Fresco di un Golden Globe, tra i nominati per l'Oscar come miglior lungometraggio animato c'è il delizioso Missing Link, scritto e diretto nel 2019 dal regista Chris Butler. Questo tra l'altro è l'ultimo post che pubblicherò prima della fatidica Notte: i compiti li ho fatti tutti ma cosa penso dei film mancanti lo scoprirete nei prossimi giorni.
Trama: Sir Lionel Frost tenta invano da anni di ottenere l'ingresso nella "Società dei Grandi Uomini", un esclusivo club di avventurieri, ma viene tacciato di essere un cialtrone. Per provare il suo valore, Sir Frost intraprende dunque un viaggio alla ricerca del leggendario Sasquatch il quale, una volta trovato, gli sottoporrà una richiesta inusuale...
Adoro la Laika. A partire da Coraline non c'è stato un solo cartone animato prodotto da questo splendido e coraggioso studio di animazione che non mi sia piaciuto. Adoro le sue storie particolari e spesso inquietanti, i messaggi che veicolano, il modo arguto in cui affrontano temi anche non facili per dei bambini o ragazzini, e ovviamente mi sciolgo davanti alla realizzazione sopraffina di questi gioielli in stop-motion. Missing Link non fa eccezione, pur essendo, per temi e storia narrata, forse il più "infantile" dei cartoni della Laika, almeno in apparenza. Missing Link è infatti un perfetto film d'avventura che va a braccetto con l'umorismo slapstick dei buddy movies e quello surreale dei Fratelli Marx; se dovessi trovare un esempio recente per indicare quanto mi sono entusiasmata proprio durante la visione dei viaggi, delle ricerche e delle rocambolesche fughe di Sir Lionel e compagni mi viene in mente solo Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno, e lì c'era Spielberg nella sua forma migliore. Qui abbiamo Chris Butler, che era stato molto più "avanti" ai tempi di ParaNorman ma che, comunque, confeziona un'opera divertentissima, emozionante e punteggiata di tante piccole stoccate alla società odierna, retrograda quanto quella in cui vive Sir Lionel, borioso avventuriero incapace di pensare ad altri che a se stesso e talmente cieco di fronte alla pochezza dei "Grandi Uomini" da voler diventare uno di loro. E' l'incontro col Sasquatch Mr. Link a cambiarlo a poco a poco, assieme alle parole dell'antica fiamma Adelina, due personaggi borderline e molto ben caratterizzati, i quali incarnano rispettivamente l'innocente libertà di essere quello che desidera il cuore, a prescindere da regole e convenzioni, e la forza di aspirare a finali non convenzionali, anche a costo di rimanere soli. E' interessante, a proposito di solitudine, come all'interno del film si sottolinei spesso l'inutilità del branco e si privilegi un'idea di amicizia basata su un costante e reciproco arricchimento, sul rispetto e la generosità, pur contemplando la possibilità di non riuscire a trovare "soddisfazione" anche davanti a simili premesse, nel qual caso l'amicizia è comunque destinata a continuare, anche se "a distanza". Un'idea assai moderna, che conferma l'incredibile finezza delle opere della Laika, mai banali e scontate.
Detto questo, come ho scritto prima Missing Link è anche e soprattutto estremamente divertente. Il contrasto tra l'aplomb inglese unito al complesso da supereroe di Sir Lionel e la goffaggine di Mr. Link, "cugino di campagna" del ben più nobile Yeti e talmente ingenuo da prendere alla lettera qualsiasi frase, è una delle cose più spassose viste quest'anno in un film ed è ben sottolineato dai diversi accenti di Hugh Jackman e Zach Galifianakis (purtroppo Missing Link non ha ancora una data di distribuzione italiana, vai a sapere perché, ma se non altro c'è la gioia di poter ascoltare le voci originali dei doppiatori visto che il contrasto tra i due nell'edizione italiana verrà notevolmente appiattito in tal senso); onestamente, sul finale viene voglia di assistere ancora ad altre spedizioni della strana coppia e chissà che per una volta la Laika non decida di fare un sequel. Di sicuro, realizzare Missing Link è stato uno sbattimento anche per via della miriade di dettagli presenti in ogni scena, tra oggettini, espressioni facciali, mezzi e costumi (ma questo vale per tutti i film realizzati in stop-motion) e il cartone animato presenta delle sequenze esaltantissime e fluide, talmente ben costruite non solo a livello di tecnica animata ma anche di regia da far invidia ai cosiddetti live action: nel mio cuore rimarranno sempre la scazzottata da film western, l'inseguimento all'interno di una nave che sfida ogni legge della fisica e della gravità e, ovviamente, lo showdown finale sulle nevi himalayane, per me anche troppo tachicardico. Se mai Missing Link uscirà in Italia sarò la prima a correre a vederlo al cinema per godermi al 100% la bellezza visiva di questo gioiellino, nel frattempo incrocio le dita perché l'ambita statuetta finisca tra le zampe di Mr. Link!
Del regista e sceneggiatore Chris Butler ho già parlato QUI. Hugh Jackman (Sir Lionel Frost), Stephen Fry (Lord Piggot - Dunceby), Matt Lucas (Mr. Collick), Zach Galifianakis (Mr. Link/Susan), Timothy Olyphant (Willard Stenk), Zoe Saldana (Adelina Fortnight) e Emma Thompson (L'anziana) li trovate invece ai rispettivi link.
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domenica 9 febbraio 2020
venerdì 20 settembre 2019
C'era una volta a... Hollywood (2019)
Dear Quentin,
sono sempre io, dopo ben quattro anni. Nel frattempo ti sei sposato, aspetti un figliolo, e io dico: c'era bisogno di arrivare a tanto con questa donna dello schermo quando io, la tua Beatrice, non avrei problemi a dichiarare al mondo il nostro aMMore? Guarda, ti giuro che non è per ripicca che vado dicendo in giro di come C'era una volta a... Hollywood non sia il tuo film migliore e te lo dimostrerò scrivendo solo cose belle, anzi, bellissime, sul tuo ultimo film, senza SPOILER. Posso però dire che sei stato un maledetto a tagliare le scene con Tim Roth? E posso altresì permettermi di dirti che la prossima volta mi piacerebbe un "pochettino" di coesione in più all'interno della trama, ché va bene la struttura sfilacciata, le trame incrociate e le digressioni citazioniste ma a tratti mi è sembrato di ripiombare nella lunghissima introduzione di A prova di morte (per me il film meno bello - MAI brutto! - che hai realizzato)? Bon, basta, quello che dovevo dire di negativo l'ho detto, ora passiamo alla gioia.
In tempi di orrido cinismo e snobismo cinèfilo, dove tutti hanno già visto tutto e chiunque ha un'opinione perlopiù negativa su qualsiasi pellicola, dove non ci sono più curiosità né mistero, perché tanto ogni singolo segreto di un film si può trovare on line, mi chiedo come diamine fai tu, caro Quentin, a sognare ancora. A custodire dentro il cuore ricordi lucidissimi eppure ancora intrisi di magia, a fomentare continuamente l'Amore per quel Cinema che ti ha dato tutto, fin da quando non eri nemmeno famoso, al punto da annullare ogni confine tra la realtà, il gossip da tabloid patinato e il cliché. Come Noodles che usciva da quella stazione, vecchio e zeppo di memorie filtrate dal tempo e dall'oppio, così tu ci consegni la TUA storia, la TUA Hollywood, una città fatta di luci al neon e cinema, di star che possono venirti a vivere accanto a casa, dove ogni giorno può diventare una (dis)avventura e dove fiumi di alcool e fumo mettono a tacere le coscienze di coloro per i quali il sogno o è morto o sta per trasformarsi in un incubo. I tre personaggi che sfrecciano sulle strade di Los Angeles con in capelli al vento e la musica nelle orecchie sono i tre estremi di un'ideale triangolo che racchiude in sé tutta la leggenda Hollywoodiana. Certo, il Rick Dalton di Di Caprio è il veicolo attraverso il quale ci consenti di vivere la Hollywood degli addetti ai lavori, quella non così esaltante; la Hollywood di chi, come probabilmente Luke Perry (bonanima), è rimasto confinato all'interno di un archetipo televisivo e, invecchiando, non è più riuscito ad emergere nel mare di starlette in continuo movimento, trasformandosi in una sorta di leggenda o figura indistinta nella memoria. E' con Rick Dalton che si scoprono gli "altarini" del cinema che più hai amato, quello degli italiani banfoni che con due lire si accaparravano vecchie star in declino per creare pellicole (s)cult da pochi spiccioli insinuandosi nei cuori dei cinefili onnivori, con i loro set esotici, le trame bizzarre e le locandine disegnate in maniera splendida. Ma anche qui, non si costruiva forse la leggenda? Non c'era la voglia di divertire e far sognare il pubblico, a prescindere dalla coerenza delle trame e alla faccia di qualsiasi, gigantesco what the fuck?
Quell'enorme what the fuck che è Brad Pitt, per esempio. Non fraintendermi, io l'ho amato e, come ho detto ai miei compagni di visione, vorrei un Brad Pitt personale in casa per morire dal ridere ogni volta che sono depressa, ma riflettendo su Cliff Booth ho trovato l'elemento di pura finzione all'interno del film, l'estremo "surreale" del triangolo. Cliff Booth è l'eroe tipico degli spaghetti western, il cowboy bruciato dal sole dalla battuta facile e dall'indolenza gigantesca, un po' cavaliere dal cuore d'oro e un po' galeotto, colui che ha il compito di difendere il Sogno contro la realtà che minaccia di privarlo di tutta la sua innocenza, in una Los Angeles di fine anni '60 trasformata in isola felice contro tutti i cambiamenti sociali e le brutture dell'America e del mondo. La realtà gli scivola addosso, come già succedeva ad Aldo Rayne in Bastardi senza gloria, e non è un caso se l'artefice del più clamoroso what if? della pellicola è proprio lui. E poi c'è lei, Margot Robbie. Ora, c'è stato un momento, verso la fine del film, in cui la gente rideva e applaudiva. Io non ce l'ho fatta. Non lo so perché la storia di Sharon Tate e dell'orribile destino toccato in sorte a lei e ai suoi amici mi ha sempre toccata nel profondo, sta di fatto che mentre tutti ridevano io lottavo contro il magone. Sì perché tu sei riuscito a trasformare Sharon Tate nella fata buona, nell'incarnazione stessa di quel sogno chiamato Cinema. Bellissima e leggiadra, Margot Robbie col suo sorriso incantevole trasuda amore e giovinezza da ogni poro, ed è l'immagine stessa dell'innocenza di una Hollywood che non tornerà mai più e forse non è mai esistita; vederla piena di entusiasmo varcare la soglia di un cinema che proietta uno dei suoi film scalda il cuore e trasmette un briciolo della sensazione di trionfo che sicuramente anche tu hai provato nel corso non solo di blasonate anteprime, ma soprattutto quando nessuno ti considerava, confuso nella folla, nascosto nell'ombra a spirare la reazione degli spettatori davanti a ciò che avevi scritto, magari diretto. Ma fosse solo quello. La figura di Sharon Tate trasporta in un mondo altro, in una Favola che si vorrebbe non finisse mai, e quello che è rimasto durante i titoli di coda, almeno a me, è un enorme nodo alla gola al pensiero che quell'innocenza meravigliosa e anche un po' ignorante l'abbiamo persa tutti da troppo tempo.
E allora, abbandoniamoci all'amore e all'innocenza, che cazzo. Alla gioia di rivedere facce amatissime (ciao Michael, ciao Zoe, ciao Lorenza, ciao Kurt), di prendere le tue auto-citazioni, le ricostruzioni di film e telefilm, i tuoi marchi di fabbrica e usarli come una calda coperta di Linus per affrontare il freddo della steppa di cinèfili dell'internet senza cuore, perché alla fine se è vero che il Cinema è un mondo e che siamo fatti al 90% dei film che abbiamo visto, il tuo microcosmo è uno di quelli in cui mi perdo più volentieri. E allora, abbandoniamoci alle grasse risate davanti al solito, favoloso Di Caprio che solo tu riesci a fare brillare come una stella, accoppiato ad un Brad Pitt che, porco cane, ma manda al diavolo il futuro film di Star Trek (dai, amore mio, mi fa schifo, lo sai. Rinunciaci) e realizza una COMMEDIA con loro due come protagonisti, ti prego! Abbandoniamoci e soprattutto chiniamo il capo davanti alla bellezza incredibile della colonna sonora, che mi ha fatto muovere a tempo la testa per tutta la durata del film, quando non ero impegnata a rimanere a bocca aperta davanti alle immagini che scorrevano sullo schermo (apro parentesi. Si vede che qui hai potuto fare un po' come hai voluto, libero da Weinstein ecc. C'era una volta a Hollywood è meno "stiloso" in maniera artefatta e più "tuo"). Abbandoniamoci (anche se lì, lo ammetto, ho fatto resistenza ma hai capito perché. Anche per questo devo rivedere il film) alla fottuta catarsi da cinema di serie Z, a quella valvola di sfogo che incanala tutto il disprezzo nei confronti di chi ha privato Hollywood di buona parte della sua innocenza per colpa di un matto invidioso che ha mandato "il Diavolo a fare i cazzi del Diavolo", giusto per ribadire come davanti a gente inutile si debba rispondere con menefreghistico disprezzo. Abbandoniamoci alla speranza, all'ottimismo, al "e vissero tutti felici e contenti", per una volta, facendoci accogliere dai volti amici di persone che vediamo sullo schermo quasi ogni giorno e che ogni volta ci fanno fuggire dalla realtà, così come loro, chissà, fuggono dalla propria solo grazie a noi umili spettatori.
Che ti devo dire, ancora, Quentin mio? Più ci rifletto sopra, più C'era una volta a... Hollywood diventa bellissimo e interessante. Vorrei rivederlo subito, ovviamente in lingua originale, che l'adattamento italiano lasciamolo perdere, per cogliere tutti i dettagli che ho perso durante la prima visione e scoprire ancora ulteriori strati di questo splendido delirio cinefilo, quindi grazie, come sempre. E anche un po' vaffanculo, dai, ché son buoni tutti a sposarsi la sgnoccolona trentatreenne israeliana. Potevi anche accontentarti della sgnoccolona trentottenne ligure, vecchio porcello.
Del regista e sceneggiatore Quentin Tarantino, la cui voce si può sentire durante lo spot delle Red Apple, ho già parlato QUI. Leonardo di Caprio (Rick Dalton), Brad Pitt (Cliff Booth), Margot Robbie (Sharon Tate), Emile Hirsch (Jay Sebring), Timothy Olyphant (James Stacy), Dakota Fanning (Squeaky Fromme), Bruce Dern (George Spahn), Luke Perry (Wayne Maunder), Al Pacino (Marvin Schwarz), Lorenza Izzo (Francesca Capucci), Harley Quinn Smith (Froggie), Danielle Harris (Angel), Clifton Collins Jr. (Ernesto il vaquero messicano), Rumer Willis (Joanna Pettet), Rebecca Gayheart (Billie Booth), Kurt Russell (Randy e, in originale, anche il narratore), Zoe Bell (Janet) e Michael Madsen (Sceriffo Hackett di Bounty Law) li trovate invece ai rispettivi link.
Margaret Qualley interpreta Pussycat. Americana, ha partecipato a film come The Nice Guys, Death Note e a serie quali Fosse/Verdon. Ha 25 anni e un film in uscita.
Tra le millemila guest star presenti nella pellicola segnalo la ahimé moglie di Quentin, Daniella Pick, il Friederich di Tutti insieme appassionatamente, Nicholas Hammond (che interpreta Sam Wanamaker) e, tra i figli d'arte, quella di Ethan Hawke e Uma Thurman, Maya Hawke, nei panni di Flowerchild, mentre il povero Tim Roth, inserito nei titoli di coda, è protagonista delle scene eliminate, quindi non compare nel film. Non ce l'ha fatta nemmeno Burt Reynolds (che, di fatto, era il "cattivo" dell'episodio di F.B.I. presente nel film), purtroppo venuto a mancare prima di poter girare le scene in cui avrebbe dovuto interpretare George Spahn. Se il film vi fosse piaciuto, ovviamente vi consiglierei di recuperare la filmografia di Tarantino ma siccome lo stesso Quentin ha stilato un elenco di pellicole da vedere in preparazione di C'era una volta a Hollywood, perché non seguirlo e recuperare Bob & Carol & Ted & Alice, Fiore di cactus, Easy Rider, L'amante perduta, La battaglia del Mar dei Coralli, L'impossibilità di essere normale, Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm, Trafficanti del piacere, Il sentiero della violenza e I pistoleri maledetti? ENJOY!
sono sempre io, dopo ben quattro anni. Nel frattempo ti sei sposato, aspetti un figliolo, e io dico: c'era bisogno di arrivare a tanto con questa donna dello schermo quando io, la tua Beatrice, non avrei problemi a dichiarare al mondo il nostro aMMore? Guarda, ti giuro che non è per ripicca che vado dicendo in giro di come C'era una volta a... Hollywood non sia il tuo film migliore e te lo dimostrerò scrivendo solo cose belle, anzi, bellissime, sul tuo ultimo film, senza SPOILER. Posso però dire che sei stato un maledetto a tagliare le scene con Tim Roth? E posso altresì permettermi di dirti che la prossima volta mi piacerebbe un "pochettino" di coesione in più all'interno della trama, ché va bene la struttura sfilacciata, le trame incrociate e le digressioni citazioniste ma a tratti mi è sembrato di ripiombare nella lunghissima introduzione di A prova di morte (per me il film meno bello - MAI brutto! - che hai realizzato)? Bon, basta, quello che dovevo dire di negativo l'ho detto, ora passiamo alla gioia.
In tempi di orrido cinismo e snobismo cinèfilo, dove tutti hanno già visto tutto e chiunque ha un'opinione perlopiù negativa su qualsiasi pellicola, dove non ci sono più curiosità né mistero, perché tanto ogni singolo segreto di un film si può trovare on line, mi chiedo come diamine fai tu, caro Quentin, a sognare ancora. A custodire dentro il cuore ricordi lucidissimi eppure ancora intrisi di magia, a fomentare continuamente l'Amore per quel Cinema che ti ha dato tutto, fin da quando non eri nemmeno famoso, al punto da annullare ogni confine tra la realtà, il gossip da tabloid patinato e il cliché. Come Noodles che usciva da quella stazione, vecchio e zeppo di memorie filtrate dal tempo e dall'oppio, così tu ci consegni la TUA storia, la TUA Hollywood, una città fatta di luci al neon e cinema, di star che possono venirti a vivere accanto a casa, dove ogni giorno può diventare una (dis)avventura e dove fiumi di alcool e fumo mettono a tacere le coscienze di coloro per i quali il sogno o è morto o sta per trasformarsi in un incubo. I tre personaggi che sfrecciano sulle strade di Los Angeles con in capelli al vento e la musica nelle orecchie sono i tre estremi di un'ideale triangolo che racchiude in sé tutta la leggenda Hollywoodiana. Certo, il Rick Dalton di Di Caprio è il veicolo attraverso il quale ci consenti di vivere la Hollywood degli addetti ai lavori, quella non così esaltante; la Hollywood di chi, come probabilmente Luke Perry (bonanima), è rimasto confinato all'interno di un archetipo televisivo e, invecchiando, non è più riuscito ad emergere nel mare di starlette in continuo movimento, trasformandosi in una sorta di leggenda o figura indistinta nella memoria. E' con Rick Dalton che si scoprono gli "altarini" del cinema che più hai amato, quello degli italiani banfoni che con due lire si accaparravano vecchie star in declino per creare pellicole (s)cult da pochi spiccioli insinuandosi nei cuori dei cinefili onnivori, con i loro set esotici, le trame bizzarre e le locandine disegnate in maniera splendida. Ma anche qui, non si costruiva forse la leggenda? Non c'era la voglia di divertire e far sognare il pubblico, a prescindere dalla coerenza delle trame e alla faccia di qualsiasi, gigantesco what the fuck?
Quell'enorme what the fuck che è Brad Pitt, per esempio. Non fraintendermi, io l'ho amato e, come ho detto ai miei compagni di visione, vorrei un Brad Pitt personale in casa per morire dal ridere ogni volta che sono depressa, ma riflettendo su Cliff Booth ho trovato l'elemento di pura finzione all'interno del film, l'estremo "surreale" del triangolo. Cliff Booth è l'eroe tipico degli spaghetti western, il cowboy bruciato dal sole dalla battuta facile e dall'indolenza gigantesca, un po' cavaliere dal cuore d'oro e un po' galeotto, colui che ha il compito di difendere il Sogno contro la realtà che minaccia di privarlo di tutta la sua innocenza, in una Los Angeles di fine anni '60 trasformata in isola felice contro tutti i cambiamenti sociali e le brutture dell'America e del mondo. La realtà gli scivola addosso, come già succedeva ad Aldo Rayne in Bastardi senza gloria, e non è un caso se l'artefice del più clamoroso what if? della pellicola è proprio lui. E poi c'è lei, Margot Robbie. Ora, c'è stato un momento, verso la fine del film, in cui la gente rideva e applaudiva. Io non ce l'ho fatta. Non lo so perché la storia di Sharon Tate e dell'orribile destino toccato in sorte a lei e ai suoi amici mi ha sempre toccata nel profondo, sta di fatto che mentre tutti ridevano io lottavo contro il magone. Sì perché tu sei riuscito a trasformare Sharon Tate nella fata buona, nell'incarnazione stessa di quel sogno chiamato Cinema. Bellissima e leggiadra, Margot Robbie col suo sorriso incantevole trasuda amore e giovinezza da ogni poro, ed è l'immagine stessa dell'innocenza di una Hollywood che non tornerà mai più e forse non è mai esistita; vederla piena di entusiasmo varcare la soglia di un cinema che proietta uno dei suoi film scalda il cuore e trasmette un briciolo della sensazione di trionfo che sicuramente anche tu hai provato nel corso non solo di blasonate anteprime, ma soprattutto quando nessuno ti considerava, confuso nella folla, nascosto nell'ombra a spirare la reazione degli spettatori davanti a ciò che avevi scritto, magari diretto. Ma fosse solo quello. La figura di Sharon Tate trasporta in un mondo altro, in una Favola che si vorrebbe non finisse mai, e quello che è rimasto durante i titoli di coda, almeno a me, è un enorme nodo alla gola al pensiero che quell'innocenza meravigliosa e anche un po' ignorante l'abbiamo persa tutti da troppo tempo.
E allora, abbandoniamoci all'amore e all'innocenza, che cazzo. Alla gioia di rivedere facce amatissime (ciao Michael, ciao Zoe, ciao Lorenza, ciao Kurt), di prendere le tue auto-citazioni, le ricostruzioni di film e telefilm, i tuoi marchi di fabbrica e usarli come una calda coperta di Linus per affrontare il freddo della steppa di cinèfili dell'internet senza cuore, perché alla fine se è vero che il Cinema è un mondo e che siamo fatti al 90% dei film che abbiamo visto, il tuo microcosmo è uno di quelli in cui mi perdo più volentieri. E allora, abbandoniamoci alle grasse risate davanti al solito, favoloso Di Caprio che solo tu riesci a fare brillare come una stella, accoppiato ad un Brad Pitt che, porco cane, ma manda al diavolo il futuro film di Star Trek (dai, amore mio, mi fa schifo, lo sai. Rinunciaci) e realizza una COMMEDIA con loro due come protagonisti, ti prego! Abbandoniamoci e soprattutto chiniamo il capo davanti alla bellezza incredibile della colonna sonora, che mi ha fatto muovere a tempo la testa per tutta la durata del film, quando non ero impegnata a rimanere a bocca aperta davanti alle immagini che scorrevano sullo schermo (apro parentesi. Si vede che qui hai potuto fare un po' come hai voluto, libero da Weinstein ecc. C'era una volta a Hollywood è meno "stiloso" in maniera artefatta e più "tuo"). Abbandoniamoci (anche se lì, lo ammetto, ho fatto resistenza ma hai capito perché. Anche per questo devo rivedere il film) alla fottuta catarsi da cinema di serie Z, a quella valvola di sfogo che incanala tutto il disprezzo nei confronti di chi ha privato Hollywood di buona parte della sua innocenza per colpa di un matto invidioso che ha mandato "il Diavolo a fare i cazzi del Diavolo", giusto per ribadire come davanti a gente inutile si debba rispondere con menefreghistico disprezzo. Abbandoniamoci alla speranza, all'ottimismo, al "e vissero tutti felici e contenti", per una volta, facendoci accogliere dai volti amici di persone che vediamo sullo schermo quasi ogni giorno e che ogni volta ci fanno fuggire dalla realtà, così come loro, chissà, fuggono dalla propria solo grazie a noi umili spettatori.
Che ti devo dire, ancora, Quentin mio? Più ci rifletto sopra, più C'era una volta a... Hollywood diventa bellissimo e interessante. Vorrei rivederlo subito, ovviamente in lingua originale, che l'adattamento italiano lasciamolo perdere, per cogliere tutti i dettagli che ho perso durante la prima visione e scoprire ancora ulteriori strati di questo splendido delirio cinefilo, quindi grazie, come sempre. E anche un po' vaffanculo, dai, ché son buoni tutti a sposarsi la sgnoccolona trentatreenne israeliana. Potevi anche accontentarti della sgnoccolona trentottenne ligure, vecchio porcello.
Del regista e sceneggiatore Quentin Tarantino, la cui voce si può sentire durante lo spot delle Red Apple, ho già parlato QUI. Leonardo di Caprio (Rick Dalton), Brad Pitt (Cliff Booth), Margot Robbie (Sharon Tate), Emile Hirsch (Jay Sebring), Timothy Olyphant (James Stacy), Dakota Fanning (Squeaky Fromme), Bruce Dern (George Spahn), Luke Perry (Wayne Maunder), Al Pacino (Marvin Schwarz), Lorenza Izzo (Francesca Capucci), Harley Quinn Smith (Froggie), Danielle Harris (Angel), Clifton Collins Jr. (Ernesto il vaquero messicano), Rumer Willis (Joanna Pettet), Rebecca Gayheart (Billie Booth), Kurt Russell (Randy e, in originale, anche il narratore), Zoe Bell (Janet) e Michael Madsen (Sceriffo Hackett di Bounty Law) li trovate invece ai rispettivi link.
Margaret Qualley interpreta Pussycat. Americana, ha partecipato a film come The Nice Guys, Death Note e a serie quali Fosse/Verdon. Ha 25 anni e un film in uscita.
Tra le millemila guest star presenti nella pellicola segnalo la ahimé moglie di Quentin, Daniella Pick, il Friederich di Tutti insieme appassionatamente, Nicholas Hammond (che interpreta Sam Wanamaker) e, tra i figli d'arte, quella di Ethan Hawke e Uma Thurman, Maya Hawke, nei panni di Flowerchild, mentre il povero Tim Roth, inserito nei titoli di coda, è protagonista delle scene eliminate, quindi non compare nel film. Non ce l'ha fatta nemmeno Burt Reynolds (che, di fatto, era il "cattivo" dell'episodio di F.B.I. presente nel film), purtroppo venuto a mancare prima di poter girare le scene in cui avrebbe dovuto interpretare George Spahn. Se il film vi fosse piaciuto, ovviamente vi consiglierei di recuperare la filmografia di Tarantino ma siccome lo stesso Quentin ha stilato un elenco di pellicole da vedere in preparazione di C'era una volta a Hollywood, perché non seguirlo e recuperare Bob & Carol & Ted & Alice, Fiore di cactus, Easy Rider, L'amante perduta, La battaglia del Mar dei Coralli, L'impossibilità di essere normale, Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm, Trafficanti del piacere, Il sentiero della violenza e I pistoleri maledetti? ENJOY!
venerdì 2 dicembre 2016
Snowden (2016)
In settimana mi sono imbarcata nella titanica impresa di guardare Snowden, diretto e co-sceneggiato da Oliver Stone a partire dal libro omonimo di Luke Harding e da Time of the Octopus dell'avvocato Anatoly Kucherena.
Trama: dopo una breve e brillante carriera all'interno dell'intelligence americana, l'ex dipendente della CIA Edward Snowden decide di rivelare ad alcuni giornalisti informazioni segrete legate all'invasiva e capillare raccolta di informazioni condotta dalle agenzie per cui lavorava.
A chi dovesse leggere questo post chiedo la cortesia di prenderlo con le pinze, tenendo a mente l'ignoranza crassissima di cui mi faccio portatrice sana davanti a questo genere di film biografici e, soprattutto, accettando con indulgenza il fatto che abbia guardato Snowden essenzialmente sotto pressione cinefila, traducibile con un "dell'argomento trattato mi importa poco ma vogliamo non dare una chance ad un film di Oliver Stone con Joseph Gordon-Levitt come protagonista?". Solitamente, una volta che, per qualsivoglia motivo, mi impegno a vedere un film simile, voglio una storia interessante, coinvolgente e possibilmente imparare qualcosa. Per quel che riguarda l'ultimo punto, Snowden mi ha ulteriormente aperto gli occhi sul fatto che viviamo in un mondo costantemente controllato da un Grande Fratello dalla faccia sorridente, che non combatte più le guerre con fucili e missili (non contro i Paesi potenti o contro potenziali alleati, perlomeno) bensì attraverso hacker, furti di informazioni, spionaggio satellitare e un controllo capillare per tutto quello che riguarda i dati personali del 98% della popolazione mondiale. Ho avuto conferma che purtroppo dietro le macchine "infallibili" ci sono esseri umani spinti da motivazioni personali ed imperativi burocratici, politici o legislativi che spesso fanno a pugni con la moralità o l'etica, e che la realtà non è soltanto bianca o nera, soprattutto quando qualcuno decide arbitrariamente cosa sia meglio per le persone e soprattutto quando queste persone, vuoi per ignoranza o vuoi per ingenuità, si fidano ciecamente di chi dovrebbe tutelarne gli interessi. Snowden mi ha anche fatto conoscere l'informatico che da il titolo al film, fino a pochi giorni fa nulla più di un nome sentito per qualche giorno al telegiornale; a proposito di quel che dicevo sopra, la pellicola lo dipinge come un patriota che, nel tempo, ha imparato sulla propria pelle come una mente geniale, buone intenzioni e il desiderio di rendere grande il proprio Paese nulla possano contro il cinismo di chi esige un "piccolo sacrificio" per un proposito ben più grande. Snowden non viene mai descritto come un liberale o un rivoluzionario, bensì come una persona che ha lavorato con coscienza, credendo nella sua attività e in quella dei servizi segreti finché ha capito di non poter più chiudere gli occhi davanti all'infinita serie di "libertà" assunte da organi quali CIA e NSA o davanti allo stravolgimento dei suoi programmi, riadattati per fini ben diversi rispetto a quelli iniziali.
Come potete leggere, Snowden qualcosa mi ha quindi insegnato ma per quel che riguarda interesse e coinvolgimento emotivo diciamo che si rasenta lo zero assoluto. Solitamente alla fine di questi biopic mi parte l'embolo e compio perlomeno l'atto di infilare nella lista desideri Amazon dei libri sull'argomento, con il film di Oliver Stone ciò non è accaduto e i motivi sono essenzialmente due. Innanzitutto, e so che a scrivere così sembrerò una bambina di 6 anni, Snowden è TROPPO lungo. Io non sono una di quelle che rifuggono la lunghezza, se la pellicola mi "prende" arrivo a sopportare anche quattro ore di metraggio, tuttavia due ore e un quarto di pipponi su NSA, tecnologie a me avulse e riflessioni sulla fondamentale natura infingarda dell'intelligence USA mi hanno abbastanza provata. Seconda cosa, Joseph Gordon - Levitt è bravissimo ma lo Snowden dipinto nella pellicola trasmette davvero pochissime emozioni, non permette neppure una volta di empatizzare con lui e l'unico momento in cui si arriva a provare qualcosa è quando viene mostrato il vero Edward Snowden sul finale, con un paio di immagini di repertorio che scuotono lo spettatore portandolo a rendersi conto di come tutte le cose incredibili raccontate nel film sono successe sul serio e questo ragazzo (all'epoca neanche trentenne) ha buttato coscientemente nel cesso una vita agiata per aver prestato orecchio alla propria coscienza, cosa non da tutti. Tra gli altri attori svettano una Melissa Leo molto dolce e, in senso negativo, una Shailene Woodley che io proprio non sono riuscita a farmi piacere, né come attrice né come personaggio (Lindsay Mills mi è sembrata ritratta come una povera minchietta dalle grandi idee che fondamentalmente si limita a vivere sulle spalle del fidanzato ricco), per il resto Snowden mi è parso comunque un prodotto di alta qualità sia per quel che riguarda la regia che per il cast, pur non regalandomi nessuna sequenza particolarmente entusiasmante o in grado di colpirmi in senso positivo o negativo. Insomma l'ultimo film di Oliver Stone, almeno con me, non ha trovato terreno fertile ma non mi sento affatto di sconsigliarlo: prendete atto dei miei gusti e provate a guardarlo, magari potrebbe piacervi molto!
Di Melissa Leo (Laura Poitras), Joseph Gordon - Levitt (Edward Snowden), Rhys Ifans (Corbin O'Brian), Nicolas Cage (Hank Forrester), Tom Wilkinson (Ewen MacAskill), Joely Richardson (Janine Gibson), Timothy Olyphant (Agente della CIA a Ginevra), Logan Marshall-Green (pilota di droni) e Ben Chaplin (Robert Tibbo) ho parlato ai rispettivi link.
Oliver Stone (vero nome William Oliver Stone) è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come La mano, Platoon (che gli è valso l'Oscar per la miglior regia), Wall Street, Talk Radio, Nato il quattro luglio (secondo Oscar per la miglior regia), The Doors, JFK - Un caso ancora aperto, Natural Born Killers, Gli intrighi del potere - Nixon, Ogni maledetta domenica, Alexander, World Trade Center, Wall Street - Il denaro non dorme mai e Le belve. Anche produttore e attore, ha 60 anni.
Zachary Quinto interpreta Glenn Greenwald. Meraviglioso spreco di geni maschili (perché uno così gnocco deve essere gay? Sigh!), lo ricordo per aver interpretato Sylar nella serie Heroes e diversi altri personaggi nelle prime due stagioni di American Horror Story ma ha partecipato anche a film come Star Trek, Into Darkness - Star Trek, Star Trek: Beyond ed altre serie quali The Others, CSI - Scena del crimine, Lizzie McGuire, Six Feet Under, Streghe, 24 e Hannibal. Anche produttore e sceneggiatore, ha 39 anni e tre film in uscita, tra cui l'ennesimo sequel di Star Trek.
Shailene Woodley interpreta Lindsay Mills. Americana, ha partecipato a film come Paradiso amaro, Divergent, Colpa delle stelle, Insurgent, Allegiant e a serie come Senza traccia, The O.C., My Name is Earl, CSI: NY e Cold Case. Ha 25 anni e un film in uscita.
Scott Eastwood (vero nome Scott Clinton Reeves) interpreta Trevor James. Figlio di Clint Eastwood, lo ricordo per film come Flags of our Fathers, Gran Torino, Invictus, Non aprite quella porta 3D, Fury e Suicide Squad. Anche produttore, ha 30 anni e cinque film in uscita tra qui Pacific Rim: Maelstrom.
La giornalista Laura Poitras, portata sullo schermo da Melissa Leo, ha diretto nel 2014 il documentario Citizenfour, che ha vinto l'Oscar e la cui genesi viene raccontata appunto nel film di Oliver Stone. Se Snowden vi fosse piaciuto recuperatelo e magari, se la realtà comincia a starvi stretta, recuperate il più caciarone Nemico pubblico. ENJOY!
Trama: dopo una breve e brillante carriera all'interno dell'intelligence americana, l'ex dipendente della CIA Edward Snowden decide di rivelare ad alcuni giornalisti informazioni segrete legate all'invasiva e capillare raccolta di informazioni condotta dalle agenzie per cui lavorava.
A chi dovesse leggere questo post chiedo la cortesia di prenderlo con le pinze, tenendo a mente l'ignoranza crassissima di cui mi faccio portatrice sana davanti a questo genere di film biografici e, soprattutto, accettando con indulgenza il fatto che abbia guardato Snowden essenzialmente sotto pressione cinefila, traducibile con un "dell'argomento trattato mi importa poco ma vogliamo non dare una chance ad un film di Oliver Stone con Joseph Gordon-Levitt come protagonista?". Solitamente, una volta che, per qualsivoglia motivo, mi impegno a vedere un film simile, voglio una storia interessante, coinvolgente e possibilmente imparare qualcosa. Per quel che riguarda l'ultimo punto, Snowden mi ha ulteriormente aperto gli occhi sul fatto che viviamo in un mondo costantemente controllato da un Grande Fratello dalla faccia sorridente, che non combatte più le guerre con fucili e missili (non contro i Paesi potenti o contro potenziali alleati, perlomeno) bensì attraverso hacker, furti di informazioni, spionaggio satellitare e un controllo capillare per tutto quello che riguarda i dati personali del 98% della popolazione mondiale. Ho avuto conferma che purtroppo dietro le macchine "infallibili" ci sono esseri umani spinti da motivazioni personali ed imperativi burocratici, politici o legislativi che spesso fanno a pugni con la moralità o l'etica, e che la realtà non è soltanto bianca o nera, soprattutto quando qualcuno decide arbitrariamente cosa sia meglio per le persone e soprattutto quando queste persone, vuoi per ignoranza o vuoi per ingenuità, si fidano ciecamente di chi dovrebbe tutelarne gli interessi. Snowden mi ha anche fatto conoscere l'informatico che da il titolo al film, fino a pochi giorni fa nulla più di un nome sentito per qualche giorno al telegiornale; a proposito di quel che dicevo sopra, la pellicola lo dipinge come un patriota che, nel tempo, ha imparato sulla propria pelle come una mente geniale, buone intenzioni e il desiderio di rendere grande il proprio Paese nulla possano contro il cinismo di chi esige un "piccolo sacrificio" per un proposito ben più grande. Snowden non viene mai descritto come un liberale o un rivoluzionario, bensì come una persona che ha lavorato con coscienza, credendo nella sua attività e in quella dei servizi segreti finché ha capito di non poter più chiudere gli occhi davanti all'infinita serie di "libertà" assunte da organi quali CIA e NSA o davanti allo stravolgimento dei suoi programmi, riadattati per fini ben diversi rispetto a quelli iniziali.
Come potete leggere, Snowden qualcosa mi ha quindi insegnato ma per quel che riguarda interesse e coinvolgimento emotivo diciamo che si rasenta lo zero assoluto. Solitamente alla fine di questi biopic mi parte l'embolo e compio perlomeno l'atto di infilare nella lista desideri Amazon dei libri sull'argomento, con il film di Oliver Stone ciò non è accaduto e i motivi sono essenzialmente due. Innanzitutto, e so che a scrivere così sembrerò una bambina di 6 anni, Snowden è TROPPO lungo. Io non sono una di quelle che rifuggono la lunghezza, se la pellicola mi "prende" arrivo a sopportare anche quattro ore di metraggio, tuttavia due ore e un quarto di pipponi su NSA, tecnologie a me avulse e riflessioni sulla fondamentale natura infingarda dell'intelligence USA mi hanno abbastanza provata. Seconda cosa, Joseph Gordon - Levitt è bravissimo ma lo Snowden dipinto nella pellicola trasmette davvero pochissime emozioni, non permette neppure una volta di empatizzare con lui e l'unico momento in cui si arriva a provare qualcosa è quando viene mostrato il vero Edward Snowden sul finale, con un paio di immagini di repertorio che scuotono lo spettatore portandolo a rendersi conto di come tutte le cose incredibili raccontate nel film sono successe sul serio e questo ragazzo (all'epoca neanche trentenne) ha buttato coscientemente nel cesso una vita agiata per aver prestato orecchio alla propria coscienza, cosa non da tutti. Tra gli altri attori svettano una Melissa Leo molto dolce e, in senso negativo, una Shailene Woodley che io proprio non sono riuscita a farmi piacere, né come attrice né come personaggio (Lindsay Mills mi è sembrata ritratta come una povera minchietta dalle grandi idee che fondamentalmente si limita a vivere sulle spalle del fidanzato ricco), per il resto Snowden mi è parso comunque un prodotto di alta qualità sia per quel che riguarda la regia che per il cast, pur non regalandomi nessuna sequenza particolarmente entusiasmante o in grado di colpirmi in senso positivo o negativo. Insomma l'ultimo film di Oliver Stone, almeno con me, non ha trovato terreno fertile ma non mi sento affatto di sconsigliarlo: prendete atto dei miei gusti e provate a guardarlo, magari potrebbe piacervi molto!
Di Melissa Leo (Laura Poitras), Joseph Gordon - Levitt (Edward Snowden), Rhys Ifans (Corbin O'Brian), Nicolas Cage (Hank Forrester), Tom Wilkinson (Ewen MacAskill), Joely Richardson (Janine Gibson), Timothy Olyphant (Agente della CIA a Ginevra), Logan Marshall-Green (pilota di droni) e Ben Chaplin (Robert Tibbo) ho parlato ai rispettivi link.
Oliver Stone (vero nome William Oliver Stone) è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come La mano, Platoon (che gli è valso l'Oscar per la miglior regia), Wall Street, Talk Radio, Nato il quattro luglio (secondo Oscar per la miglior regia), The Doors, JFK - Un caso ancora aperto, Natural Born Killers, Gli intrighi del potere - Nixon, Ogni maledetta domenica, Alexander, World Trade Center, Wall Street - Il denaro non dorme mai e Le belve. Anche produttore e attore, ha 60 anni.
Zachary Quinto interpreta Glenn Greenwald. Meraviglioso spreco di geni maschili (perché uno così gnocco deve essere gay? Sigh!), lo ricordo per aver interpretato Sylar nella serie Heroes e diversi altri personaggi nelle prime due stagioni di American Horror Story ma ha partecipato anche a film come Star Trek, Into Darkness - Star Trek, Star Trek: Beyond ed altre serie quali The Others, CSI - Scena del crimine, Lizzie McGuire, Six Feet Under, Streghe, 24 e Hannibal. Anche produttore e sceneggiatore, ha 39 anni e tre film in uscita, tra cui l'ennesimo sequel di Star Trek.
Shailene Woodley interpreta Lindsay Mills. Americana, ha partecipato a film come Paradiso amaro, Divergent, Colpa delle stelle, Insurgent, Allegiant e a serie come Senza traccia, The O.C., My Name is Earl, CSI: NY e Cold Case. Ha 25 anni e un film in uscita.
Scott Eastwood (vero nome Scott Clinton Reeves) interpreta Trevor James. Figlio di Clint Eastwood, lo ricordo per film come Flags of our Fathers, Gran Torino, Invictus, Non aprite quella porta 3D, Fury e Suicide Squad. Anche produttore, ha 30 anni e cinque film in uscita tra qui Pacific Rim: Maelstrom.
La giornalista Laura Poitras, portata sullo schermo da Melissa Leo, ha diretto nel 2014 il documentario Citizenfour, che ha vinto l'Oscar e la cui genesi viene raccontata appunto nel film di Oliver Stone. Se Snowden vi fosse piaciuto recuperatelo e magari, se la realtà comincia a starvi stretta, recuperate il più caciarone Nemico pubblico. ENJOY!
martedì 26 aprile 2011
Scream 2 (1997)
E’ la regola base dei sequel. Finito di vedere Scream – Chi urla muore, sono passata a Scream 2, diretto nel 1997 sempre da Wes Craven. La seconda regola dei sequel, spesso e volentieri, recita che il secondo capitolo è inferiore al primo, e questo film non fa eccezione.

Trama: sono passati due anni dagli eventi narrati nel primo film. Sidney si è trasferita in un’altra città e ha trovato degli altri amici e un nuovo fidanzato, ma la sua quiete comincia ad essere scossa dall’uscita del film Stab, ispirato proprio alle sue disavventure di due anni prima, e dal fatto che un altro killer ha cominciato a seguire le orme di Ghostface…

Le regole per ottenere un buon sequel, enunciate da Randy a metà film, sono: numero uno, aumenta il numero dei morti. Numero due, le morti devono essere più elaborate rispetto al primo capitolo, e più sanguinose. Numero tre, mai presumere che il killer sia morto. Craven in Scream 2 fa il furbetto, ma la verità è che sono solo la prima e la terza regola a venire rispettate, e il regista ne crea una quarta, ovvero cambiare poco o nulla rispetto al primo capitolo e perseverare in quel gioco di ammiccamenti allo spettatore che era la forza del primo Scream. Un gioco che, a lungo andare, stanca e rende il film in parte fiacco, anche perché la regola numero due non viene rispettata: la morte iniziale del primo capitolo rimane, a mio avviso, insuperata, e anche se il “body count” aumenta e si vede addirittura un occhio impalato verso la fine del film, il povero Ghostface da il suo meglio solo all’inizio della pellicola, trasformando un cinema affollato in un perfetto luogo dove commettere un doppio omicidio. L’urlo straziante della seconda vittima davanti ad una folla di ragazzini horror – maniaci inorriditi fa accapponare la pelle, ed è il picco di un film che purtroppo prosegue affossandosi e prendendo in giro lo spettatore. Infatti, la neppure tanto velata critica verso coloro che pensano che siano stati i film horror a rendere la società in cui viviamo così malata e schifosa, che era il fil rouge del primo capitolo, avanza allo step successivo in questo secondo episodio, fornendo al killer una motivazione davvero troppo ridicola per essere accettata, neppure l’essere umano più idiota ed ignorante potrebbe sostenerla; di conseguenza il finale di questo Scream 2 risulta abbastanza tirato per i capelli, una parodia di sé stesso.

In definitiva, le cose più interessanti nel film risultano l’aspetto metacinematografico e l’autocitazionismo (che purtroppo spesso sfocia nella banale ripetizione di situazioni prese paro paro dal primo Scream). I fan ricorderanno come, in Scream – Chi urla muore, Sidney avesse detto all’amica Tatum: “Se faranno un film su questa storia, come minimo la mia parte la daranno a Tori Spelling”. Detto, fatto. Nel corso di Scream 2, infatti, viene citato spesso e proiettato il fantomatico film tratto dagli omicidi di Woodsboro, ovvero Stab; proprio alla prima di questo “film nel film” avvengono i primi due omicidi (una prima imbarazzante: se si considera che gli omicidi che ispirerebbero il film sono tratti da eventi reali, vedere gente che vende gadget o maschere di Ghostface e altre persone che vanno in giro brandendo coltelli finti e ridendo, la critica alla stupidità del pubblico medio e alla società americana guidata dai mass media diventano spietate) e, dalle immagini mostrate, si capisce come Craven abbia cercato di rendere Stab molto meno realistico di Scream, infarcendo le scene e i dialoghi di cliché horror (Casey in Stab viene mostrata mentre si fa la doccia, non mentre sta cuocendo i popcorn…) ed utilizzando attori famosi come Heather Graham, Luke Wilson, la già citata Tori Spelling nei panni, appunto, di Sidney, e anche David Schwimmer, che non viene mostrato ma solo citato. Riassumendo, Scream 2 è un film che comincia ad andare bene giusto per i fan, ma che può ancora regalare qualche momento di suspance. Nella media.

Squadra che vince non si cambia: del regista Wes Craven (che compare anche qui in un cameo, stavolta nei panni di un dottore), Neve Campbell, Courtney Cox e David Arquette ho già parlato qui, mentre il post su Liev Schreiber lo trovate qua. Di Sarah Michelle Gellar, che interpreta Cici, ho invece parlato qui. In Scream 2, nella parte di Mickey, trovate anche Timothy Olyphant, di cui ho già parlato qua e Jerry O'Connel nei panni di Derek, il fidanzato di Sid.
Jada Pinkett Smith interpreta Maureen. Moglie di Will Smith, la ricordo per film come il bellissimo I racconti della cripta - il Cavaliere del male, Il professore matto, Matrix Reloaded, Matrix Revolution e per aver prestato la voce all’ippopotama Gloria nei due film dedicati alla serie Madagascar, di cui sta per uscire un terzo episodio. Americana, anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 40 anni.

Rebecca Gayheart interpreta Lois. Non so perché ma l’attrice americana è diventata una delle mie preferite, sarà per quell’aria un po’ particolare, la bellezza quasi “classica” o forse perché parecchi suoi film mi sono piaciuti, come Urban Legend, il particolare Amiche cattive, Urban Legend Final Cut, anche se le sue partecipazioni più consistenti si trovano in serie come Beverly Hills 90210, Hercules, Nip/Tuck, CSI: Miami e Ugly Betty. L’attrice, anche regista, ha 40 anni e un film in uscita.

Portia De Rossi (vero nome Amanda Lee Rogers) interpreta Murphy. L’attrice australiana, al momento sposata con la “lesbica più famosa di Hollywood”, Ellen De Generes, ha partecipato a film come Sirene, Stigmate e l’orrendo Cursed – il maleficio, ma ciò che l’ha resa famosa sono serie come Ally McBeal e Nip/Tuck. Ha 38 anni e un film in uscita.

Oltre ai già citati Heather Graham, Tori Spelling e Luke Wilson, che compaiono in relazione a Stab (i cui spezzoni sono stati girati, tra l’altro, da Robert Rodriguez), nel film fanno una comparsata anche il Pacey di Dawson’s Creek, Joshua Jackson, nei panni di uno studente di cinema, Selma Blair di cui si sente solo la voce mentre parla al telefono con Sarah Michelle Gellar, e Matthew Lillard, uno degli studenti alla festa della Sorellanza. Inutile dire che, se vi è piaciuto il secondo capitolo della saga, vi consiglio di passare al terzo, Scream 3. Questa volta vi lascio con le papere dal set, assai gioiose ma assolutamente da NON guardare prima del film... ENJOY!!!
Trama: sono passati due anni dagli eventi narrati nel primo film. Sidney si è trasferita in un’altra città e ha trovato degli altri amici e un nuovo fidanzato, ma la sua quiete comincia ad essere scossa dall’uscita del film Stab, ispirato proprio alle sue disavventure di due anni prima, e dal fatto che un altro killer ha cominciato a seguire le orme di Ghostface…
Le regole per ottenere un buon sequel, enunciate da Randy a metà film, sono: numero uno, aumenta il numero dei morti. Numero due, le morti devono essere più elaborate rispetto al primo capitolo, e più sanguinose. Numero tre, mai presumere che il killer sia morto. Craven in Scream 2 fa il furbetto, ma la verità è che sono solo la prima e la terza regola a venire rispettate, e il regista ne crea una quarta, ovvero cambiare poco o nulla rispetto al primo capitolo e perseverare in quel gioco di ammiccamenti allo spettatore che era la forza del primo Scream. Un gioco che, a lungo andare, stanca e rende il film in parte fiacco, anche perché la regola numero due non viene rispettata: la morte iniziale del primo capitolo rimane, a mio avviso, insuperata, e anche se il “body count” aumenta e si vede addirittura un occhio impalato verso la fine del film, il povero Ghostface da il suo meglio solo all’inizio della pellicola, trasformando un cinema affollato in un perfetto luogo dove commettere un doppio omicidio. L’urlo straziante della seconda vittima davanti ad una folla di ragazzini horror – maniaci inorriditi fa accapponare la pelle, ed è il picco di un film che purtroppo prosegue affossandosi e prendendo in giro lo spettatore. Infatti, la neppure tanto velata critica verso coloro che pensano che siano stati i film horror a rendere la società in cui viviamo così malata e schifosa, che era il fil rouge del primo capitolo, avanza allo step successivo in questo secondo episodio, fornendo al killer una motivazione davvero troppo ridicola per essere accettata, neppure l’essere umano più idiota ed ignorante potrebbe sostenerla; di conseguenza il finale di questo Scream 2 risulta abbastanza tirato per i capelli, una parodia di sé stesso.
In definitiva, le cose più interessanti nel film risultano l’aspetto metacinematografico e l’autocitazionismo (che purtroppo spesso sfocia nella banale ripetizione di situazioni prese paro paro dal primo Scream). I fan ricorderanno come, in Scream – Chi urla muore, Sidney avesse detto all’amica Tatum: “Se faranno un film su questa storia, come minimo la mia parte la daranno a Tori Spelling”. Detto, fatto. Nel corso di Scream 2, infatti, viene citato spesso e proiettato il fantomatico film tratto dagli omicidi di Woodsboro, ovvero Stab; proprio alla prima di questo “film nel film” avvengono i primi due omicidi (una prima imbarazzante: se si considera che gli omicidi che ispirerebbero il film sono tratti da eventi reali, vedere gente che vende gadget o maschere di Ghostface e altre persone che vanno in giro brandendo coltelli finti e ridendo, la critica alla stupidità del pubblico medio e alla società americana guidata dai mass media diventano spietate) e, dalle immagini mostrate, si capisce come Craven abbia cercato di rendere Stab molto meno realistico di Scream, infarcendo le scene e i dialoghi di cliché horror (Casey in Stab viene mostrata mentre si fa la doccia, non mentre sta cuocendo i popcorn…) ed utilizzando attori famosi come Heather Graham, Luke Wilson, la già citata Tori Spelling nei panni, appunto, di Sidney, e anche David Schwimmer, che non viene mostrato ma solo citato. Riassumendo, Scream 2 è un film che comincia ad andare bene giusto per i fan, ma che può ancora regalare qualche momento di suspance. Nella media.
Squadra che vince non si cambia: del regista Wes Craven (che compare anche qui in un cameo, stavolta nei panni di un dottore), Neve Campbell, Courtney Cox e David Arquette ho già parlato qui, mentre il post su Liev Schreiber lo trovate qua. Di Sarah Michelle Gellar, che interpreta Cici, ho invece parlato qui. In Scream 2, nella parte di Mickey, trovate anche Timothy Olyphant, di cui ho già parlato qua e Jerry O'Connel nei panni di Derek, il fidanzato di Sid.
Jada Pinkett Smith interpreta Maureen. Moglie di Will Smith, la ricordo per film come il bellissimo I racconti della cripta - il Cavaliere del male, Il professore matto, Matrix Reloaded, Matrix Revolution e per aver prestato la voce all’ippopotama Gloria nei due film dedicati alla serie Madagascar, di cui sta per uscire un terzo episodio. Americana, anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 40 anni.
Rebecca Gayheart interpreta Lois. Non so perché ma l’attrice americana è diventata una delle mie preferite, sarà per quell’aria un po’ particolare, la bellezza quasi “classica” o forse perché parecchi suoi film mi sono piaciuti, come Urban Legend, il particolare Amiche cattive, Urban Legend Final Cut, anche se le sue partecipazioni più consistenti si trovano in serie come Beverly Hills 90210, Hercules, Nip/Tuck, CSI: Miami e Ugly Betty. L’attrice, anche regista, ha 40 anni e un film in uscita.
Portia De Rossi (vero nome Amanda Lee Rogers) interpreta Murphy. L’attrice australiana, al momento sposata con la “lesbica più famosa di Hollywood”, Ellen De Generes, ha partecipato a film come Sirene, Stigmate e l’orrendo Cursed – il maleficio, ma ciò che l’ha resa famosa sono serie come Ally McBeal e Nip/Tuck. Ha 38 anni e un film in uscita.
Oltre ai già citati Heather Graham, Tori Spelling e Luke Wilson, che compaiono in relazione a Stab (i cui spezzoni sono stati girati, tra l’altro, da Robert Rodriguez), nel film fanno una comparsata anche il Pacey di Dawson’s Creek, Joshua Jackson, nei panni di uno studente di cinema, Selma Blair di cui si sente solo la voce mentre parla al telefono con Sarah Michelle Gellar, e Matthew Lillard, uno degli studenti alla festa della Sorellanza. Inutile dire che, se vi è piaciuto il secondo capitolo della saga, vi consiglio di passare al terzo, Scream 3. Questa volta vi lascio con le papere dal set, assai gioiose ma assolutamente da NON guardare prima del film... ENJOY!!!
giovedì 7 ottobre 2010
A Perfect Getaway - Una perfetta via di fuga (2009)
Mah, tante volte me le vado a cercare. Nonostante i pareri contrari di chi lo aveva già visto, in questi giorni mi sono messa a guardare A Perfect Getaway – Una perfetta via di fuga (il titolo originale è, appunto, A Perfect Getaway; notare che in questo caso “getaway” sarebbe dovuto venire tradotto con “vacanza” visto che la via di fuga non c’entra davvero nulla…), diretto e sceneggiato nel 2009 dal regista David Twohy.
Trama: Cydney e Cliff sono due neosposi che decidono di passare la luna di miele alle Hawaii. Durante la vacanza vengono a scoprire che c’è in giro una coppia di assassini che ha già fatto fuori due sposini e, guarda un po’, lo scoprono proprio quando incontrano altri due fidanzati in vacanza come loro. Ovviamente il “gioco”, per lo spettatore, sarà scoprire quale coppia è quella omicida, considerato che in giro ce n’è anche una terza…
Quando un film si basa sul gioco di sospetti, l’importante è tenere in sospeso lo spettatore fino all’ultimo, possibilmente rendendogli difficile l’”indagine”. Purtroppo A Perfect Getaway fallisce proprio su questo punto fondamentale, o forse sono io che ne ho visti troppi di film per sorprendermi. Sta di fatto che un limitato dubbio si può magari avere fino a metà film, ma tolti un paio di personaggi la soluzione è palese agli occhi dello spettatore smaliziato. Palese ovviamente non significa logica, beninteso: le forzature per fare quadrare il tutto sono da lacrime agli occhi. Provate a riguardare il film col senno di poi e a ripensare ai dialoghi e capirete che la giustificazione trovata dallo sceneggiatore/regista è parecchio fuffosa e, a dirla tutta, anche il finale è assurdo: perché fare tutto quel casino per poi rinunciare all’ultimo? Ho capito che qui si parla di fanciulle deluse nei sentimenti (ma quali sentimenti, poi…?) però il ragionamento non fila comunque, come non fila affatto il motivo per cui gli assassini uccidono, troppo pretenzioso e altisonante per un film simile.
Peccato, perché la realizzazione di A Perfect Getaway non è male. Al di là della fotografia pulitissima che ci mostra eccezionali immagini da cartolina, verso metà film il regista risveglia anche la creatività e sbulacca, soprattutto al momento della risoluzione dell’arcano: flashback in bianco e nero, immagini passate che si sovrappongono a quelle presenti, uno schermo diviso in tre parti per mostrare tre eventi che avvengono nello stesso momento…una botta di vita, insomma, forse per svegliare un po’ lo spettatore che, come me, si aspettava uno slasher alla Blood Trails, per intenderci, e che invece deve limitarsi a fare il conto delle gocce di sangue, centellinato in un paio di ferite guaribili con un cerotto o poco più. Bravi gli attori, detestabili i personaggi, soprattutto quello di Timothy Olyphant, un ex soldato sottuttoio, sbruffone e antipatico. “Simpatico” invece lo sceneggiatore, che ha pensato bene di prendersi in giro e fare un po’ di metacinema creando il personaggio di Steve Zahn, sceneggiatore mediocre che per tutto il film se ne esce con battute del tipo “Ah, se ci trovassimo in una mia sceneggiatura a quest’ora succederebbe così, così e cosà…”. Ma per favore. L’unica citazione veramente divertente (per chi conosce la storia, ovvio…) è vedere Cydney dichiarare di non avere mai fatto uso di cannabis in vita sua, quando invece la Jovovich all’epoca fece parecchio scandalo per una serie di foto dove posava con un bel cannone in mano. Passate oltre, gente, passate oltre. A Perfect Getaway sta bene a prendere la polvere in qualche sperduto Blockbuster, visto che non è buono nemmeno per offrire qualche perla trash. O al limite potrebbe portarvi a chiedere perché mai qualcuno a cui è stata impiantata una placca metallica in testa riuscirebbe ad approfittarsene per passare i controlli in aeroporto e portarsi dietro un coltello da caccia attaccato alla caviglia, visto che nella realtà lo prenderebbero da parte per rivoltarlo come un calzino.
Di Timothy Olyphant, che interpreta Nick, ho già parlato qui.
David Twohy è il regista e sceneggiatore del film. Californiano, e responsabile di brutture di cui non voglio nemmeno parlare, come Pitch Black e Le cronache di Riddick, ha 55 anni.
Milla Jovovich interpreta la novella sposina Cydney. L’attrice ucraina ha cominciato la carriera giovanissima, come fotomodella, per poi diventare l’”erede” di Brooke Shields quando le è stato offerto il ruolo di protagonista nel fuffoso Ritorno alla Laguna Blu. Da quel momento in poi la sua carriera è stata un crescendo, grazie anche al matrimonio (ora finito) con il regista Luc Besson, che l’ha voluta nel carinissimo Il quinto elemento e nel meno bello Giovanna D’Arco. Ora i più la conoscono come la cacciatrice di zombie Alice nell’infinita serie di pellicole dedicate a Resident Evil (qualche settimana fa è uscito nelle sale italiane l’ultimo capitolo in 3D, Resident Evil: Afterlife) però ha girato anche altri film, tra i quali ricordo Charlot, The Million Dollar Hotel e Zoolander. Ha 35 anni e sette film in uscita, tra cui uno che mi interessa particolarmente in quanto ennesima versione di un romanzo che amo molto, I tre moschettieri. Questa volta c’è nientemeno che Christoph Waltz a fare Richelieu, potrei forse perdermelo??!! Peraltro sul Twitter della buona Milla se ne può seguire la realizzazione passo per passo quasi in tempo reale.
Steve Zahn interpreta invece lo sposino, Cliff. Americano, ha partecipato a film come Giovani carini e disoccupati, Allarme rosso, Out of Sight e C’è post@ per te e doppiato Stuart Little – Un topolino in gamba, Il dottor Dolittle 2 e Stuart Little 2; ha inoltre recitato nei telefilm Friends e Monk. Ha 43 anni e quattro film in uscita.
E ora un paio di curiosità. Per la serie “dove ho già visto questa faccia?”, i fan di Lost potranno riconoscere in Gina (interpretata da Kiele Sanchez) una dei due fidanzatini sfigati che vengono erroneamente sepolti vivi con dei diamanti in saccoccia. Parliamo invece ora della coppia di strapponi, Cleo e Kale: lei è interpretata da Marley Shelton, ovvero la Dottoressa Dakota di Planet Terror, la prima vittima del killer in Sin City e la ragazza concupita da Tobey Maguire in Pleasantville; lui invece è interpretato dall’australiano Chris Hemsworth, che in quanto tale ha ovviamente recitato nella soap Home & Away e che diventerà famoso quando uscirà Thor, visto che sarà lui ad interpretare il dio del tuono. Paradossalmente, di un film così mediocre esiste anche un Director’s Cut che nulla aggiunge a quanto si vede nella versione normale. Volete davvero gustarvi le epiche vicende di una vacanza andata male? Andate sul sicuro con l’Hostel di Eli Roth. ENJOY!
Trama: Cydney e Cliff sono due neosposi che decidono di passare la luna di miele alle Hawaii. Durante la vacanza vengono a scoprire che c’è in giro una coppia di assassini che ha già fatto fuori due sposini e, guarda un po’, lo scoprono proprio quando incontrano altri due fidanzati in vacanza come loro. Ovviamente il “gioco”, per lo spettatore, sarà scoprire quale coppia è quella omicida, considerato che in giro ce n’è anche una terza…
Quando un film si basa sul gioco di sospetti, l’importante è tenere in sospeso lo spettatore fino all’ultimo, possibilmente rendendogli difficile l’”indagine”. Purtroppo A Perfect Getaway fallisce proprio su questo punto fondamentale, o forse sono io che ne ho visti troppi di film per sorprendermi. Sta di fatto che un limitato dubbio si può magari avere fino a metà film, ma tolti un paio di personaggi la soluzione è palese agli occhi dello spettatore smaliziato. Palese ovviamente non significa logica, beninteso: le forzature per fare quadrare il tutto sono da lacrime agli occhi. Provate a riguardare il film col senno di poi e a ripensare ai dialoghi e capirete che la giustificazione trovata dallo sceneggiatore/regista è parecchio fuffosa e, a dirla tutta, anche il finale è assurdo: perché fare tutto quel casino per poi rinunciare all’ultimo? Ho capito che qui si parla di fanciulle deluse nei sentimenti (ma quali sentimenti, poi…?) però il ragionamento non fila comunque, come non fila affatto il motivo per cui gli assassini uccidono, troppo pretenzioso e altisonante per un film simile.
Peccato, perché la realizzazione di A Perfect Getaway non è male. Al di là della fotografia pulitissima che ci mostra eccezionali immagini da cartolina, verso metà film il regista risveglia anche la creatività e sbulacca, soprattutto al momento della risoluzione dell’arcano: flashback in bianco e nero, immagini passate che si sovrappongono a quelle presenti, uno schermo diviso in tre parti per mostrare tre eventi che avvengono nello stesso momento…una botta di vita, insomma, forse per svegliare un po’ lo spettatore che, come me, si aspettava uno slasher alla Blood Trails, per intenderci, e che invece deve limitarsi a fare il conto delle gocce di sangue, centellinato in un paio di ferite guaribili con un cerotto o poco più. Bravi gli attori, detestabili i personaggi, soprattutto quello di Timothy Olyphant, un ex soldato sottuttoio, sbruffone e antipatico. “Simpatico” invece lo sceneggiatore, che ha pensato bene di prendersi in giro e fare un po’ di metacinema creando il personaggio di Steve Zahn, sceneggiatore mediocre che per tutto il film se ne esce con battute del tipo “Ah, se ci trovassimo in una mia sceneggiatura a quest’ora succederebbe così, così e cosà…”. Ma per favore. L’unica citazione veramente divertente (per chi conosce la storia, ovvio…) è vedere Cydney dichiarare di non avere mai fatto uso di cannabis in vita sua, quando invece la Jovovich all’epoca fece parecchio scandalo per una serie di foto dove posava con un bel cannone in mano. Passate oltre, gente, passate oltre. A Perfect Getaway sta bene a prendere la polvere in qualche sperduto Blockbuster, visto che non è buono nemmeno per offrire qualche perla trash. O al limite potrebbe portarvi a chiedere perché mai qualcuno a cui è stata impiantata una placca metallica in testa riuscirebbe ad approfittarsene per passare i controlli in aeroporto e portarsi dietro un coltello da caccia attaccato alla caviglia, visto che nella realtà lo prenderebbero da parte per rivoltarlo come un calzino.
Di Timothy Olyphant, che interpreta Nick, ho già parlato qui.
David Twohy è il regista e sceneggiatore del film. Californiano, e responsabile di brutture di cui non voglio nemmeno parlare, come Pitch Black e Le cronache di Riddick, ha 55 anni.
Milla Jovovich interpreta la novella sposina Cydney. L’attrice ucraina ha cominciato la carriera giovanissima, come fotomodella, per poi diventare l’”erede” di Brooke Shields quando le è stato offerto il ruolo di protagonista nel fuffoso Ritorno alla Laguna Blu. Da quel momento in poi la sua carriera è stata un crescendo, grazie anche al matrimonio (ora finito) con il regista Luc Besson, che l’ha voluta nel carinissimo Il quinto elemento e nel meno bello Giovanna D’Arco. Ora i più la conoscono come la cacciatrice di zombie Alice nell’infinita serie di pellicole dedicate a Resident Evil (qualche settimana fa è uscito nelle sale italiane l’ultimo capitolo in 3D, Resident Evil: Afterlife) però ha girato anche altri film, tra i quali ricordo Charlot, The Million Dollar Hotel e Zoolander. Ha 35 anni e sette film in uscita, tra cui uno che mi interessa particolarmente in quanto ennesima versione di un romanzo che amo molto, I tre moschettieri. Questa volta c’è nientemeno che Christoph Waltz a fare Richelieu, potrei forse perdermelo??!! Peraltro sul Twitter della buona Milla se ne può seguire la realizzazione passo per passo quasi in tempo reale.
Steve Zahn interpreta invece lo sposino, Cliff. Americano, ha partecipato a film come Giovani carini e disoccupati, Allarme rosso, Out of Sight e C’è post@ per te e doppiato Stuart Little – Un topolino in gamba, Il dottor Dolittle 2 e Stuart Little 2; ha inoltre recitato nei telefilm Friends e Monk. Ha 43 anni e quattro film in uscita.
E ora un paio di curiosità. Per la serie “dove ho già visto questa faccia?”, i fan di Lost potranno riconoscere in Gina (interpretata da Kiele Sanchez) una dei due fidanzatini sfigati che vengono erroneamente sepolti vivi con dei diamanti in saccoccia. Parliamo invece ora della coppia di strapponi, Cleo e Kale: lei è interpretata da Marley Shelton, ovvero la Dottoressa Dakota di Planet Terror, la prima vittima del killer in Sin City e la ragazza concupita da Tobey Maguire in Pleasantville; lui invece è interpretato dall’australiano Chris Hemsworth, che in quanto tale ha ovviamente recitato nella soap Home & Away e che diventerà famoso quando uscirà Thor, visto che sarà lui ad interpretare il dio del tuono. Paradossalmente, di un film così mediocre esiste anche un Director’s Cut che nulla aggiunge a quanto si vede nella versione normale. Volete davvero gustarvi le epiche vicende di una vacanza andata male? Andate sul sicuro con l’Hostel di Eli Roth. ENJOY!
venerdì 30 aprile 2010
La città verrà distrutta all'alba (2010)
Che sia ricominciata la stagione dell’horror? Chissà. Fatto sta che ultimamente sta uscendo parecchia roba, e ne uscirà ancora. Quindi, per non sapere né leggere né scrivere, ieri sono andata a vedere La città verrà distrutta all’alba (The Crazies) del regista Breck Eisner, remake dell’omonimo film diretto da Romero nel lontano 1973. Non ho mai visto l’originale, quindi le mie opinioni saranno viziate da ignoranza.
La trama: un virus biologico comincia ad infettare gli abitanti di una cittadina americana, rendendoli dei pazzi preda di istinti omicidi. I pochi rimasti immuni dal contagio dovranno cercare di uscire dal paese, infestato sia dagli infetti sia dai militari che vogliono contenere la malattia facendo piazza pulita dell’intera popolazione.
Conoscendo solo il remake non posso fare un confronto, quindi mi tocca prendere per “oro colato” quello che mostra il film di Eisner senza sapere se è fedele o meno allo spirito con cui Romero ha girato l’originale. Diciamo che come horror è molto ben fatto rispetto alla media di quello che passa adesso nei cinema, e a differenza di molti altri film di genere offre spaventi “intelligenti”. Cosa vuol dire questo? Che nel 99% dei casi lo spettatore scafato come me sa già quando premunirsi per evitare di saltare dalla sedia: basta una situazione banale (una minacciosa mietitrebbia accesa in un capanno buio, per esempio..), uno sguardo, una musica, e si sa che il colpo di scena è dietro l’angolo. Anche in La città verrà distrutta all’alba ci sono di questi momenti prevedibili, per carità, ma spesso la tensione viene “smorzata” proprio dalle aspettative che vengono deluse, lasciandoci così in fibrillazione a chiederci quando arriverà il colpo di scena, rendendolo molto più efficace.
Lasciando da parte per un attimo i meccanismi horror, quello che rende davvero inquietante e serrato questo film è il pessimismo che lo pervade dall’inizio alla fine. La città verrà distrutta all’alba comincia con un cinefilissimo rimando al finale del Dr. Stranamore di Kubrick, mostrandoci il destino della città “due giorni” dopo l’inizio dei fatti, scandito dalle note di We’ll Meet Again di Johnny Cash. Quindi, col senno di poi, lo stupido finale era già chiaramente intuibile fin dall’inizio del film. Ma la cosa che sconcerta è come viene mostrato il “contenimento” di un virus che è stato creato dallo stesso governo americano. Innanzitutto l’isolamento telefonico ed informatico della città, puntata dagli implacabili satelliti, quindi la brutale caccia dei soldati e dei dottori che rastrellano con metodi molto vicini a quelli nazisti (e il rimando ai campi di concentramento e ai treni che portavano gli Ebrei allo sterminio è fin troppo evidente..) sia infetti che sani, senza dare spiegazione alcuna e abbandonandoli al loro destino quando le cose si mettono male. Non è confortante il modo in cui viene dipinto il governo, se ci si pensa bene: d’accordo, è un horror, ma solitamente questo genere di film è lo specchio del disagio sociale, ed è inquietante vedere come di questi tempi venga mostrata la scelta consapevole (e subdola) di sterminare un’intera città. I villains del film sono innanzitutto i soldati ed l’invisibile autorità che li muove, in confronto gli infetti e il trio di cacciatori di umani sono degli agnellini.
Ho nominato lo stupido ed assurdo finale, su cui non aggiungo altro commento, se non che rovina un film che in generale non è troppo “esagerato”. I personaggi non sono dei supereroi, anche se chissà perché il vicesceriffo dal grilletto facile ha un tempismo e una mira quasi surreali e, cosa ancora più impossibile, la moglie incinta dello sceriffo si becca una catastrofe e uno spavento dietro l’altro senza neppure abortire, mentre il marito usa la propria mano accoltellata come arma impropria, nel complesso l’insieme è piuttosto credibile. Il regista non si risparmia un pizzico di ironico trash quando descrive un’imboscata dentro a un autolavaggio, con i protagonisti che si mettono ad urlare appena partono i getti d’acqua e le spazzole (paura che si rigasse la macchina? Può essere…), ma in generale il film è serissimo, gli omicidi dei “folli” sono realistici e crudeli ed alcune immagini fanno accapponare la pelle. Bravi gli attori, nonostante i personaggi in sé siano un po’ stereotipati; personalmente ho adorato il vicesceriffo (interpretato da un giovine inglese di nome Joe Anderson, che al di fuori del personaggio ha un aspetto praticamente efebico…) e il clima di incertezza che crea (sarà infetto o solo preda del panico.. mah??), ma l’assoluta genialità l’abbiamo nei personaggi del sindaco, che non vuole chiudere la fornitura idrica del paese fondamentalmente perché deve avere la sua piscina bella funzionante, e del funzionario governativo, che di fronte ai pochi sopravvissuti osa anche dire: “Vabbé, gente, ma che volete? Oh, noi abbiamo perso un AEREO!!”. Maledetto. Comunque, seriamente, il film mi è piaciuto, e adesso voglio assolutamente vedere l’originale.
Breck Eisner è il regista della pellicola. Californiano, ha diretto poche cose per ora, tra cui Sahara ed un episodio di Taken. Ha 40 anni e un film in uscita, Flash Gordon.
Timothy Olyphant interpreta lo sceriffo David Dutton. I fan della saga di Scream si ricorderanno dell’attore Hawaiano per la sua partecipazione al secondo capitolo; tra gli altri film cito Una vita esagerata, L’acchiappasogni e Die Hard – Vivere o morire; inoltre ha partecipato a telefilm come Sex and the City e My Name is Earl. Ha 42 anni.
Radha Mitchell interpreta la dottoressa Judy Dutton. Australiana, la ricordo per film come Neverland e Silent Hill. Ha 37 anni.
Tra gli altri attori faccio notare la protagonista dell’orrido remake di Venerdì 13, Danielle Panabaker, mentre i fan di vecchissima data di E.R. riconosceranno il Dr. Anspaugh, ovvero l’attore John Aylward, nello squallido sindaco della città. Ovviamente, non uscite subito dal cinema, ma aspettate almeno di arrivare alla metà dei titoli di coda, il film non è finito. E ora vi lascio con il trailer del film originale... ENJOY!!
La trama: un virus biologico comincia ad infettare gli abitanti di una cittadina americana, rendendoli dei pazzi preda di istinti omicidi. I pochi rimasti immuni dal contagio dovranno cercare di uscire dal paese, infestato sia dagli infetti sia dai militari che vogliono contenere la malattia facendo piazza pulita dell’intera popolazione.
Conoscendo solo il remake non posso fare un confronto, quindi mi tocca prendere per “oro colato” quello che mostra il film di Eisner senza sapere se è fedele o meno allo spirito con cui Romero ha girato l’originale. Diciamo che come horror è molto ben fatto rispetto alla media di quello che passa adesso nei cinema, e a differenza di molti altri film di genere offre spaventi “intelligenti”. Cosa vuol dire questo? Che nel 99% dei casi lo spettatore scafato come me sa già quando premunirsi per evitare di saltare dalla sedia: basta una situazione banale (una minacciosa mietitrebbia accesa in un capanno buio, per esempio..), uno sguardo, una musica, e si sa che il colpo di scena è dietro l’angolo. Anche in La città verrà distrutta all’alba ci sono di questi momenti prevedibili, per carità, ma spesso la tensione viene “smorzata” proprio dalle aspettative che vengono deluse, lasciandoci così in fibrillazione a chiederci quando arriverà il colpo di scena, rendendolo molto più efficace.
Lasciando da parte per un attimo i meccanismi horror, quello che rende davvero inquietante e serrato questo film è il pessimismo che lo pervade dall’inizio alla fine. La città verrà distrutta all’alba comincia con un cinefilissimo rimando al finale del Dr. Stranamore di Kubrick, mostrandoci il destino della città “due giorni” dopo l’inizio dei fatti, scandito dalle note di We’ll Meet Again di Johnny Cash. Quindi, col senno di poi, lo stupido finale era già chiaramente intuibile fin dall’inizio del film. Ma la cosa che sconcerta è come viene mostrato il “contenimento” di un virus che è stato creato dallo stesso governo americano. Innanzitutto l’isolamento telefonico ed informatico della città, puntata dagli implacabili satelliti, quindi la brutale caccia dei soldati e dei dottori che rastrellano con metodi molto vicini a quelli nazisti (e il rimando ai campi di concentramento e ai treni che portavano gli Ebrei allo sterminio è fin troppo evidente..) sia infetti che sani, senza dare spiegazione alcuna e abbandonandoli al loro destino quando le cose si mettono male. Non è confortante il modo in cui viene dipinto il governo, se ci si pensa bene: d’accordo, è un horror, ma solitamente questo genere di film è lo specchio del disagio sociale, ed è inquietante vedere come di questi tempi venga mostrata la scelta consapevole (e subdola) di sterminare un’intera città. I villains del film sono innanzitutto i soldati ed l’invisibile autorità che li muove, in confronto gli infetti e il trio di cacciatori di umani sono degli agnellini.
Ho nominato lo stupido ed assurdo finale, su cui non aggiungo altro commento, se non che rovina un film che in generale non è troppo “esagerato”. I personaggi non sono dei supereroi, anche se chissà perché il vicesceriffo dal grilletto facile ha un tempismo e una mira quasi surreali e, cosa ancora più impossibile, la moglie incinta dello sceriffo si becca una catastrofe e uno spavento dietro l’altro senza neppure abortire, mentre il marito usa la propria mano accoltellata come arma impropria, nel complesso l’insieme è piuttosto credibile. Il regista non si risparmia un pizzico di ironico trash quando descrive un’imboscata dentro a un autolavaggio, con i protagonisti che si mettono ad urlare appena partono i getti d’acqua e le spazzole (paura che si rigasse la macchina? Può essere…), ma in generale il film è serissimo, gli omicidi dei “folli” sono realistici e crudeli ed alcune immagini fanno accapponare la pelle. Bravi gli attori, nonostante i personaggi in sé siano un po’ stereotipati; personalmente ho adorato il vicesceriffo (interpretato da un giovine inglese di nome Joe Anderson, che al di fuori del personaggio ha un aspetto praticamente efebico…) e il clima di incertezza che crea (sarà infetto o solo preda del panico.. mah??), ma l’assoluta genialità l’abbiamo nei personaggi del sindaco, che non vuole chiudere la fornitura idrica del paese fondamentalmente perché deve avere la sua piscina bella funzionante, e del funzionario governativo, che di fronte ai pochi sopravvissuti osa anche dire: “Vabbé, gente, ma che volete? Oh, noi abbiamo perso un AEREO!!”. Maledetto. Comunque, seriamente, il film mi è piaciuto, e adesso voglio assolutamente vedere l’originale.
Breck Eisner è il regista della pellicola. Californiano, ha diretto poche cose per ora, tra cui Sahara ed un episodio di Taken. Ha 40 anni e un film in uscita, Flash Gordon.
Timothy Olyphant interpreta lo sceriffo David Dutton. I fan della saga di Scream si ricorderanno dell’attore Hawaiano per la sua partecipazione al secondo capitolo; tra gli altri film cito Una vita esagerata, L’acchiappasogni e Die Hard – Vivere o morire; inoltre ha partecipato a telefilm come Sex and the City e My Name is Earl. Ha 42 anni.
Radha Mitchell interpreta la dottoressa Judy Dutton. Australiana, la ricordo per film come Neverland e Silent Hill. Ha 37 anni.
Tra gli altri attori faccio notare la protagonista dell’orrido remake di Venerdì 13, Danielle Panabaker, mentre i fan di vecchissima data di E.R. riconosceranno il Dr. Anspaugh, ovvero l’attore John Aylward, nello squallido sindaco della città. Ovviamente, non uscite subito dal cinema, ma aspettate almeno di arrivare alla metà dei titoli di coda, il film non è finito. E ora vi lascio con il trailer del film originale... ENJOY!!
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