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venerdì 7 aprile 2023

John Wick 4 (2023)

Ammetto che ci avevo quasi rinunciato, tra impegni e malanni, ma domenica siamo riusciti finalmente ad andare al cinema a vedere John Wick 4 (John Wick: Chapter 4), diretto dal regista Chad Stahelski.


Trama: dopo essere quasi morto nel film precedente, John Wick riprende il suo sanguinoso cammino pr liberarsi dal giogo della Gran Tavola e stavolta il suo principale avversario è il Marchese Vincent de Gramont.


E' finita. Forse. Dico forse perché in una scena post-credit che non vi spoilero stiamo già guardando al MCU del Continental e della Gran Tavola, di cui in effetti ci manca di vedere i pilastri fondamentali, ma dopo 9 anni possiamo dire che è finita la saga che ha sdoganato il cinema "di menare" (TM) al pubblico bue, quello che del cinema in questione non conosce nemmeno le basi e che magari, chessò, è riuscito ad incuriosirsi dopo tutto questo tempo. E' finita, e quella di John Wick è una fine a cui non potrò MAI voler male, nonostante tutti i difetti che mi hanno spinta a ridere come una pazza in sala, perché ci sono anche tanti pregi e momenti epici. Di trama ormai non si può più parlare da un paio di episodi, ci mancherebbe. Ogni film di John Wick, salvo forse il primo, è una serie di scuse e deviazioni per far sì che Keanu Reeves, per arrivare dal punto A al punto B, ci metta più o meno tre ore e, nel frattempo, si profonda in coreografie malmenanti sempre più lunghe e complesse (ma non per questo varie. Ci arrivo) e, ovviamente, John Wick 4 non fa eccezione, cosa che porta il nostro eroe a viaggiare dal Marocco ad Osaka, da New York a Berlino e, per il gran finale, a raggiungere una Parigi da cartolina. Ciò che in primis salva il franchise dalla noia perpetua è, come sempre, il bellissimo, interessante world building che lo accompagna, fatto di alberghi misteriosi, concierge efficacissimi (ciao Lance, mi mancherai tanto) e terribili Gran Tavole che giocano con la vita altrui millantando regole perse nell'alba dei tempi e perfino codificate in latino, con tutto il codazzo di personaggi e assassini sui generis che si portano appresso. La seconda cosa sono le infinite sequenze di combattimento, ogni volta più assurde ed esilaranti, che dopo tutti questi anni ancora regalano delle gioie, non tanto quando c'è di mezzo Keanu Reeves (mai stato particolarmente atletico, poverello, ma ci mette l'impegno instancabile di chi ha le giunture sempre un po' rigide e deve compensare con l'entusiasmo) ma quando arriva gente tipo Donnie Yen e Scott Adkins, il primo sempre una gazzella elegantissima e il secondo, pur costretto nel ruolo di Ciccio Bastardo, sempre capace di tirare calci come se non portasse una fat suit addosso.


Le infinite sequenze di cui sopra, signori miei, le avrei onestamente scorciate un po', perché risentono dello stesso difetto del film precedente, ovvero quello di mostrare Reeves rotolare per dieci minuti attorno all'attaccante per poi freddarlo con un headshot, ma quest'anno ci sono anche picchi di sfacciataggine notevole, forieri dell'ilarità isterica di cui parlavo sopra. Per esempio, John Wick 4 introduce "ottimi" abiti in kevlar coi quali basta coprirsi il viso col bavero per sopravvivere anche alle piogge di proiettili peggiori, o ancor più ottimi fucili d'assalto che non si limitano a colpire l'avversario, ma lo incendiano proprio, facendolo quasi esplodere; è stato poi introdotto un concetto di universo espanso secondo il quale John Wick discende direttamente dal clan MacLeod, o non si spiega perché lui riesca a sopravvivere a incidenti stradali reiterati e continue cadute da palazzi di 10 piani, mentre gli sventurati che condividono il suo stesso destino devono arrendersi alla morte impietosa dopo appena un singolo incidente/caduta. Ciò detto, John Wick 4 tocca picchi di commozione plurimi, soprattutto nelle scene ambientate a Parigi, con la rotonda degli Champs Elysées trasformata nel set di Carmageddon e la scalinata che porta al Sacro Cuore trasfigurata in una sorta di tormento di Sisifo, il tutto creato per omaggiare I guerrieri della notte grazie alla sensualissima (e bastardissima) DJ pronta a vendere agli assassini della Ville Lumière il povero Jonathan. Non dimentichiamo, infine, le guest star che come sempre pullulano. Al di là di Donnie Yen e Scott Adkins, per me i top del cast, Bill Skarsgård fa sempre la sua porca figura (e credo che il doppiaggio italiano ci abbia messo una bella pezza, almeno stavolta), di Clancy Brown non parliamo nemmeno, ché la grandezza è troppa, Hiroyuki Sanada è sempre elegante e bellissimo, Marko Zaror un'eccellente ingresso forse poco sfruttato e Ian McShane è perfetto oggi come 9 anni fa. Dite quello che volete, a me John Wick mancherà veramente tantissimo ma, come ho già detto, l'intenzione di tenere la saga in vita c'è (il primo spin-off cinematografico è previsto già per l'anno prossimo!), perché si potrebbero raccontare ancora mille storie su questo universo, stando però bene attenti a giocarsi al meglio la carta del picchiare/uccidere/headshottare bene, cosa che, purtroppo, una serie TV non potrebbe mai fare, ma chi sono io per porre dei limiti alla tamarreide e alla fantasia? Attendo speranzosa!


Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUIKeanu Reeves (John Wick), Laurence Fishburne (Bowery King), Lance Reddick (Charon), Clancy Brown (Harbinger), Ian McShane (Winston), Bill Skarsgård (Marchese), Donnie Yen (Caine), Hiroyuki Sanada (Shimazu) e Scott Adkins (Killa) li trovate invece ai rispettivi link.


Lance Reddick, Keanu Reeves, Ian McShane e persino Anjelica Huston dovrebbero comparire in Ballerina, il primo spin-off della saga, programmato per l'anno prossimo e avente Ana De Armas come protagonista. Nell'attesa, ovviamente, recuperate i primi tre film della saga e aggiungete Atomica Bionda, Bullet Train e I guerrieri della notte. ENJOY!




mercoledì 10 marzo 2021

Promising Young Woman (2020)

Anche se purtroppo non ha portato a casa alcun Golden Globe e anche se la sua uscita italiana è stata ulteriormente rimandata, è giunto il momento di parlare di Promising Young Woman, diretto e sceneggiato nel 2020 dalla regista Emerald Fennell. 


Trama: Cassandra è una trentenne che vive ancora coi genitori dopo aver mollato l'università anni prima. Di notte, la ragazza va nei club e attira gli uomini nelle sue grinfie...


Non so cosa mi aspettavo dalla visione di Promising Young Woman ma sicuramente sono rimasta spiazzata in senso positivo. Credevo il film sarebbe stato più horror in senso "grafico", invece contiene parecchio l'aspetto violento meramente fisico della vicenda e si concentra, come tutte le opere migliori, sulle conseguenze psicologiche di una violenza inflitta ai danni di altri e il modo in cui un trauma indelebile rischia di fare vittime collaterali incapaci di riprendersi. Ancora più apprezzabile è il modo in cui Emerald Fennell ha costruito il personaggio di Cassandra, la protagonista, così che lo spettatore sia costretto a scovare piccoli pezzetti della sua personalità, del suo passato e delle sue motivazioni, senza peraltro mai coglierle nella sua interezza e soprattutto senza una linearità: noi vediamo Cassandra attirare uomini fingendosi ubriaca per poi punirli per la loro volontà di approfittarsi di lei (senza sapere precisamente come), sappiamo che è successo qualcosa che le ha impedito di finire l'università, sappiamo che il trauma passato ha cristallizzato la sua esistenza privandola di un futuro roseo, ma tutti i dettagli veniamo a conoscerli poco a poco, in un crescendo scioccante che, se arriva a spiazzare noi, in qualche modo dà una regola a Cassandra, che comincia a fare proprio l'insegnamento di Kill Bill e si imbarca in una vendetta metodica.  


Promising Young Woman è dunque una sorta di rape and revenge ma, a differenza della maggior parte degli esponenti del genere, non si sofferma sull'aspetto catartico (o a sua volta quasi pornografico) della vendetta, perché si sporca di commedia nera, di echi anni '90 riportati persino in un dialogo sul finale, ed è per questo molto più tragico di altre pellicole a tema perché prende ogni oncia di cupo umorismo e la sfrutta per fare male allo spettatore. Se un paio di sequenze in particolare rimandano a quel trionfo che era Cose molto cattive, la Fennell non si fa problemi ad affermare che, giustamente, i tempi sono cambiati e che la sottesa giustificazione di una mascolinità tossica perché giudicata "simpatica", "burlona" e "scavezzacollo" non è più accettabile, soprattutto quando ad accoglierla a braccia aperte sono le donne stesse; là dove Cameron Diaz era complice della stupidaggine del marito e degli amici, qui ci sono Rettori donna ed ex studentesse che fanno qualcosa di molto simile e alle quali poco importa di andare a fondo della verità, basta che la loro vita scorra tranquilla e serena, che la loro comodità coincida anche e soprattutto con lo stigmatizzare come zoccola o ubriacona qualunque donna venga violentata "per gioco" e sputtanata online per lo stesso motivo. In tutto questo, Cassandra è quella che agli occhi altrui risulta sfigata e malata perché ha scelto di portare all'estremo l'empatia verso un'altra persona invece di andare avanti come se niente fosse. Cassandra non è mai cresciuta, non è mai uscita dall'università e la vita sua e quella della sua famiglia rispecchia quest'impossibilità di superare il suo trauma: la casa dei genitori è una bomboniera kitsch, la sua camera quella di un'adolescente, la colonna sonora (salvo la citazione di La morte scorre sul fiume) è un trionfo girlie anni '90, quanto al suo lavoro, il suo trucco e i suoi vestiti... beh, quelli meritano un paragrafo a parte. 


La missione di Cassandra a inizio film è quella di punire gli uomini. Tutti. Nella cornice di un Caffè alla moda, la protagonista tesse la sua tela e indossa una maschera rassicurante in aperto contrasto con alcune delle sue mise "da battaglia" serali; unghie multicolor dai colori pastello, camicette e maglioncini in perfetto stile dreamy, pantaloni e abiti svolazzanti (un paio li trovate online  e sì, sono molto costosi e sì, sono stati creati appositamente dalla sorella stilista della Fennell, Coco, spero vi si spezzi il cuore com'è successo a me, condannata a bramarli senza successo), trucco leggero e biondi capelli con frangetta, spesso legati da vezzosi nastri di raso. Nessuno potrebbe dire che Cassandra è una persona disturbata, men che meno pericolosa, così come nessuno potrebbe dire che la tizia ubriaca stravaccata sul divano in pelle del club in realtà non è poi così ubriaca. L'unico momento in cui Cassandra abbassa leggermente le difese è quando sboccia l'amore con Ryan, periodo "tranquillo" in cui possiamo intuire sprazzi della vera personalità della protagonista, probabilmente simpatica e arguta, scoppiettante come il giallo e il fucsia che dominano la sequenza musicale più divertente e carina dell'anno, ma è uno spazio temporale brevissimo, che sottolinea comunque la cura incredibile profusa da Emerald Fennell in ogni aspetto del suo splendido film. Poi, certo, molto fa una Carey Mulligan che normalmente già adoro ma che qui probabilmente ha ottenuto il ruolo della vita e che anima un personaggio capace di agghiacciare, commuovere e divertire senza perdere la sua fondamentale, tragica umanità. Non so se Promising Young Woman è già il film più bello dell'anno ma, di sicuro, è uno dei migliori.


Di Adam Brody (Jerry), Carey Mulligan (Cassandra), Clancy Brown (Stanley), Laverne Cox (Gail), Christopher Mintz-Plasse (Neil), Alison Brie (Madison), Connie Britton (Rettore Walker), Molly Shannon (Mrs. Fisher) e Alfred Molina (Jordan) ho già parlato ai rispettivi link.

Emerald Fennell è la regista e sceneggiatrice della pellicola, inoltre compare come host del tutorial sulle "labbra da pompino". Inglese, è al suo primo lungometraggio. Anche produttrice, ha 35 anni.


Tra le guest star del film segnalo Jennifer Coolidge, ovvero "la mamma di Stiffler di American Pie", qui nei panni di Susan. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Uomini che odiano le donne, (su Amazon Prime VideoElle (su praticamente ogni piattaforma streaming italiana) e M.F.A.. ENJOY!

venerdì 30 ottobre 2020

The Mortuary Collection (2019)

Cercavate l'horror perfetto per Halloween? Ve l'ho trovato, tranquilli! Non indugiamo oltre che andiamo a parlare di The Mortuary Collection, diretto e sceneggiato nel 2019 dal regista Ryan Spindell.

Trama: Montgomery Dark, professione becchino, vive all'interno di una sinistra magione, in perfetta solitudine, finché un giorno arriva la giovane Sam in cerca di lavoro. Nel corso del colloquio, Dark avrà modo di raccontare alla ragazza alcune macabre storie...

The Mortuary Collection è un altro di quei film che mi aveva fatto drizzare le orecchie vedendolo spuntare qui e là all'interno del sito Letterboxd, dopodiché una foto di Clancy Brown postata da Lucia su Facebook mi ha convinta a mettere da parte qualsiasi altra pellicola per dedicarmi alla visione di questa e adesso sono d'accordo al 100% con la bella recensione de Ilgiornodeglizombi: The Mortuary Collection è destinato a diventare un piccolo, bellissimo classico del genere che più amiamo ed è assolutamente perfetto per la sera di Halloween. La struttura di The Mortuary Collection è quella di un horror a episodi, un portmanteau, come quelli della Amicus (che vi consiglierei di recuperare se non sapete di cosa sto parlando), con i quali condivide la presenza di un narratore (possibilmente un po' inquietante) e di storie di ordinaria punizione per colpe più o meno gravi; come dice Montgomery Dark, istrionico becchino confinato in una magione ottocentesca, ogni morte è una storia, nessuna cattiva azione rimane impunita e, soprattutto, nessuno può sfuggire al destino. A fare da ironico contrappunto a Mr. Dark è la giovane e bionda Sam, arrivata in casa del becchino dopo aver letto il cartello "cercasi aiuto" affisso in giardino. La voce smaliziata e anche un po' impertinente di Sam sottolinea pregi e difetti di ogni storia raccontata, finché arriva il momento, per la ragazza, di raccontare a sua volta della sua esperienza con la morte, in una chiusura del cerchio assolutamente perfetta e zeppa di humour nero. Dei vari episodi che compongono The Mortuary Collection dirò davvero poco, perché dovete gustarveli in lieta ignoranza come ho fatto io: si parte con un brevissimo amuse-bouche, perfetto per introdurre l'atmosfera della pellicola, e si continua con storie che toccano la commedia horror, il dramma malinconico e lo slasher anni '70/'80 fino a raggiungere l'apice delle vendette sovrannaturali, il tutto confezionato con un'invidiabile continuità di stile.

E' difficile credere che Ryan Spindell sia al suo primo lungometraggio, vista la perizia con cui riesce a giostrarsi non solo in fase di sceneggiatura ma anche e soprattutto per quanto riguarda la regia. The Mortuary Collection, prodotto da Shudder (che immagino non disponga degli stessi fondi di Netflix e Amazon), dà dei punti agli horror distribuiti dalle due principali piattaforme di streaming perché a tratti ricorda l'allegria macabra e iconoclasta di un Barry Sonnenfeld impegnato ne La famiglia Addams ma la conoscenza dei cliché dell'horror è la stessa di Michael Dougherty e la sua messa in scena è curata e raffinatissima, in grado di conferire ad ogni singola storia un equilibrio miracoloso tra ironia e orrore, capace di renderle universali e "atemporali" nonostante l'incredibile cura legata alla rappresentazione di diverse epoche e di diversi generi horror. Gli attori, poi, sono un altro punto forte del film. Clancy Brown è semplicemente meraviglioso anche sepolto sotto tonnellate di makeup ma la mia preferita in assoluto è Caitlin Custer, bravissima come contraltare del narratore e assolutamente strepitosa come babysitter agguerrita, protagonista del segmento più concitato e "metanarrativo" del film, dove il montaggio e la recitazione danno veramente il bianco; un plauso anche al povero Barak Hardley, impegnato in un personaggio miserevole e terribilmente tenero all'interno del racconto più malinconico del mucchio. Era da parecchio tempo che non mi capitava di esaltarmi così tanto per un horror e durante la visione di The Mortuary Collection mi sono divertita da morire, oltre ad essere rimasta a bocca aperta in più di un'occasione, tanto che a fine visione ho pensato "questo! questo voglio rivederlo ancora, ancora e ancora". Nell'attesa di poterlo fare e di stringere un bel bluray tra le mani, vi invito a cercare questo gioiellino e a passare una serena festa di Halloween, con tutte le precauzioni del caso.

Di Clancy Brown, che interpreta Montgomery Dark, ho già parlato QUI.

Ryan Spindell è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, anche produttore e animatore, ha 41 anni.

Caitlin Custer, che interpreta Sam, ha partecipato anche al corto di Ryan Spindell intitolato The Babysitter Murders. Detto ciò, se The Mortuary Collection vi fosse piaciuto recuperate l'immancabile Trick'r Treat... e buon Halloween! ENJOY!

mercoledì 8 maggio 2019

Cimitero vivente 2 (1992)

Domani uscirà il nuovo Pet Sematary e io, spinta da un trafiletto letto su Best Movie, ho deciso di riguardare Cimitero vivente 2 (Pet Sematary II), diretto nel 1992 dalla regista Mary Lambert.


Trama: dopo la morte della madre attrice, il giovane Jeff va a vivere col padre veterinario nello stesso paese dove, anni prima, la famiglia Creed era stata sterminata. Non ci vuole molto prima che le circostanze portino lui e il suo nuovo migliore amico ad utilizzare il terreno di sepoltura indiano dove i morti tornano in vita...


Ho riso molto quando ho letto che, nell'ultimo Best Movie, Cimitero vivente 2 veniva definito "il sequel che nessuno ricorda". Che esagerazione. Assieme al capostipite meraviglioso, che ho deciso di non riguardare per paura di impietosi confronti col nuovo Pet Sematary (ma tanto lo conosco a memoria, è l'horror americano che mi ha terrorizzata più in assoluto nonché uno dei migliori adattamenti kinghiani di sempre), Cimitero vivente 2 era uno dei titoli di punta di Notte Horror e nonostante l'effettiva bruttezza della pellicola l'avrò comunque guardato quella decina di volte. Forse, al limite, la gente ha voluto dimenticare, e non posso darle torto. Cimitero vivente 2 è un film pessimo, che poco o nulla ha a che fare con la pellicola originale, un horror sciocco dove la gente fa cose stupide giusto per scatenare i meccanismi del genere, senza un reale motivo. Laddove Cimitero vivente era un film che faceva parecchio leva sui sentimenti dello spettatore, mettendolo davanti a morti ingiuste e alla comprensibile ossessione di un padre, per non parlare del senso di colpa, qui tutto si basa sulla testardaggine di un moccioso cupo che non ha piacere di vivere col padre perché la mamma era meglio. Non serve, per dissuadere il moccioso in questione, la visione di un uomo tornato dalla tomba ancora più folle e pericoloso di prima, perché insomma, l'angst è l'angst e va perseguito fino in fondo. Horror senza sentimenti, dunque, più legato al mito degli zombi e all'accumulo di cadaveri semoventi, come se i morti risorti volessero creare un'armata per conquistare la città, magari aiutati da persone che non vedono la differenza tra com'erano prima e come sono dopo il ritorno dalla tomba. C'è da dire che, rispetto al primo capitolo, Cimitero vivente 2 rende onore al suo titolo originale: di pets ne vengono uccisi a iosa, tra cagnolini abbattuti a colpi di fucile, gattini sbranati e conigli scuoiati, il che lo rende un horror sicuramente inadatto a un pubblico animalista, anche perché, viceversa, eventuali omicidi ai danni di esseri umani avvengono opportunamente fuori campo oppure si privano di pathos concretizzandosi in incidenti contro camion di patate.


Tanta sciatteria in fase di scrittura fa venire ancora più rabbia perché Cimitero vivente 2 non è completamente da buttare. Mary Lambert, la povera Mary Lambert ridotta a girare dozzinali sequel, film TV ed episodi di serie televisive, gira alcune sequenze d'impatto, magari un po' kitsch ma comunque gradevoli (e no, non sto parlando dell'imbarazzante incubo erotico di Chase), come la scena iniziale in cui Renée perde la vita, un bell'omaggio ai film della Hammer, oppure quelle in cui la "magia" del terreno indiano pare sfilacciare la realtà trasformandola in sogno od incubo, manifestando quello stato di dormiveglia incosciente in cui veniva già a trovarsi Louis Creed sia in Cimitero vivente che nel libro di Stephen King. E poi, soprattutto, a salvare il film dall'ignominia ci pensa Clancy Brown. In mezzo a un gruppo di attori tra lo scazzato (madonna, Edward Furlong, mi pare ovvio che poi tu sia sparito dalle scene) e l'imbarazzante (ora, per quanto io voglia benissimo ad Anthony Edwards è innegabile che andava bene giusto per interpretare "Ciccio" Greene e stop), Clancy Brown spicca per il modo in cui gigioneggia facendo realmente paura, un'interpretazione, la sua, che tiene lo spettatore costantemente sul chi va là per l'imprevedibilità del personaggio di Gus e la faccia psicopatica di Brown; certo, non parliamo del piccolo, indimenticabile Miko Hugues col suo terrificante Gage, ma lo stesso Gus Gilbert è un personaggio che non si dimentica e che spedisce "piacevoli" brividi lungo la spina dorsale. Potrebbe valer la pena di recuperare Cimitero vivente 2 anche solo per godersi la performance di Clancy Brown ma non è necessario a meno che l'attore in questione non vi stia particolarmente simpatico. Si vive anche senza, ve lo garantisco.


Di Clancy Brown, che interpreta Gus Gilbert, ho già parlato QUI.

Mary Lambert è la regista della pellicola. Americana, ha diretto film come Cimitero vivente e Urban Legend 3. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 68 anni.


Edward Furlong interpreta Jeff Matthews. Americano, lo ricordo per film come Terminator 2 - Il giorno del giudizio, Brainscan - Il gioco della morte, Pecker, American History X e Animal Factory, inoltre ha partecipato a serie quali CSI: NY. Anche produttore, ha 42 anni e un film in uscita.


Anthony Edwards interpreta Chase Matthews. Adorato Mark Greene della serie E.R., lo ricordo per film come La rivincita dei nerds, Top Gun, La rivincita dei nerds II, Scherzi del cuore e Zodiac. Anche produttore e regista, ha 57 anni.


Jared Rushton, che interpreta l'odioso Clyde Parker, all'epoca ha partecipato a molti film famosi, tra i  quali Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi, Big e Scarlatti - Il thriller. La trama del film avrebbe dovuto essere incentrata su Ellie Creed, l'unica sopravvissuta in Cimitero vivente, ma poiché i produttori non credevano che una protagonista femminile e adolescente avrebbe catturato l'interesse del pubblico, si è pensato di optare per personaggi nuovi di zecca. Detto questo, nell'attesa che esca Pet Sematary, recuperate Cimitero vivente! ENJOY!

venerdì 14 dicembre 2018

La ballata di Buster Scruggs (2018)

Nel catalogo di originali Netflix spesso ciofecosi ecco spuntare la magia dei Coen e del loro western ad episodi, La ballata di Buster Scruggs (The Ballad of Buster Scruggs), diretto e sceneggiato proprio da Joel ed Ethan Coen.


Il film comincia con l'episodio titolare, The Ballad of Buster Scruggs, appunto. Tra tutti, l'ho trovato il segmento più divertente, un mix tra western, influenze campyssime di musica country, alcuni dei migliori episodi di Lucky Luke e ovviamente Fratello, dove sei? , film dei Coen che dovrei decidermi a riguardare e recensire. The Ballad of Buster Scruggs è un florilegio di musica e personaggi surreali che più caricati non si può, a partire dal protagonista, interpretato da uno spettacolare Tim Blake Nelson. Andando avanti ci sono episodi più elaborati e profondi ma come antipasto questo è perfetto perché mette subito nel mood giusto, introducendo il fil rouge delle storie narrate dai Coen, ovvero la casualità di un destino di morte che non guarda in faccia a nessuno, che si tratti di buoni, cattivi, intelligenti o stupidi.


Near Algodones è un episodio altrettanto esilarante e pregno di umorismo nero. In dieci minuti i Coen sono riusciti a fare quello che non è riuscito a MacFarlane nelle due ore del suo logorroico Un milione di modi per morire nel West, presentandoci una terra pericolosissima, zeppa di contraddizioni, dove nel giro di un momento la vittima diventa carnefice e il bandito diventa vittima e dove non bisogna sottovalutare nessuno, nemmeno i vecchietti ciarlieri. Il finale è decisamente poetico e malinconico e, per una volta, ho adorato la faccetta da ca**o di James Franco dall'inizio alla fine.


A proposito di triste e malinconico, ma anche grottesco, Meal Ticket è indubbiamente uno degli episodi che rischiano di rimanere maggiormente impressi nella mente dello spettatore e di spezzargli il cuore per la casualità con la quale la disperazione arriva a privare le persone di ogni residuo di umanità. In una terra dove la sopravvivenza e la povertà vanno a braccetto, dove il pericolo è sempre dietro l'angolo, essere indifesi è una condanna ed essere acculturati non serve a nulla; soprattutto, la disumanizzazione del protagonista tocca il cuore e fa male. Potrei dire anche che fa pensare, riflettere su un mondo odierno non tanto diverso dal West, dove lo sfoggio di cultura fine a se stesso si risolve in un tweet o in un post su Facebook di rapido consumo e altrettanto rapido disinteresse, ripetuto fino a privarsi del suo significato originale, ma servirebbe solo a  deprimersi ulteriormente.


Basato su un racconto di Jack London, All Gold Canyon è lo one man show di un Tom Waits strepitoso, un inno alla testardaggine e alla natura predatoria dell'uomo. In esso, seguiamo un cercatore d'oro che all'inizio viene connotato nel modo più negativo possibile, soprattutto se confrontato con la natura incontaminata che la sua sete d'oro arriva a disturbare: acque limpide sporcate di terra, animali costretti a fuggire, splendidi prati ridotti a un colabrodo, risorse rubate, ecco ciò che porta la febbre, la smania del Cercatore. Eppure, nella sua ricerca febbrile ci sono metodo e rispetto, un qualche codice d'onore che ad un certo punto, quando l'uomo è a un passo dal suo obiettivo, ce lo rendono molto più simpatico, ribaltando in un istante la percezione del protagonista. Un episodio girato benissimo, recitato alla perfezione, costruito come un cerchio perfetto ed incredibilmente profondo nella sua brutale semplicità.


The Girl Who Got Rattled (ispirato a un racconto di Stewart Edward White) è invece uno spaccato di quotidianità colonica con tutto quel che ne consegue. Probabilmente è il segmento più "complesso", dal momento che è reiterato nel tempo, si basa su eventi sottesi e prevede un'evoluzione costante dei personaggi principali, al punto che lo spettatore comincerebbe ad affezionarsi agli occhioni sgranati di Zoe Kazan (sempre bellissima) e al timido cowboy che arriva a farle la corte, sperando di poterli seguire nella loro futura vita da marito e moglie. Invece i Coen non sono minimamente interessati all'aspetto più soapoperistico dello slice of life western portato sullo schermo, anzi, ci tengono a ribadire come la quotidianità del west andava comunque a braccetto con terribili incognite e con la morte sempre a un passo; ignorare il pericolo trincerandosi dietro ingenuità ed ignoranza significa mettere con le spalle al muro se stessi e gli altri, diventare un peso insostenibile che rischia di scatenare tragedie ancora più grandi. E' la tipica natura clueless di buona parte dei personaggi Coeniani a venire celebrata (criticata?) qui, l'atteggiamento di chi non ha ben inquadrato la realtà in cui vive e si limita a stare ai margini combinando solo casini. Il che ci porta dritti all'ultimo segmento.


The Mortal Remains, le spoglie mortali. Il semplice viaggio di cinque persone all'interno di una carrozza? O forse il loro ultimo viaggio, quello definitivo? L'ambiguità è voluta ma come chiosa finale propenderei più per l'ultima opzione, anche per quella fotografia cupissima, virata sul grigio, e quelle scenografie inquietantemente posticce sul finale. Sta di fatto che l'episodio, benché in esso, di fatto, succeda poco o nulla, è uno dei miei preferiti perché è recitato benissimo, ha dei dialoghi che spaziano dall'incredibilmente witty al malinconico e permette a Brendan Gleeson di sfogare le sue doti canore con una tristissima ballata irlandese.


Riassumendo, La ballata di Buster Scruggs è un'antologia western che non perde un colpo che sia uno. Introdotta ed intervallata, come i vecchi film Disney, dalla ripresa di un libro a cui vengono sfogliate le pagine, sulle quali c'è scritto esattamente come iniziano e finiscono gli episodi, consente ai Coen di sfruttare diversi stili di regia e spaziare attraverso svariati registri narrativi che coinvolgono lo spettatore senza mai annoiarlo: si passa dal musical al western, dallo slice of life alla tragedia per arrivare a tinte da ghost story, il tutto interpretato, diretto, scritto e soprattutto musicato alla perfezione. Al momento, oserei dire che La ballata di Buster Scruggs è uno dei più bei film che potete trovare su Netflix e consiglierei il recupero non solo agli amanti dei Coen, che troveranno pane per i loro denti, ma anche a chi di solito non mastica western perché qui c'è da rimanere estasiati a prescindere dal genere.


Dei registi e co-sceneggiatori Joel e Ethan Coen ho già parlato QUI. Tim Blake Nelson (Buster Scruggs), Clancy Brown (Surly Joe), David Krumholtz (il francese), James Franco (Cowboy), Stephen Root (Teller), Ralph Ineson (Leader del branco), Liam Neeson (Impresario), Zoe Kazan (Alice Longabaugh) e Brendan Gleeson (L'irlandese) li trovate invece ai rispettivi link.

Tom Waits interpreta il Cercatore. Cantautore americano, ha partecipato a film come I ragazzi della 56sima strada, Rusty il selvaggio, La leggenda del re pescatore, Dracula di Bram Stoker, America oggi e ha lavorato come doppiatore in un episodio de I Simpson. Anche sceneggiatore, ha 69 anni e un film in uscita.


Harry Melling, che interpreta l'Artista nell'episodio Meat Ticket, era l'odioso Dudley Dursley nei film di Harry Potter. Detto questo, se La ballata di Buster Scruggs vi fosse piaciuta potete recuperare Il Grinta e Fratello, dove sei? ENJOY!

martedì 14 novembre 2017

Thor: Ragnarok (2017)

Ho rimandato la visione di due settimane, poi hanno vinto la pignoleria e il "dovere di completezza" e domenica sono finita a vedere Thor: Ragnarok, diretto dal regista Taika Waititi. Anche se l'avete già visto tutti il post è SPOILER FREE, ovviamente.


Trama: Thor torna su Asgard solo per vederla cadere in mano a Hela, dea della morte, e perdere martello e poteri. Esiliato su un pianeta governato da un folle schiavista, il Dio del Tuono incontra Hulk e medita vendetta...


Di Thor: Ragnarok avevo letto le peggio cose, la più lusinghiera delle quali era la definizione "Natale a Sakaar/Asgard", per non parlare dell'istintivo disgusto all'idea di sentire chiamare Thor "Zio del Tuono" in più di un'occasione (in originale credo sia semplicemente Sparkles ma potrei sbagliarmi), due cose che mi avevano tenuta ben lontana dalla sala. Ho sentito poi di amici che si sono divertiti molto, altri moltissimo, e in generale ero curiosa di capire cosa avrebbe potuto combinare il folle Taika Waititi all'interno del Marvel Universe, quindi alla fine sono andata al cinema, benché con il cuore carico di tristi presagi. E ora, sinceramente, non so che dire di questo Thor: Ragnarok, perché la mia anima è fondamentalmente spaccata in due, quindi sarebbe meglio fare un po' di chiarezza prima di venire ricoperta di guano da sostenitori e detrattori "estremisti" del terzo capitolo della saga iniziata sei anni fa nel segno di Kenneth Branagh. Innanzitutto, e probabilmente l'ho già scritto negli altri post, a me di Thor come personaggio non è mai fregato una benemerita, così come del resto di tutti i Vendicatori, beninteso; che lo trasformino in donna, rana o imbecille che inanella una figura di tolla dietro l'altra poco m'importa, apprezzo la visione in deshabillé di Chris Hemsworth, il taglio corto che gli da un che di sbarazzino, asciugo la bava e passo oltre. Lo stesso vale, ça va sans dire, per tutto il carrozzone di personaggi che il titolare si porta appresso, gente che ho conosciuto giusto guardando i film precedenti oppure giocando al defunto e compianto Avengers Alliance su Facebook. Non conosco la mitologia della Asgard versione Marvel quindi ho poca confidenza con Hela, quella roba fiammeggiante che risponde al nome di Surtur (il gran figlio di bagascia, per la cronaca) e neppure il Gran Maestro, se è per questo, e l'idea che stavolta siano state liquidate sia Sif che Jane Foster, la prima senza un perché la seconda con un "t'ha mollato, eh?", non ha causato in me né gioia né rabbia. Tutto questo giro intorno al mondo per dire che l'idea di stravolgere completamente Thor e farne un personaggio più ironico de I guardiani della Galassia, confezionando un film dalla trama semplicissima e molto diretta (i cattivi sono cattivi, i buoni sono buoni ma in generale fanno tutti ridere) con un'infinità di rimandi ai vecchi buddy movies, gli sci-fi supercazzola (Goldblum non l'hanno messo a caso, dai) e i film d'avventura anni '80 poteva anche starci. Ho trovato quest'approccio molto più sensato rispetto all'intestardirsi a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, tenendosi il personaggio serio ma infilando qualche momento comico a casaccio "perché sì", sfruttando vecchi svedesi in mutande o nudi. Qui hanno buttato tutto in caciara fin dai trailer e perlomeno stavolta abbiamo avuto un film coerente dall'inizio alla fine, il problema è che in Thor: Ragnarok la comicità è spesso infantile, demenziale, fuori contesto, reiterata, asfissiante, inserita a forza anche quando proprio non sarebbe stato il caso e, dal mio umile punto di vista di chi vede i film Marvel una volta e ormai se li dimentica il giorno dopo, arriva a dare interpretazioni assurde di personaggi come Loki o Bruce Banner, uno sacco da punchball "di ridere", l'altro isterico che si ravana il pacco perché i pantaloni sono stretti, vi lascio la sorpresa di capire chi sia cosa.


Con me la via dell'ilarità a tutti i costi non ha quindi proprio attecchito, vuoi perché sono vecchia o vuoi perché al terzo "Zio del Tuono" le mie orecchie hanno cominciato a secernere sangue, oppure sarà perché quando un malvagio ti sta parlando TU APRI LE ORECCHIE E ASCOLTI TUTTE LE BELINATE CHE HA DA DIRE, non che giochi al salame appeso interrompendolo per due volte, santo Odino (l'altro buono. Hopkins non fa più un film decente da anni, l'ormai old fart britannica dichiara inorridita che MAI più parteciperà a pellicole su Thor poi passa alla cassa per una comparsata da 5 minuti perché "oh, lo script era validissimo!!". Ma vai a prendertela nel passaggio dimensionale e corri subito a lezione di coerenza da Natalie Portman, fila. Vecchiaccio guercio), però devo anche dire che Thor: Ragnarok è bellissimo dal punto di vista del ritmo, della regia, del delirio anni '80 che rende praticamente ogni scena un trip psichedelico. Il meglio di sé Taika Waititi lo da sul pianeta Sakaar, un luogo troppo assurdo per essere vero, pericolosissimo ma giocoso come un qualsiasi mondo assassino creato dal pazzo Arcade: tra la spazzatura che cade dall'alto rischiando di accoppare gli astanti e quelle creature in odore di Star Wars, passando per il tunnel dentro cui risuona Pure Imagination, arrivando all'assurdità di una cella dove spazio e tempo non esistono, giochi laser che nemmeno in discoteca, prospettive ribaltate e giochi di specchi, per finire con la sboronata di un inseguimento su navicelle spaziali adibite a boudoir e scoppiettanti di fuochi d'artificio, mi veniva voglia di non tornare mai più ad Asgard, anche perché il personaggio migliore della pellicola, diciamolo, è il buliccissimo e assurdo  Gran Maestro di Jeff Goldblum (affiancato da Rachel House. Più Rachel House per tutti, vi prego, altro che strafighe beone). Per carità, ad Asgard ci sono scheletri semoventi, un ponte arcobaleno mai così kitsch, morte e distruzione in quantità tali da poter ridere in faccia ai primi due Thor e a buona parte del franchise Marvel, oltre alla bella Cate Blanchett che si è palesemente divertita ad interpretare Hela, però, anche lì, zero pathos, zero serietà, zero empatia con un intero popolo a rischio sterminio, un sacco di risate a vedere Idris Elba imparruccato... mah. Insomma, per una volta non so davvero cosa pensare. Come ho scritto su Facebook, mi sento come il tizio che deve respingere la ragazza che gli hanno presentato e, per non ferire i sentimenti degli amici che ne dicono ogni bene si ritrova a dover dire "Non è che non mi piaccia, per carità. Non è bella però ha personalità. E' simpatica, via. Non è lei, sono io." Il film di Waititi ha una SPICCATA personalità, si innalza nel mare delle produzioni Marvel come solo Guardiani della Galassia e, in parte, Doctor Strange erano riusciti a fare e sicuramente lo rimpiangerò a febbraio dopo il probabile piattume di Pantera Nera (altro personaggio Marvel di cui fregaca**i)... ma non riesco a definirlo bello ora come ora, mi spiace. In compenso mi è tornata la voglia di rivedere sia What We Do in the Shadows sia Buckaroo Banzai o Le ragazze della terra sono facili e di farli vedere per la prima volta a Mirco e questo non è mai un male!


Del regista Taika Waititi, che presta anche la voce a Korg e il corpo a Sultur, ho parlato già QUI. Chris Hemsworth (Thor), Tom Hiddleston (Loki), Cate Blanchett (Hela), Idris Elba (Heimdall), Jeff Goldblum (Gran Maestro), Tessa Thompson (Valchiria), Karl Urban (Skurge), Mark Ruffalo (Bruce Banner/Hulk), Anthony Hopkins (Odino), Benedict Cumberbatch (Doctor Strange), Clancy Brown (voce di Surtur), Tadanobu Asano (Hogun), Ray Stevenson (Volstagg), Zachary Levi (Fandrall), Sam Neill (attore Odino) e Matt Damon (non accreditato, è l'attore che interpreta Loki) li trovate invece ai rispettivi link.


Rachel House, che interpreta Topaz, aveva partecipato ad un paio di episodi di Wolf Creek e prestato la voce a Nonna Tala in Oceania mentre Luke Hemsworth, fratello di Chris, interpreta il falso Thor nella scenetta teatrale all'inizio; ovviamente, nel film compare anche Stan Lee, stavolta nei panni di barbiere. Sif avrebbe dovuto comparire nel film ma Jaimie Alexander era impegnata nelle riprese della serie Blindspot e il suo personaggio è stato conseguentemente "spedito in missione". Oltre a dirvi di rimanere seduti in sala fino alla fine dei titoli di coda, ché le scene post credits sono due, nell'attesa che esca Avengers: Infinity War, dove tornerà Thor, facciamo il solito ripasso dei film da vedere per ingannare il tempo: intanto vi consiglio di recuperare di sicuro ThorThor: The Dark WorldThe AvengersAvengers: Age of Ultron  e Doctor Strange poi magari aggiungete Iron ManIron Man 2 Captain America - Il primo vendicatore, Iron Man 3 Captain America: The Winter SoldierGuardiani della galassia Ant-ManCaptain America: Civil War, Guardiani della Galassia vol. 2 e Spider-Man: Homecoming. ENJOY!



domenica 5 novembre 2017

Little Evil (2017)

La scorsa sera cercavo un film corto da guardare col Bolluomo e la scelta è caduta su una delle ultime produzioni Netflix, Little Evil, scritto e diretto dal regista Eli Craig.


Trama: dopo il matrimonio con la donna dei suoi sogni, Gary si ritrova a fare da patrigno al figlio di lei, un pargoletto che potrebbe essere proprio l'Anticristo.


Posso dire una cosa senza timore di offendere nessuno? Da quando mi sono abbonata a Netflix mi pare che il colosso americano stia tirando fuori una ciofeca dietro l'altra, a parte Okja. Ho dato una chance a Little Evil non solo perché cercavo qualcosa di corto e leggero (oltre che doppiato) da guardare con Mirco ma anche perché il regista e sceneggiatore era quello di Tucker and Dale vs Evil, uno dei film più divertenti visti negli ultimi anni. Lì per lì credevo di averci azzeccato, in quanto Little Evil inizia come una parodia di tutti i film a tema "figlio del demonio" (in particolare Il presagio) e mette alla berlina tutti i topoi del genere, rendendoli parte integrante della trama: abbiamo il bambino cupo che non spiccica parola ma molto spesso si esprime attraverso un inquietante pupazzo, adulti che muoiono in maniere assurde magari dopo averlo rimproverato, gravidanze a dir poco peculiari e orde di invasati pronti a compiacere il piccolo satanasso, tutti stereotipi finalizzati a creare le situazioni più improbabili e divertenti possibili, soprattutto se ad affrontarle è un uomo impreparato a fare il patrigno e costretto a fronteggiare non solo il figliastro ma anche una mammina cieca davanti a qualunque difetto di quest'ultimo. L'elemento horror/parodico si fonde quindi, almeno all'inizio, con un po' di sana satira che va a colpire proprio il modo in cui si tende a trattare coi guanti i cosiddetti "bambini traumatizzati" quando forse sarebbero invece i genitori quelli da mandare da uno psichiatra, ciechi come sono davanti al fatto che anche il bambino dalla situazione sociale più disastrata va comunque educato e non assecondato, compatito o perdonato qualunque cosa faccia o dica, pena la creazione di veri e propri mostri. E' simpatica quindi l'idea di inserire il protagonista in un gruppo di patrigni "disperati", perennemente in cerca di un modo per sopportare i figliastri o entrare nelle grazie di madri che non hanno occhi che per i loro "angeli", ma quando la commedia parodistica sfocia nella retorica d'accatto di un film sentimentale a base di padri e figli che copre l'intera seconda metà della pellicola il risultato diventa tragico, al punto che persino la sottotrama sovrannaturale si fa caotica e poco interessante.


Little Evil quindi funziona quasi esclusivamente quando Eli Craig mostra di conoscere alla perfezione l'horror e, come già accadeva in Tucker & Dale vs Evil, di saper trasformare anche i più semplici incidenti in testimonianze della presenza del maligno non solo attraverso la sceneggiatura ma anche grazie ad un sapiente mix di regia, colonna sonora e citazioni ad hoc; quando però non ci si concentra sulle malefatte del piccolo satanasso persino questi tre elementi si appiattiscono e Little Evil risulta, anche esteticamente, poco più di una banale commedia americana, con troppi momenti morti. E' un peccato perché gli attori sono tutti molto simpatici e in parte, a cominciare da quell'Adam Scott che spuntava già in Krampus (film a sua volta "ibrido" ma più feroce di Little Evil) per arrivare ad Evangeline Lilly, sempre bellissima, con l'aggiunta di un'accozzaglia di facce note molto apprezzate come quelle di Sally Field, Donald Faison, Tyler Labine e soprattutto Clancy Brown, ambiguo come sempre e in grado di mangiarsi con la sua sola presenza tutti coloro che lo circondano (magari se non lo avessero doppiato in modo così spoileroso...). Molto carino anche il bimbetto protagonista, impressionante soprattutto per il modo in cui passa dall'essere inquietante a tenerissimo nel giro di un paio di sequenze, mentre sinceramente non saprei come definire la presenza dell'attrice Bridget Everett. Il personaggio di AL, lesbica dagli atteggiamenti prettamente maschili, anzi, più uomo degli stessi uomini e altrettanto volgare e cretina, dovrebbe fungere da "consigliere" per il protagonista oltre che da elemento comico ma a tratti mi è sembrata talmente esagerata da farmi dubitare di essere stata creata dalla stessa mano delicata che ha dato vita all'originale storia d'amore vista in Tucker & Dale vs Evil... e inoltre fa davvero poco ridere. Mah. In soldoni, l'ennesimo film MEH della stagione, né troppo bello né troppo brutto, sicuramente dimenticabile. Speriamo che Eli Craig torni ai vecchi fasti, non posso credere si sia già bruciato dopo così pochi anni di attività.


Del regista e sceneggiatore Eli Craig ho già parlato QUI. Evangeline Lilly (Samantha), Adam Scott (Gary), Sally Field (Miss Shaylock), Clancy Brown (Reverendo Gospel), Tyler Labine (Carl C. Miller) e Donald Faison (Larry) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Little Evil vi fosse piaciuto recuperate Benvenuti a Zombieland e Tucker & Dale vs Evil. ENJOY!

venerdì 18 marzo 2016

Ave, Cesare! (2016)

Martedì sono andata a vedere l'ultimo film scritto e diretto da Ethan e Joel Coen, Ave, Cesare! (Hail, Caesar!) e mi rendo conto che scriverci su un post sarà un bel casino!


Trama: durante le riprese del film Ave, Cesare! l'attore protagonista viene rapito e gli ignoti malviventi chiedono anche un riscatto. Ad Eddie Mannix, responsabile degli Studios, non rimane altro da fare che sistemare la faccenda, occupandosi nel mentre di altri mille piccoli problemi legati alle capricciose star.



Ave, Cesare! è una storia ambientata in un'epoca d'oro del Cinema che, per fortuna o purtroppo, non tornerà più. In essa i Coen profondono non solo tutto il loro amore per la Settima Arte ma anche la loro abilità registica e narrativa, realizzando un divertissement ironico, surreale e anche molto interessante, soprattutto nella misura in cui buona parte dei personaggi presenti nel film (o degli eventi di cui essi sono protagonisti) è ispirata a fatti realmente accaduti nella Hollywood degli anni '50. Strutturato in parte come un noir, in parte come una sequenza di scatole cinesi in guisa di pellicole, Ave, Cesare! si concentra sul "risolutore" della Capitol Pictures, Eddie Mannix, il quale oltre a dover mettere una pezza ai comportamenti immorali degli attori letteralmente posseduti dagli Studios deve anche risolvere l'increscioso rapimento della stella della Capitol, quel Baird Withlock che pare un incrocio tra Kirk Douglas e Charlton Heston. Partendo da questo canovaccio di base, i Coen intrecciano una trama che tocca argomenti assai sentiti nell'industria cinematografica dell'epoca, come per esempio la neonata minaccia del comunismo, capace di affascinare anche quegli attori che dalla società capitalista traevano i maggiori profitti, l'apparente inconciliabilità tra cinema d'intrattenimento e religione (il confronto iniziale tra preti, rabbini, pastori e quant'altro è esilarante), il profilarsi dello spettro della televisione come alternativa popolare ai film, soprattutto la necessità di creare per le star un'immagine pubblica che fosse all'altezza dei sogni degli spettatori di tutto il mondo. I Coen si divertono a giocare soprattutto con questo ultimo aspetto, accostando spesso e volentieri sequenze di pellicole che richiamano quelle maggiormente in voga negli anni '50 ad una sorta di backstage che rivela la vera natura degli attori coinvolti, impegnati in un gioco di inganni che si protraeva anche fuori dal set grazie a giornalisti più o meno compiacenti e, ovviamente, a "risolutori" come Eddie Mannix; lo stretto rapporto tra attori e Studios ha dell'inquietante soprattutto per l'esistenza di questa entità potentissima capace di decidere letteralmente della vita e della morte di persone che hanno ancora meno diritti di un qualsiasi manovale, prigioniere di una scala gerarchica che vede produttori e registi in cima, gli attori famosi in mezzo e le comparse all'ultimo gradino della scala sociale.


Quello dei Coen è diventato col tempo un Cinema sempre più autoriale e criptico, più legato alla forma che alla sostanza, eppure anche in questo caso scavando sotto all'incredibile bellezza di una fotografia capace di richiamare i tempi gloriosi del Technicolor e di immagini dal sapore antico e quasi ingenuo, veri e propri omaggi ai generi più in voga all'epoca (il balletto di Channing Tatum è fenomenale, una delle sequenze più azzeccate del film), c'è la possibilità di capire un modo di intendere il cinema e il cosiddetto Stardom che, oggi come oggi, pare quasi alieno. E nonostante Ave, Cesare! mi sia piaciuto molto, assai più di A proposito di Davis, ci sono un paio di cose che rimprovero ai Coen. La prima, molto banalmente, è di avere sfruttato male il cast stellare che avevano a disposizione, relegando grandissimi nomi come Jonah Hill, Scarlett Johansson, Ralph Fiennes, Tilda Swinton e Frances McDonald, solo per citarne alcuni, in ruoli piccolissimi che vanno a formare tante tessere di un mosaico globale che rischia di non calamitare del tutto l'attenzione dello spettatore e di perdersi tra un omaggio e l'altro; molti attori "minori" sono un gradito omaggio per gli amanti del cinema e i protagonisti sono ovviamente bravissimi ma la cosa lascia un po' l'amaro in bocca. Così come lascia l'amaro in bocca la scelta di sorvolare sul lato più oscuro della Golden Age Hollywoodiana, quell'infinita serie di omicidi collegati alla mafia, di storie di droga, violenza e abusi, di carriere nate da "piccoli" favori e di segretucci inconfessabili; se devo essere sincera, la scelta di buttare in caciara il rapimento di Baird Withlock mi ha fatto storcere il naso nonostante abbia molto apprezzato la conclusione surreale del tutto, soprattutto grazie ad un uso perfetto della colonna sonora. Forse i Coen stavolta avrebbero potuto osare un po' di più e richiamare le atmosfere di Fargo non solo con l'ausilio di un rapimento e una valigetta zeppa di soldi, oppure aumentare il carico di ironia nera come già avevano fatto ai tempi di Burn After Reading - A prova di spia o Ladykillers, ma tant'è: la storia di Eddie Mannix e il suo dilemma interiore mi hanno divertita tanto quanto mi ha entusiasmata tutta la bellissima cornice metacinematografica e nostalgica, quindi dichiaro Ave, Cesare! promosso in pieno!


Dei registi e sceneggiatori Joel ed Ethan Coen ho già parlato QUI. Josh Brolin (Eddie Mannix), George Clooney (Baird Whitlock), Ralph Fiennes (Lawrence Laurentz), Scarlett Johansson (DeeAnna Moran), Tilda Swinton (Thora Thacker/Thessaly Thacker), Frances McDormand (C.C. Calhoun), Channing Tatum (Burt Gurney), Jonah Hill (Joseph Silverman), Alison Pill (Mrs. Mannix), Clancy Brown (Gracco), Fisher Stevens (uno degli sceneggiatori comunisti), David Krumholtz (uno degli sceneggiatori comunisti), Michael Gambon (il narratore) e Dolph Lundgren (non accreditato, è il comandante del sottomarino russo e la sua parte doveva essere molto più lunga) li trovate invece ai rispettivi link.

Alden Ehrenreich interpreta Hobie Doyle. Americano, ha partecipato a film come Stoker, Blue Jasmine e a serie come Supernatural e CSI. Ha 27 anni e un film in uscita.


Christopher Lambert (vero nome Christophe Guy Denis Lambert) interpreta Arne Seslum. Americano, lo ricordo per film come Greystoke - La leggenda di Tarzan il signore delle scimmie, Highlander - L'ultimo immortale, Highlander II - Il ritorno, 2013 - La fortezza, Palle in canna, Highlander 3, Mortal Kombat, Nirvana, Highlander: Scontro finale e Ghost Rider - Spirito di vendetta inoltre ha partecipato a serie come Highlander. Anche produttore e sceneggiatore, ha 59 anni e due film in uscita.


Tra le varie guest star segnalo anche la presenza del Dottore di Star Trek: Voyager, Robert Picardo, qui nei panni del rabbino, e di Wayne Knight, la comparsa cicciona. La Capitol Pictures di cui si parla in Ave, Cesare! era già comparsa nel film Barton Fink - E' successo a Hollywood, sempre dei Coen. Passando al protagonista del film, E.J. Mannix è una figura davvero esistita ed effettivamente era conosciuto come "Il risolutore" della Metro Goldwyn Mayer ma non era una figura limpida come quella descritta dai Coen: se andate a leggere la sua pagina su Wikipedia scoprirete un sacco di vicende poco chiare che hanno costellato la vita del produttore. Altre fonti di ispirazione sono state la gravidanza di Loretta Young (che ha avuto una figlia dopo essere stata praticamente stuprata da Clarke Gable e, per evitare che gli studios ne venissero a conoscenza e la facessero abortire, ha finto di essere ammalata per mesi, ha affidato la bambina ad un orfanotrofio subito dopo il parto e dopo qualche tempo l'ha adottata), la giornalista Hedda Hopper, già ritratta in Trumbo (le sorelle Thacker sono un mix della Hopper e delle gemelle Ann Landers ed Abigail Van Buren, giornaliste rivali), Carmen Miranda, Gene Kelly, l'addetta al montaggio Margaret Booth e ovviamente il film Ben Hur, che ha lo stesso sottotitolo di Ave, Cesare! ("Una storia di Cristo"). Detto questo, se Ave, Cesare! vi fosse piaciuto recuperate Fratello, dove sei?, Barton Fink - E' successo a Hollywood, L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo e magari anche il meraviglioso Viale del tramonto. ENJOY!

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