare troppi spoiler, il regista è riuscito a chiudere il discorso cominciato nel 2014 con ogni singolo Guardiano e con l'idea di Famiglia, di quella misteriosa entità che riconosce ed accoglie chi si affida a lei, non importa quanto sia strano od imperfetto. Non è un caso che Thor sia stato calcioruotato fuori da quella stessa Famiglia, dove hanno cercato di infilarlo a forza per un periodo, perché lo spirito goliardico di Gunn non è lo stesso di Taika Waititi, che ha trasformato i personaggi in stupidi balocchi buoni solo per far ridere (a volte, neanche sempre) e si è abbandonato a vuoti esercizi di stile tamarri. Gunn è sempre stato bravo a raccontare storie, per quanto strane, e a farci affezionare ai suoi personaggi, e qui gioca delle carte molto crudeli per coinvolgerci nelle vicende di chi è stato letteralmente plasmato nel dolore e nella perdita, e che indossa da sempre una maschera di cinico o buffone per evitare che qualcuno possa anche solo avvicinarsi per cercare di riaprire ferite profondissime. Quindi si, ci si commuove parecchio guardando Guardiani della Galassia Vol. 3, e più che il sorriso strappato dai "soliti" Drax o Kraglin, dalla new entry Adam o da piccole, grandi guest star (ma ciao Nathan!), conta la catarsi offerta da sequenze violentissime di vendetta disperata, chiamate a forza da uno dei villain più odiosi e bastardi della storia del MCU.


Il mood di Guardiani della Galassia Vol. 3, d'altronde, viene stabilito fin dall'inizio, introdotto dalle note di una Creep versione acustica che già da sola è riuscita a magonarmi, e in diversi momenti, non solo alla fine, il film lascia allo spettatore quella sensazione di "crescita" ed abbandono, dolorosi ma positivi, che già avevo apprezzato col terzo capitolo di Toy Story (sempre per rimanere in ambito Disney. E mi auguro, con tutto il rispetto, che non esca MAI un Guardiani della Galassia vol. 4, perché vanificherebbe molti risultati raggiunti da questo film). Nonostante ciò, Gunn non dimentica di stare realizzando un film d'azione ambientato nello spazio e, lasciato più o meno a briglia sciolta, il regista si scatena. Le ambientazioni hanno delle scenografie interessanti e anche un po' schifosette (soprattutto il pianeta organico sede della Orgocorp), la varietà di pianeti ed il bestiario presenti nel film denotano una fantasia ed una cura sempre più rare da trovare all'interno di pellicole che ormai puntano solo ad aumentare il numero di personaggi titolari da sfruttare per eventuali serie streaming, e le sequenze d'azione sono uno spettacolo. Particolarmente notevoli, a livello di coreografia e pathos, sono quella iniziale che vede l'attacco di Adam, il finto piano sequenza sulle note di No Sleep Till Brooklin, e il delirio che coinvolge le bestie più pericolose dell'Alto Evoluzionario, a proposito del quale mi andrebbe di spendere due parole di elogio anche per Chukwudi Iwuji (attore mai visto né conosciuto prima, mannaggia), che interpreta a briglia sciolta un personaggio folle, spietato, senza alcuna possibilità di redenzione. Il resto del cast, non me ne vogliate, fa il suo senza che qualcuno svetti su altri, e per quanto mi riguarda in Guardiani della Galassia Vol. 3 non c'è nulla e nessuno che possa eguagliare lo sguardo triste e ferito di un procione interamente creato in CGI... forse giusto dei procionetti ancora più piccoli. O forse Sly, chi lo sa. Nonostante ciò, mi mancheranno tutti, belli e brutti, quindi See you, space cowboys: ovunque vi porterà la continuity del MCU, il viaggio con Gunn è stato molto bello e, per quanto mi riguarda, il regista lascerà di sé solo un bel ricordo!


Del regista e sceneggiatore James Gunn (che doppia Lamb-Shank, il mostrillo liberato da Mantis) ho già parlato QUI. Bradley Cooper (voce originale di Rocket), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Vin Diesel (voce di Groot), Sean Gunn (Kraglin/Giovane Rocket), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Will Poulter (Adam Warlock), Linda Cardellini (voce di Lylla), Elizabeth Debicki (Ayesha), Judy Greer (voce di War Pig), Sylvester Stallone (Stakar Ogord), Michael Rosenbaum (Martinex), Zoe Saldana (Gamora), Nathan Fillion (Master Karja), Michael Rooker (Yondu), Gregg Henry (Nonno Quill) e Seth Green (voce di Howard il Papero) li trovate invece ai rispettivi link.

Pom Klementieff interpreta Mantis. Canadese, la ricordo per film come Guardiani della Galassia Vol. 3, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Diamanti grezzi, The Suicide Squad - Missione suicida, Thor: Love and Thunder e The Guardians of the Galaxy: Holiday Special. Anche sceneggiatrice, ha 37 anni e due film in uscita, Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno e due.


Maria Bakalova, che presta la voce a Cosmo, era stata candidata all'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista per Borat - Seguito di film cinema, dove interpretava la figlia di Borat. Nel film compare anche Lloyd Kaufman, in un ruolo citato come Gridlemop. Guardiani della Galassia vol.3, ovviamente, segue Guardiani della Galassia vol. 1 e vol. 2, oltre al The Guardians of the Galaxy: Holiday Special; per dovere di completezza, però, dovreste aggiungere anche Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Thor: Love and Thunder e la serie animata Io sono Groot (trovate tutto su Disney +) ENJOY!


martedì 14 febbraio 2023

Bussano alla porta (2023)

Siccome neppure questo film è uscito a Savona, sfruttando una giornata di shopping compulsivo all'Ikea ho trascinato il Bolluomo a Genova a vedere Bussano alla porta (Knock at the Cabin), diretto e co-sceneggiato dal regista M. Night Shyamalan a partire dal romanzo La casa alla fine del mondo di Paul Tremblay. Niente spoiler, tranquilli!!


Trama: mentre Wen e i suoi due papà, Eric ed Andrew, sono in vacanza al lago, quattro persone si presentano al loro chalet, armati e con una terribile richiesta...


Toc toc! Chi è? Ussignur, non aprire che c'è Bautista e se gli gira il belino con una schicchera ti scombina le ossa. Ah no, aspetta, peggio ancora: c'è il Ron Weasley di un universo alternativo dove alla magia si sono sostituite le droghe pesanti. Seh, ti piacerebbe: in realtà c'è Shyamalan che vuole venderti la mitica friggitrice ad aria, così poi ti tocca finire su Cucinare Male, e forse questa è la cosa peggiore di tutte. Insomma, chiunque stia bussando alla vostra porta, da che mondo è mondo, se vi trovate in un thriller horror sarebbe meglio non aprire, perché le conseguenze non sono mai belle, soprattutto quando al timone di tutto c'è Shyamalan. Visto che il regista ormai alterna un film decente a un film orribile e che la sua ultima pellicola, Old, era un disastro involontariamente comico, stavolta è andata bene e Bussano alla porta si è rivelato un'opera assai piacevole, almeno fino a un certo punto. Shyamalan si è affiancato ad altri due sceneggiatori per adattare il romanzo La casa alla fine del mondo di Paul Tremblay che, miracolo dei miracoli!, sono riuscita a leggere a gennaio proprio per prepararmi a Bussano alla porta; le due opere sono fondamentalmente identiche salvo per un dettaglio non proprio minuscolo, il quale, tuttavia, non inficia la bontà dell'adattamento filmico che, in sostanza, mantiene il nucleo fondamentale di una home invasion atipica ai danni di una famiglia adorabile, composta dalla splendida, dolcissima Wen e dai suoi due papà. In vacanza, questi ultimi si ritrovano alla porta quattro personaggi armati di oggetti dall'aspetto assai pericoloso, i quali pretendono di entrare in casa e di parlare, costringendo la famigliola a prendere una decisione terribile ma importantissima per il futuro dell'umanità tutta. I quattro, nonostante l'aspetto minacciosissimo, promettono di non usare alcuna forma di violenza su Wen e i suoi papà, il che ovviamente è una svolta straniante per lo spettatore, il quale si aspetta che la decisione venga estorta alla famiglia con la forza, e la convinzione che, prima o poi, i quattro invasori disattenderanno la promessa, è il primo strato di una spessa coltre di inquietudine che permane fino alla fine di Bussano alla porta.


Allo stravolgimento delle dinamiche di base del genere home invasion si aggiunge un progressivo ma costante mutamento dei punti di vista attraverso i quali vengono raccontati gli aspetti fondamentali della vicenda, aspetto che contribuisce ancora di più all'incertezza dello spettatore. Se, all'inizio, i papà di Wen rappresentano la razionalità assoluta contrapposta ai deliri mistici dei quattro invasori, gli sceneggiatori si prefiggono di instillare anche in Eric ed Andrew, a poco a poco, il tarlo del dubbio e lo stesso, con una mossa speculare, avviene verso il finale con i loro aguzzini, in un costante ribaltamento di ruoli che mantiene vivi sia la tensione che l'interesse verso la vicenda; di più, per chi non avesse letto il romanzo c'è anche la questione dell'attesa di un possibile Shyamalan twist a cui il regista ci ha abituati da anni, e l'ovvia conseguenza di questa abitudine è la necessità di non perdersi neppure un dettaglio di ciò che viene mostrato sullo schermo. A tal proposito, Shyamalan sarà anche (almeno per quanto mi riguarda) uno sceneggiatore sopravvalutato, ma come regista c'è da togliersi il cappello. Bussano alla porta è un trionfo di primissimi piani schiaccianti e riprese claustrofobiche, con alcune sequenze ad altezza bambino che rappresentano alla perfezione il senso di sconfortata impotenza di chi si ritrova piccolo ed inerme davanti a qualcosa di incomprensibile (il che vale anche per gli adulti presenti, e l'ho trovata una cosa geniale!), intervallate da allucinati ed allucinanti sguardi al mondo esterno, che si traducono in momenti da incubo. Shyamalan, stavolta, mostra anche di saperci fare col cast e si accaparra un Bautista perfetto per il ruolo di Leonard, che dal romanzo risulta essere un gigantesco capo farlocco, un umanissimo signor nessuno diventato protagonista per caso, il che costringe l'attore ad un'interpretazione misuratissima che non scade mai nel ridicolo, e anche gli altri attori brillano di luce propria. C'è qualcosa, sul finale, che non mi è andato assolutamente giù e ne parlerò dopo la Batista Bomb messa come riga dello spoiler, ma è qualcosa che magari ha dato fastidio solo a me e che non dovrebbe dissuadervi dall'andare in sala a godervi Bussano alla porta, che abbiate o meno letto La casa alla fine del mondo, in quanto merita almeno una visione. Non è uno dei film più felici che vi capiterà di vedere, ma quale film lo è in questo periodo? 


SPOILER:

Mamma mia quanto mi ha urtato lo spiegone finale messo in bocca ad Eric, agnello sacrificale costretto a convincere il compagno ad ucciderlo per salvare l'umanità. La storia dei quattro cavalieri dell'Apocalisse, accompagnata da agili "diapositive" dei quattro invasori, nel caso ce li fossimo già dimenticati dopo 5 minuti dalla loro progressiva dipartita, mi ha fatto scendere i marroni a un livello tale che giusto la commovente sequenza in macchina con Wen e il papà superstite è riuscita a tirarmeli un pochino su. Certo, la spontanea rinuncia alla propria vita per un bene più grande, unita alla fiducia cieca verso l'umanità tutta, è coerente con una sceneggiatura che risparmia allo spettatore la morte di Wen (per fortuna!), là dove il romanzo era di un pessimismo fuori dalla grazia di qualunque divinità, ma lo stesso, secondo me, si poteva trovare un modo meno didascalico di concludere il tutto. Eh, lo so, purtroppo Shyamalan è fatto così e dobbiamo tenercelo e di sicuro meglio il piccolo spiegone di Bussano alla porta che lo spiegone fatto a film che era Old, però che due palle cubiche, Manoj!


Del regista e co-sceneggiatore M. Night Shyamalan, che compare anche come conduttore di televendite, ho già parlato QUI. Dave Bautista (Leonard) e Rupert Grint (Redmond) li trovate invece ai rispettivi link. 

Jonathan Groff interpreta Eric. Americano, ha partecipato a film come American Sniper e a serie quali Mindhunter; come doppiatore ha lavorato in Frozen - Il regno di ghiaccio (è la voce originale di Kristoff), Frozen 2 - Il segreto di Arendelle, Frozen Fever, Frozen - Le avventure di Olaf e I Simpson. Anche produttore, ha 38 anni. 


Nikki Amuka-Bird interpreta Sabrina. Nigeriana, ha partecipato a film come Omen - Il presagio, Coriolanus, Panama Papers, Old e a serie quali Doctor Who. Ha 47 anni. 


Se Bussano alla porta vi fosse piaciuto recuperate The Visit, The Strangers e Noi. ENJOY! 

venerdì 13 gennaio 2023

Glass Onion - Knives Out (2022)

Visto quanto mi era piaciuto Cena con delitto - Knives Out, sono saltata sulla sedia all'idea del seguito, Glass Onion - Knives Out (Glass Onion), film diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Rian Johnson e disponibile su Netflix.


Trama: Un multimilionario convoca i suoi amici più stretti su un'isola deserta di sua proprietà, per un weekend "con delitto". Quando però fa la sua comparsa il detective Benoit Blanc, il delitto si compie sul serio...


Aspettavo con gioia il ritorno di Daniel Craig e del suo Benoit Blanc, detective sui generis dall'accento improbabile, ma di Glass Onion avevo letto le peggio cose, quindi ero pronta a rimanere delusa. Per fortuna, col Bolluomo ci siamo fatti un paio d'ore di sane risate, riuscendo anche a mettere in pausa la visione nel momento clou per cenare e riprendere ancora più fomentati di prima, quindi per quanto mi riguarda Glass Onion è un film perfettamente riuscito. Certo, la differenza con Cena con delitto è lampante, ché nel film del 2019 c'era una critica sociale molto più marcata, forse anche perché Johnson era reduce dallo stress di Star Wars ed era probabilmente (e giustamente) incattivito, mentre Glass Onion presenta personaggi ancora più assurdi del suo predecessore e, per quanto alcuni "tipi sociali" siano ben riconoscibili, le loro caratteristiche sono talmente esagerate da rendere il sequel di Knives Out ancora più parodico e legato ai modelli storici che lo hanno ispirato. Dunque, si potrebbe benissimo dire che Glass Onion è forse più superficiale, ma siccome da questo genere di prodotti non cerco alcun genere di riflessione seria, per quanto mi riguarda va benissimo così: fin dall'inizio il film intriga ed intrattiene, presenta le potenziali vittime/assassini sfruttando un paio di sequenze esilaranti e dei rompicapi da far invidia a Hellraiser, e qui e là getta i semi del vero whodunnit?, che comincia a svilupparsi seriamente nel momento in cui tutte le pedine, Benoit Blanc compreso, mettono piede sulla favolosa isola privata del geniale imprenditore Miles Bron (un misto di Zuckerberg, Begos, Musk e tutti i magnati antisociali che popolano questa terra). Ovviamente, ognuno degli stretti amici di Miles avrebbe un motivo perfetto per ucciderlo e il padrone di casa, con sommo scorno del detective Blanc, decide di "stuzzicarli" proponendo un weekend con delitto, ma questa è solo la superficie di una trama stratificata come la cipolla del titolo, che nasconde più di quanto salta all'occhio nella prima mezz'ora di film. Altro non aggiungo, ovviamente, per non rovinare la sorpresa a quel paio di persone che devono ancora vedere Glass Onion.


A livello di realizzazione, ciò che mi ha molto entusiasmata è lo sforzo incredibile degli scenografi. Se in Knives Out la scenografia era fondamentale per arrivare alla risoluzione del delitto, in Glass Onion essa rappresenta lo sfarzo vuoto e la volontà di impressionare e distogliere l'attenzione, privilegiando contorti argomenti arzigogolati ma privi di contenuto a una diretta semplicità che sbatte in faccia la verità senza troppi fronzoli (attenzione, però: nella citazione più bella del film si sottolinea che "bisogna stare attenti a non confondere il parlare senza pensare col dire la verità"); per questo, l'isola di Miles Bron è un trionfo di assurde architetture, zeppo di oggetti d'arte di ogni genere, tecnologie d'avanguardia, sfacciata opulenza e luci al neon, e lo stesso vale per l'ingegnoso rompicapo inviato a mo' di invito, che nasconde molto più di un biglietto, come diverrà chiaro verso la fine del film. Per quanto riguarda gli attori, ognuno di loro è ugualmente detestabile e, ovviamente, adorabile proprio per questo motivo. A parte un paio di guest star che non vi spoilero (una mi ha spezzato il cuore, l'altra mi ha slogato la mascella, ma d'altronde non mi aspettavo che Blanc fosse convenzionale!) e a parte la raffinatezza di un Daniel Craig che si riconferma mattatore assoluto, sono rimasta nuovamente colpita dalla versatilità dell'affascinante Janelle Monáe, che non sfigura davanti a un divertitissimo Edward Norton e all'esilarante prezzemolino Dave Bautista, ma il mio personaggio preferito è senza dubbio quello interpretato da Jackie Hoffman, che ha conquistato il mio cuore pur col suo brevissimo minutaggio. Dopo le mattonate di Kenneth Branagh e del suo insopportabile Poirot, quello di Knives Out si riconferma dunque, almeno per me, il franchise "giallo" che preferisco e non vedo l'ora che Johnson realizzi un terzo capitolo, soprattutto ora che un crossover con i Muppets si è rivelato un rumor privo di fondamento!


Del regista e sceneggiatore Rian Johnson ho già parlato QUI. Daniel Craig (Benoit Blanc), Edward Norton (Miles Bron), Janelle Monáe (Andi Brand), Kathryn Hahn (Claire Debella), Leslie Odom Jr. (Lionel Toussaint), Kate Hudson (Birdie Jay), Dave Bautista (Duke Cody), Ethan Hawke (Uomo efficiente), Hugh Grant (Phillip) e Joseph Gordon-Levitt (doppia l'orologio quando suona) li trovate invece ai rispettivi link.

Jessica Henwick interpreta Peg. Inglese, ha partecipato a film come Star Wars - Il risveglio della Forza, Underwater e a serie quali Il trono di spade, Luke Cage, Iron Fist e The Defenders. Anche sceneggiatrice, regista e produttrice, ha 31 anni e un film in uscita.


Il film si ispira molto a Un rebus per l'assassino, sceneggiato dallo stesso Stephen Sondheim che compare, nei panni di se stesso (altri VIP che compaiono nel film, tra i quali una che non spoilero, sono la tennista Serena Williams e l'attrice Natasha Lyonne), durante la multichat iniziale con Benoit. Non l'ho mai visto ma potreste recuperarlo, assieme a Cena con delitto - Knives Out, se vi fosse piaciuto Glass Onion. ENJOY!

martedì 23 agosto 2022

Thor: Love and Thunder (2022)

Aiuto. E' passato più di una settimana da quando ho visto Thor: Love and Thunder, diretto e co-sceneggiato dal regista Taika Waititi. Spero di ricordarmi ancora qualcosa.


Trama: Thor viene richiamato dal suo esilio nello spazio nel momento in cui Gorr, il distruttore di dei, attacca il nuovo regno di Asgard. Lì, Thor si trova di fronte la sua ex fidanzata Jane Foster, scelta dal martello Mjolnir per diventare la Potente Thor.



Se non altro questa volta ero preparata. Dopo i primi due serissimi (e ammorbantissimi, almeno per quanto riguarda The Dark World) Thor, la visione di quell'invereconda trashata di Ragnarok mi aveva lasciata basita, mentre stavolta Love and Thunder non mi ha sconvolta, anche se Waititi ha messo di sicuro il turbo alle meenchiate portate sullo schermo, a maggior ragione perché, da brava Dory dei poveri, prima di andare al cinema ho riguardato la trashata di cui sopra. Devo inoltre ammettere di averla trovata meno orribile di quanto (non) ricordassi e riconosco che l'aver stravolto completamente la natura seriosa di un personaggio anacronistico come una divinità vichinga, trasformandolo da babbalone malinconico a supereroe babbeo, è senza dubbio vincente; certo, continuano a sanguinarmi le orecchie davanti a "zio del tuono", ma non è colpa di Waititi, quanto di un adattamento italiano orribilmente cciovane. Ma parliamo di Love and Thunder. La vita di un Thor sempre più scemo viene raccontata con toni epici attraverso la voce dello stesso regista (il doppiatore originale del personaggio che funge da narratore, Korg), il quale ribadisce così la paternità di questa versione folle del Dio del Tuono, al punto da permettersi di tornare sui suoi passi e colmare le mancanze del precedente capitolo nel modo che più gli è congeniale, trasformando così un film di supereroi in uno strampalato film d'amore dove i protagonisti sono Thor, la sua ex fiamma Jane Foster, il martello Mjolnir e l'ascia Stormbreaker. L'Amore è il fil rouge di ogni vicenda della pellicola e ogni personaggio chiave ha il suo percorso di caduta e redenzione ad esso legato: il villain Gorr diventa un mostro per amore della figlia defunta, Thor rifiuta l'amore per timore di soffrire e per questo è solo, triste ed imperfetto, Jane (afflitta da un tumore incurabile) diventa la Potente Thor per amore di un martello, un'ascia perde il controllo per gelosia, e così via, fino ad arrivare a chi di amore ne è privo, ovvero le divinità, che invece dovrebbero provarne in abbondanza verso chi crede in loro. 


Come ho scritto su, il film si dimentica facilmente, anche perché procede per accumulo di assurdità visive e scene spettacolari che pure si conformano, comunque, allo standard Marvel nonostante fingano originalità e weirdness, dal momento in cui tutto fa parte della Fase 4 del MCU e ogni cosa è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo, ovvero il completamento della "Saga del Multiverso" di cui vedremo la fine nel 2025 (aiuto!!!!). L'unica cosa che veramente spicca in Thor: Love and Thunder, ancora più delle capre urlanti, della colonna sonora cafona e delle chiappe nude di un Chris Hemsworth al quale vanno tutti i miei complimenti per la fisicata, è Christian Bale, un uomo che probabilmente riuscirebbe a rendere interessante anche l'interpretazione di un comodino. Il suo Gorr è un mostro uscito dritto da un film dell'orrore, il babau che ti aspetti di vedere sotto il letto, una creatura in grado di prendere a coppini ogni versione di Pennywise riducendola a intrattenimento per bambini, e non è merito solo del trucco; probabilmente, Bale si è pensato alla perfezione il personaggio di Gorr dandogli tutta la tridimensionalità di cui era privo il post-it su cui Waititi avrà vergato giusto due appunti, infondendo, in quello che dalle foto di scena sembrava uno Zio Fester magrolino e nulla più, tutta la dignità, la disperazione, l'odio e il disprezzo di un uomo tradito dalla fede (forse scrivo questo perché sono Team Gorr, al quale viene davvero difficile dare torto, ma sfido chiunque abbia visto il film a dire di non avere tifato per lui per più di metà pellicola). Purtroppo, la complessità incarnata da Bale fa a pugni con troppa faciloneria da parte di Waititi, che la fa spesso fuori dal vaso: il pre-finale non ha senso, con Thor che conferisce la "dignità" nemmeno fosse la Santità di Padre Maronno, al finale che spiega il significato del titolo volevo alzarmi e andarmene, ché non ci sono già abbastanza supereroi che cicciano fuori al ritmo di venti al mese nel MCU, ma la cosa che mi ha infastidita di più è il modo in cui è stato gestito il tumore di Jane, maneggiato con la delicatezza di un elefante e l'umorismo inopportuno di un Boldi qualsiasi. Arrivati a questo punto, siccome Thor "thornerà", io spero davvero che Waititi trovi un equilibrio tra commedia e tragedia, altrimenti il quinto episodio della saga (se mai ci sarà) sarà la zappa che il regista rischierà di darsi sui piedi, mettendo a rischio la sua carriera cinematografica per portare avanti la sua fama di "trollone". Incrocio le dita perché ciò non accada, sarebbe davvero un peccato dopo tutte le belle opere che ci ha regalato. 


Del regista e co-sceneggiatore Taika Waititi, che doppia anche Korg e il dio Kronano, ho già parlato QUI. Chris Hemsworth (Thor), Natalie Portman (Jane Foster/La Potente Thor), Christian Bale (Gorr), Tessa Thompson (Re Valchiria), Russell Crowe (Zeus), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Sean Gunn (Kraglin/On-Set Rocket), Vin Diesel (voce di Groot), Bradley Cooper (voce di Rocket), Matt Damon (attore che interpreta Loki), Idris Elba (Heimdall), Melissa McCarthy (attrice che interpreta Hela) e Sam Neill (attore che interpreta Odino) li trovate invece ai rispettivi link.  

Jaimie Alexander torna nei panni di Sif dopo l'assenza in Thor: Ragnarok e lo stesso vale per Kat Dennings, la cui Darcy Lewis era tuttavia una presenza preponderante nella serie Wanda/Vision. Torna anche Luke Hemsworth, uno dei fratelli di Chris, nei panni della versione teatrale di Thor, e non è l'unico membro della famiglia ad essere presente nel cast: i figli di Chris Hemsworth, Sasha e Tristan, interpretano Thor da bambino, India Rose è la figlia di Gorr (ribattezzata Love sul finale), e la moglie di Chris, Elsa Pataky, è la donna lupo. Per godere appieno di Thor: Love and Thunder, infine, recuperate  ThorThor: The Dark WorldGuardiani della galassiaGuardiani della Galassia vol. 2, Thor: Ragnarok, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame e le serie Wanda Vision e Loki. ENJOY!

martedì 28 settembre 2021

Dune (2021)

Di ritorno dalla vacanza settembrina, sono corsa a vedere Dune, diretto e co-sceneggiato dal regista Denis Villeneuve a partire dal romanzo omonimo di Frank Herbert


Trama: in un lontano futuro, il pianeta Arrakis è teatro di guerre all'ultimo sangue per il controllo della Spezia, indispensabile elemento per navigare nello spazio. A farne le spese, i membri della casata Atreides, inviati dall'imperatore proprio su Arrakis...


Io sono estasiata. Felice, assolutamente e per una volta, della mia ignoranza crassissima. Credo infatti di essere parte delle pochissime centinaia di persone in tutto il mondo che sono andate a vedere Dune senza sapere nulla non solo di tutto l'universo creato da Frank Herbert, ma anche delle altre due fallimentari (a quanto pare) versioni cinematografiche e televisive che sono state tratte dal primo libro della saga; di conseguenza, penso di essere stata anche una dei pochi spettatori che si sono goduti un racconto completamente nuovo, magico e misterioso, fatto di personaggi complessi e colpi di scena a non finire, a prescindere dall'effettiva bellezza della regia di Villeneuve. Come ho detto al Bolluomo a fine visione, durata due ore e mezza volate in un soffio, "Dune agli ultimi Star Wars, ma anche a quelli vecchi, con tutto il rispetto, spiccia casa". Quella di Dune è una fantascienza adulta, che non vive per il product placement, ma porta sullo schermo personaggi a tutto tondo invischiati in una trama complessa sviscerata a poco a poco, senza spiegazioni al limite del didattico, ma lasciando molto spazio all'intelligenza dello spettatore; non ci sono solo il bianco e il nero, il bene e il male in Dune (tranne forse per la casata Harkonnen, i cui membri sono gli unici connotati come mostri veri), ma moltissime sfumature di grigio, che rendono i protagonisti tridimensionali ed imprevedibili, ricchi di segreti, anche poco piacevoli, da scoprire senza fretta. I fan rideranno a leggere queste parole ma ho particolarmente apprezzato, senza fare troppi spoiler per chi è ignorante come me, le azioni "disonorevoli" (ahimé, anche inutili) compiute da un personaggio che dell'onore aveva fatto la sua bandiera fino a un secondo prima, la vena di profonda e dura oscurità che permea l'animo di chi dovrebbe tradizionalmente essere donna e madre, e in generale tutto il percorso di presa di consapevolezza del protagonista, Paul, legato alla spezia e a qualcosa di assai più grande e pericoloso prima ancora di cominciare il suo cammino di uomo. Le visioni di Paul, oniriche e spesso terrificanti, spingono a volerne sapere di più non solo su ciò che sarà del suo futuro, ma anche su quei Fremen che qui vengono più nominati che visti, incarnati da occhi azzurri che rendono Zendaya ancora più bella di quanto non sia normalmente e da un deserto caldo ed accogliente che contrasta con l'inferno mortale sperimentato nella realtà dai vari personaggi, popolato da creature mostruose ma forse più clementi del sole.


Buona parte di questo incredibile trasporto che ho avuto verso quasi tutti i personaggi è sicuramente da ricercare nella bravura degli attori e del regista che li ha diretti. Fa un po' ridere che Villeneuve si sia unito al gruppo di registi anti-Marvel quando metà del cast di Dune viene dalle ormai sempre più folte scuderie Disney/DC, eppure come si vede la differenza quando anche un "cojone" come Jason Momoa si ritaglia momenti talmente epici da spezzare il cuore (ma non toglietegli mai più la barba, vi prego, che pare Cicciobello!) e Oscar Isaac, dimenticabilissimo nei panni di Dameron Poe, sembra uscito dritto da una tragedia di Shakespeare. Certo, a colpire più di tutti sono due che con la Marvel poco c'entrano, ci mancherebbe. Timothée Chalamet è il perfetto connubio di bellezza "maledetta" e fragilità di ragazzino, due caratteristiche che, a mio avviso, al personaggio di Paul Atreides calzano alla perfezione, ma perdonatemi se darei ogni premio da qui all'eternità ad un attrice che aveva già dimostrato di sapere il fatto suo in Doctor Sleep, quando ha incarnato quell'indimenticabile Rose Cilindro; Rebecca Ferguson è IL motivo per cui chiunque dovrebbe correre a vedere Dune, con quegli occhi profondissimi e nervosi, l'apparenza fragile di chi è abituata a stare sempre un passo indietro che lascia spazio, nel giro di un secondo, alla durezza quasi fanatica di chi rimane sì indietro, ma per tirare i fili nell'ombra e mettertelo nello stoppino. Ripeto, non ho mai letto i libri di Herbert quindi magari questa versione di Lady Atreides è farina del sacco di Villeneuve, ma trovare un personaggio femminile così particolare in un'opera degli anni '60 per me ha del miracoloso e non vedo l'ora di capire come si svilupperà il rapporto tra lei e il figlio, visto il finale sospeso e quello sguardo da suocera del Sud rivolto a Chani.


Ciò detto, diamo a Villeneuve quello che è di Villeneuve. Dune è una meraviglia da vedere e ogni fotogramma è pura emozione. La grandiosità delle astronavi davanti alle quali gli uomini sembrano degli infinitesimali granelli di sabbia, l'ingannevole e placida bellezza di un deserto il cui calore pare trasudare dallo schermo, smosso dai mostruosi (e bellissimi) vermi della sabbia pronti a trasformare le dune in onde di un oceano sconfinato, perfetto contraltare del mare reale che circonda le terre della Casata Atreides, la fotografia che cambia con il cambiare dei pianeti, dal grigio-bluastro di quello da dove proviene Paul, ai colori caldi di Arrakis, alla cupezza "nazista" del pianeta degli Harkonnen, le scene d'azione e di corpo a corpo che rimangono fluide, chiare e talvolta angoscianti anche col PG-13, la brillantezza della spezia, tutto concorre a fare di Dune un sogno ad occhi aperti, o un incubo, a seconda dei momenti. Se, infatti,  davanti al pupazzo gnappo dell'imperatore Palpatine al massimo mi veniva da fare un sorrisetto scazzato, tutte le sequenze imperniate sulla casata Harkonnen e i mostri che la popolano mi hanno messo la stessa ansia di un horror e quel maledetto Barone probabilmente popolerà i miei incubi per mesi. E per mesi, probabilmente, ascolterò la colonna sonora di Hans Zimmer, talmente evocativa ed esotica da risultare quasi ipnotica, uno score emozionante come non mi capitava di sentire da tempo in un "blockbuster", per quanto d'autore. Non so se riuscirò ad aspettare anni per avere il seguito di Dune e non so neppure se, nel frattempo, resisterò alla tentazione di sapere (magari guardando il Dune di Lynch o meglio ancora leggendo i libri) quale sarà il destino di Paul, ma se l'attesa verrà ripagata con un film bello come questo, ne sarà valsa la pena. 


Del regista e co-sceneggiatore Denis Villeneuve ho già parlato QUI. Timothée Chalamet (Paul Atreides), Rebecca Ferguson (Lady Jessica Atreides), Oscar Isaac (Duca Leto Atreides), Jason Momoa (Duncan Idaho), Stellan Skarsgård (Barone Vladimir Harkonnen), Stephen McKinley Henderson (Thufir Hawat), Josh Brolin (Gurney Halleck), Javier Bardem (Stilgar), Chen Chang (Dr. Wellington Yueh), Dave Bautista (Rabban Harkonnen), David Dastmalchian (Piter De Vries) e Charlotte Rampling (Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam) li trovate invece ai rispettivi link.

Zendaya (vero nome Zendaya Maree Stoermer Coleman) interpreta Chani. Americana, la ricordo per film come Spider-Man: Homecoming e Spider-Man: Far From Home. Anche produttrice, cantante e sceneggiatrice, ha 25 anni e un film in uscita, Spider-Man: No Way Home.


Nel caso Dune andasse bene al botteghino dovrebbe uscire nei prossimi anni un seguito, sempre diretto da Villeneuve; nell'attesa, se volete sapere (come me!) come va a finire la storia, potete sempre recuperare il Dune di David Lynch o la miniserie televisiva Dune - Il destino dell'universo, anche se nel secondo caso non so onestamente quanto vi convenga! ENJOY!

 

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