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venerdì 28 febbraio 2025

Il robot selvaggio (2024)

Ai tempi dell'uscita ne avevano parlato tutti benissimo. In occasione delle tre candidature (Miglior cartone animato, Miglior colonna sonora originale, Miglior sonoro), ho dunque recuperato Il robot selvaggio (The Wild Robot), diretto e co-sceneggiato nel 2024 dal regista Chris Sanders.


Trama: Un robot di ultima generazione viene abbandonato su un'isola popolata di animali. La programmazione del robot si troverà a dover interagire con imprevisti ed emozioni...


Come ho potuto perdermi questo trionfo al cinema? E' la domanda che mi sono fatta tra le lacrime di commozione alla fine de Il robot selvaggio, uno dei lungometraggi animati più provanti, a livello emotivo, tra quelli visti negli ultimi anni. Purtroppo, se non ricordo male, a tenermi lontana dalla sala è tata una terribile concomitanza di influenze e orari a misura bambino (come se il genere fosse adatto solo ai più piccoli...), ma poco male; certo, mi dispiace non aver goduto sul grande schermo delle splendide immagini de Il robot selvaggio, ma un bel film rimane bello anche visto in piccolo. E Il robot selvaggio è davvero bellissimo. La trama parte dalla perdita di un carico di robot su un isola deserta; il modello ROZZUM, in particolare, è stato progettato per servire gli umani facendosi carico, ogni volta, di compiti diversi da svolgere al meglio. Una direttiva semplice, quella di ROZZUM, ma ardua da mettere in pratica quando non ci sono umani nei dintorni e gli unici esseri viventi sono degli animali, ignoranti di fronte alla tecnologia e per nulla disposti a farsi "migliorare" la vita. Istinti atavici e naturali inimicizie si scontrano con la fredda logica, almeno finché l'unità robotica non si ritrova a darsi degli obiettivi per far sopravvivere un pulcino di oca, diventato orfano proprio per causa sua. Se non avete ancora avuto modo di guardare Il robot selvaggio non starei a fare altre anticipazioni sulla trama. Vi dico solo che la storia di ROZZUM, rinominata Roz, è una profonda, splendida storia di amore ed amicizia, in tutte le sue forme. Il messaggio del film non si lega "solo" ad un invito alla tolleranza e alla comprensione, ma all'impegnarsi affinché chi amiamo possa trovare un posto dove i suoi talenti possano venire sviluppati al meglio, anche a costo di fare un passo indietro e offrire il più grande dei doni, la libertà. Ne Il robot selvaggio i personaggi si lasciano alle spalle preconcetti legati a loro stessi e agli altri, e riescono a fare quel passo in più per uscire da un microcosmo fatto di paura e limitazioni, affiancando ad idee "favolistiche" (come quella di animali di specie diverse che imparano a convivere per non rendere vano lo sforzo di un "mostro") immagini molto adulte e reali di morte (lunga vita agli opossum e al loro concetto di maternità!), tristezza e dolore, con un happy ending che non è scontatissimo, benché contenga il sapore della speranza. 


Chris Sanders
, partendo dal libro illustrato di Peter Brown, prende il meglio dai capolavori che lo hanno elevato tra i maestri dell'animazione odierna, e confeziona un'altra poetica storia dove i personaggi fanno della diversità la loro forza. Benché non abbia nessuna caratteristica umana o animale, il robot Roz è incredibilmente espressivo, dotato di una gamma emotiva interamente rappresentata da luci, colori, movimenti ed inquadrature ad hoc, e il bestiario che gravita attorno alla protagonista ha un sembiante contemporaneamente realistico e molto accattivante, soprattutto la volpe Fink (adoro le volpi animate fin da quando ero bambina e questa, a mio parere, è una delle migliori viste su schermo). La cosa incredibile de Il robot selvaggio, nonché quella che più mi ha fatta pentire di non averlo visto l cinema, è il modo in cui riescono a fondersi, rispecchiando alla perfezione in senso della trama, la tecnologia 3D di animazione dei personaggi e e una tecnica di colorazione ed illuminazione dotata delle stesse caratteristiche della pittura a mano libera. I fondali e le scene ambientate nella foresta sono dotati di una ricchezza e una profondità unici, ed è interessante vedere come i colori e la texture di Roz cambino mano a mano che la programmazione viene meno e subentra l'istinto che rende il robot, per l'appunto, selvaggio e sempre più integrato ed accettato dalla natura che lo circonda. Il risultato sono scene di pura perfezione, quasi dei quadri in movimento, che toccano l'apice nella splendida sequenza delle farfalle, o quella della migrazione delle oche, ma per quanto mi riguarda ogni fotogramma del film è un piccolo capolavoro. Importantissima anche la colonna sonora di Kris Bowers, epica e commovente, e il parterre di splendide voci che danno vita ai singoli personaggi, riconfermando (come se ancora servisse) Lupita Nyong'o come una delle attrici migliori in circolazione, talmente brava da infondere una profondissima umanità a Roz, pur mantenendo intatte le sue caratteristiche di "freddo" robot. Non ho ancora guardato Flow, e sapete quanto sia parziale verso i gatti, quindi non sono sicura che non lo preferirei a Il robot selvaggio; a prescindere, il film di Sanders è comunque un capolavoro che merita più di una visione, coi bambini ma anche da soli, così c'è meno vergogna a piangere senza ritegno!!


Del regista e co-sceneggiatore Chris Sanders ho già parlato QUI. Lupita Nyong'o (Roz / Rummage), Pedro Pascal (Fink), Kit Connor (Beccolustro), Bill Nighy (Collolungo), Ving Rhames (Fulmine), Mark Hamill (Spina) e Catherine O'Hara (Codarosa) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Il robot selvaggio vi fosse piaciuto recuperate Il gigante di ferro, Lilo & Stitch e Wall.E. ENJOY!

venerdì 12 aprile 2024

Omen - L'origine del presagio (2024)

Dopo l'abbuffata di "Presagi" sono andata ovviamente a vedere Omen - L'origine del presagio (The First Omen), diretto e co-sceneggiato dalla regista Arkasha Stevenson.


Trama: nel 1971, la novizia Margaret si trasferisce in un convento di Roma per prendere i voti. Lì si ritroverà invischiata in un complotto per fare nascere l'Anticristo...


Finalmente si è concluso questo mese a base di presagi. In tutta onestà, non poteva finire meglio. Dopo la qualità calante dei sequel de Il presagio, film entrato giustamente a fare parte della storia del genere cinematografico "satanico", questo prequel è stata una boccata d'aria fresca. La cosa è paradossale, potete immaginare perché. The First Omen racconta tutto ciò che conduce all'inizio de Il presagio, quindi sappiamo già come andrà a finire, cioè male, e chi si è da poco immerso nella saga, come me, potrebbe farsi persino un'idea chiara di come e per chi andrà a finire male più o meno dalle prime scene. Non che sia un problema visto che, salvo un paio di incongruenze/forzature e qualche "maccosa", la trama di The First Omen è coinvolgente e interessante. Protagonista è Margaret, novizia americana che si trasferisce a Roma per prendere i voti e viene accolta all'interno di un orfanotrofio per sole bambine. Fin dall'inizio, l'esperienza di Margaret non è tutta rose e fiori: la madre superiora ha un cuore decisamente arido e poco cristiano, una bambina in particolare viene ostracizzata e tenuta separata dalle altre, tremende visioni del passato tornano a perseguitare la novizia e c'è anche il disagio di avere una compagna di stanza decisa a sperimentare piaceri molto terreni prima di indossare per sempre il velo. In generale, ciò che si percepisce di Margaret è uno stato di confusione, solitudine e spaesamento, dettato dapprima dal doversi adattare ad un Paese sconosciuto (il pout-pourri linguistico del film sarebbe molto interessante ma, ahimé, l'adattamento italiano ha dato una bella piallata in tal senso) e poi da eventi sempre più inquietanti che accrescono la diffidenza della protagonista e, parallelamente, anche la sua forte volontà di decidere del proprio destino. Nonostante, infatti, il punto di vista di The First Omen sia prevalentemente femminile, il film parla di una femminilità schiacciata e violata a più riprese, sfruttata da un sistema ecclesiastico governato ovviamente da uomini, dove le donne non sono solo serve/spose di Dio, ma anche sottoposte alle decisioni degli alti prelati. Come già nel Presagio originale, la Chiesa ci fa una ben magra figura, o mostrando una debolezza isterica (sono sempre dell'idea che se Padre Brennan la smettesse di terrorizzare il prossimo coi suoi modi da matto, il Maligno avrebbe meno possibilità) o qualcosa di ancora più oscuro, che nel primo film era stato giusto accennato (sì, negli anni '70 si parlava di satanisti, ma mi sono sempre chiesta perché nella nascita di Damien fossero coinvolti anche dei preti e delle suore) e che qui diventa fulcro stesso della trama, eliminando la nozione di "satanismo".


Rimanendo in tema "violazione della femminilità", The First Omen ha delle sequenze agghiaccianti assimilabili al body horror (un paio delle quali farebbero passare la voglia di partorire persino alla più fervente mamma pancina) che sono poi quelle più originali, riuscite e distanti dai necessari omaggi riaggiornati a Il presagio. Arkasha Stevenson, che si è fatta le ossa con serie interessanti e "visionarie" come Channel Zero, Legion e Al nuovo gusto ciliegia, dimostra di avere occhio per le atmosfere che richiamano l'horror anni '70 e non le scimmiotta, bensì le riporta in vita con gli stessi colori, la stessa morbidezza ed eleganza, spingendo lo spettatore a temere non solo quello che potrebbe nascondersi nel buio, ma anche ambienti familiari, in primis una città turistica come Roma. La sequenza che ho preferito è quella in cui il focus della cinepresa si allarga fino a mostrare come le luci che circondano Margaret siano posizionate in modo da rappresentare un viso demoniaco che la inghiotte, ma non è l'unico tocco di raffinatezza; tutto il film richiama alla mente capolavori come Suspiria, in particolare per l'uso del sonoro (per non parlare di quando esplode, prepotentissimo, lo score di Jerry Goldsmith nella scena clou. Non so se mi ha causato più brividi di gioia quello oppure Rumore della Carrà), mentre Possession viene esplicitamente citato poco prima del finale. A tal proposito, Arkasha Stevenson dimostra di sapere anche scegliere bene gli attori. Nell Tiger Free non è solo bellissima, ma anche brava nell'esprimere il tormento e la forza di Margaret, oltre a prestare il corpo ad un paio di scene disgustose, ma in generale tutto il cast di supporto è formato da facce espressive ed inquietanti, con menzione d'onore per Maria Caballero, la quale sul finale è talmente bella e solenne da mozzare il fiato. L'unica cosa che non ho granché apprezzato di The First Omen è l'apertura verso potenziali spin-off della serie, che manda un po' in vacca l'impressione di avere davanti un'opera curata e realizzata con passione, non con l'intento di fare soldi a palate gabbando, in futuro, gli spettatori babbei. E' vero che produce Disney, e che la malvagità della Casa del Topo supera quella di Damien, ma per stavolta spererei che i presagi finiscano in gloria, con questo bel prequel.


Di Ralph Ineson (Padre Brennan), Charles Dance (Padre Harris) e Bill Nighy (Cardinale Lawrence) ho parlato ai rispettivi link. 

Arkasha Stevenson è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto episodi di serie come Channel Zero, Legion e Al nuovo gusto ciliegia. E' anche produttrice. 


Nell Tiger Free
interpreta Margaret. Inglese, ha partecipato a serie come Il trono di spade e Servant. Ha 25 anni. 


Sonia Braga
, che interpreta Sorella Silva, era la protagonista de Il bacio della donna ragnoOmen - L'origine del presagio è il prequel de Il presagio quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate almeno il primo film, visto che il resto della saga non è proprio un capolavoro! ENJOY!

mercoledì 3 maggio 2023

Living (2022)

L'ultimo film che ho recuperato in occasione degli Oscar è stato Living, diretto nel 2022 dal regista Oliver Hermanus e remake del film Vivere, di Akira Kurosawa.


Trama: il distinto ed anziano impiegato Mr. Williams scopre di avere più pochi mesi di vita. Scioccato dalla notizia, cerca di capire quale sia il modo migliore di vivere quello che gli resta...


Iniziamo il post con una promessa, anche se per me mantenere quelle cinematografiche è peggio che difficile: siccome non ho mai guardato Vivere, lo recupererò presto, ovviamente in base ai miei tempi biblici. E' un recupero necessario, in quanto Living, che pur mi è piaciuto moltissimo, è un remake del film di Kurosawa (a sua volta ispirato al romanzo La morte di Ivan Il'ič di Lev Tolstoj), quindi parlarne senza conoscere la fonte mi da un senso di incompletezza ed ignoranza che non avete idea, a maggior ragione visto che l'opera da cui è tratto è giapponese. Ciò detto, questo Living è la commovente storia di un gentiluomo con la G maiuscola, un impiegato del Consiglio Metropolitano di Londra post seconda guerra mondiale, che un giorno scopre di avere più pochissimi mesi di vita. Il peso di un'esistenza fatta di monotonia e di una grigia burocrazia senza sbocchi e senz'anima, unito alla consapevolezza di essere diventato non un gentiluomo, ma uno zombie che si atteggia a tale, rischia di schiacciare Mr. Williams e di fargli sprecare gli ultimi momenti preziosi, e Living, come da titolo, racconta il suo tentativo di cercare il senso della vita o, ancora meglio, un modo di vivere appieno. Dopo una serata di dissolutezze dal sapore allucinato, Mr. Williams decide che è la giovane Miss Harris, ex impiegata del suo ufficio, a detenere la chiave di una vita vissuta assaporando ogni istante, e ne ricerca per questo la compagnia, dando vita ad alcune situazioni tra il divertente e il malinconico, prima che un'illuminazione decisiva colga il protagonista e determini tutte le sue azioni del terzo atto. L'importante messaggio del film, in definitiva, è l'invito a trarre soddisfazione da piccoli gesti di umanità che ogni persona può e deve compiere per aiutare gli altri, senza farsi risucchiare da una grigia apatia dettata da menefreghismo e rassegnazione; come sottolineato da Mr. Williams, non saremo mai eroi, né potremo sperare di venire ricordati da tutti e per l'eternità, e neppure possiamo illuderci che la nostra vita sarà sempre speciale e bellissima, ma basta costruirsi qualche ricordo importante ed essere orgogliosi, almeno una volta, di aver fatto la cosa giusta, per riuscire a trovare un minimo di conforto nei momenti di triste scoramento. 


Non so come sia Vivere, ma Living è un film dolce e delicato, interamente poggiato sulle "fragili" spalle di un Bill Nighy misurato e dignitosissimo anche nel dolore che lo accompagna costantemente, la cui interpretazione viene ulteriormente arricchita dall'interazione con la giovane, carinissima Aimee Lou Wood, qui nei panni di un personaggio all'apparenza ingenuo e svampito, che tuttavia è l'unico che riesce a trattare Mr. Williams come una persona normale e non come una cariatide distante. La sceneggiatura del premio nobel Kazuo Ishiguro, unita alla regia elegante di Oliver Hermanus, dà vita ad una vicenda mai patetica ma sempre "alleggerita", in qualche modo, da momenti addirittura grotteschi, quasi kafkiani; le prime sequenze, ambientate all'interno del folle mondo del Consiglio Metropolitano di Londra e dei riti quotidiani di chi viaggia in treno per raggiungere il posto di lavoro, sono esilaranti nel loro assurdo rigore e nascondono una triste amarezza che sa di sconfitta non solo delle istituzioni, ma anche del genere umano. Nonostante ciò, Hermanus riesce a tirare fuori, anche da una quotidianità prosaica, delle immagini assai poetiche, come se lo stesso regista si sforzasse, come Mr. Williams, di cogliere il bello all'interno del grigiume, un'idea di calore anche sotto la pioggia battente o tra le quattro mura di una casa fotografata con luci calde, in aperto contrasto con la freddezza di sentimenti trattenuti perché, diamine, siamo inglesi! Scherzi a parte, ormai la frenesia da Oscar è passata, prendetevi il tempo di godervi un film dai ritmi dilatati come questo Living, non ve ne pentirete!


Di Bill Nighy, che interpreta Mr. Williams, ho già parlato QUI.

Oliver Hermanus è il regista della pellicola. Sudafricano, ha diretto film come Beauty e Moffie. Anche sceneggiatore, ha 40 anni. 


Tom Burke interpreta Sutherland. Inglese, ha partecipato a film come The Libertine, Mank, Il prodigio e a serie quali Strike. Ha 42 anni e un film in uscita, Furiosa


Se Living vi fosse piaciuto, ovviamente recuperate Vivere. ENJOY!


martedì 28 aprile 2020

Emma. (2020)

Su Chili, che è diventata la piattaforma privilegiata per quei film che sarebbero dovuto uscire nelle sale e non ce l'hanno fatta, trovate Emma., diretto dalla regista Autumn de Wilde e tratto dall'omonimo romanzo di Jane Austin.


Trama: Emma Woodhouse è una ricca fanciulla di buona famiglia il cui passatempo è "creare" coppie in base alle sue spesso erronee convinzioni. Quando l'amore arriverà a bussare anche alla sua porta, la giovane si troverà impreparata...


Faccio pubblica ammenda: non ho mai letto Emma ma ho intenzione di rimediare in questi giorni (ho già acquistato l'ebook) e non ho mai guardato altri film tratti dal romanzo anche se, a ripensarci ora, Ragazze a Beverly Hills è MOLTO simile alla trama generale di Emma.. Ho deciso di fiondarmi sulla pellicola di Autumn de Wilde perché aveva un trailer spettacolare e due attrici che adoro, Anya Taylor-Joy e Mia Goth, e non sono assolutamente rimasta delusa dalla mia scelta perché Emma. è un film delizioso, nonostante la sua antipatica protagonista. La definisco antipatica ma la verità è che, a prescindere dalla "sua faccia da figa di legno" (Bolluomo dixit), è impossibile odiare Emma, coi suoi aristocratici e piccati modi di fare inglesi che stridono con le sue buone intenzioni, spesso rese contorte dal suo carattere volitivo ed orgoglioso, dalla consapevolezza erronea di essere migliore di tutti quelli che la circondano. E' impossibile odiarla perché Emma a modo suo è estremamente naif, clueless come da titolo originale di Ragazze a Beverly Hills e, per dirla alla Game of Thrones, non sa niente peggio di John Snow; inoltre è fondamentalmente di buon cuore, adora il suo ipocondriaco papà e alla fine vorrebbe il bene di Harriett nonostante l'egoistico desiderio di tenerla tutta per sé. Questo è quanto mi sento di scrivere relativamente alla trama, perché Emma. non è un film particolarmente innovativo da questo punto di vista, in quanto non rilegge la storia narrata da Jane Austen in chiave moderna o altro, magari fornendo spunti di riflessione alle ragazze moderne. Certo, Emma non ha intenzione di sposarsi e per l'epoca è molto testarda e indipendente, tuttavia, passati equivoci e momenti di malinconico scazzo, la risoluzione dell'intreccio è molto "tradizionale" e non gode di una zampata à la Gerwig come accadeva nel più particolare e profondo Piccole donne.


Detto questo, anche un po' chi se ne frega. Emma., come si evince dal punto messo alla fine del titolo, è un period drama ed è semplicemente una gioia per gli occhi di chi, come me, adora le scenografie "d'epoca" e, soprattutto, la bellezza dei costumi ravvivati da colori sgargianti; in questo caso, le mise di Emma sono tutte una più bella dell'altra, ulteriormente impreziosite da una finissima attenzione a dettagli come gioielli ed accessori, e il mio cuore ha sobbalzato più volte davanti a quello stuolo di cappottini rossi che sfilano rapidi in alcune sequenze, per non parlare della stupefacente casa/museo di Mr. Knightley, tutti elementi enfatizzati da una regia elegantissima e geometrica (a tratti debitrice dello stile di Wes Anderson, comunque molto stilosa ma mai fredda; vedere la scena del ballo "rivelatore" per credere) e una fotografia pulita e limpida. Poi, ovvio, ci sono le attrici. Anzi, prima parliamo degli attori. I giovanotti hanno tutti una bellezza poco convenzionale che aiuta a concentrarsi su quello che sono più che su quello che appaiono, e il vecchio leone Bill Nighy nei panni di Mr. Woodhouse è esilarante ma anche tenero, degnamente supportato dalla famiglia della figlia maggiore, che compare pochissimo ma strappa sonore risate (soprattutto grazie al rassegnato genero). Anya Taylor-Joy come protagonista è semplicemente perfetta. Quel viso dai tratti particolari, sempre un po' tra il malinconico e il fastidiato, calza benissimo al personaggio di Emma, per non parlare della delicatezza aristocratica che sembra accompagnare l'attrice in ogni film, e l'accoppiata tra lei e Mia Goth, altra bellezza particolarissima che qui viene resa in modo da avere un'apparenza dimessa (quando solitamente è sensuale da morire), frivola ed ingenua, è una delle cose migliori di un film che farà la felicità di quanti, come me, adorano questo genere di pellicole letterarie in costume.


Di Anya Taylor-Joy (Emma Woodhouse), Bill Nighy (Mr. Woodhouse) e Mia Goth (Harriett Smith) ho parlato ai rispettivi link.

Autumn de Wilde è la regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americana, ha 50 anni ed è anche sceneggiatrice.


Callum Turner interpreta Frank Churchill. Inglese, ha partecipato a film come Green Room, Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein e Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald. Anche regista e sceneggiatore, ha 30 anni e un film in uscita.


Di Emma esiste un altro film con lo stesso titolo e Gwyneth Paltrow nei panni della protagonista e Toni Collette in quelli di Harriett; se il film di Autumn de Wilde vi fosse piaciuto recuperatelo e aggiungete il già citato Ragazze a Beverly Hills. ENJOY!

martedì 14 maggio 2019

Pokémon Detective Pikachu (2019)

Lo so. Avrei dovuto andare a vedere Pet Sematary ma il mio compare fulciano non può fino a mercoledì e il Bolluomo non ama il genere. Per punire quest'ultimo, l'ho portato allora a vedere Pokémon Detective Pikachu, diretto dal regista Rob Letterman.


Trama: dopo un terribile incidente che ha coinvolto il padre, il giovane Tim va nella città dove lavorava il genitore e scopre l'esistenza del partner di quest'ultimo, un Pikachu dotato della parola. Assieme, si ritroveranno ad affrontare un inquietante complotto...


Come ho scritto su Facebook, Pokémon Detective Pikachu è una puttanata deliziosa. Non sarà mai il film dell'anno, ovvio, ma per quello che dura diverte da morire e, soprattutto, è zeppo di creature talmente carine da far venir voglia di non smettere mai di guardarlo. Inoltre, stranamente, la sceneggiatura è riuscita a fuggire dalla ripetitività di un costante scontro tra Pokémon (quando all'inizio è stata sfoderata la pokéball mi sono sentita male, lo ammetto) improntando le avventure di Tim e Pikachu su un registro, per l'appunto, investigativo, sfruttando le peculiarità degli svariati mostrini incontrati nel cammino per proporre parecchie sequenze prive di quel retrogusto "fanservice" tipico di questo genere di prodotti. Abbiamo dunque un paio di misteri da risolvere e la progressiva costruzione di un rapporto di fiducia tra l'unico Pikachu parlante e l'unico essere umano privo di un partner Pokémon, il delizioso contrasto tra la puccettosità del bestinetto giallo protagonista e il suo atteggiamento da caffeinomane dalla battuta facile (grazie, Ryan Reynolds) e, per chi è appassionato, la gioia di vedere una sorta di Zootropolis dove umani e pocket monsters convivono in perfetta armonia, spesso condividendo i mestieri, senza dimenticare, ovviamente, le indispensabili ma centellinate battaglie tra animaletti in grado di dispiegare inimmaginabili poteri. E pazienza se l'identità del supercattivo fosse in effetti telefonatissima (con un paio di sorprese, però, devo ammetterlo) e l'idea "folle" di quest'ultimo sia stata mutuata dal Batman del 1989: davanti alle guanciotte rosse del Pikachu non c'è cinefilia e razionalità che tenga, nemmeno quando sul finale si fa ampio ricorso al trucco della folaga e tocca bersi una supercazzola prematurata.


Ma il pregio principale del film risiede, non dovrei nemmeno dirlo, nella resa spettacolare dei Pokémon. Abituata come sono a CGI farlocca e design improbabili, è bello vedere come in Detective Pikachu i realizzatori sono riusciti a far interagire al meglio esseri umani e creaturine create al computer ed è ancor più meraviglioso che siano stati in grado di rendere "reali" i vari mostrini partendo da un character design perfetto per fumetti, videogame e cartoni animati ma passabile di diludendo in un live action (vedi l'orrido Sonic). Invece, grazie all'artista RJ Palmer, Pikachu è un morbidissimo bioccolo di pelo giallo, dalle espressioni buffe e tenerissime, il Charizard sembra un rettile vero, Bulbasaur si fa protagonista di una delle sequenze più magiche ed è di una dolcezza infinita, il Torterra catapulta la pellicola nel genere catastrofico e persino lo Psyduck è arruffosamente bellissimo. Anche se questo non vale perché lo Psyduck è bellissimo a prescindere e sfido chiunque a dire il contrario. Rob Letterman, abile sia nell'animazione che nel live action, è perfettamente in grado di coniugare le due anime della pellicola e gli attori, per quanto inevitabilmente eclissati dai loro colleghi virtuali, fanno il loro senza sembrare delle macchiette appiccicate lì con lo sputo. Unica pecca vera, il dispiacere di non poter sentire la voce originale di Ryan Reynolds, anche se il suo doppiatore ufficiale italiano, Francesco Venditti, fa un bel lavoro... a differenza di chi ha deciso di doppiare Ken Watanabe con quell'accento orripilante, seguendo un trend già avviato in film come Deadpool e X-Men: Apocalisse. Ma perché? Doppiate gli attori con nazionalità diversa da quella americana o inglese come tutti gli altri, vi prego, le peculiarità linguistiche o d'accento vanno bene in originale ma riproposte da attori italiani non si possono sentire!!


Del regista Rob Letterman ho già parlato QUI. Ryan Reynolds (voce originale di Pikachu), Kathryn Newton (Lucy Stevens), Bill Nighy (Howard Clifford), Ken Watanabe (Hide Yoshida), Karan Soni (Jack) e Suki Waterhouse (Ms. Norman) li trovate invece ai rispettivi link.


Justice Smith, che interpreta Tim Goodman, non è figlio di Will Smith come credevo ed ha partecipato a Jurassic World - Il regno distrutto mentre Rita Ora, che sapete tutti essere in realtà MMadreee di Jean Claude, interpreta la Dottoressa Ann Laurent. Se Pokémon Detective Pikachu vi fosse piaciuto, recuperate Zootropolis, Chi ha incastrato Roger Rabbit? e magari anche Jellyfish Eyes e, perché no, The Cleanse. ENJOY!

martedì 17 maggio 2016

Astro Boy (2009)

Spulciando tra i dvx mi sono ritrovata tra le mani in questi giorni Astro Boy, diretto e co-sceneggiato nel 2009 dal regista David Bowers a partire dal manga del sensei Osamu Tezuka.


Trama: a seguito di un incidente il giovane Tobio muore e il padre, lo scienziato Dr. Tenma, decide di costruire un robot con le sue sembianze e dotato degli stessi ricordi del figlio. Resosi dolorosamente consapevole del fatto che la nuova creatura è ben diversa da Tobio, Tenma lo allontana da casa e il piccolo robot si ritrova esiliato in quella che un tempo era la Terra, ora un luogo desolato e privo di risorse naturali...



Comincerò questa breve recensione con una confessione terrificante: da bambina, quando passavano Astro Boy in TV, cambiavo canale. Ebbene sì, l'ho detto. Non ho mai sopportato la creatura di Osamu Tezuka, il Dio dei Manga di cui, in generale, non sono mai riuscita ad apprezzare lo stile, purtroppo la prima cosa che mi colpiva da piccola durante la visione di un anime, conseguentemente non conosco il personaggio in questione e se vi aspettavate una recensione capace di "scovare le differenze" o inveire contro il vilipendio all'Astro Boy cascate male. Di fatto, mi sono avvicinata al film di Bowers con un'ignoranza tale da rasentare la vergogna e allo stesso modo ho concluso la visione con una scrollata di spalle e la consapevolezza che una roba simile l'avrei dimenticata nel giro di un paio di giorni. Da allora è passata una settimana ed effettivamente tutto ciò che mi ha lasciato Astro Boy è una vaga sensazione di "sbagliato", come se aggiornare nel character design la creatura di Tezuka abbia avuto come unica conseguenza quella di appiattirla, rimasticarla e gettarla in pasto ad un pubblico privo della voglia di affrontare un'opera seminale per quel che riguarda il fumetto nipponico; per carità, quella voglia manca anche a me (non per altro ma ho tanta di quella roba da leggere che impelagarmi nell'acquisto di vecchi volumi di Astro Boy sarebbe deleterio in termini di tempo, denaro e sanità mentale), ma perlomeno sono consapevole del fatto che lo stile vintaggio del Maestro scaldava il cuore mentre quest'accozzaglia di luoghi comuni e personaggi rifatti mette solo tristezza. Astro Boy, o per meglio dire Tobio, si presenta come un odioso PdF (per chi non fosse fan dell'Antro Atomico: Precisino della Fungia), talmente antipatico e saccente che la sua morte improvvisa mi ha strappato un applauso sentitissimo e questa è l'unica caratterizzazione particolare di un branco di personaggi uno più bidimensionale dell'altro, prevedibili dall'inizio alla fine.


Altrettanto prevedibile, bambinesca e per nulla inquietante è la natura dei due luoghi dove si muovono i protagonisti, "in basso" una Terra lasciata ad umani poveri e robot in disuso, "in alto" nel cielo una Città dove la tecnologia è progredita e i robot vengono sfruttati come schiavi da ricchi umani privi di sentimenti; ci sarebbe stato da strapparsi i capelli per la gioia se la storia avesse preso una piega leggermente più fantascientifica ed adulta ma purtroppo Astro Boy (a differenza di una distopia animata meglio riuscita sebbene meno blasonata come quella di 9) punta ad un target di infanti e il risultato è piuttosto loffio. Tra un momento drammatico e uno strappalacrime, ché effettivamente Tobio si porta appresso un bel carico di sfiga, Astro Boy infila suggestioni alla Real Steel, amorazzi adolescenziali, un blando messaggio ecologista e poco altro, tanto che il film mi è risultato più noioso che emozionante e non mi ha entusiasmata neppure l'animazione. Sì, le immagini che scorrono sullo schermo sono carine ma come ho detto sopra un conto era vedere muoversi i personaggi inventati da Tezuka (alcuni tornano a mo' di omaggio, come per esempio la caricatura dello stesso mangaka, ma non so a quanti spettatori saranno saltati all'occhio), con quell'animazione innocente ed esaltante che solo ora alla veneranda età di 35 anni riesco ad apprezzare, un conto è vedere schizzare sullo schermo questi bambocci senz'anima e un nugolo di personaggi creati alla bisogna che sarebbero stati bene in un altro film ma non nel remake di Astro Boy. Insomma, un gran diludendo, anche per chi non è fan di Tezuka come la sottoscritta, non oso quindi immaginare come l'abbiano accolto gli estimatori del mitico mangaka!


Tra i doppiatori originali figurano Charlize Theron (l'annunciatrice che all'inizio racconta la storia di Metro-City), Nicolas Cage (Dr. Tenma), Donald Sutherland (Presidente Stone), Bill Nighy (Dottor Elefun/Robotsky), Alan Tudyk (Mr. Squeegee / Scrapheap Head / Stinger Two), Kristen Bell (Cora), Elle Fanning (Grace), Nathan Lane (Hamegg) e Samuel L. Jackson (Zog).

David Bowers è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Giù per il tubo, Diario di una schiappa 2 e Diario di una schiappa: Vita da cani. Anche animatore, doppiatore e produttore, ha 46 anni.


Freddie Highmore (vero nome Alfred Thomas Highmore) è la voce originale di Astro Boy/Tobio. Inglese, lo ricordo per film come Neverland - Un sogno per la vita, La fabbrica di cioccolato, Un'ottima annata - A Good Year e ovviamente per il ruolo di Norman Bates nella serie Bates Motel. Anche sceneggiatore, ha 24 anni e due film in uscita.


Eugene Levy è la voce originale di Orrin. Canadese, lo ricordo per film come Splash - Una sirena a Manhattan, Frequenze pericolose, Mi sdoppio in quattro, American Pie, American Pie 2, American Pie - Il matrimonio e American Pie: Ancora insieme; inoltre, ha partecipato a serie come Innamorati pazzi e Hercules. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 70 anni e un film in uscita, Alla ricerca di Dory.


Tra le voci dei doppiatori italiani figurano Silvio Muccino (Astro Boy), Carolina Crescentini (Cora) e Il trio medusa (Robotsky, Sparx e Mike); Scarlett Johansson avrebbe dovuto doppiare Cora nella versione inglese ma alla fine è stata sostituita da Kristen Bell. Dell'opera di Osamu Tezuka esistevano già tre serie dal titolo Astro Boy, una in bianco e nero, del 1963, credo mai arrivata in Italia, quella a colori che conosciamo anche noi, del 1980, e infine un remake del 2003 anch'esso inedito da noi; se vi fosse piaciuto Astro Boy recuperate quanto possibile! ENJOY!

domenica 4 maggio 2014

Questione di tempo (2013)

Prima di partire per Parigi ho avuto modo di vedere Questione di tempo (About Time), scritto e diretto nel 2013 da Richard Curtis. Siccome è passato del tempo, vediamo di rimettere insieme le idee e scrivere una recensione decente!


Trama: il giorno del suo 21esimo compleanno Tim viene messo a conoscenza del segreto di famiglia: tutti gli uomini che ne fanno parte hanno il potere di viaggiare indietro nel tempo. Il ragazzo decide di sfruttare questo nuovo potere per trovare l'amore...


Questione di tempo è una gradevole commedia romantica molto british che parte da un simpatico quanto fantasioso assunto: cosa farebbe una persona normalissima se avesse il potere di tornare indietro nel tempo? Molto probabilmente, come succede a Tim, realizzerebbe desideri normalissimi, in primis quello di trovare l'amore. E proprio su questa rocambolesca e divertente ricerca dell'anima gemella ruota l'intera prima parte di Questione di tempo, una pellicola che nasconde, dietro alla facciata alternativa e un po' sciocchina, un paio di riflessioni più interessanti e profonde che se, da un lato, appesantiscono la seconda parte tirando la storia anche troppo per le lunghe, dall'altro lo rendono forse più apprezzabile e "sentito" rispetto alla media del genere. Per una volta, infatti, il titolo italiano rende molto bene (anche se mai come quello originale) la doppia anima del film, che racconta sì una storiellina fantastica in cui, finalmente, il protagonista riesce a crearsi una vita manipolando con paracula ed imbranata accortezza il tempo, ma riflette anche sul Tempo in generale e, soprattutto, sul modo sciocco in cui troppo spesso viene sprecato impedendoci di assaporare i momenti davvero degni di essere vissuti, anche quelli che ci sembrano più banali e scontati: se all'inizio si ride parecchio, verso la fine Questione di tempo assume una sfumatura sempre più malinconica e commovente, evitando per un pelo l'affossamento in una ripetitività di gag che, a lungo andare, lo avrebbero reso soporifero.


Oltre al cambio di atmosfera, ciò che giova a Questione di tempo è il fatto che il fulcro della storia, ad un certo punto, si sposti dalle vicende amorose di Tim a quelle relative alla sua famiglia perché, non stiamo a raccontarcela, Domnhall Gleeson è bravo e simpatico ma non ancora in grado, a mio avviso, di reggere quasi da solo un intero film mentre il vecchio leone Bill Nighy è sempre un piacere da ascoltare e vedere: la strana famiglia di Tim, con quell'aria vagamente Andersoniana, è indubbiamente la carta vincente di una pellicola che, privata di questi strani personaggi, molto probabilmente mi sarebbe piaciuta meno. Altro geniale picco di eccentricità, apprezzabile appieno solo guardando la versione originale di Questione di tempo, è il matrimonio celebrato sulle note de Il mondo di Jimmy Fontana, definito molto tranquillamente come an italian weirdo, che tuttavia alle orecchie di un madrelingua nostrano dona un ulteriore significato alla pellicola: il mondo non si è fermato mai un momento, la notte segue sempre il giorno, come a dire che il tempo può anche essere (nei limiti che scoprirete guardando il film) governato e controllato, ma alla fine le cose dovranno fare sempre il loro corso, bello o brutto che sia. Starà a Tim, e per estensione a noi, trovare UN mondo, IL mondo, quello dove riusciremo a stare bene nella buona e nella cattiva sorte, senza ricorrere a sotterfugi e senza sprecare neanche un minuto prezioso a rimpiangere "quello che avrebbe potuto essere". Voi intanto rubate un paio di orette alla vostra vita guardando questo delizioso Questione di tempo, non ve ne pentirete!


Del regista e sceneggiatore Richard Curtis ho già parlato qui. Domhnall Gleeson (Tim), Rachel McAdams (Mary) e Bill Nighy (Papà) li trovate invece ai rispettivi link.

Lindsay Duncan interpreta mamma. Scozzese, ha partecipato a film come Un marito ideale, Sotto il sole della Toscana, Alice in Wonderland e a serie come Doctor Who, Black Mirror e Sherlock. Ha 64 anni.


Tom Hollander interpreta Harry. Inglese, ha partecipato a film come Gosford Park, The Libertine, Orgoglio e pregiudizio, Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma, Un'ottima annata - A Good Year, Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo, Elizabeth: The Golden Age, Byzantium e ha doppiato episodi de I Griffin e American Dad!. Anche produttore e sceneggiatore, ha 47 anni e un film in uscita.


Margot Robbie interpreta Charlotte. Australiana, ha partecipato a The Wolf of Wall Street e alla soap opera Neighbours. Anche produttrice, ha 24 anni e quattro film in uscita tra cui l'ennesima versione di Tarzan che dovrebbe avere tra i protagonisti anche i tarantiniani Samuel L. Jackson e Christoph Waltz!


Se Questione di tempo vi fosse piaciuto non perdetevi Sliding Doors e, soprattutto, il meraviglioso Ricomincio da capo. ENJOY!

venerdì 27 settembre 2013

The World's End (2013)

Finalmente è arrivato il momento di vedere conclusa una delle trilogie “non ufficiali” più amate del mondo! La Blood and Cornetto Trilogy si congeda dai suoi fan con The World’s End, sempre diretto e co-sceneggiato, come i suoi fratellini, dal regista Edgar Wright. Segue recensione SENZA SPOILER, giuro.


Trama: il disadattato Gary riunisce, dopo 20 anni, lo storico gruppo di amici con i quali era quasi riuscito a fare il giro completo dei pub nel loro sonnolento paesino natale. Le cose però, dopo 20 anni, sono molto cambiate e quella che comincia come una serata normale diventa presto una corsa per la sopravvivenza…


I film che prevedono la collaborazione tra Wright, Pegg e Frost sono un po' l'antitesi del diludendo: ci può essere magari quello un pochino meno bello degli altri, ma in generale si sa che saranno delle pellicole favolose e The World's End non fa eccezione, collocandosi nella scala del Cornettometro appena sotto Shaun of the Dead e sopra Hot Fuzz. D'altronde, ormai la sinergia del trio è tale che sono loro i primi a divertirsi girando i film e, di conseguenza, lo spettatore non può fare a meno di rimanerne influenzato e apprezzare ogni gag, ogni riferimento agli altri due episodi della trilogia (ormai un marchio di fabbrica, assieme al Cornetto, il salto degli steccati), ogni battuta e ogni momento commovente, senza dimenticare di avere comunque davanti un film a sé stante. Che, in questo caso, pesca a piene mani dalla fantascienza maccartista e la mescola con quei film apocalittici che stanno andando tanto per la maggiore in questi ultimi anni, risultando però nettamente migliore nel descrivere la fine del mondo del titolo italiano. La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Pegg e Wright, è infatti un cerchio perfetto dove ogni avvenimento o particolare insignificante non è messo a caso: The World's End andrebbe guardato almeno due volte solo per riuscire ad apprezzare appieno come, per esempio, tutto ciò che viene detto e fatto all'inizio prefiguri in qualche modo l'intero film, così come i nomi dei dodici pub dove il protagonista, Gary King (il Re affiancato da Cavaliere, Ciambellano, Paggio, Ministro e Principe), decide di prendersi l'epica sbronza e rinverdire i fasti di gioventù. The World's End è un film "di congedo", un'amara e malinconica riflessione sul tempo che passa impietoso, sul diventare adulti e sulle speranze infrante e, di conseguenza, un'ulteriore evoluzione dei due fancazzisti di Shaun of the Dead: lì Shaun ed Ed avevano una trentina d'anni (appena a inizio carriera?) ed erano ancora "recuperabili" mentre Gary è un triste e squallido quarantenne che ha deciso di non crescere e di rimanere ancorato all'ultimo giorno in cui si è sentito giovane, vivo ed invincibile.


Simon e Nick questa volta si scambiano quindi i ruoli e quello che un tempo era lo streppone Ed si ritrova oggi nei panni di un personaggio "antipatico" e precisino come il vecchio Pete, almeno per i primi 20 minuti. Il risultato è esilarante, Pegg con la tinta nera, i vestiti GGiovani e il viso pieno di rughe dell'adulto sfatto è divertentissimo ma allo stesso tempo triste e pietoso e tutti i comprimari che compongono il gruppo dei "cinque moschettieri" interagiscono tra loro in maniera divina. Tolti "i soliti due" (anche Nick Frost da il bianco e mi chiedo come abbia fatto a non farsi venire un infarto visto che corre di lungo!!), ho apprezzato molto la deliziosa, malinconica faccetta di un Eddie Marsan sempre più ubriaco e svampito mano a mano che il film prosegue e a tal proposito, prima di passare agli aspetti tecnici, vorrei spendere due parole sul doppiaggio. Mi rendo conto che in Italia le sale che proiettano i film in lingua originale sono mosche bianche (da me non è nemmeno arrivato doppiato...), tuttavia questo è il motivo per cui mi sarei comunque rifiutata di andare a vedere The World's End al cinema: ho conosciuto Pegg e Frost in Australia, non ho mai visto un loro film "di coppia" in italiano e questo vale soprattutto per quelli della Trilogia, quindi non riuscirei a sopportare la mancanza delle loro voci e il modo in cui si accompagnano alle loro espressioni (una su tutte: Simon Pegg spara una cazzata qualsiasi davanti alla ragazza e fa quell'incredibile smorfia da cagnetto bastonato, con la bocca piegata all'ingiù)... ma a maggior ragione in The World's End più i protagonisti si ubriacano più la loro parlata diventa biascicata, rapida, sincopata ed esilarante, per non parlare poi dei giochi di parole come "He was new! Like a baby! Like a man baby!" "Like a maybe". Quindi, ci siamo capiti, recuperatelo in lingua appena potete e preparatevi a ridere di più.


Delirio linguistico a parte, come gli altri due film della Trilogia anche The World's End è curatissimo per quel che riguarda regia ed effetti speciali. Devo ammettere che questi ultimi all'inizio mi hanno lasciata perplessa (non ricordo se nel trailer si vedevano, però il primo impatto è scioccante...) ma concorrono a dare al film un piglio più grottesco che risulta ancora più divertente a fronte di scene da combattimento veramente serie e ben fatte. Le entità contro cui devono combattere i nostri cinque moschettieri a tratti mettono davvero paura soprattutto per gli urlacci accompagnati da fasci di luce che ricordano tanto L'invasione degli ultracorpi e il finale, teso e mozzafiato, ha proprio poco da invidiare ai "veri" film di fantascienza. E detto questo, siccome ho promesso di non fare spoiler, conviene chiudere qui la recensione prima che il delirio e l'amore mi travolgano e vi racconti tutto questo spazialissimo, adorabile The World's End come avrei voglia di fare finché l'onda dell'entusiasmo, che dura ormai da due giorni e mi accompagnerà per mesi (lo riguarderei già ora!!!), è ancora lì a travolgermi. Correte in sala e ringraziate l'Inghilterra per averci dato questi tre geni e il loro assurdo modo di fare cinema!


Del regista e co-sceneggiatore della pellicola Edgar Wright ho già parlato qui. Simon Pegg (co-sceneggiatore, Gary King), Nick Frost (Andy Knightley), Martin Freeman (Oliver Chamberlain), Eddie Marsan (Peter Page), Pierce Brosnan (Guy Shephard) e Bill Nighy (in originale presta la voce al Network) ho già parlato nei rispettivi link. 

Paddy Considine interpreta Steven Prince. Inglese, ha partecipato a film come Cinderella Man, Hot Fuzz e The Bourne Ulimatum – Il ritorno dello sciacallo. Anche sceneggiatore e regista, ha 39 anni e due film in uscita.


Rosamund Pike interpreta Sam Chamberlain. Inglese, ha partecipato a film come La morte può attendere, The Libertine, Orgoglio e pregiudizio, La versione di Barney, Johnny English - La rinascita e Jack Reacher - La prova decisiva. Ha 34 anni e cinque film in uscita.


Tra gli altri attori, segnalo la presenza di David Bradley, ovvero l’uomo che ogni fan di Harry Potter conosce come Gazza, lo scorbutico custode di Hogwarts, qui nei panni del folle Basil. Anche Rafe Spall e i due protagonisti di Killer in viaggio compaiono come guest star, il primo ed Alice Lowe come avventori di un pub, mentre Steve Oram è riconoscibilissimo nei panni del poliziotto in moto. Infine, se il film vi fosse piaciuto (e non vedo come non potrebbe!!) consiglio il recupero di Shaun of the Dead e Hot Fuzz. ENJOY!!

venerdì 5 aprile 2013

Il cacciatore di giganti (2013)

Colma di dubbi mercoledì sono entrata in sala di soppiatto per vedere l’ennesima fiaba portata sul grande schermo, ovvero Il cacciatore di giganti (Jack the Giant Slayer), diretto da Bryan Singer.



Trama: Jack è un povero contadinello che un giorno riceve da un monaco un sacchetto di fagioli assieme ad un’unica raccomandazione: non bagnarli. Quando in una sera di pioggia la Principessa Isabel bussa inaspettatamente alla sua porta, uno dei fagioli si bagna e la poveretta viene scagliata in cielo, con tutta la casetta di Jack, dalla pianta ipertrofica. Jack si precipita a salvare la fanciulla assieme a un manipolo di soldati e un pretendente fedifrago, ma non immagina certo che in cima al fagiolone troverà i malvagi Giganti delle leggende…


Posso dirlo? Finalmente!!!!! Finalmente una fiaba modificata soltanto il minimo indispensabile (è l'unione della famosa fiaba Jack e la pianta di fagioli e della più "arturiana" Jack the Giant Killer), senza sfumature gotiche, riletture moderne, sequel, prequel e chi più ne ha più ne metta! Il cacciatore di giganti sarà anche il fracassone trionfo della CGI ma è innanzitutto un sano, divertente, necessario ritorno alle avventure e alle favole che tanto ci piacevano da piccini, con eroi che fanno gli eroi, re che governano anche se imperfetti, principesse che mantengono la loro femminilità e il loro rango anche se vorrebbero essere parte attiva del regno, cattivi da operetta ma comunque stronzi ed esseri sovrumani pericolosissimi. Mi sono divertita a guardare Il cacciatore di giganti, non me ne vergogno affatto, ho svuotato il cervello da tutti i pensieri e mi sono lasciata trasportare dalla trama semplice, lineare, prevedibilissima, radicata nei topoi ancestrali della fiaba e portatrice dei soliti, eterni e disneyani valori che sono fondamento della crescita dei pargoli da tempo immemorabile.


Quanto alla realizzazione, l’intero ensemble richiama Il signore degli Anelli, a partire dalla corona fiammeggiante portata al dito da uno dei Giganti per arrivare agli occhioni “gollumeschi” di quello a due teste, ma in generale la CGI non è così fastidiosa come mi sarei aspettata e, combinata con la sapiente regia di Singer, regala un paio di sequenze veramente belle, comprese quelle della scalata e discesa dalla gigantesca, dettagliatissima pianta di fagioli e quella della battaglia finale al Castello, dove il binomio morte & distruzione la fa letteralmente da padrone. Ammetto però che all’inizio mi sono quasi alzata per uscire dalla sala. A differenza de Il grande e potente Oz, che aveva un’introduzione spettacolare e si ammosciava proseguendo, Il cacciatore di giganti parte invece con un orrendo prologo completamente digitale che risulta legnoso, freddo e fasullo come se l’avessero fatto degli studentelli alle prime armi, una sorta di flashback che, per fortuna, viene presto eclissato dall’intelligente montaggio che racconta in parallelo l’infanzia di Jack ed Isabel, provenienti da due mondi lontani ma accomunati dai medesimi sogni. Piacevolissima anche la prova degli attori: Ewan McGregor è un guasconotto figo da far paura, i due protagonisti sono un po' inespressivi quindi perfetti per il ruolo dell'eroe e della principessa belloccetti, Stanley Tucci è effettivamente sprecato ma compensa con abbondante dose di malvagità e Ian McShane è un credibilissimo Re coraggioso ma freddo, una di quelle figure regali e ambigue, alle quali si impara a portar rispetto col passare del tempo. Simpatici anche i giganti, molto ben fatti e a tratti anche spaventosi, ma la parte migliore del film è sicuramente il finale, che si ricollega in modo molto intrigante all'epoca moderna... e lascia lo spettatore più fantasioso con una carrellata verso l'alto che potrebbe anche far presagire un sequel. Chissà. A me basta questo, per una serata di relax va benissimo così.


Del regista Bryan Singer ho già parlato qui. Ewan McGregor (Elmont), Stanley Tucci (Roderick), Eddie Marsan (Crawe), Ian McShane (Re Brahmwell), Warwick Davis (Old Hamm) e Bill Nighy (che da la voce al gigante dalle due teste, Fallon) li trovate invece ai rispettivi link.

Nicholas Hoult interpreta Jack. Inglese, ha partecipato a film come X-Men – L’inizio, Warm Bodies e ha doppiato un episodio di Robot Chicken. Ha 24 anni e tre film in uscita, tra cui Mad Max: Fury Road e X-Men – Giorni di un futuro passato, dove riprenderà il ruolo di Bestia.


Eleanor Tomlinson interpreta Isabel. Inglese, ha partecipato a film come The Illusionist, Alice in Wonderland ed Educazione siberiana. Ha 21 anni e due film in uscita.


Ewen Bremner interpreta Wicke. Indimenticato Spud di Trainspotting, l’attore scozzese ha partecipato a film come Dredd – La legge sono io, Snatch – Lo strappo, Il giro del mondo in 80 giorni, Alien vs Predator, Match Point e alla serie My Name is Earl. Ha 41 anni e due film in uscita.


Tra gli altri interpreti segnalo inoltre la presenza di Ralph Brown, già Bob nell’esilarante I love Radio Rock, qui nei panni del monocolato Generale Entin. Se il film vi fosse piaciuto consiglio infine la visione di Legend, La storia fantastica e magari King Kong, perché no! ENJOY!

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