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venerdì 21 maggio 2021

The Father (2020)

E' uscito ieri nelle sale italiane The Father, diretto e co-sceneggiato dal regista Florian Zeller, vincitore di un Oscar per il miglior attore protagonista e per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.


Trama: Anthony, ormai anziano, si ritrova a non riconoscere più non solo i suoi familiari ma anche il mondo che lo circonda...


I film che trattano il tema delicato dell'Alzheimer e di tutto ciò che implica questa orribile malattia, per chi ne è affetto e per chi gli sta accanto, nel corso di questi ultimi anni si sono moltiplicati, eppure a me pare che The Father sia il primo a mostrare il punto di vista del malato senza piegarlo al desiderio di comprensione dello spettatore. L'opera di Florian Zeller, tratta da una sua pièce teatrale, ci introduce infatti alle ultime fasi della vita di Anthony, uomo che si ritrova a dipendere sempre più dalla figlia Anne a causa di una malattia degenerativa che lo sta privando, a poco a poco, della lucidità e della memoria; un uomo che si è sempre distinto per umorismo, intelligenza e gusti, fiero della propria indipendenza, arriva a guardare con diffidenza tutto ciò che lo circonda, ritrovandosi spiazzato davanti a persone che non riconosce e luoghi che non sono quello che sembrano. L'inizio del film è trattato come un giallo hitchcockiano, tanto che nello spettatore si insinua la stessa angoscia che comincia a corrompere ancor più la mente di Anthony, soprattutto dal momento in cui anche la dimensione temporale di The Father, la consecutio degli avvenimenti, comincia a privarsi di ordine e logica, lasciando ancora più spiazzati e consapevoli di come dev'essere "perdere le foglie", ritrovarsi come un albero nudo, privi di quella sicurezza che deriva dalla piena coscienza di sé, alla mercé di qualsiasi cambiamento. Quella stessa insicurezza si riversa sullo spettatore, che a un certo punto si chiede se ciò che si vede sullo schermo sia interamente reale o in parte frutto delle percezioni distorte di Anthony, soprattutto nella sequenza più orribile dell'intera pellicola, quella in cui il marito di Anne comincia a picchiare l'anziano suocero che scoppia in lacrime così cocenti e terrorizzate da spezzare il cuore a un sasso.


E lacrime si versano anche davanti ai dubbi di Anne e al suo senso di colpa, ché The Father, nonostante la sua breve durata, riesce anche, con poche pennellate, a delineare la situazione di chi ha a che fare con la malattia da "esterno", vittima non solo del dolore di vedere sfiorire il proprio caro ma anche di quello di diventare bersaglio di esternazioni violente e anche troppo "sincere", soprattutto quando a prendersi cura del malato non è la figlia preferita, come in questo caso. Lo strazio di sentirsi lacerare tra l'affetto per il malato, il senso di dovere filiale, e l'umana fatica di dover sopportare una simile situazione anelando la libertà e la possibilità di vivere un'esistenza normale si leggono in ogni ruga del viso della bravissima Olivia Colman, nei suoi sguardi, in quel groppo alla gola che diventa un riverbero di quello dello spettatore. E quanto è tornato ad essere bravo, finalmente, anche Anthony Hopkins, che in una sequenza affascina e conquista, per poi straziare durante un finale in cui si fatica a non distogliere lo sguardo per il modo in cui viene messa in scena tutta la pena di una malattia che priva le persone dell'indipendenza e della dignità, lasciando solo un fragile guscio vuoto là dove un tempo c'era un essere umano integro e meravigliosamente complesso. Di fronte a questo, The Father non è un film che consiglio a chi dovesse trovarsi in una simile situazione, perché rischierebbe di non essere per nulla catartico e di aumentare la sofferenza, tuttavia è una delle pellicole che ho apprezzato maggiormente nel corso dell'annuale, forsennata rincorsa al recupero pre-Oscar, quindi guardatelo perché merita. 


Di Anthony Hopkins (Anthony), Olivia Colman (Anne), Mark Gatiss (l'uomo), Olivia Williams (la donna), Imogen Poots (Laura) e Rufus Sewell (Paul) ho già parlato ai rispettivi link. 

Florian Zeller è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Francese, è al suo primo lungometraggio. Anche produttore, ha 42 anni.


Se The Father vi fosse piaciuto recuperate Still Alice, lo trovate a noleggio su varie piattaforme. ENJOY!

venerdì 10 aprile 2020

Vivarium (2019)

Qualcuno su Facebook aveva messo in guardia da Vivarium, film diretto e co-sceneggiato nel 2019 dal regista Lorcan Finnegan, in quanto non adatto alla situazione di clausura che stiamo vivendo. Ma qualcuno mi ha persino mandato una mail per consigliarmi di recuperarlo e come potevo esimermi ancora a lungo?


Trama: a una giovane coppia in cerca di un alloggio viene mostrata una casa nei sobborghi della città, in un quartiere nuovissimo. Purtroppo, l'abitazione da sogno diventa ben presto un incubo da cui è impossibile uscire...


Se credevate che l'angoscia di non poter uscire di casa fosse insostenibile, che ne dite di un bel film che vi ricorda, se ce ne fosse bisogno, che è la vita moderna stessa ad esserlo, talmente logorante che nemmeno il Cynar può aiutarci a superarla? Gemma e Tom sono due giovani fidanzati da poco, lei insegnante di scuola, lui giardiniere precario che non può permettersi nemmeno una macchina sua. Stanno insieme da poco, per l'appunto, ma è già abbastanza per mettere il primo punto fermo alla relazione, "altrimenti che coppia siete se non andate nemmeno a vivere assieme?". E così i due pensano già a mettere su casa, step indispensabile e prodromo di una vita regolata, magari in un quartiere tranquillo, una casetta con giardino e tutti i comfort, cameretta per bambino in primis che, anche lì, "che coppia siete se non mettete al mondo nemmeno un bambino?", e con questi buoni propositi in testa finiscono a Yonder, un quartiere appena costruito. Yonder è perfetto e già ansiogeno di suo, con quelle casette tutte uguali, verdine, il cielo fatto di nuvole regolarissime e bianche, su un cielo azzurro primavera, col sole perennemente a splendere... è tutto talmente uguale e regolare e perfetto, in effetti, che Gemma e Tom a un certo punto non riescono più ad uscire dall'intrico di stradine tutte identiche e l'unica nota stonata che rimane all'interno di Yonder è la vecchia Volkswagen di lei, ormai senza benzina, ultimo baluardo di una vita in cui ci si può permettere di ascoltare musica da sballoni come A Message to You Rudy (mai così profetica visto che Rudy dovrebbe "smettere di cazzeggiare, darsi una regolata e pensare al futuro"). Volkswagen che diventa l'unico luogo dove rifugiarsi e respirare qualcosa che non sia l'aria asettica di Yonder, quartiere meraviglioso in cui persino il cibo non sa di nulla e quello che viene comunemente propagandato come il momento più alto della vita di coppia viene imposto come un incubo senza fine.


Premesso che non vi dirò nulla di più relativamente alla trama, è davvero difficile non empatizzare con Gemma e Tom, non soffrire assieme a questi due ragazzi, costretti non solo a subire una vita imposta da altri, ma anche a vedere progressivamente sfaldarsi il sentimento d'amore che li unisce nel momento esatto in cui ai due vengono appioppati determinati "ruoli". Tom, l'uomo, si ritrova così a sfogare nel sudore e nel lavoro le frustrazioni, perdendosi in un'attività spersonalizzante da eseguire da mattina a sera senza ottenere risultati concreti (alzi la mano chi non si è mai sentito così almeno una volta nella vita) mentre Gemma, la donna, vinta dalla propria sensibilità e dal retaggio lavorativo della sua vecchia vita, si ritrova a diventare "custode" della casa, delle abitudini regolari, del dono più prezioso che possa venire concesso ad una coppia, spersonalizzandosi a sua volta e privandosi di qualsiasi scopo nell'esatto momento in cui detto "dono" raggiunge l'indipendenza. La metafora di Vivarium è un po' esagerata, ed è comprensibile se si pensa alla natura sci-fi/horror dell'opera, ma poiché lascia addosso un senso di angoscia fuori scala e una depressione che fa il paio, significa che riesce a farsi portavoce di un disagio presente e condiviso, spesso universale, e lo fa non solo attraverso gli aspetti più horror (deformità assortite, sequenze allucinate e strilli orripilanti) ma soprattutto esasperando gli elementi perfetti e "normali", un po' come già accadeva in Pleasantville, ma senza la stessa garbata ironia. Non c'è nulla di ironico, infatti, in Vivarium, e i due attori principali colpiscono al cuore per il modo in cui la sofferenza, l'esasperazione, il dolore e la paura vengono resi manifesti in ogni gesto; vi sfido a non versare una lacrima davanti al volto stravolto di Imogen Poots, che in pratica si carica sulle spalle la carica emotiva dell'intero film, e a non ripensare a quante volte vi siete guardati allo specchio e avete ritrovato nel riflesso quello stesso desiderio di urlare e piangere per il senso impotente di prigionia che minacciava di farvi esplodere. E magari parlassi solo del momento contingente di pandemia globale. Se sapete di cosa parlo, vi consiglio di guardare Vivarium, anche se a vostro rischio e pericolo.


Di Imogen Poots, che interpreta Gemma, ho già parlato QUI mentre Jesse Eisenberg, che interpreta Tom, lo trovate QUA.

Lorcan Finnegan è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Irlandese, ha diretto un altro lungometraggio, Without Name. Anche produttore, ha 40 anni.


Jonathan Aris interpreta Martin. Inglese, ha partecipato a film come The Jackal, Killer in viaggio, La fine del mondo, Sopravvissuto - The Martian, Rogue One: A Star Wars Story, Morto Stalin se ne fa un altro, Tutti i soldi del mondo e a serie quali Sherlock, The End of the F***ing World e Dracula. Ha 49 anni e un film in uscita.


domenica 26 agosto 2018

I Kill Giants (2017)

E' approdato direttamente su Netflix, proprio poche settimane fa, il film I Kill Giants, diretto nel 2017 dal regista Anders Walter e tratto dal fumetto omonimo di Joe Kelly e Ken Niimura.


Trama: Barbara è una ragazzina schiva e peculiare, con una particolarità. E' l'unico essere umano consapevole dell'esistenza dei giganti, che cerca di combattere con tutte le forze con l'ausilio della sua arma, la potente Koveleski.



Bestia strana questo I Kill Giants, soprattutto per chi non dovesse avere letto il fumetto omonimo, che vi direi di recuperare perché bellissimo. Dico così perché non è così facile ascriverlo a un genere, né probabilmente rimanerne folgorati come dal fumetto, benché a me sia piaciuto (e mi è sembrato che anche il Bolluomo abbia gradito). Siccome mi sono gingillata un po' sul post e stentavo a trovare l'ispirazione, come spesso accade durante le vacanze quando sono fuori allenamento, ho deciso di rileggere il fumetto per "sbloccarmi" e ho più o meno capito ora cosa c'è che "non va", in senso lato, nel film di Anders Walter. L'opera di Kelly e Niimura è feroce, arrabbiata e si consuma in poco tempo catturando il lettore che non riesce a posare il volumetto; benché i dialoghi siano simili, praticamente identici a quelli uditi nel film e gli eventi si susseguano allo stesso modo, la forza di I Kill Giants sta nella commistione tra questi dialoghi e il segno nervoso, quasi un po' underground, di Niimura, che restituisce al lettore l'idea di un mondo fantastico (e anche spaventoso) presente appena sotto la superficie di una realtà violenta, triste, inadatta a una bambina delle elementari qual è la Barbara del fumetto. La pellicola di Walter, invece, pare bearsi della costruzione di un limbo poetico e si concentra sulle trappole che Barbara costruisce per fermare i giganti, convogliando l'attenzione dello spettatore più verso l'effettiva esistenza degli stessi piuttosto che sul dramma umano di una ragazzina adolescente assai difficile, con la quale non è scontato immedesimarsi. Il sangue che scorre nell'I Kill Giants cinematografico è quello di rituali colorati ed accattivanti, in odore di Harry Potter, mentre nel fumetto le persone si fanno male davvero e c'è tutta la frustrazione di una ragazzina che preferisce rifugiarsi in un mondo di fantasia per non pensare alle nocche di una bulla fuori di testa, degno completamento di una vita fatta di abbandono, morte, inadeguatezza sociale, la difficoltà di integrarsi coi propri coetanei unita al desiderio di lasciare da parte Giganti e martelli magici per potersi abbandonare, anche solo una volta, alla stupidità di fatine e boyband.


L'opera di Walter si "perde", in effetti, focalizzandosi sull'aspetto visivo dell'opera, com'è proprio del mezzo cinematografico: la fotografia patinata, i colori, i costumi e la colonna sonora "ammorbidiscono" il grezzo mondo di fantasia creato da Kelly e Niimura, dilatando il tempo a dismisura quando invece, a mio avviso, le sconvolgenti emozioni della protagonista (la quale, in soldoni, ha problemi psichici abbastanza evidenti, benché comprensibili) avrebbero abbisognato di un trattamento più "cupo" e incisivo, meno malinconico. Dove il film arriva a cogliere nel segno è sul finale, zeppo di momenti tra lo spettacolare/catartico e il devastante per il povero cuore dello spettatore, il quale viene colpito da tutta la disperata ineluttabilità della situazione di Barbara, già presente nel fumetto. Il risultato dell'operazione è dunque un film più assimilabile al mondo dello young adult che dei comics, molto ben realizzato dal punto di vista della confezione, con degli effetti speciali poco invasivi e contenuti così da rendere al meglio la battaglia finale tra Barbara e il Titano, ottimamente recitato da una coppia di giovani attrici assai brave e molto carine (in effetti, anche troppo: Barbara nel fumetto è un piccolo mostrino, la Wolfe invece, alla faccia degli occhialoni, è di una bellezza disarmante), adatto sia a un pubblico adulto che a quello formato da spettatori più giovani, benché visti i temi trattati non lascerei i  bambini soli davanti allo schermo. Come avrete capito, mi sarei aspettata molto di più da questo film, non abbastanza incisivo da lasciare il segno come la sua controparte cartacea ma forse, e dico solo forse, guardandolo con occhi "vergini" potreste anche innamorarvene o comunque ritenerlo superiore alla media dei film che mensilmente vengono propinati su Netflix. Per me sicuramente supera la sufficienza, però continuo a preferire un approccio più tosto, nonostante già così il pericolo per lo spettatore di annegare nelle proprie lacrime sia altissimo.


Di Zoe Saldana (Mrs Mollé), Imogen Poots (Karen) e Jennifer Ehle (la madre di Barbara) ho già parlato QUI.

Anders Walter è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio (il corto Helium gli è valso l'Oscar nel 2013). Danese, anche sceneggiatore, ha 40 anni.


Madison Wolfe interpreta Barbara. Americana, ha partecipato a film come La stirpe del male, L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo, Joy, The Conjuring - Il caso Enfield e a serie quali True Detective e Scream: The TV Series. Ha 16 anni.


Se I Kill Giants vi fosse piaciuto consiglierei il recupero del fumetto, edito da Bao, e poi aggiungerei Sette minuti dopo la mezzanotte. ENJOY!


venerdì 9 settembre 2016

Green Room (2015)

Spinta da varie recensioni positive scorte in rete, ho deciso di recuperare in questi giorni Green Room, diretto e sceneggiato nel 2015 dal regista Jeremy Saulnier.


Trama: convocati per un concerto all'ultimo minuto, i membri di un gruppo punk si ritrovano a testimoniare un omicidio e conseguentemente ad essere presi di mira da un branco di neonazisti...



Musicisti punk contro neonazi, cosa ci potrebbe essere di meglio, cinematograficamente parlando? Da questo punto di vista, in effetti Green Room è un film con le contropalle, oltre che intriso di una cattiveria di altissimo livello. In soldoni, trattasi di revenge movie in cui i protagonisti, capitati per caso in un ambiente a loro poco consono (ragazzi punk costretti a suonare in un magazzino zeppo di personaggi di estrema destra e che scelgono, molto coraggiosamente, di esordire con Nazi Punks, Fuck Off! prima di conquistarli comunque col potere della musica), finiscono dalla padella alla brace per aver assistito a qualcosa che non dovevano vedere. Finito lo spettacolo, sale la tensione alle stelle: noi sappiamo che il proprietario del prefabbricato adibito a sala concerti non ha alcuna intenzione di farla passare liscia ai nostri ma i suoi sgherri sono così poco psicopatici, almeno in apparenza, che per una volta il gioco tra gatto e topo favorisce ampiamente la suspension of disbelief, facendoci così accettare il fatto che i protagonisti non li crivellino di proiettili e fuggano senza guardarsi alle spalle alle prime avvisaglie di pericolo. Poi, ovviamente, scoperte le carte il discorso cambia e sebbene il vecchio Darcy del freddissimo Patrick Stewart continui a fare i ragionamenti tipici e pragmatici di un imprenditore, il sangue comincia a scorrere copioso grazie a soluzioni omicide di particolare crudeltà, rese ancora più intollerabili dal fatto che i protagonisti sono ragazzotti simpatici, bravi musicisti, persino un po' sfigati se vogliamo, caratterizzati da quella punta di cameratismo che trasformerebbe ogni dipartita nella morte di un pezzetto del cuore dello spettatore, se non fosse per l'atavico scazzo che pare ammantare i personaggi principali.


Di fatto, la freddezza di Darcy e lo scazzo dei protagonisti sono quei due aspetti che frenano un po' Green Room, al netto della crudeltà di ciò che viene scagliato contro Yelchin (che la terra ti sia lieve) e compagnia cantante; passato il primo momento di tensione concitatissima, la pellicola di Saulnier non perde in cattiveria ma diminuisce sicuramente il ritmo della narrazione, smorzandosi nei discorsi se vogliamo un po' superficiali dei personaggi e nell'intima mancanza di voglia di vivere che caratterizza la Amber di Imogen Poots, peraltro anche piuttosto brava. Come leggevo dalle parti de I 400 calci, se cercate approfondimento psicologico cascate davvero malissimo, e lo stesso vale per l'originalità dello svolgimento, però se siete assetati di sangue non vi preoccupate che Saulnier mostra tutto e bene, dall'esplosione di sanguinosa violenza che proprio non ti aspetti a quella che ti aspetti ma non così lenta ed ostentata, al punto che ho dovuto un po' girarmi dall'altra parte e pensare ad altro per non mettermi ad urlare come una ragazzina. Probabilmente, anche se Green Room mi è piaciuto, me lo sarei goduta un po' di più se avessi avuto delle conoscenze musicali migliori, o se avessi bazzicato da giovinetta la scena punk delle mie zone, così da potermi immedesimare maggiormente coi personaggi o sorridere delle loro battute. Invece a me da giovane piaceva Madonna e se andassi su un'isola deserta farei come Imogen Poots, mi porterei dietro i dischi di quella vecchia strega. Ma solo quelli fino agli anni '90, mi raccomando, che la produzione recente è fuffosella.


Di Anton Yelchin (Pat), Mark Webber (Daniel), Imogen Poots (Amber) e Patrick Stewart (Darcy) ho già parlato ai rispettivi link.

Jeremy Saulnier è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Murder Party e Blue Ruin. Anche produttore, ha 39 anni.


Alia Shawkat interpreta Sam. Americana, ha partecipato a film come Three Kings, Damsels in Distress, The Final Girls e a serie come Senza traccia e Veronica Mars, inoltre ha doppiato episodi di Robot Chicken e Adventure Time. Anche produttrice e regista, ha 27 anni e due film in uscita.


Se Green Room vi fosse piaciuto cercate Blue Ruin, film dello stesso regista che però devo ancora vedere. ENJOY!

mercoledì 9 luglio 2014

Bollalmanacco On Demand: Cracks (2009)

Questa volta al Bollalmanacco On Demand spetta accontentare la richiesta di Stefania, che voleva vedere recensito il film Cracks, diretto nel 2009 dalla regista Jordan Scott e tratto dall'omonimo romanzo di Sheila Kohler. Il prossimo film On Demand sarà invece I 400 colpi. ENJOY!


Trama: Anni '30. All'interno di un collegio situato su un'isola inglese la vita scorre serena per la squadra di tuffatrici capitanata dalla carismatica insegnante Miss G. A spezzare l'armonia arriva però la misteriosa Fiamma, la nuova studentessa spagnola...


Come al solito, periodicamente mi tocca ringraziare chi ha deciso di aderire alla mia scellerata iniziativa dei film On Demand perché quasi ogni volta recupero film pregevolissimi di cui non conoscevo l'esistenza. Lo stesso vale per questo Cracks, diretto dalla figlia di Ridley Scott e, credo, mai uscito in Italia. La storia della pellicola richiama a tratti il meraviglioso Creature del cielo di Peter Jackson e sembra quasi una versione distorta e al femminile de L'attimo fuggente: Miss G è un'insegnante carismatica i cui metodi d'insegnamento stridono con l'ambiente conservatore di un collegio inglese degli anni '30 e, proprio per questo, ogni ragazzina della scuola pende dalle sue labbra, brama la sua approvazione e, fondamentalmente, ne è innamorata, soprattutto la "capetta" Di. Miss G è affascinante, ha viaggiato per il mondo, le sue avventure hanno sempre qualcosa di erotico e proibito che le rende ancora più appetibili per un branco di adolescenti facilmente suggestionabili e, ovviamente, la cosa alimenta l'ego dell'insegnante... almeno finché non arriva l'esotica e bellissima Fiamma, una principessa spagnola dal passato turbolento. All'interno di un ambiente elitario e chiuso come un collegio, per di più confinato all'interno di un'isola, l'arrivo dello straniero crea una serie di scompensi, di "fratture", sia nel gruppo che nella psiche dei singoli componenti, che portano inevitabilmente alla distruzione dell'armonia iniziale e ad alcune rivelazioni scomode ed inaspettate. Cracks diventa così un'oscura storia di passioni turbolente e disagio non solo adolescenziale, nonché una sorta di romanzo di formazione per il più impensato dei protagonisti che, finalmente, vede il suo mondo protetto ed illusorio andare in frantumi grazie alla peggiore delle esperienze e riesce a crescere e maturare, pronto a vivere di persona quella libertà che aveva solo sognato.


In Cracks il collegio e l'isola sembrano popolati esclusivamente da donne, gli uomini vengono solamente nominati senza venire mostrati e, inevitabilmente, il cast quasi interamente al femminile è di prim'ordine. Eva Green, col suo sguardo ambiguo, sensuale e disturbante, è perfetta nel ruolo di Miss G, una parte difficilissima che l'attrice riesce a sostenere per tutto il film senza risultare caricaturale o ridicola. Bravissime anche le giovani stelle nascenti Juno Temple e María Valverde, due animi contrapposti accomunati dalla stessa sofferenza e solitudine, rese rivali, come nelle migliori tragedie, da sentimenti di gelosia e folle amore; in particolare, la Valverde interpreta il suo personaggio con tanta eleganza e sottile, inconsapevole erotismo, da spiccare su tutte le altre bravissime attrici. Cracks è realizzato inoltre in modo molto raffinato ed è colmo di immagini emblematiche; la Scott è sicuramente figlia d'arte ma non lo fa pesare e rinuncia ad appesantire la pellicola con virtuosismi o sfoggi di tecnica fini a sé stessi, limitandosi a seguire le ragazze e la loro insegnante, lasciando che gesti, sguardi e luci (luci soffocate, opache e inghiottite da un'oscurità onnipresente) parlino al cuore dello spettatore pur mantenendo a tratti un'aura di mistero e riserbo, degni complementi dell'ambiente chiuso ed elitario che viene mostrato. Sicuramente Cracks patisce di alcune sequenze un po' lente e di momenti assai melodrammatici, tuttavia è un film molto particolare che mi sento di consigliare a chi ama le torbide vicende che lasciano molto all'immaginazione e non scodellano facili risposte. Grazie ancora a Stefania per la richiesta e anche al genio che ha procurato gli oggetti di scena per Cracks: tra i regali che riceve Fiamma ad un certo punto spuntano anche gli Amaretti Virginia di Sassello!! Viva la Liguria!

L'amaretto del peccato!! :D
Di Eva Green (Miss G), Juno Temple (Di) ed Imogen Poots (Poppy) avevo già parlato ai rispettivi link.

Jordan Scott è la regista della pellicola. Figlia di Ridley Scott, è al suo primo e finora unico lungometraggio. Inglese, anche sceneggiatrice e attrice, ha 36 anni.


María Valverde interpreta Fiamma. Spagnola, ha partecipato a film come Melissa P. e le trasposizioni iberiche dei due abomini mocciani Tre metri sopra il cielo (Tres metros sobre el cielo) e Ho voglia di te (Tengo ganas de ti). Ha 27 anni e quattro film in uscita.


I mille riferimenti all'Italia e all'Africa presenti nel film si spiegano in quanto, nel romanzo di Sheila Kohler, Fiamma è una principessa italiana mentre il collegio si trova in Sudafrica. Detto questo, se Cracks vi fosse piaciuto recuperate Creature del cielo, Picnic ad Hanging Rock e Cruel Intentions - Prima regola non innamorarsi.




 


giovedì 1 marzo 2012

I segreti della mente (2010)

Spinta dalla curiosità e da un nome di richiamo come quello del regista Hideo Nakata ho deciso di vedere la sua ultima fatica, I segreti della mente (Chatroom), del 2010.


Trama: un gruppo di ragazzi si incontra in una chat creata dall’ambiguo William. Apparentemente, si tratta dell’ennesimo “salotto” virtuale dove i giovani possono sfogarsi, ma quando i consigli di William cominciano a rivelarsi pericolosi gli altri ragazzi iniziano a sentire puzza di bruciato…


Cominciamo, come accade sempre più spesso ultimamente, a parlare del film partendo dal fuorviante titolo italiano. I segreti della mente lascerebbe intendere chissà quale drammone psicologico o machiavellica deviazione di giovani cervelli, mentre invece il film che abbiamo davanti è innocuo e superficiale più di tanti altri girati sull’argomento; mantenere l’inglese Chatroom o, al limite, abbreviare in “chat” avrebbe forse spinto gli spettatori a non andarlo a vedere? Ne dubito. D’altronde, parla ben del selvaggio universo degli incontri virtuali, dove qualsiasi streppone può creare, appunto, una “stanza” e parlare assieme ad altri utenti di quel che più gli aggrada, spesso e volentieri senza controllo alcuno e con ben note conseguenze. Quindi, come sempre, voto 0 alla distribuzione e agli adattatori italiani. Continuiamo e vediamo se, titolaccio a parte, I segreti della mente è un film che vale la pena vedere.


Sì e no. Questo è il secondo film di Nakata girato in terra (per lui) straniera che vedo, e devo dire che l’autore giapponese, fuori dalla sua patria, è incapace di creare qualcosa di inquietante e sottilmente disturbante. L’avevo già capito con il debole The Ring 2, inferiore sia alla serie originale che al primo remake americano e I segreti della mente lo riconferma. Certo, lui come regista cerca di fare del suo meglio e ci riesce: il film è visivamente splendido e molto originale. Scegliere di mostrare le interazioni virtuali tra i protagonisti ambientandole in vere stanze (d’altronde la chatroom è una stanza dove si parla) arredate in base all’argomento di discussione e alla personalità delle persone che le popolano è un escamotage geniale, basti vedere la frizzante stanza di Eva, piena di ragazzette sciocchine e viziate come lei, o la tetra stanza dove gli aspiranti suicidi vengono aiutati a compiere il fatale passo; ed è geniale anche mostrare internet come un enorme condominio pieno di corridoi nei quali sostano i vari utenti, con alcune zone più malfamate di altre (da brividi la sequenza che vede, fuori dalle squallide porte, i pedofili che parlano con i bambini cercando di farli entrare…) oppure la scelta di rendere visivamente sia eventuali identità false oppure l’arrivo della polizia postale che scaccia a colpi di manganellate gli occupanti dei siti proibiti. Però oltre a questa inventiva registica c’è poco altro.


La storia è abbastanza ammorbante ed inverosimile. C’è un moccioso autolesionista (figlio di una sorta di J.K.Rowling, le iniziali sono le stesse e simile anche la serie di libri che scrive…) affascinato dal dolore altrui che spinge i pochi amichetti virtuali che è riuscito ad attirare nella rete ad agire contro altri o, peggio, contro sé stessi. Ho capito che, di queste povere vittime, una è una scemetta annoiata, l’altra una ragazzina “bene” tenuta nella bambagia dai genitori, l’altro un ragazzotto che spasima per la sorellina undicenne del migliore amico e l’ultimo un povero sfigato depresso e abbandonato dal padre, ma davvero bastano due cazzatelle scritte in una chat per convincerli che William è un dio dotato della risposta a tutti i loro problemi? Sinceramente, mi pare che I segreti della mente sia anche troppo allarmista e conservatore nei confronti di una risorsa come internet. E’ vero che l’isolamento è sbagliato e la possibilità di crearsi delle false identità genera casi limite e pericoli spesso incontrollabili, ma in questo film chiunque metta mani sulla tastiera viene descritto come un freak, dallo schifoso pervertito che finge di essere una ragazzina per adescarne altre al gruppo di bastardi che passa il tempo ad insultare un ragazzino fino a farlo suicidare; la maggior parte degli spettatori è intelligente e riflette sulla cosa, ma basta che il film venga visto dal gruppetto di persone sbagliate ed ecco partire proteste, associazioni di genitori e divieti assurdi, come spesso succede o, peggio, imbecilli che si sentono in dovere di imitare quel che vedono. Insomma, I segreti della mente affronta un problema reale con estrema superficialità, creando personaggi talmente borderline e poco carismatici che anche provare pietà per loro risulta difficile, nonostante la bravura degli interpreti. Peccato, un’occasione sprecata per un’idea che, sulla carta, poteva risultare buona.


Di Aaron Johnson, che interpreta William, ho già parlato qui, mentre Imogen Poots, che interpreta Eva, la trovate qua.

Hideo Nakata è il regista della pellicola. La mente perversa dietro i film dedicati all’inquietantissima figura di Sadako/Samara, quello che non mi ha fatto dormire per giorni pensando al maledetto pozzo dietro casa mia e alle TV che potevano accendersi da sole, lo ricordo ovviamente per aver diretto Ringu, Ringu 2 e The Ring 2. Giapponese, anche sceneggiatore, produttore e attore, ha 50 anni e un film in uscita.


Hannah Murray, che qui interpreta Emily, comparirà anche nell’imminente Dark Shadows di Tim Burton mentre, per i fan di Game of Thrones, segnalo la presenza di Richard Madden nei panni del fratello di William, Ripley. Se il genere “tortura psicologica” vi piace, più che su I segreti della mente punterei sul meraviglioso Il cigno nero, mentre per qualcosa di più terra terra e per teenager mi butterei sul vecchio ma sempre apprezzabile The Hole, con una giovanissima Keira Knightley e l’allora promessa “dark” Thora Birch. ENJOY!!

martedì 30 agosto 2011

Fright Night - Il vampiro della porta accanto (2011)

Dopo la “preparazione” della settimana scorsa, ieri sera sono andata a vedere Fright Night – Il vampiro della porta accanto (Fright Night) di Craig Gillespie, remake di Ammazzavampiri, piccolo cult horror diretto nel 1985 da Tom Holland.



Trama: Charley è uno studente che conduce una vita normale, almeno finché la scomparsa del suo amico Ed non lo porta a scoprire che il suo nuovo vicino di casa, Jerry, è un vampiro. Quando le cose si metteranno davvero male a Charley non resterà altra via se non cercare l’aiuto del massimo esperto di vampirologia esistente… Peter Vincent.



Dopo il non disprezzabile Nightmare, che tuttavia andava a toccare un film troppo bello per essere anche solo lontanamente paragonabile all’originale, ecco un altro remake ben fatto che non fa rimpiangere la pellicola da cui è tratto. Questo Fright Night è diretto con perizia, interpretato da attori molto bravi, impreziosito da una non disprezzabile colonna sonora e, ovviamente, da effetti speciali e un make – up della madonna, non a caso realizzati dalla premiata ditta Nicotero & Berger (anche se alcune scene sono state messe essenzialmente per arricchire la versione in 3D e si vede, come lo schizzo di sangue che protrude verso lo schermo oppure il primo piano finale del faccione di Jerry urlante).



La buona Marti Noxon, storica sceneggiatrice di Buffy The Vampire Slayer e qui alle prese con il progetto originale di Tom Holland, essenzialmente della trama non cambia nulla e rispetta i punti principali del primo film, tuttavia gli da un’impronta più tamarra, moderna e varia per quanto riguarda gli ambienti; basti pensare che Ammazzavampiri si svolgeva quasi interamente nelle case del protagonista e del vampiro e poco o nulla veniva narrato della vita scolastica di Charley, dei suoi amici, degli altri suoi vicini o di quello che stava al di là della piccola cittadina che faceva da sfondo alle vicende. Qui invece, molto intelligentemente, si è scelto innanzitutto di spiegare perché l’amico Ed è diventato “evil” (anche se come personaggio non ha niente a che vedere con l’incomprensibile e paranoico stronzo del primo film) e anche di rendere la madre del protagonista meno rincoglionita ed inconsapevole di quello che la circonda (si potrebbe dire che lo spirito di Joyce Summers si sia reincarnato in lei), oltre a “personalizzare” un po’ le vittime del vampiro, che in Ammazzavampiri rimanevano sostanzialmente anonimi manichini.



Elementi assolutamente positivi, dicevo, che tuttavia si trovano a mancare un po’ di quello humor nero e quasi british che caratterizzava Ammazzavampiri. Intendiamoci, il personaggio di Peter Vincent fa scompisciare per la sua ubriaca e sfatta cialtronaggine, soprattutto quando si toglie il trucco da guru maledetto e satanista, e anche Colin Farrell ci mette del suo, dando vita ad un vampiro tamarro, ironico e vorace, sexy a modo suo (con un grado di “sexytudine” per cui il vampiro di Chris Sarandon seguiva lo stile “Signorina, mi farebbe sbirciare le sue leggiadre mutandine?” mentre quello di Farrell, dopo essersi leccato le dita sporche di sangue perché se non ti lecchi le dita godi solo a metà, prima ti sbatte al muro e poi esordisce con un “tipa, cioè, io le mutandine te le strappo e mi ci faccio il filo interdentale”), però mi sembra che un po’ dell’innocenza della pellicola originale sia andata perduta per lasciare spazio a più scene d’azione e meno suspance. Personalmente, per quanto adori la Noxon, non ho sopportato la scelta di dare un background “struggente” a Peter Vincent né quella di renderlo un vero esperto di questioni vampiriche dotato di armi sacre, manufatti stregati e quant’altro.. al diavolo, non stiamo parlando del Signor Giles, e comunque se negli anni ’80 si riuscivano ad ammazzare vampiri con armi convenzionali perché di questi tempi bisogna ricorrere al misticismo? Ecco, per questo e per il finale buonista, che risparmia tutti tranne il povero, sfigato, incompreso e vessato Ed, non do la sufficienza piena a Fright Night, ma per il resto mi levo il cappello e lo consiglio senza riserva alcuna!  



Di Colin Farrell, che interpreta Jerry (anche se pare la prima scelta per il ruolo fosse Heath Ledger), ho già parlato qui, mentre Christopher Mintz – Plasse, ovvero Ed, lo trovate qua. Omaggio anche al Jerry Dandrige del primo Ammazzavampiri, ovvero Chris Sarandon, che qui partecipa nel ruolo dell’uomo che tampona la macchina di Charley e company durante la fuga dal vampiro.

Craig Gillespie è il regista della pellicola. Australiano, ha diretto due film che non conosco e una serie di cui ho solo sentito parlare, United States of Tara. Anche produttore, ha 45 anni.



Anton Yelchin interpreta Charley. Americano, ma di origine russa, ha partecipato a film come 15 minuti – Follia omicida a New York, Cuori in Atlantide, Star Treck, Terminator Salvation e inoltre darà la voce a Puffo Tontolone nell’imminente I Puffi. Per la tv, ha lavorato a serie come E.R. Medici in prima linea, Taken, NYPD e Criminal Minds. Ha 22 anni e tre film in uscita.



Toni Collette (vero nome Antonia Collette) interpreta la madre di Charley, Jane. Attrice australiana che mi piace molto, la ricordo per film come Il sesto senso (che le è valso la nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista), Velvet Goldmine, The Hours e Little Miss Sunshine. Anche produttrice, ha 39 anni e due film in uscita.  



David Tennant (vero nome David John McDonald) interpreta Peter Vincent. Scozzese, famosissimo per essere il protagonista dell’orribile Dr. Who “moderno”, ha partecipato a film come Harry Potter e il Calice di fuoco. Anche regista, ha 40 anni e due film in uscita.



Imogen Poots interpreta Amy. Inglese, ha partecipato a film come V per vendetta e 28 settimane dopo. Ha 22 anni e otto film in uscita.



Se il film vi fosse piaciuto, inutile dire che la visione di Ammazzavampiri è consigliatissima e, se vi capita, date anche un’occhiata a Ragazzi perduti. E ora vi lascio con il trailer originale della pellicola... ENJOY!!

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