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venerdì 28 ottobre 2022

Halloween Ends (2022)

"Finalmente" è finita! L'ultimo capitolo della saga cominciata nel lontano 1978, Halloween Ends, diretto e co-sceneggiato dal regista David Gordon Green, è arrivato e... com'è? Cercherò di esprimere un'opinione, senza fare SPOILER.


Trama: quattro anni dopo gli eventi accorsi in Halloween Kills, di Michael Myers non c'è più traccia e Laurie ed Allyson cercano di superare i traumi dell'incontro col killer, finché gli abitanti di Haddonfield cominciano di nuovo a morire...


C'è un dialogo, in Scuola di mostri, in cui si dice più o meno così: "Se lo facessero a pezzi, li buttassero in un frullatore e poi li spedissero su Marte, lui risorgerebbe di nuovo!". La battuta era riferita a Venerdì 13, quindi a Jason Voorhees, ma credo che la stessa cosa si possa dire di Michael Myers e, in effetti, Halloween Kills era un omaggio a questa iconica e verissima teoria, che veniva in qualche modo "spiegata" e resa tangibile. Quattro anni sono passati per i personaggi, uno per gli spettatori, e in Halloween Ends (e voglio proprio vedere se "enda" davvero...) le teorie esplicate nella pellicola precedente prendono una direzione ancora diversa, benché rimangano sempre legate alla riflessione sul "male" e la sua natura; Michael Myers, dopo la mattanza descritta in Halloween Kills, è scomparso, lasciando le persone rimaste in vita ad attendere terrorizzate il suo ritorno per la Notte di Ognissanti o a cercare, in qualche modo, di andare avanti senza soccombere all'idea del male e senza nutrirlo ulteriormente. Purtroppo, dimenticare ad Haddonfield non è facile, non solo per Laurie e la nipote Allyson, la prima additata come "causa" della follia di Myers e la seconda come sopravvissuta da proteggere e compatire, ma anche per il giovane Corey, accusato ingiustamente di omicidio e per questo considerato un paria da buona parte della comunità. Partendo da questi tre personaggi, gli sceneggiatori di Halloween Ends tentano di nuovo la carta della metafora, utilizzando Michael Myers come "spettro, ombra", una forma definita solo dall'immaginazione altrui, costretto ad incarnarsi nel male che alberga nelle persone e a dargli sfogo, nel bene e nel male, un qualcosa che si nutre di emozioni negative e dolore, riversandole a fiumi in una città incapace, di conseguenza, di guarire davvero (così come non ne sono in grado né Laurie né Allyson, nonostante lo vogliano con tutte le loro forze). Un po' Freddy Krueger nel secondo Nightmare, un po' Pennywise, un po' old man Myers, questo Michael si fa ancora più simbolico di quello di Halloween Kills e prende una strada tutta sua, potenzialmente molto interessante e sicuramente originale... il problema è che la trama, spesso e volentieri, dà l'idea che i quattro sceneggiatori si siano picchiati in fase di scrittura.


Halloween Ends, infatti, può essere tranquillamente definito come due film in uno, a volte anche tre, e non solo perché il confronto finale tra Laurie e Michael sembra attaccato con lo sputo ad una trama che, fino a quel momento, ha praticamente parlato di tutt'altro salvo per il sottile fil rouge "maligno" a cui ho accennato sopra, ma perché i personaggi sembrano fare cose senza un motivo plausibile, in primis Allyson. Io capisco l'attrazione verso chi viene considerato un paria, capisco il sentimento di identificazione, ma costruire parte della trama come uno di quei thriller "shady" che andavano di moda negli anni '90 dove tutto urla "scema, che minchia fai???" e la protagonista, nescia come un tacco, si tappa le orecchie come una bambina piccola, per quanto mi riguarda ha privato di potenza proprio la parte più interessante ed innovativa del film. Film che, a un certo punto, per non scontentare i fan manda al diavolo tutto e torna sui vecchi binari, quasi un ripensamento nel caso si fosse andati troppo oltre con l'originalità, mettendo da parte frettolosamente tutto ciò che era accaduto prima e lasciando lo spettatore un po' "appeso". L'impressione che ho avuto di Halloween Ends è quella di un film incredibilmente ambizioso, di scrittori e registi pieni di idee ed entusiasmo, che però non hanno avuto il polso o, forse, la pazienza di ragionare un po' sul discorso che volevano portare avanti e che, a un certo punto, hanno perso il controllo della loro bizzarra creatura. Nessuna critica sulla regia, la ricostruzione filologica, lo stile dei titoli di testa e, ovviamente, sulla bravura di Jamie Lee Curtis, che conferirebbe personalità e carisma persino a un palo della luce, e non posso nemmeno dire di avere odiato Halloween Ends, perché è riuscito ad incuriosirmi e persino a stupirmi in un paio di occasioni, ma ammetto che mi sarei aspettata molto di più e, in definitiva, per me la conclusione di una delle saghe horror più amate di sempre ha un po' il sapore di un anticlimax. Peccato, davvero, ci avevo creduto molto!


Del regista e co-sceneggiatore David Gordon Green ho già parlato QUI. Jamie Lee Curtis (Laurie), Andi Matichak (Allyson), Will Patton (Frank) e Kyle Richards (Lindsey) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film è sequel diretto di Halloween e Halloween Kills ma, ovviamente, per avere un quadro completo della saga dovete sicuramente recuperare Halloween - La notte delle streghe e Halloween - Il signore della morte, e se non siete ancora stanchi di Michael Myers aggiungete Halloween III - Il signore della notte, Halloween 4 - Il ritorno di Michael Myers, Halloween 5 - La vendetta di Michael Myers, Halloween 6 - La maledizione di Michael Myers, Halloween - 20 anni dopo, Halloween - La resurrezione... e magari aggiungete anche Christine - La macchina infernale, che male non fa. ENJOY! 

venerdì 29 ottobre 2021

Halloween Kills (2021)

Sul filo del rasoio, al suo ultimo giorno di programmazione, sono corsa a recuperare Halloween Kills, diretto e co-sceneggiato dal regista David Gordon Green. Colgo ovviamente l'occasione per augurare Buon Halloween a tutti voi!!!


Trama: mentre figlia e nipote accompagnano Laurie all'ospedale dopo l'ultima, sanguinosa battaglia contro Michael Myers, quest'ultimo, sopravvissuto a un incendio, ricomincia a seminare terrore per la città di Haddonfield...


Halloween Kills
, il film che ha spaccato l'internetto tra chi lo ha amato alla follia e chi ha vomitato guardandolo, ha un solo enorme difetto, se chiedete a me: presuppone che lo spettatore abbia mandato a memoria non solo l'Halloween del 2018 ma anche e soprattutto Halloween - La notte delle streghe e Halloween - Il signore della morte. Io, che faccio fatica a ricordare cosa ho mangiato a pranzo e che non ho tempo di guardare nemmeno Midnight Mass (sono ferma alla terza puntata da un mese) figuriamoci recuperare INTERI film, Grisù non voglia, ho guardato i primi venti minuti di Halloween Kills sudando e anelando disperatamente a un intervallo che mi consentisse di buttarmi su Wikipedia e capire "chiccazzoèstagentechecicciafuoriacaso???" (pensiero ricorrente e brutto brutto che mi ha fatta un po' distrarre nel corso di detti venti minuti, lo ammetto). Scusatemi, par brutto da dire, ma non sono mai stata grande fan degli Halloween, e se il primo posso averlo visto un paio di volte con l'aggiunta di reboot e remake che a grandi linee mi rinverdiscono tutte le volte la storia dell'originale, il secondo penso di averlo guardato solo una volta alle superiori e da allora sono passati almeno 20 anni. Ricordavo vagamente Jamie Lee Curtis in ospedale e il Dr. Loomis a caccia, ma onestamente non mi è rimasto in mente nemmeno un nome e quando David Gordon Green ha cominciato a parlare di bulletti vessati da altri bulletti nel passato, poliziotti sfigati colti da crisi di coscienza, vecchi che rimembrano i tempi in cui hanno rischiato di venire uccisi da Michael Myers ecc. mi è venuto da piangere. Questo dunque non sarà il post nostalgico scritto da chi si è esaltato per ogni riferimento, omaggio e strizzata d'occhio (quello arriverà, assieme probabilmente a copiosi improperi, col post di Ghostbusters Legacy), o il post rancoroso di chi vorrebbe Gordon Green morto per vilipendio a Carpenter, bensì il post distaccato di una povera minchia di mare a cui piace guardare gli horror e non si perde una nuova uscita, se esce al cinema a Savona. 


Questa minchia di mare, per inciso, non va nemmeno matta per lo slasher (se Lucia dovesse passare di qui si tappi gli occhi e continui a volermi bene lo stesso, per cortesia), e onestamente un film dove un killer vaga per la città ad ammazzare gente, per quanto in modi fantasiosi, dopo un po' mi viene a noia. Capirete dunque la mia gioia quando, dopo un'inizio fatto di flashback, cuciture con la pellicola precedente, un'esaltante scena di mattanza generale e un paio di omicidi al cardiopalma, ho visto Halloween Kills svoltare e distaccarsi dal solito canovaccio del killer vagante che segue gli sparuti protagonisti pronti a ucciderlo solo verso la fine. Michael Myers è universalmente riconosciuto come il babau che ha scelto di rovinare la vita di Laurie Strode, soprattutto nel "Greeniverse", e sarebbe stato normale aspettarsi una sceneggiatura concentrata sulla caccia a Laurie, Karen e Allyson, le ultime sopravvissute della famiglia Strode, invece il regista e gli sceneggiatori hanno scelto di coinvolgere l'intera cittadinanza di Haddonfield, una popolazione ormai stufa di dover vivere costantemente con lo spauracchio di Myers sulla schiena, pronta a far finire una maledizione che dura da sessant'anni e che perseguita non solo chi ha avuto direttamente a che fare con l'assassino, tra familiari morti e fughe miracolose, ma anche chi è costretto ad avere paura ogni giorno e ogni notte, soprattutto ad Halloween. La natura di Michael Myers si "evolve", dunque, trascende l'umanità e si fa puro Male incarnato abbracciando scientemente il sovrannaturale, è il Male che uccide, ovviamente, ma è anche e soprattutto quello che priva le persone del senno rendendole a loro volta malvagie per paura, per desiderio di difendersi, per vendicare i loro cari. E, come Male, Michael è impossibile da uccidere fisicamente. 


Non so come gli sceneggiatori gestiranno in Halloween Ends la presa di consapevolezza, la dichiarazione nero su bianco, finalmente, che Michael è molto più di un uomo. Laurie e l'agente Hawkins sembrano averlo capito, ma come si può eliminare il Male, quando esso è parte di noi, è qualcosa di naturale quanto il Bene? Non è dato saperlo, ma, per l'intanto, ci si può godere un horror slasher con tutti i crismi, zeppo di momenti dove la tensione si taglia col coltello e durante i quali Michael dà il meglio di sé, sia nei "corpo a corpo" impari con vittime dabbene, che ancora non hanno imparato quanto converrebbe portare via il belino da casa nel momento esatto in cui dovessero sentire dei rumori (soprattutto se vivi ad Haddonfield...) e nemmeno quanto sia idiota pretendere di affrontare Michael in solitaria, sia, soprattutto, in quei momenti in cui tutte le regole della logica vengono rispettate ma lo stesso il vecchio Myers si fa una grassa, sanguinosissima risata. E lì sono i momenti in cui a me s'è slogata la mascella e ho concluso la visione con un "not fair" degno di Gage Creed. Altra gioia, come al solito, è l'interpretazione di Jamie Lee Curtis, capace di mettere i brividi e anche un po' di far commuovere persino chi non è fan della saga come me, nonostante ahimé lo scarso metraggio che le hanno tributato stavolta e, in generale, una volta capito il gioco delle citazioni ho sorriso in un paio di occasioni e proseguito la visione senza preoccuparmi troppo di cogliere ogni dettaglio riservato ai fan. Quindi sì, mi sento tranquillamente di consigliare la visione di quello che sicuramente non sarà l'horror dell'anno e nemmeno della vita, però è dotato di caratteristiche molto interessanti che lo elevano da una potenziale, stantia banalità.


Del regista e co-sceneggiatore David Gordon Green ho già parlato QUI. Jamie Lee Curtis (Laurie Strode), Judy Greer (Karen), Will Patton (Agente Hawkins), Robert Longstreet (Lonnie Elam), Anthony Michael Hall (Tommy Doyle), Charles Cyphers (Leigh Brackett) e Kyle Richards (Lindsey) li trovate invece ai rispettivi link. 

Andi Matichak interpreta Allyson. Americana, ha partecipato a film come Halloween, Son e a serie quali 666 Park Avenue. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 27 anni. 


Thomas Mann
interpreta l'agente Hawkins da giovane. Americano, ha partecipato a film come Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe e Amityville: Il risveglio. Anche produttore, ha 30 anni e due film in uscita. 


Tra gli attori ripescati dai film originali segnalo Nancy Stevens, che torna nei panni dell'infermiera Marion. Paul Rudd, che interpretava Tommy Doyle in Halloween 6 - La maledizione di Michael Myers, ha invece rinunciato a tornare perché impegnato nelle riprese di Ghostbusters Legacy. Il film è sequel diretto di Halloween e la trilogia si concluderà l'anno prossimo con Halloween Ends, dopo un time skip, ma per capirci qualcosa dovreste guardare anche Halloween - La notte delle streghe e Halloween - Il signore della morte, gli unici due film della saga tenuti in considerazione da Gordon Green e soci. ENJOY!

domenica 18 luglio 2021

La notte del giudizio per sempre (2021)

Dopo anni di affezionate visioni, potevo forse perdermi, nonostante le sale più vicine siano a chilometri ed ore di distanza, La notte del giudizio per sempre (The Forever Purge), diretto dal regista Everardo Gout?


Trama: Nell'anno in cui Adela e Juan riescono finalmente ad arrivare in America per sfuggire ai cartelli della droga messicani, un'organizzazione nazionale di cittadini decide di continuare a perpetrare le violenze della Notte dello Sfogo anche una volta scaduto il tempo...



Come passa il tempo, porca miseria. Correva l'anno 2013 e James De Monaco, coadiuvato da un Ethan Hawke in versione cittadino integerrimo, ci mostrava cosa poteva succedere offrendo all'americano medio la possibilità di avere una notte intera per uccidere, seviziare, picchiare e rubare senza timore di incorrere in pene giudiziarie. La notte del giudizio era un thriller piccolino ma interessante, basato su un assunto inquietante, che consentiva a tutti gli spettatori di mettersi in discussione davanti alla scomoda domanda "cosa faresti tu? Ti nasconderesti in casa oppure saresti parte attiva dello sfogo?". I tre sequel hanno espanso molto la "mitologia" dello Sfogo, introducendo dilemmi sociali di grande attualità e diventando specchio dell'orrore di un'America trumpiana, dove è fin troppo facile immaginare orde di buzzurri ignoranti, perlopiù bianchi, manipolati da ricconi di pura razza ariana per diventare il mezzo con cui disfarsi degli indesiderati (neri, latinos, sinistroidi, gay, ecc.) e mantenere una sorta di status quo. D'altronde, le meravigliose scene al Campidoglio, neppure troppi mesi fa, le abbiamo viste tutti, no? Vi ricordate le facce intelligenti di Toro Seduto e compagnia, oltre all'inquietante incapacità, da parte della polizia, di arginare la mandria scatenata dei bonobi? Fate un po' mente locale e chiedetevi perché questo favoloso esempio di Umanità con la U maiuscola dovrebbe accontentarsi di una singola notte di sfogo per poi tornare a sopportare quotidianamente tutti gli indesiderati di cui sopra, magari anche col sorriso sulle labbra, e chiedetevi se, in una nazione dove avere armi automatiche di grosso calibro in casa è un diritto e un vanto, l'esercito avrebbe modo di arginare detti bonobi armati o se non rischierebbe piuttosto di dover ripiegare su una vergognosa ritirata strategica. 


La notte del giudizio per sempre
riprende tutti questi ragionamenti neppure troppo campati in aria, sposta l'azione di parecchi anni in avanti rispetto al penultimo capitolo (se ricordate, alla fine di Election Year, la Juliet di Lost era diventata presidente, quindi ragionevolmente lo sfogo avrebbe dovuto finire. A quanto pare, sono arrivati dei nuovi padri fondatori - per quanto sembri assurdo chiamarli così - che l'hanno cacciata a pedate nonostante di lei non si faccia menzione nel film) e ci mostra la ribellione dei cittadini a cui una notte sola non basta, non con tutti gli immigrati che brulicano per le sacre strade americane, e vagli a spiegare agli americani che se non fosse esistita l'immigrazione col cavolo che ci sarebbe l'America. Ambientato in una cittadina di frontiera al confine col Messico, La notte del giudizio per sempre unisce nella disgrazia sia bianchi abbienti (odiati da coloro che sfruttano) che messicani poveri (odiati dai bianchi razzisti, a prescindere dal conto in banca di questi ultimi) e, pur non rinunciando ad alcuni tocchi "glamour" incarnati dalle solite maschere pittoresche dei partecipanti allo Sfogo, rispetto ai suoi predecessori si concentra di più sull'azione tout court, passando dalla violenza urbana dei primi due atti a uno showdown dagli echi western verso il finale, che per la prima volta mostra la violenza dello sfogo in pieno giorno. Come negli altri capitoli, lo splatter è abbastanza contenuto, benché non manchino scene molto esplicite, e il ritmo si mantiene teso e costante per tutta la durata del film, tra attori che sono più di semplici cartonati messi lì per far numero e personaggi che hanno anche il tempo di affrancarsi dalla loro bidimensionalità. Non so se valeva la pena di tornare a casa alle 2 dopo un'ora di coda che mi ha portata ad invocare lo Sfogo su tutti gli alti papaveri delle Autostrade, della Regione Liguria e della Provincia di Genova, ma mi sono molto divertita guardando La notte del giudizio per sempre, quindi ne consiglio il recupero, soprattutto se non vi siete persi un film della saga.


Di Ana de la Reguera (Adela), Josh Lucas (Dylan Tucker) e Will Patton (Caleb Tucker) ho già parlato ai rispettivi link.

Everardo Gout è il regista della pellicola. Messicano, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto episodi di serie come Luke Cage e The Terror. E' anche produttore, sceneggiatore, attore e tecnico degli effetti speciali. 


Tenoh Huerta
, che interpreta Juan, ha partecipato al bellissimo Tigers Are Not Afraid. La notte del giudizio per sempre viene dopo La notte del giudizio (2013), Anarchia - La notte del giudizio (2014), La notte del giudizio - Election Year (2016), La prima notte del giudizio (2018) e la serie The Purge, le cui due stagioni potete trovare su Prime Video, nel caso i film vi piacessero e vogliate ulteriori storie ambientate nel mondo creato da James DeMonaco. ENJOY!

martedì 27 aprile 2021

Minari (2020)

E' uscito ieri nei cinema riaperti (tranne a Savona, ovviamente, dove non ha riaperto una ralla) Minari, diretto e sceneggiato dal regista Lee Isaac Chung nel 2020 e accolto da 6 nomination (Miglior Film, Steven Yeun come Miglior Attore Protagonista, Miglior Regia, Yuh-Jung Youn come Miglior Attrice Non Protagonista nonché l'unica vincitrice, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Colonna Sonora Originale).


Trama: Negli anni '80, una famiglia di immigrati coreani si trasferisce in campagna, all'interno di un ex caravan trasformato in casa, e lì i suoi membri si ritrovano a dover affrontare una serie di problemi...


Anni fa, credo ormai almeno 10, un'amica dall'umorismo particolarmente spiccato mi regalò il libro Cinquanta lavori più schifosi del tuo, all'interno del quale scoprii l'esistenza del sessatore di pulcini, ovvero del povero cristo che si occupa di controllare se le dolci bestiole sono maschi o femmine. Avere per le mani tutto il giorno dei gialli piumini immagino potrebbe fare la felicità di qualcuno, non fosse che bisogna essere velocissimi e che, dopo un giorno, la poesia rischia di svanire, persa in un turbine di codine da fissare per otto ore di fila, inoltre è assai crudele il destino dei pulcini maschi, non tutti prescelti per poter crescere e spesso gettati in un tritacarne o peggio. Onestamente, non riuscirei a condannare animalini così piccoli a una morte precoce e non fatico a comprendere la speranza di Jacob, protagonista di Minari, di affrancarsi da questo genere di attività, anche se l'uomo non è certo spinto dalla pietà per i pulcini, quanto piuttosto dalla volontà di acquisire un po' di prestigio sociale dopo un'esistenza passata a soffrire nella povertà della Corea. Da qui nasce il dramma di Minari, storia di una famiglia alle prese con la durezza della vita di campagna, nella squallida provincia americana, all'interno di un ex caravan a cui hanno tolto le ruote per trasformarlo in una casa, bloccandolo in un terreno aspro e zeppo di sterpaglie che Jacob considera una specie di terra promessa da far diventare azienda agricola. Ma quel che Jacob desidera, agli occhi della moglie sono i capricci di un uomo egoista, che non tiene da conto i molti problemi pratici di una simile vita, problemi che rischiano di condannare la famiglia a un ulteriore isolamento e all'indigenza, cose che giustamente Monica avverte come una spada di Damocle sospesa sulle teste dei due bambini, soprattutto del piccolo David, affetto da una malattia cardiaca.  


Lee Isaac Chung
racconta quello che conosce meglio, prendendo spunto dalla sua infanzia, e si vede. Il filtro dei ricordi addolcisce molte cose e David è di una tenerezza inenarrabile (così come la nonna è un personaggio talmente sopra le righe che tutti vorremmo averla accanto), ma il regista non indulge in happy ending consolatori né offre allo spettatore una storia compiuta; il destino della famiglia di Jacob, che passa per esperienze non certo felici e quotidiane preoccupazioni quali povertà, malattia, senso di isolamento e paura per il futuro, rimane sospeso in un finale interamente dedicato al minari che dà il titolo al film, una pianta che cresce e si ramifica senza bisogno di troppe cure, regalando i suoi frutti a chi desidera coglierli, ricchi o poveri che siano. Il minari è una perfetta rappresentazione delle persone, che attecchiscono e si ramificano cercando di sopravvivere; c'è qualcuno tra noi che riesce a fruttificare, lasciando magari un segno tangibile nella storia (dell'umanità, della propria famiglia), ma in definitiva la maggior parte rimane lì, tranquilla, senza fare male a nessuno, in letterale balìa degli eventi. Un segno tangibile, almeno sullo spettatore, lo lasciano però senza dubbio le interpretazioni di Minari, tutte assai toccanti (Yeun non ha vinto l'Oscar ed era scontato ma lui e tutti gli altri attori sono perfetti, non solo la vincitrice Yuh-Jung Youn ma anche Yeri Han) e molte sequenze rischiano di rimanere impresse a lungo, come il confronto finale tra Jacob e la moglie, che mi ha annegata in un mare di lacrime alla faccia dei due isterici di Storia di un matrimonio, o quella in cui nonna consola un terrorizzato David, e anche la colonna sonora di Emile Mosseri è deliziosa, l'ideale per tenersi stretta l'atmosfera malinconica del film anche durante lo scorrere dei titoli di coda. 


Di Steven Yeun, che interpreta Jacob, ho già parlato QUI mentre Will Patton, che interpreta Paul, lo trovate QUA.

Lee Isaac Chung è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Munyurangabo, Lucky Life e Abigail Harm. Anche produttore, ha 43 anni.




martedì 6 novembre 2018

Halloween (2018)

Nonostante allerte e altri mille problemi che non vi sto a raccontare, giovedì sono finalmente riuscita ad andare a vedere Halloween, diretto e co-sceneggiato dal regista David Gordon Green (e ne scrivo solo ora. Ciò potrebbe darvi un'idea del delirio che sto vivendo in questo periodo...).


Trama: 40 anni dopo gli omicidi di Haddonfield, Michael Myers evade ma la sua ex vittima, Laurie Strode, è pronta da affrontarlo...



Sono passati quarant'anni dal primo Halloween - La notte delle streghe, il film che ha codificato le regole dello slasher ancor prima che Scream arrivasse a renderle esplicite. Quarant'anni durante i quali, tra sequel, remake e omaggi, la figura di Michael Myers ha perso buona parte della sua forza se non del suo fascino, quarant'anni che personalmente non saprei ripercorrere, anche perché rammento a malapena Il signore della morte, soltanto sceneggiato dal povero Carpenter che ne avrebbe volentieri fatto a meno, così come ho giusto qualche sprazzo di ricordo relativo a Halloween - 20 anni dopo, dove tornava già Jamie Lee Curtis a mo' di omaggio; ricordo meglio l'Halloween di Rob Zombie ma lì avevamo un ragazzino dall'infanzia distrutta e il bestiario di comprimari brutti, sporchi e cattivi tipici dell'Autore e diciamo che c'era ben poco da spartire con il mostro creato da Carpenter. David Gordon Green viene quindi in "soccorso" di chi ha poca memoria come la sottoscritta, omaggia il Maestro ed elimina tutto ciò che è venuto dopo (liquidando un aspetto fondamentale de Il signore della morte e presentandolo come leggenda metropolitana), presentandoci le strazianti conseguenze della notte di quarant'anni prima con personaggi condannati a riviverla quotidianamente e altri che non hanno avuto la sfortuna di essere presenti a quel fatidico 31 ottobre ma comunque toccati dagli strascichi dell'orrore. L'aspetto interessante di Halloween che, di fatto, è uno slasher neppure tanto gore dove conta più l'atmosfera che l'effettaccio a sorpresa, è proprio il campionario di persone "toccate", letteralmente, dal male incarnato da Michael Myers, corrose dal suo potere nefasto senza averlo neppure mai incontrato. La Laurie del 2018 è, lei per prima, una donna alla quale è stato letteralmente impedito di vivere, traumatizzata dalla terribile esperienza vissuta al punto da arrivare a condurre un'esistenza da eremita e guerriera che ha influenzato negativamente il rapporto con una figlia costretta a subire tutte le stranezze della madre come Follia con la F maiuscola e che sta disperatamente provando ad avere un rapporto sereno almeno con la nipote; tre generazioni di donne, dunque, sconvolte da un incubo in parte sconosciuto. Michael Myers è una spada di Damocle che pende sulla testa della povera Laurie, consapevole del fatto che prima o poi il mostro si libererà e tornerà per finire il lavoro perché Michael è il Male allo stato puro, l'abisso che, a furia di fissarlo, ti fisserà di rimando condannandoti a diventare come lui.


E la caratteristica del Michael Myers portato sullo schermo da David Gordon Green è proprio questa: il suo essere un buco nero. Perché Michael uccide? E chi lo sa! Certo, il suo fine ultimo è probabilmente Laurie ma neppure questo potrebbe essere sicuro. Di fatto, Michael arriva a Laurie assolutamente per caso, oppure tramite volontà altrui, grazie all'azione più o meno consapevole di personaggi comunque affascinati dalla sua natura di babau, per il resto uccide e risparmia a casaccio, senza dire una parola, senza MAI essere mostrato in volto se non quando, finalmente, il Male torna ad essere quell'asettica maschera inespressiva che abbiamo imparato ad amare e odiare. Questi sono i punti forti di un film sicuramente non perfetto, con qualche tempo comico che lascia il tempo che trova e un paio di momenti morti di troppo, ma che come omaggio al Maestro funziona, è rispettoso e in qualche modo "discreto" nella sua consapevolezza di non poter sicuramente rinnovare un genere (e probabilmente non c'era nemmeno la volontà di farlo) e, soprattutto, si fa forte di un cast femminile di tutto rispetto. Jamie Lee Curtis è meravigliosa, senza alcun dubbio e, per quanto il suo personaggio risulti sciocchino all'inizio, lo stesso vale anche per Judy Greer, inaspettata final girl capace, soprattutto sul finale, di tenere testa all'ingombrante eredità della splendida Jamie Lee anche grazie all'abilità congiunta di sceneggiatori e scenografi, che hanno costruito un ambiente di "caccia" che non avrebbe affatto sfigurato ne La casa nera. Al solito, un po' meno bene le guest star sprecate e lo scellerato utilizzo di adolescenti abbastanza inutili ai fini della storia, soprattutto se si pensa che le scene più inquietanti e migliori hanno per oggetto vittime adulte (quella del bagno, già mostrata in parte nel trailer, è uno spettacolo ma anche l'evasione di Michael e il conseguente pellegrinaggio omicida completamente casuale ad Haddonsfield non sono male) ma, a parte questo, Halloween merita sicuramente il plauso di fan e semplici amanti dell'horror e considerato che ci hanno messo le mani dei comici potrei dire che il futuro del genere (vedi Scappa - Get Out o Ghost Stories) è in mano a chi, solitamente, fa ridere di mestiere, ovvero chi di solito ha un'idea molto precisa delle condizioni disastrose in cui versa la nostra società, dove il male ha davvero mille forme. Il che, se ci pensate, fa davvero riflettere.


Di Jamie Lee Curtis (Laurie Strode), Judy Greer (Karen) e Will Patton (Agente Hawkins) ho già parlato ai rispettivi link.

David Gordon Green è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Strafumati, Sua maestà e Lo spaventapassere. Anche produttore e attore, ha 43 anni e due film in uscita.


Virginia Gardner, che interpreta Vicky, era la deliziosa Karolina Dean della serie Runaways. John Carpenter, che qui firma le musiche assieme al figlio, ha dichiarato che questo sarà l'ultimo film della saga nonostante per contratto sia previsto un seguito, già preso in considerazione dagli sceneggiatori. Nell'attesa di sapere se questo sequel ci sarà o meno, sappiate che Halloween segue direttamente gli eventi di Halloween - La notte delle streghe ma, per dovere di completezza, potete anche recuperare tutti gli altri film della saga (Il signore della morte, Halloween III - Il signore della notte, Halloween 4 - Il ritorno di Michael Myers, Halloween 5 - La vendetta di Michael Myers, Halloween 6 - La maledizione di Michael Myers, Halloween - 20 anni dopo, Halloween - La resurrezione) e aggiungere Halloween - The Beginning e Halloween II di Rob Zombie. ENJOY!


domenica 17 dicembre 2017

The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra (2002)

Agli inizi di agosto ho recuperato con Mirco The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra (The Mothman Prophecies), diretto nel 2002 dal regista Mark Pellington e tratto dal libro omonimo di John Keel.


Trama: dopo un incidente stradale, la vita del giornalista John Klein viene stravolta. Passati due anni, a causa di circostanze misteriose l'uomo si ritrova nella cittadina di Point Pleasant, dove comincia ad essere perseguitato da un'inquietante presenza palesatasi anche ad altri abitanti del luogo...



Da un paio d'anni abbiamo preso l'abitudine di andare alla Sagra del Raviolo di Merana (a proposito, andateci perché le signore del luogo fanno dei ravioli spettacolari!! La sagra di solito si tiene gli ultimi due weekend di giugno) con Mirco e una coppia di amici, concludendo la serata con un giro per i campi dei dintorni. Durante queste scampagnate serali, è capitato che l'uomo dell'altra coppia palesasse terrore all'idea che potesse comparire all'improvviso l'Uomo Falena, malefica creatura nominata spesso da Giacobbo in Voyager (così pare, che mi vanto di non averne vista nemmeno una puntata) e conosciuta persino dal Bolluomo; presa da questi "misteri giacobbi", all'improvviso mi è tornata alla mente l'esistenza di The Mothman Prophecies, film che avevo visto al suo primo passaggio televisivo e di cui non ricordavo molto a parte la presenza di Richard Gere e dell'Uomo Falena del titolo. In un attimo ho proposto a Mirco di guardarlo e, una volta conclusa la visione, ho finalmente capito perché la pellicola di Mark Pellington era scivolata via dalla mia memoria come acqua. The Mothman Prophecies è purtroppo uno di quei thriller sovrannaturali che andavano di moda a inizio millennio, pellicole volte ad un pubblico di persone magari un po' più agée che disdegnavano l'horror tout court ma apprezzavano qualche brivido sporadico, magari condito da grandi nomi alla regia o tra gli attori; mi vengono in mente per esempio il fiacco Le verità nascoste, Gothika oppure il più riuscito The Gift, anche se probabilmente il massimo esponente del genere è il bellissimo The Others. Non che questo genere di film mi dispiaccia, per carità, tuttavia nel caso di The Mothman Prophecies si avverte la palese volontà di dare in pasto al pubblico un film cervellotico ed inutilmente complicato, quasi si volesse rassicurare gli spettatori di NON stare guardando un horror per ragazzini bensì l'elaborazione del lutto di un uomo maturo ma coinvolto suo malgrado in una vicenda sovrannaturale senza soluzione. Alla base di tutto sta la leggenda "vera" dell'Uomo Falena, creatura avvistata negli anni '60 da parecchi abitanti di Point Pleasant proprio a ridosso del crollo di un ponte sul fiume Ohio e ritenuta conseguentemente "responsabile" dell'incidente; la natura di questo mito all-American non viene mai specificata nel corso del film e allo spettatore viene lasciato il compito di decidere se il Mothman (o Indrid Cold che dir si voglia) è buono, malvagio o semplicemente menefreghista, un essere che decide di giocare con la mente del protagonista "perché sì". Sempre che John Klein non sia invece semplicemente matto e tutto ciò che accade attorno a lui non siano semplici coincidenze, ovvio.


Il difetto più grande di The Mothman Prophecies è che la vicenda principale, che di per sé sarebbe anche interessante, viene trascinata per un tempo che pare infinito e privata d'intensità da una marea di divagazioni, telefonate misteriose, ricordi lacrimevoli, momenti morti durante i quali Richard Gere pare non sapere bene che pesci prendere e collegamenti tra passato, presente e futuro poco comprensibili e spesso forzati. La sceneggiatura farraginosa arriva così a penalizzare una regia splendida ed elegante, fatta di simmetrie ricercate, dettagli importanti, figure che vengono messe a fuoco con la coda dell'occhio, sinistre ombre dal significato ben preciso e immagini oniriche che rimangono più impresse persino della devastante sequenza finale, durante la quale molti nodi vengono al pettine e che non sfigurerebbe in un disaster movie; personalmente, ho apprezzato molto anche la scelta di non mostrare mai chiaramente l'Uomo Falena, preferendo ricorrere a sagome, disegni oppure immagini molto sfocate, cosa che riesce ad alimentare la fantasia dello spettatore costretto a basarsi sui racconti dei personaggi invece di venire imboccato da una banale quanto farlocca CGI. Altro aspetto positivo della pellicola è la bella colonna sonora del duo newyorkese Tomandandy (da me già molto apprezzati in Sinister 2 e già collaboratori di Mark Pellington in occasione della realizzazione di Arlington Road), uno score in grado di sottolineare ed enfatizzare la natura misteriosa ma allo stesso tempo malinconica del film, compenetrandosi naturalmente con le belle immagini girate dal regista. In sostanza, se The Mothman Prophecies fosse stato un film muto, o magari un thriller sovrannaturale meno ambizioso ed inutilmente complicato per quel che riguarda la trama (preferibilmente con altri attori, visto che a parte Will Patton qui non c'è nessuno di particolarmente memorabile in quanto ad interpretazioni) sarebbe probabilmente venuto fuori un capolavoro ma così non è stato e sinceramente temo che tra qualche mese sarò tornata dimenticarmi dell'Uomo Falena e del suo simpaticissimo modo di portare una jattura incredibile.


Di Richard Gere, che interpreta John Klein, ho già parlato QUI mentre Laura Linney (Connie Mills) e Will Patton (Gordon Smallwood) li trovate ai rispettivi link.

Mark Pellington è il regista della pellicola, inoltre compare nei panni di un barista ed è la voce originale Indrid Cold. Americano, ha diretto film come Arlington Road - L'inganno ed episodi della serie Cold Case. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 55 anni e tre film in uscita.


Debra Messing interpreta Mary Klein. Americana, adorata Grace della serie Will & Grace (a settembre il ritorno!!!), ha partecipato a film come Il profumo del mosto selvatico, ... e alla fine arriva Polly e ad altre serie come NYPD. Anche produttrice, ha 49 anni.


Esiste un altro film imperniato sulla figura dell'Uomo Falena, il televisivo Mothman, oppure un documentario del 2011 intitolato Eyes of the Mothman; non avendoli mai visti non posso consigliarli ma se The Mothman Prophecies vi fosse piaciuto potreste sempre recuperare Echi mortali, Le verità nascoste, The Gift e magari anche il primo Final Destination. ENJOY!

Per ulteriori approfondimenti sull'Uomo Falena vi rimando all'interessante articolo sul blog Nocturnia, QUI.

venerdì 8 settembre 2017

Bollalmanacco On Demand: Fuori orario (1985)

Dopo "soli" quattro mesi torna la rubrica Il Bollalmanacco On Demand! Scusate la lentezza ma la mia routine quotidiana ha subito dei cambiamenti e se già prima ero lenta figuriamoci ora. Ma bando alle ciance, oggi esaudirò la richiesta di Rosario che millenni fa mi ha chiesto di parlare di Fuori Orario (After Hours) diretto nel 1985 da Martin Scorsese. Il prossimo film On Demand dovrebbe essere Kids! ENJOY!


Trama: un impiegato conosce per caso una ragazza in un bar e, affascinato, decide di rivederla. Il nuovo appuntamento non va come sperato e la serata si trasforma in un incubo...


Nonostante non sia un horror, Fuori orario è un film capace di mettermi un'angoscia incredibile, alla faccia del suo status di "commedia grottesca". Assistere alle peripezie del protagonista, impossibilitato a tornare a casa, costretto a ripercorrere continuamente i suoi passi e a contare sull'aiuto di persone poco affidabili o completamente folli, è sempre stato fonte di disagio per me e tutte le volte arrivo alla fine di Fuori orario senza fiato. Incubo kafkiano (si veda il dialogo tra Paul e il buttafuori del Berlin) potrebbe essere la definizione giusta per una pellicola che fa dell'assurdo il suo punto di forza e, in quanto opera scorsesiana, "punisce" chi osa sconfinare in un territorio non suo senza conoscerne le regole (se mai ce ne sono, visto che di notte non ne esistono, come dichiara Dick Miller a un certo punto): d'altronde, come può un programmatore, abituato al freddo ma comprensibile calcolo dei computer, riuscire ad affrontare la Soho zeppa di artisti, creature della notte e psicotici di ogni razza? Il povero Paul ci prova, però. La rassicurante carrellata iniziale sulle note di Mozart ha un atmosfera rilassata di caos controllato, in aperto contrasto con quello che verrà dopo. Il protagonista è in ufficio a spiegare il lavoro ad un novellino che ammette di non aspirare ad un futuro in quel campo e lo sguardo di Paul, insofferente, spazia sul resto dei colleghi, ambendo palesemente ad altro; quando lo ritroviamo in un bar a leggere Tropico del Cancro capiamo che Paul vorrebbe "vivere di avventure", per dirla alla Belle, fare parte anche solo per poco tempo di quegli ambienti sordidi ma vitali, zeppi di promesse di sesso e trasgressione, di cui lui (al sicuro dei cancelli dorati di un paradiso medioborghese) può solo fantasticare. Seguendo la massima "beware what you wish for", davanti a Paul compare Marcy, bella, bionda e fragile, che gli propone di andare a Soho per comprare un fermacarte dalla sua coinquilina, l'artista Kiki, e gli lascia il numero di telefono. L'apparecchio telefonico, veicolo di frustrazione e incomprensibilità che accompagnerà Paul per tutto il film, segna l'inizio dell'incubo di cui sopra, dal momento in cui il protagonista chiamerà per avvisare Marcy e Kiki del suo arrivo e scoprirà di aver esercitato la sua volontà per l'ultima volta, condannandosi ad una nottata terrificante solo per aver sperato di portarsi a letto un'affascinante bionda. Il resto degli eventi raccontati nel film, infatti, non dipende affatto dal libero arbitrio di Paul bensì da un'assurda serie di sfighe, fraintendimenti, mezze parole e un senso crescente di terrore che bloccano il nostro anti-eroe in un mondo incomprensibile che non ha pietà verso gli "estranei", verso quelli che sperano di afferrare uno scampolo di "libertà" senza lasciare nulla in cambio o gli sprovveduti che sottovalutano quella che di fatto è una giungla urbana (uscire solo con 20 dollari? Ma siamo seri!).


Scorsese, con la sua regia movimentata e il serratissimo montaggio di Thelma Schoonmacher a tagliare e cucire le immagini seguendo il ritmo del ticchettare delle lancette, nasconde insidie in ogni inquadratura e per ogni promessa di sesso o salvezza inserisce anche un elemento capace di richiamare malattie, morte o pericolo: le trappole per topi, l'illusione di un corpo devastato dalle bruciature, il fuoco, le mise sadomaso, persino i ritagli di giornale suonano come campanelli d'allarme nella mente sempre più frastornata di Paul e in quella ormai pronta a tutto dello spettatore, al punto che ogni persona e ogni luogo, anche i più normali, sembrano nascondere qualcosa di folle. Paul, impreparato ad un simile ambiente e probabilmente debole di carattere, subisce così una depersonalizzazione fortissima e diventa ciò che gli altri vogliono o pensano che sia ed è sconvolgente vedere l'interpretazione di Griffin Dunne mentre precipita sempre più nel baratro della perdita d'identità. Partendo dalla camicia, cambiata da Kiki quando Paul accetta di aiutarla a realizzare la sua statua in cartapesta, fino ad arrivare al taglio mohawk, il protagonista subisce un cambiamento fisico e di stile al quale cerca di opporsi disperatamente ogni volta che può (è bellissimo vedere Griffin Dunne che cerca di lisciarsi i capelli allo specchio, come a ritrovare un'immagine di sé riconoscibile) finché a un certo punto decide di assecondare la realtà che lo circonda per salvarsi la vita e a un certo punto arriva persino a scomparire. Sì, Paul scompare due volte, una poco prima del finale e una nel finale stesso, in cui il protagonista torna nel luogo a lui più congeniale, dove finirà per passare inosservato nella marea di persone identiche a lui, tutte prese da un lavoro insoddisfacente che impegna gran parte del loro tempo e delle loro energie. Al sicuro, ma forse infelice per sempre, chissà? Scorsese, così come la sceneggiatura di Joseph Minion (lo stesso di Stress da vampiro, aiuto!), non danno risposte precise ma l'idea sembra comunque essere quella di mantenere lo status quo e non mescolare "tribù" diverse, pena la distruzione di entrambe, ché se a Paul non va bene la serata, ad alcuni membri del "popolo della notte" va anche peggio. Probabilmente, alla fine l'Icaro Paul non si avvicinerà mai più al "sole" e, anzi, avrà solo aumentato i pregiudizi verso la Soho notturna, gli stessi che sono serviti prima ad avvicinarlo a quel mondo alieno e poi a commettere tanti sbagli ed imprudenze nel giro di 8/9 ore. Qualunque sia il significato recondito di Fuori orario, comunque, sta di fatto che la pellicola è l'ennesimo capolavoro di Scorsese, magari meno conosciuto di altri e anche per questo ancor più consigliato... anche perché è uno dei pochissimi film pesantemente anni '80 a non essere invecchiato di un solo giorno!


Del regista Martin Scorsese, che interpreta anche il tecnico delle luci al Club Berlin, ho già parlato QUI. Griffin Dunne (Paul Hackett), Rosanna Arquette (Marcy), Linda Fiorentino (Kiki), John Heard (Tom il barista), Cheech Marin (Neil), Catherine O'Hara (Gail) e Dick Miller (Cameriere) li trovate invece ai rispettivi link.

Verna Bloom interpreta June. Americana, ha partecipato a film come Animal House, L'ultima tentazione di Cristo e a serie quali Il tenente Kojak. Ha 78 anni.


Tommy Chong interpreta Pepe. Canadese, membro del duo comico Cheech and Chong, ha partecipato a film come Up in Smoke, Barbagialla, il terrore dei sette mari e mezzo e a serie quali Miami Vice, Nash Bridges, I viaggiatori, Dharma & Greg e That's 70's Show; come doppiatore ha invece lavorato per i film Ferngully - Le avventure di Zak e Crysta, Zootropolis e per episodi di serie quali South Park e Uncle Grandpa. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 79 anni e un film in uscita.


Teri Garr interpreta Julie. Indimenticabile Inga di Frankenstein Junior., ha partecipato ad altri film come Incontri ravvicinati del terzo tipo, Tootsie, La stangata 2, Scemo & più scemo, Michael, Ghost World e a serie quali Batman, Star Trek, Hunter, MASH, I racconti della cripta, Sabrina vita da strega, Friends e ER Medici in prima linea. Americana, ha 70 anni.


Will Patton (vero nome William Rankin Patton) interpreta Horst. Americano, lo ricordo per film come Cercasi Susan disperatamente, Il cliente, Armageddon - Giudizio finale, The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra The Punisher, inoltre ha partecipato a serie come Numb3rs, 24 CSI - Scena del crimine. Ha 63 anni e due film in uscita.


Bronson Pinchot interpreta Lloyd. Americano, lo ricordo per film come Beverly Hills Cop, Una vita al massimo, Beverly Hills Cop III e I Langolieri, inoltre ha partecipato a serie quali Una famiglia del terzo tipo, Clueless e ha lavorato come doppiatore per episodi di Mucca e pollo, Io sono Donato Fidato e Angry Beavers. Ha 58 anni.


Nel caffé dove Paul incontra Marcy per la prima volta si possono scorgere, alle spalle dei protagonisti, la madre e il padre di Scorsese. Il regista, peraltro, ha accettato di dirigere Fuori orario a causa dei ritardi legati alla produzione de L'ultima tentazione di Cristo; se tutto fosse andato "liscio" avrebbe invece potuto essere Tim Burton a finire dietro la macchina da presa, in quanto era stato la seconda scelta dei produttori dopo avere visto Vincent. Detto questo, se Fuori orario vi fosse piaciuto potete provare Velluto blu oppure Magnolia. ENJOY!

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