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martedì 19 febbraio 2019

Alita - Angelo della battaglia (2019)

Spinta dalle aspettative esaltate di quanti lo stavano aspettando, sabato sono andata a vedere Alita - Angelo della battaglia (Alita: Battle Angel), diretto dal regista Robert Rodriguez e tratto dal manga Alita l'angelo della battaglia di Yukito Kishiro.


Trama: il dottor Ito trova in una discarica il cervello ancora intatto di una cyborg e lo impianta nel corpo della figlia defunta. La giovane Alita, immemore della sua vita passata, deve così scoprire cosa si cela nei suoi flashback e nelle sue prodigiose abilità di lottatrice...


Credo di essere una delle quattro persone al mondo che non hanno mai letto Alita l'angelo della battaglia, manga che negli anni '90 aveva contribuito alla diffusione della cultura "otaku" in Italia e al boom che ne è derivato. Sono comunque andata al cinema spinta da due nomi, quello di James Cameron alla sceneggiatura e alla produzione e quello di Robert Rodriguez alla regia. Inoltre, non conoscendo l'opera originale, ero anche felice del fatto di non dover subire gli effetti nefasti della sicura banalizzazione e semplificazione dei temi trattati nel manga ad uso e consumo del popolo bue occidentale, cosa che mi ha portata a vivere Alita - Angelo della battaglia come un Ready Player One un po' più trash e banalotto. Non cercate significati particolari, fossero anche quelli "buonisti" e tanto vituperati dalla cVitica alla Spielberg o alla Disney, perché Alita mi è parso giusto una scusa per mostrare incredibili effetti speciali al servizio di violentissime scene action ai danni di cyborg, robot e cagnolini (fuori dall'inquadratura, mentre il montaggio furbo consente di assistere al taglio netto di un corpo umano senza che la dicitura PG-13 ne risenta, anche perché in tutto questo c'è gran dispendio di sangue azzurro), al limite c'è un vago monito a non tradire amici e amanti per raggiungere i propri scopi, per quanto spinti dalla disperazione, ché non sempre chi vive in paradiso è migliore di chi sta all'inferno. Ogni personaggio del film, infatti, è letteralmente portato a vivere perennemente con lo sguardo al cielo, alla città sospesa di Zalem, dove vigono promesse di ricchezza e superiorità contro il pianeta/discarica che sta sotto, un melting pot di culture e razze all'interno del quale cyborg ed esseri umani più o meno potenziati convivono sotto l'egida di una legge marziale mantenuta da cacciatori di taglie. In tutto questo, la giovane Alita deve ricordare la sua vita passata mentre comincia a viverne una nuova fatta di amori adolescenziali, scoperte scioccanti su se stessa e su chi la circonda, ed episodi di violenza sempre più incontrollabili alimentati da una malvagia eminenza grigia che risponde al nome di Nova e che arriva a sfruttare persino lo sport nazionale, il Motorball, per eliminare Alita e le ultime vestigia di un passato radicato nientemeno che su Marte. Quanto alla protagonista, di per sé Alita è scema come un tacco ed ingenua come poche, degno contrasto con un corpo e un addestramento marziale che la rendono una macchina da guerra superiore a qualsiasi altra in grado di offrire così allo spettatore un po' di gioia.


I momenti veramente esaltanti di Alita - Angelo della battaglia sono infatti quelli in cui l'"angelo" da il meglio di sé, con una furia devastante unita alla consapevolezza di dover eliminare qualsiasi ostacolo le si pari davanti; che sia in una rissa "da bar", in una gara di Motorball mozzafiato oppure in un corpo a corpo contro cyborg sempre più mostruosi, Alita salta, vola e calcia con grazia, accompagnata da urla di battaglia cariche di sdegno e dall'abilità caciarona di Rodriguez dietro la macchina da presa. Il buon Robert si è fatto le ossa con la trilogia del Mariachi e con i vari Spy Kids e si vede, perché è in grado di "piegarsi" alle regole del PG-13 senza rinunciare a rendere chiaramente ciò che accade nelle varie sequenze anche nei momenti più concitati, riuscendo a destreggiarsi sia nei momenti più "fisici" sia in quelli dove sono gli effetti speciali a farla da padroni, ovvero per più di metà film. Alita - Angelo della battaglia è infatti il trionfo del digitale e della motion capture, a partire dalla protagonista con gli enormi occhioni e il corpo sproporzionato modellata su Rosa Salazar, una bambolotta carinissima e in qualche modo molto umana che interagisce alla perfezione con i suoi nemici cyborg, forse un po' meno riusciti ma comunque impressionanti e per nulla posticci. Anzi, mi verrebbe da dire che gli unici a risultare "finti" sono proprio gli attori blasonati infilati a forza in questa mega-produzione solo per fare la figura dei cioccolatai, Christoph Waltz in primis. Ecco, io non riesco a capire come Waltz possa passare dall'essere un attore con la A maiuscola, indimenticabile e fondamentale (soprattutto quando viene diretto da Tarantino) all'essere un povero cristo scoglionato che non sa bene come sia capitato sul set, come in questo caso; per carità, non va meglio a un non accreditato Edward Norton o alla sempre splendida Jennifer Connelly, costretta in un ruolo di villainess tra i più mosci ed indecisi mai scritti, per non parlare dell'elegante Mahershala Ali che meriterebbe ben altre occasioni, e sicuramente al 90% del pubblico non fregherà una cippa del trattamento di questi grandi nomi, però a me si spezza un po' il cuore. Fatto ad uso e consumo del popolino nerd, Alita - L'angelo della battaglia mi è sembrato, in definitiva, un film divertente e ben realizzato ma più effimero di qualsiasi cinecomic Marvel in quanto maggiormente privo di quell'elemento che consente al personaggio Alita di elevarsi rispetto al resto dei cyborg: il cuore. Mi sa che sto invecchiando, eh?


Del regista Robert Rodriguez ho già parlato QUI. Christoph Waltz (Dr. Dyson Ido), Jennifer Connelly (Chiren), Mahershala Ali (Vector), Ed Skrein (Zapan), Jackie Earl Haley (Grewishka), Jeff Fahey (McTeague), Derek Mears (Romo), Casper Van Dien (Amok), Edward Norton (Nova) e Michelle Rodriguez (Gelda) li trovate invece ai rispettivi link.

Rosa Salazar interpreta Alita. Americana, ha partecipato a film come Bird Box e a serie quali American Horror Story. Anche regista e sceneggiatrice, ha 34 anni.


Il film è finito nelle mani di Robert Rodriguez perché James Cameron (che covava il progetto dall'inizio del nuovo millennio) era troppo impegnato coi sequel di Avatar ed è rimasto come produttore e cosceneggiatore; Rosa Salazar ha invece battuto alle audizioni Zendaya e Bella Thorne. Se Alita - Angelo della battaglia vi fosse piaciuto recuperate il manga edito da Planet Manga e "spezzato" in tre serie: Alita, Alita Last Order  e Alita Mars Chronicles. ENJOY!


venerdì 18 agosto 2017

La Torre Nera (2017)

Nonostante le critiche negative pensavate mica che avrei rinunciato a vedere La Torre Nera (The Dark Tower), diretto dal regista Nikolaj Arcel e tratto dall'omonimo ciclo di romanzi di Stephen King? Mai. Sapete che amo farmi male fino in fondo...


Trama: un ragazzino newyorkese di nome Jake Chambers ha continui incubi su un uomo in nero, su una torre che crolla e su un pistolero. Trovatosi in pericolo di vita, il ragazzo scopre che i suoi incubi sono reali e che l'intero mondo rischierebbe di venire distrutto se la Torre dovesse crollare...


Può un'opera composta da sette volumi, uno spin-off e rimandi riscontrabili all'interno di mille altri romanzi venire ridotta a un fantasy per ragazzini da un'ora e quaranta minuti? Beh, tenuto conto che Peter Jackson è riuscito a gonfiare Lo Hobbit spalmandolo in tre film da due ore l'uno si potrebbe anche pensare che un'eventualità simile non sarebbe neppure da prendere in considerazione, invece a Hollywood ci sono riusciti e a rimetterci, come sempre, è stata un'opera di Stephen King. Anzi, non proprio una sua creatura a caso, bensì quella a cui il Re si è consacrato più di tutte, raggiungendo talvolta risultati opinabili (soprattutto negli ultimi due libri) ma, in generale, creando un universo pieno di idee e personaggi interessanti, da seguire con l'entusiasmo riservato alle più grandi saghe epiche. D'altronde, parliamo di sette romanzi ispirati da una poesia di Robert Browning, un delirio che mescola metanarrativa, personaggi di altri romanzi kinghiani, riferimenti a cinema e letteratura horror, fantasy e western, qualcosa che virtualmente potrebbe accontentare i gusti di tutti. Sbagliare così clamorosamente impostazione, atmosfere e caratterizzazioni dell'intera operazione era maledettamente difficile, persino lavorando di lima come matti (d'altronde, il primo libro era molto breve e conteneva i personaggi mostrati nel film quindi non era impossibile basarsi su quello e stop), eppure ci sono riusciti anche questa volta, signori miei. E pensare che all'inizio l'intera rete è insorta per la scelta di un attore di colore come Idris Elba, chiamato ad interpretare un personaggio che lo stesso King descrive nei libri come assai somigliante a Clint Eastwood (un neCro nei panni di un bianGo, Signora mia!!). Quando vi dico che Idris Elba è il male minore e che, se il personaggio di Roland Deschain non fosse stato scritto sul retro della lista della spesa degli sceneggiatori, il buon Idris sarebbe stato perfetto, vi prego di credermi, grazie-sai, come direbbero nei libri, perché La Torre Nera è un pasticciaccio brutto realizzato da gente che ha dimenticato non solo il volto dei propri padri, ma pure quello dell'intera loro famiglia. E' un pasticciaccio brutto realizzato da gente paracula, il che è anche peggio, e ora vi spiego il perché.


Caro sceneggiatore, regista e scenografo, che tu scelga di dare il contentino al fan medio di Stephen King piazzando riferimenti casuali e non necessari a It, 1408, Shining, Cujo, Christine - La macchina infernale, Le ali della libertà e Le notti di Salem è già una presa in giro bella e buona ma che tu decida di metterci il carico da undici e aggiungere mille altre citazioni da La Torre Nera senza contestualizzarle o renderle in qualche modo funzionali alla trama, mi fa venire semplicemente voglia di tirarti un colpo di pistola in testa. Non mi servono la Tet Corporation, la Sombra, la Rosa, l'inno al Re Rosso e la vista del Pompelmo di Maerlyn e della Tredici Nera o la battuta scema sul bimbolo Oy per mettermi a sbavare come una cretina e perdonare il fatto che la risoluzione finale della pellicola sia stata presa pari pari dall'episodio Carambola vincente di Lupin III, manco l'Uomo in Nero e la Torre fossero degli elementi accessori, ma stiamo scherzando? Questo è il modo in cui Hollywood è arrivata a considerare i cosiddetti fanZ che dimostrano tanto cervello quanto un Frangitore dopo che è stato prosciugato, gli stessi che vorrebbero l'"orgia" nell'It di Muschietti, tanto per intenderci, e se il futuro degli adattamenti Kinghiani dev'essere un mettersi a 90 per accontentare i "comic book guys" simpsoniani della rete preferisco che non esca più neppure una pellicola tratta da un libro di King. Ciò che non perdono a questa versione de La Torre Nera non è tanto la realizzazione, ché al netto del solito montaggio del menga (atto a guadagnargli un PG-13 in patria per cui il pistolero spara a la qualunque ma non esce una goccia di sangue e i bersagli si limitano semplicemente a volare via) la reimmaginazione del Medio-Mondo è carina e anche gli effetti speciali non sono male, ma proprio la faciloneria con cui una saga epica popolata da personaggi interessanti e complessi sia diventata un BRUTTO fantasy per ragazzini. SPOILER: l'uomo in nero uccide la madre di Jake e quest'ultimo, alla fine di un'esperienza dolorosa e traumatica, va a mangiarsi un hot dog con Roland per poi seguirlo col sorriso sulle labbra nel Medio - Mondo. Cioè, un ragazzino ha appena perso una madre alla quale era molto legato, spende giusto due lacrime ma dimentica tutto per seguire un tizio mai conosciuto e dotato della gamma emotiva di un comodino. E peraltro a fare che, di grazia, visto che è bastato un colpo di pistola per uccidere Walter O'Dim, distruggere l'intero luogo dove venivano sfruttati i Frangitori e magari anche fermare il decadimento di un mondo che "è andato avanti"? Sette libri col finale sospeso? Stephen King, sei proprio scemo, bastava UN COLPO DI PISTOLA. FINE SPOILER


Lo stesso affascinante Walter O' Dim, alias Marten Broadcloak, alias Randall Flagg, alias Matthew McCoso gode giusto del rinnovato fascino ambiguo dell'attore ma si ferma lì. Altro che "L'uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì", a me è sembrato più un ritorno del Gabriel de L'ultima profezia, con Christopher Walken in guisa di angelo nero che uccideva le persone intimando loro di stare zitte, al quale è stato aggiunto sul finale un tocco di Doctor Strange per creare un ultimo confronto ai limiti dell'imbarazzante, dove il povero Walter O' Dim è ridotto a muoversi come il Mago Otelma e imporre le mani sul pistolero. Altra scelta sbagliatissima è stata quella di raccontare la vicenda dal punto di vista di Jake, ragazzino Gary Stu al quale mancava solo di saper volare o di avere sangue di Super Sayan per essere semplicemente perfetto, come Milla Jovovich ne Il quinto elemento: è talmente bellino, simpatico, intraprendente, "dotato del Tocco", potente, intelligente e potenzialmente abile con le pistole lui che il Pistolero semplicemente scompare, ridotto ad una figura vendicativa ma comunque in grado di portare quel minimo di sollievo comico necessario a un film per ragazzi. Ah, e una figura paterna, ovviamente. Ché nella saga ci vogliono sei libri per far sì che Jake arrivi a considerare Roland un padre (partendo da una famiglia che non ha alcun interesse per lui, sia ben chiaro) e venga ricambiato dal "brutto muso" ma qui manca soltanto che il Pistolero si travesta da Babbo Natale e gli porti i regali dopo un paio d'ore. Insomma, per chi ha letto la saga de La Torre Nera il film di Nikolaj Arcel si riconferma l'ennesima porcata tratta da un'opera di King, realizzata da gente che o non l'ha letta o l'ha fatto ma ha pensato "cazzumene". Per i "vergini" come il Bolluomo risulterà semplicemente uno dei tanti, dimenticabili fantasy che non fanno nemmeno venire voglia allo spettatore di recuperare la fonte originale. Altro che ka-tet del diciannove, qui ormai i servi del Re Rosso imperano!!


Di Matthew McConaughey (Walter O' Dim), Idris Elba (Roland Deschain), Dennis Haysbert (Steven), Jackie Earl Haley (Sayre) e Fran Kranz (Pimli) ho già parlato ai rispettivi link.

Nikolaj Arcel è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Danese, ha diretto film come A Royal Affair. Anche attore e produttore, ha 45 anni.


Abbey Lee interpreta Tirana. Australiana, la ricordo per film come Mad Max: Fury Road e The Neon Demon. Ha 30 anni e quattro film in uscita.


José Zúñiga interpreta il Dr. Hotchkiss. Nato in Honduras, lo ricordo per film come Alive - Sopravvissuti, Striptease, Con Air, The Hunted - La preda, Constantine e Twilight, inoltre ha partecipato a serie quali Innamorati pazzi, ER - Medici in prima linea, Alias, Bones, 24, Dexter, Prison Break, Numb3rs, The OC, CSI: Miami, Grey's Anatomy, Medium, Nip/Tuck, CSI - Scena del crimine, Ghost Whisperer, Dr. House, Desperate Housewives, 666 Park Avenue, Criminal Minds, Dal tramonto all'alba - La serie, Agents of SHIELD e American Crime Story. Ha 52 anni e due film in uscita.


Nei panni di Lucas Hanson, il bulletto che cerca di rubare l'album da disegno a Jake nella scuola, c'è un giovane attore che tornerà nell'universo Kinghiano come Harry Bowers nell'imminente It, ovvero l'attore Nicholas Hamilton, già apparso nel bellissimo Captain Fantastic. Giusto per fare infoiare ancor più i detrattori di Idris Elba, nella rosa di interpreti papabili per il ruolo di Roland c'erano Viggo Mortensen, Mads Mikkelsen, Daniel Craig, Javier Bardem e Christian Bale. Qualche cambiamento c'è stato anche a livello di regia: il film avrebbe dovuto inizialmente essere diretto da J.J. Abrams, poi da Ron Howard (rimasto in veste di produttore) e infine è arrivato a Nikolaj Arcel, che in teoria dovrebbe occuparsi anche dell'eventuale serie tratta dal film in uscita l'anno prossimo e scritta come prequel de La Torre Nera (prepariamoci quindi a vedere vilipesi personaggi come Susan Delgado, Cuthbert e Alain, per non parlare di Rhea del Coos...). Personalmente non tratterrò il fiato per vedere cosa ne uscirà fuori ma se a voi La Torre Nera fosse piaciuto vi consiglio il recupero dell'intera saga cartacea (così poi magari ne riparliamo). ENJOY!



martedì 3 dicembre 2013

Parkland (2013)

Il 26 novembre si commemoravano i 50 anni della morte di John Fitzgerald Kennedy e io mi sono schiaffata davanti alla TV a vedere Parkland, film a tema diretto dal regista Peter Landesman e presentato proprio quest'anno alla Mostra del Cinema di Venezia.


Trama: il film racconta gli istanti successivi all’attentato di JFK, a partire dal vano ricovero nell’ospedale di Parkland, passando poi per il famoso video girato dal signor Zapruder, con uno sguardo sui servizi segreti, Harvey Lee Oswald e la sua famiglia.


Ma da quando alla Mostra del cinema di Venezia sono diventati così lassisti per quel che riguarda i film da presentare al pubblico? Parkland è davvero solo una pellicola buona per una serata davanti alla TV visto che è un mix tra una puntata di E.R. – Medici in prima linea e qualche epigono di 24 con l’aggiunta di un nutrito gruppetto di attori che definire sprecati è dir poco. Non è che il film non sia piacevole da guardare, intendiamoci, ma scorre come l’acqua e alla vicenda Kennedy non aggiunge nulla di diverso da quello che si potrebbe imparare da qualsiasi servizio televisivo o documentario, con l’attenzione dello sceneggiatore che si concentra poco su tutti i coinvolti, così da fornire allo spettatore un affresco ampio ma, in fin dei conti, superficiale e freddo. Nel corso di Parkland ci vengono presentati diversi personaggi che vengono toccati (e cambiati) in qualche modo dalla morte del Presidente ma, tranne forse per quel che riguarda Robert Oswald, fratello del famigerato attentatore e l'elemento più interessante dell’intera pellicola, non c’è mai un vero approfondimento psicologico perché ogni sequenza viene presentata col piglio distaccato del "così è, punto".


Come ho detto, è un peccato, perché nel cast figurano moltissimi attori che, normalmente, farebbero girare la testa a più di un appassionato. I due che si salvano nella mischia sono Paul Giamatti, con il suo personaggio di uomo "della strada" che, all'improvviso, si ritrova addosso gli occhi di tutti ed è combattuto tra il desiderio di portare rispetto al presidente defunto e quello di ricavare un minimo di successo dalla tragedia, e la rivelazione James Badge Dale con il suo umano e tristissimo Robert Oswald, altro uomo "comune" additato come mostro solo per la parentela con l'assassino di Kennedy. Billy Bob Thornton e Jackie Earle Haley toccano forse il nadir della loro carriera ormai relegata a ruoli da caratteristi d'eccezione (viene tristezza se si pensa agli esordi di entrambi...) mentre gli altri interpreti compaiono troppo poco per attirare davvero l'attenzione e consentire allo spettatore di dare un giudizio. E con queste ultime considerazioni si conclude il post perché sull'argomento non c'è davvero nient'altro da dire: Parkland si è rivelato un film senza infamia né lode, che rischia tuttavia di deludere chi è veramente interessato all'argomento e di annoiare chi invece non è appassionato di storia americana moderna. In una parola, evitabile.


Di Zac Efron (Dr. Charles "Jim" Carrico), Paul Giamatti (Abraham Zapruder), James Badge Dale (Robert Oswald), Billy Bob Thornton (Forrest Sorrels) e Jackie Earle Haley (Padre Oscar Huber) ho già parlato ai rispettivi link.

Peter Landesman è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, è al suo primo film come regista. E' anche produttore.


Marcia Gay Harden interpreta l'infermiera Doris Nelson. Americana, la ricordo per film come Spia e lascia spiare, Flubber - Un professore tra le nuvole, Vi presento Joe Black, Pollock (Oscar come migliore attrice non protagonista), Mystic River e The Mist. Ha 54 anni e sei film in uscita.


Ron Livingston (Ronald Joseph Livingston) interpreta James Hosty. Americano, ha partecipato a film come Il ladro di orchidee, L'evocazione - The Conjuring e a serie come Band of Brothers, Sex and the City, Dr. House, Incubi e deliri e Broadwalk Empire. Come doppiatore, ha lavorato ne I Griffin American Dad!. Anche produttore, ha 46 anni e un film in uscita.


Nella miriade di facce conosciute impegnate in ruoli più o meno minori spuntano l'ex Superman di Smallville Tom Welling (una delle guardie del presidente, al secolo Roy Kellerman), un invecchiato Gil Bellows che in Le ali della libertà interpretava il giovane Tommy, Colin Hanks (Dr. Malcom Perry), figlio di Tom Hanks che, tra parentesi, è uno dei produttori del film, e sicuramente tanti e tanti altri caratteristi famosi che non sono riuscita ad identificare ma, giuro, ce n'è una marea. Detto questo, se Parkland vi fosse piaciuto, non mancate ovviamente di guardare JFK - Un caso ancora aperto. ENJOY!

venerdì 25 gennaio 2013

Lincoln (2012)

Nemmeno fossi fan sfegatata del regista o di Daniel Day Lewis, ieri appena uscito mi sono fiondata a vedere Lincoln, diretto nel 2012 da Steven Spielberg. E come avrebbe detto il Numero Uno di Alanfordiana memoria: "Abbuccio, gli dissi, io ormai sono troppo vecchio per questo lavoro ma..."...


Trama: il film racconta l'ultimo, sanguinoso anno della guerra di secessione americana e di come Abraham Lincoln sia riuscito a far approvare (e non abrogare come scritto prima, grazie Pio, il sonno fa questi scherzi!!) il tredicesimo emendamento, quello che avrebbe abolito legalmente la schiavitù.


Tratto non già dalle sterminate biografie dedicate al presidente USA ma dal libro di Doris Dearn intitolato Terms of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln, l'ultimo film di Spielberg non ripercorre l'intera storia del buon Abramo ma decide di concentrarsi su due aspetti fondamentali del suo secondo mandato, la guerra di secessione e l'approvazione del tredicesimo emendamento. Questi due "poli" servono al regista per tratteggiare un ritratto estremamente umano di questo grande uomo politico e di consacrarlo ai posteri come un incredibile, cialtronissimo paraculo. In senso buono, ovviamente. Nonostante, infatti, l'estrema serietà degli argomenti trattati e il difficile, terribile dilemma morale che grava col suo enorme peso sulle spalle del Presidente, buona parte della pellicola viene affrontata con piglio ironico e quasi "avventuroso", con un Lincoln amante dello scherzo e degli aneddoti, impegnato nell'ideazione di mille barbatrucchi per far passare il tredicesimo emendamento cercando contemporaneamente di distogliere l'attenzione dell'intera America dalla guerra, affiancato da un trio di esilaranti "motivatori" che cercano di comprare voti presso gli irremovibili deputati. Ovvio, adesso non pensate che Lincoln sia tutto un grande scherzo. La tensione trasuda palpabile da ogni fotogramma e si riflette negli occhi infossati di Daniel Day Lewis e del suo personaggio, un uomo costretto a decidere cosa sia meglio per la Nazione, se la libertà e l'uguaglianza di tutti, bianchi e neri, pagata col prezzo sanguinoso di una guerra infinita, oppure un trattato di pace, pagato però con la schiavitù dei neri. Come ogni buon film basato sulla Storia, Lincoln mostra insomma le luci e le ombre degli eventi e degli uomini, creando contemporaneamente un'opera in grado di intrattenere ed interessare un'ampia fetta del pubblico.


Certamente, ci troviamo davanti ad un film MOLTO verboso, quasi completamente girato in interni, fortunatamente e necessariamente graziato da attori di una bravura incredibile. Daniel Day Lewis è praticamente lo spirito di Lincoln reincarnatosi in un attore, incredibilmente magnetico, carismatico e al contempo fragile ed umanissimo; nella versione italiana lo doppia un grande Pierfrancesco Favino, ma ovviamente recupererò al più presto il film in lingua originale perché un'interpretazione come quella di Daniel Day Lewis merita la completezza ed il purismo ai massimi livelli. Sally Field e Tommy Lee Jones, i principali comprimari, sono altrettanto grandiosi e non vengono minimamente eclissati dall'ingombrante presenza del protagonista; dico la verità, ho apprezzato soprattutto l'interpretazione di Tommy Lee, che è riuscito a dare vita ad un personaggio sorprendente, incredibilmente complesso e sfaccettato, un vecchio politico disilluso e costretto ad indossare più di una maschera in società. Menzione d'onore la merita infine James Spader, cialtrone capo del trio di procacciatori di voti, una spanna sopra tutte le altre "comparsate" d'eccezione e divertentissimo fulcro comico della pellicola, che tra le guest star conta anche altri attori di altissimo livello, tutti impegnati in ruoli abbastanza importanti.


Per quel che riguarda la regia, Spielberg da il suo meglio nelle poche scene girate in esterno ovviamente. Sconvolgente la sequenza iniziale, dove viene sbattuta in faccia al pubblico tutta la triste brutalità di una guerra civile, con dovizia di baionettate, corpi squassati e sangue, ma la maestria del regista si avverte anche in altri momenti magari meno "epici", ma sicuramente molto importanti. Personalmente, ho amato tantissimo il drammatico confronto tra Lincoln e la moglie Molly, dove tutta la tensione accumulata tra i due personaggi nel corso del film esplode in una reciproca e dolorosissima confessione; sono riuscita crogiolarmi nell'ansia durante l'estenuante attesa del voto alla Camera per poi ritrovarmi, stupidamente e come se non sapessi come sarebbe andata a finire, ad esultare per la vittoria dei sì, insultando a mezza voce tutti quelli che venivano inquadrati solo per sibilare il loro dissenso; infine, mi sono commossa al momento della morte del Presidente, preceduta da un emblematico e divinatorio "Devo andare, adesso. Ma mi piacerebbe restare" e mostrata non già attraverso gli occhi dell'assassino, ma attraverso il lancinante urlo di dolore del piccolo Tad, costretto a sapere dell'assassinio del padre mentre a sua volta assisteva ad uno spettacolo teatrale. A proposito di queste ultime, bellissime scene, arriviamo al grande difetto del film: la lunghezza. La prolissità. La scoglionante decisione di inserire delle sequenze praticamente morte tra la vittoria del sì e l'assassinio del presidente, per poi uccidere definitivamente lo spettatore, già provato da due ore e mezza di pellicola, con un pippone finale sottoforma di discorso di Lincoln alla nazione. Ora, arrivare ai livelli dello pseudo-Mereghètti che, alle mie spalle, si è alzato dicendo "Oh, a me i film di m*** mi fanno in***are di brutto. E poi a me i film di Spielberg hanno sempre fatto schifo"... beh, anche no (a proposito, ma allora cosa sei venuto a fare al cinema??), però effettivamente qualche sforbiciata l'avrei data anche io, senza offesa. Per il resto, chapeau! grandissimo film, grandissimi attori e... davvero, Abramo, grandissimo uomo. Ti voterei se non fossi già nella tomba da parecchi anni.


Del  regista Steven Spielberg ho già parlato qui. David Strathairn (William Seward), Joseph Gordon – Levitt (Robert Lincoln),Tommy Lee Jones (Thaddeus Stevens), John Hawkes (Robert Latham), Jackie Earle Haley (Alexander Stephens), Bruce McGill (Edwin Stanton), Jared Harris (Ulysses S. Grant), Lukas Haas (uno dei due soldati che parlano con Lincoln all'inizio) e Walton Goggins (Clay Hawkins) li trovate invece ai rispettivi link.

Daniel Day Lewis (vero nome Daniel Michael Blake Day – Lewis) interpreta Abraham Lincoln. Inglese, uno dei più grandi e meno prolifici attori viventi, lo ricordo per film come Gandhi, Il Bounty, Camera con vista, Il mio piede sinistro (che gli è valso il primo Oscar per migliore attore protagonista, il secondo è arrivato con Il petroliere che però non ho mai visto), L’ultimo dei mohicani, il meraviglioso L’età dell’innocenza, Nel nome del padre e Gangs of New York. Ha 55 anni.


Sally Field interpreta Mary Todd Lincoln. Americana, la ricordo per film come Le stagioni del cuore (che le è valso il secondo Oscar come miglior attrice protagonista, il primo lo aveva ricevuto per Norma Rae), Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre e Forrest Gump, inoltre ha partecipato alla serie E.R. - Medici in prima linea. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 66 anni e un film in uscita.


James Spader interpreta W.N. Bilbo. Americano, lo ricordo per film come Wall Street, Sesso bugie e videotape, Wolf – La belva è fuori, Stargate, Crash e Secretary.  Ha 52 anni e un film in uscita.


Hal Holbrook (vero nome Harold Rowe Holbrook Jr.) interpreta Preston Blair. Americano, ha partecipato a film come Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan, Tutti gli uomini del presidente, Fog, Creepshow, Wall Street, Il socio e alle serie Oltre i limiti, I Soprano, E.R. – Medici in prima linea e Sons of Anarchy. Come doppiatore, inoltre, ha lavorato per l’Hercules della Disney. Anche regista e sceneggiatore, ha 87 anni e due film in uscita.


Tim Blake Nelson interpreta Richard Schell. Americano, ha partecipato a film come Donnie Brasco, La sottile linea rossa, Fratello dove sei?, Minority Report, Scooby-Doo 2: Mostri scatenati, Syriana, L'incredibile Hulk e alla serie CSI: Scena del crimine. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 48 anni e quattro film in uscita.


E ora qualche curiosità sugli autori: il summenzionato Hal Holbrook ha interpretato Lincoln in un’omonima miniserie andata in onda in America negli anni ’70 e in Nord e Sud, che ricordo vagamente per essere arrivata anche da noi negli anni ‘80; il piccolo Gulliver McGrath, che nel film interpreta Tad Lincoln, aveva già partecipato a Hugo Cabret e Dark Shadows; Gloria Reuben, che interpreta Elizabeth Keckley, è stata invece per tanti anni parte del cast di E.R. - Medici in prima linea nei panni dell'infermiera sieropositiva Jeanie Boulet. Passiamo ora a "chi non ce l'ha fatta": Liam Neeson, che avrebbe dovuto interpretare Lincoln fin da quando era stato messo in piedi il progetto, alla fine ha deciso di rinunciare perché convinto di essere troppo vecchio per il ruolo, mentre per parecchio tempo si è parlato anche di una partecipazione speciale di Harrison Ford, che alla fine è sfumata nel nulla. Il film ha ricevuto ben 12 nomination all’Oscar: fotografia, costumi, regia, montaggio, colonna sonora originale, sonoro, scenografia, miglior film (e qui voleranno insulti all’Academy perché so già che preferiranno il patriottico Lincoln a Django Unchained…), miglior attore protagonista (Daniel Day-Lewis), miglior attore non protagonista (Tommy Lee Jones ma spero sinceramente che il premio vada a Christoph Waltz), miglior attrice non protagonista (Sally Field) e miglior sceneggiatura non originale. Chi vivrà vedrà, come sempre. Nel frattempo, se Lincoln vi fosse piaciuto, consiglierei la visione di Schindler's List, per esempio. ENJOY!

giovedì 17 maggio 2012

Dark Shadows (2012)

Dopo una lunga attesa, sono riuscita ad andare a vedere l’ultima fatica di Tim Burton, Dark Shadows, tratto dall’omonima serie televisiva americana andata in onda alla fine degli anni ‘60.


Trama: il ricco Barnabas Collins, reo di avere rifiutato l’amore di una strega, viene trasformato da quest’ultima in vampiro e rinchiuso sottoterra per quasi duecento anni. Nel 1972 il vampiro viene casualmente liberato e si ritrova a dover affrontare un’epoca sconosciuta, i suoi disastrati discendenti e quella stessa strega che lo aveva maledetto…


Diamo innanzitutto risposta alla domanda che, da almeno un anno, affliggeva tutti i Burtonomani: Tim è tornato? Hmmmmmmnì. O meglio, avrei detto sì fino a ben oltre la metà del film. Dark Shadows comincia con un meraviglioso, gotico ed emozionante flashback che ci introduce alla vicenda e ci catapulta in una fine ‘700 non molto dissimile da quella dei meravigliosi vecchi horror in costume della Hammer. Ci troviamo davanti ad un mix quasi perfetto di regia, costumi, scenografie e musica, con un Johnny Depp intensissimo e una Eva Green perfetta nei panni della sensuale amante scornata. Il film poi vira su un registro più ironico e camp quando Barnabas si risveglia nel 1972. Se avete visto Mars Attacks! sapete sicuramente di cosa sto parlando, ovvero di un Tim Burton che abbandona la sua anima gotica e apre la fiera del modernariato dei freaks, immergendosi in un’epoca e in un’America nelle quali la “diversità” comincia ad emergere per diventare “normalità”: fricchettoni, lava lamp, esseri inquietanti ed ambigui come Alice Cooper, improbabili abiti e capigliature, droga, amore libero, movimenti per la parità dei sessi e chi più ne ha, più ne metta. In tutto questo ben di Dio regista e sceneggiatore (su cui poi torneremo) ci sguazzano e Dark Shadows prosegue mantenendo un miracoloso equilibrio tra horror, ghost story, soap opera e commedia: geniale e trashissima la sequenza in cui Barnabas e la sua vecchia amante si abbandonano al fuoco della passione distruggendo un ufficio, splendida l’immagine del fantasma di Josephine che danza attorno al meraviglioso lampadario del salone del maniero dei Collins, incredibilmente cinefilo l’arrivo di Barnabas sulla strada principale, con gli spettatori che escono da un cinema in cui si proiettano Superfly e soprattutto 1972: Dracula colpisce ancora! (film con il buon Christopher Lee, che in Dark Shadows compare in un cameo come boss dei pescatori), esilaranti i mille modi in cui il disperato vampiro cerca di mettersi a dormire. Insomma, puro divertimento vintage e visionarietà targati Tim Burton.


Questo per quanto riguarda la regia, sicuramente la cosa migliore di Dark Shadows. Anche la storia, di per sé, è interessante e scorrevole e i personaggi sono simpatici e divertenti (basta non scavare troppo a fondo ma, come ho detto, ne parliamo dopo). Neanche a dirlo, Johnny Depp è perfetto nel ruolo del vampiro fuori dal tempo, contemporaneamente gentiluomo innamorato e ironico assassino, ma stavolta viene superato di gran lunga dalla favolosa femme fatale Anjelique, brillantemente interpretata da un’Eva Green in formissima: sorrisetto affilato, sguardo da pazza, aspetto supersexy e alcune tra le battute migliori dell’intero film rendono la “povera” strega innamorata uno dei migliori  personaggi dell’universo di freaks burtoniani (basterebbe solo il momento in cui “imbavaglia” Johnny Depp con un paio di mutande in pizzo rosso per consacrarla nell’Olimpo del cult). Per quanto riguarda la famiglia Collins, se devo proprio essere sincera, a parte la meravigliosa ed enigmatica Elizabeth di Michelle Pfeiffer il resto dei componenti è un po’ sottotono: Chloe Moretz è divertente ma fin troppo rigida nelle sue movenze da ragazzina che vuole fare la vamp, il piccolo Gulliver McGrath è praticamente inesistente e Jonny Lee Miller viene cacciato a calci dal film dopo solo un’oretta (e ne parliamo, ne parliamo…). Quanto a Helena Bonham Carter e Jackie Earle Haley, è un peccato vederli rilegati a semplici caratteristi, ma sono entrambi perfetti per i loro ruoli di dottoressa e custode ubriaconi e sicuramente partecipano ad alcune delle sequenze più esilaranti dell’intera pellicola, mentre gli enormi occhioni e l’aspetto “antico” di Bella Heathcote (talmente bella sul finale, assieme a Johnny Depp, che avrebbero meritato entrambi di essere immortalati da qualche grande artista Romantico) portano quasi a dimenticare l’assoluta mancanza di carisma del suo personaggio, che in teoria dovrebbe essere uno dei principali. Il che ci porta, finalmente, a parlare dei difetti della pellicola.


Purtroppo Dark Shadows cade vittima di un pre-finale (che non rivelerò) a dir poco orrendo e attaccato alla bell’e meglio al resto della trama, un twist talmente assurdo che riesce ad agire come uno schiaffo sullo spettatore ipnotizzato dalla mirabolante e ritrovata verve burtoniana. Lo spettatore in questione, infatti, si ripiglia un attimo e comincia a porsi delle domande. A ricordare, nella fattispecie, come Seth Grahame – Green, il furbone matricolato autore di Orgoglio, pregiudizio e zombie, sia sì uno scrittore in grado di cavalcare le mode ed  imbastire una buona ed interessante trama generale, ma anche di sorvolare sui dettagli e sulla coerenza, infilando cose “ad mentula canis”, come si suol dire. E così, la maschera di perfezione di Dark Shadows comincia a creparsi come il bellissimo viso di Eva Green, quando cominciamo a pensare…  ma era il caso di liberarsi di Jonny Lee Miller in quel modo così imbecille? Cosa lo avete messo a fare il suo personaggio nel cast? Perché mai lo spettatore viene spinto a chiedersi più volte che fine abbia fatto il marito di Michelle Pfeiffer… e poi la cosa viene lasciata cadere lì? Perché, in generale, la famiglia Collins parrebbe semplicemente un’accozzaglia di pittoreschi figuri appena abbozzati tanto per dare colore? Perché l’interessante passato di Vicky viene accennato e poi lasciato lì a languire? Perché il finale viene tirato via di corsa, come se tutti avessero fretta di tornare a casa, e chiuso giusto con un paio di battutine ad effetto? Insomma, riflettendoci bene Dark Shadows è come una di quelle partite di calcio dove i giocatori fanno dei numeri della madonna ma poi, gira che ti rigira, palle in rete ne mandano poche o nessuna. Però è anche la dimostrazione di come Tim Burton non sia ormai privo di cose da dire, anzi. Gli basterebbe tanto così per regalarci un film degno dei suoi antichi fasti. Nella fattispecie, il tanto così sarebbe prendere Seth Grahame – Green e seppellirlo vivo, lasciandolo sottoterra per almeno duecento anni. Voi però non aspettate così tanto e andate a vedere Dark Shadows perché, a prescindere da queste imperfezioni, merita davvero.


Del regista Tim Burton, Johnny Depp (Barnabas Collins), Michelle Pfeiffer (Elizabeth Collins Stoddard, personaggio presente anche nella serie originale), Chloe Moretz (Carolyn Stoddard, un po' più adulta nella serie e "fulcro" di molteplici storie d'amore), Helena Bonham Carter (Dr. Julia Hoffman, presente anche nella serie, solo che lì era una dei più fedeli alleati di Barnabas), Jackie Earle Haley (Willie Loomis, che nella serie originale era colui che liberava Barnabas e diventava suo schiavo) e Christopher Lee (Clarney) ho già parlato nei rispettivi link.

Eva Green (vero nome Eva Gaelle Green) interpreta Anjelique Bouchard. Francese, la ricordo per film come The Dreamers - I sognatori e Casino Royale. Ha 32 anni e un film in preparazione, 300: Battle of Artemisia.


Jonny Lee Miller (vero nome Johnathan Lee Miller) interpreta Roger Collins, personaggio già presente nella serie originale. Figliuole, lo ricordate quel figo di Sick Boy in Trainspotting? Un po' più calvo e un po' più brutto, ma eccolo qui! Tra gli altri suoi film ricordo Dracula's Legacy - Il fascino del male, Melinda e Melinda e Aeon Flux - Il futuro ha inizio, inoltre ha partecipato alle serie Doctor Who e Dexter. Inglese, ha 40 anni e due film in uscita.


Bella Heathcote interpreta Victoria Winters (presente come governante anche nella serie ma un po' diversa dalla versione del film) e il fantasma Josette. Australiana, ha partecipato al film Acolytes e In Time. Ha 24 anni e un film in uscita.


Tra gli altri attori che compaiono nella pellicola, segnalo il piccolo Gulliver McGrath (David Collins, altro personaggio mutuato direttamente dal vecchio telefilm), già comparso in Hugo Cabret, e ovviamente la presenza, come ospiti dell'happening, di alcuni membri del cast originale della serie Dark Shadows: oltre all'immancabile Jonathan Frid, il "vero" Barnabas Collins, compaiono anche Kathryn Leigh Scott (il cui personaggio, Maggie Evans, era in realtà la donna molto somigliante alla Josette amata da Barnabas, non Victoria), Lara Parker (l'Anjelique originale) e David Selby (Quentin Collins, personaggio che nel film non compare). Mi sembra una soap un po' complicatussa ma personalmente cercherò di recuperare Dark Shadows nell'immediato futuro, giusto per poter fare un confronto. ENJOY!




venerdì 27 agosto 2010

Nightmare (2010)

L’ho già detto spesso su questo blog, ma mi piace ribadirlo per l’ennesima volta: mai andare al cinema colmi di speranze, è sempre meglio partire convinti della mediocrità di ciò che si sta per andare a vedere. In questo modo, se il film fa schifo arriviamo preparati, se invece il risultato è meglio di quanto ci aspettiamo saremo in parte sollevati e soddisfatti. E’ successo ieri sera dopo aver visto il nuovo Nightmare (A Nightmare on Elm Street), dello sconosciuto Samuel Bayer. Per carità, come remake è più inutile di altri, ma non fa schifo come temevo.


La trama è sempre la stessa, dal 1984: nella città di Springwood i ragazzi cominciano a morire nel sonno, per mano di un mostro artigliato chiamato Freddy Krueger che compare nei loro sogni. I superstiti provano in qualche modo a capire cosa vuole da loro l’immonda creatura e soprattutto come fare a ucciderlo prima che lui faccia altrettanto.


Ah, la mania dei remake, reboot, chiamateli un po’ come volete, il senso è sempre quello. Invadono i nostri cinema con film copia di originali che spesso e volentieri non avevano bisogno di essere rifatti. Almeno lo facessero stravolgendo completamente la trama, le scene clou, e quant’altro: per quanto riguarda il nuovo Nightmare il paragone con l’originale è inevitabile, perché tutte le scene chiave sono prese pari pari dalla pellicola del 1984, che a rivederla oggi è ancora freschissima, attuale ed inquietante. E allora che altro motivo c’è di fare un’operazione simile se non per bieco denaro? Siccome Englund (il Freddy originale) e Wes Craven, creatore del personaggio e regista del primo film, soldi ne hanno a palate, ecco che se ne chiamano fuori, giustamente. Quindi io cercherò di dimenticare l’affronto al Nightmare del 1984 e cercherò di considerare questo nuovo episodio come un film a sé.


La novità che viene pesantemente introdotta è una caratterizzazione molto più marcata del personaggio di Freddy come maniaco e pedofilo. Nei vecchi film la cosa passava un po’ sottotono, non veniva mai detto molto chiaramente cosa avesse fatto il buon Fred ai pargoli, tanto da arrivare a scatenare l’orda di genitori inferociti che decidono di fare giustizia sommaria del bruto bruciandolo vivo. Di questi tempi, invece, dove episodi di violenza e pedofilia sono le notizie più succulente per ogni giornale, la questione viene sviscerata e si cerca (stupidamente, a mio avviso) di instillare anche il dubbio nello spettatore: Krueger era davvero un maniaco? E se i bambini si fossero solo inventati tutto, spingendo i genitori ad uccidere un innocente? Ovviamente la risposta a queste domande, nonostante un flashback/sogno che mostra la sua morte con dovizia di pianti e urla, è un bel dito medio e artigliato mostrato con arroganza allo spettatore così credulone da avere abboccato: Freddy in questo film è più laido, stronzo, schifoso e depravato che in passato, e la scoperta della “caverna” piena di disegni infantili e di foto che testimoniano il suo rapporto malato con i bimbi è un pugno nello stomaco. Per il resto, al di là dei salti continui dovuti alle costanti comparse di Freddy (ecco, all’epoca lo centellinavano, il che era meglio sia per l’atmosfera che le coronarie) e delle secchiate di sangue, una cosa furba di questo remake è il ricorso ad un piccolo stratagemma per confondere ancora di più gli incubi e la realtà: pare che dopo qualche giorno il cervello dell’insonne cronico si costringa a fare “microsonni” per non andare in corto circuito. In questo caso la cosa viene sfruttata facendo piombare i protagonisti in sogni ad occhi aperti quando meno se lo aspettano, mentre camminano o fanno dell’altro, e il regista riesce così a dare vita a pregevoli sequenze come quella del supermercato, scandita dall’ironica canzone All I Have to Do Is Dream degli Elderly Brothers. Un’altra bella scena, che ai miei occhi è suonata come una “non – citazione” è quella in cui Nancy affonda in un corridoio colmo di sangue e finisce per precipitare assieme ad una pioggia rossa nella stanza di sotto attraverso il soffitto, finendo a rimbalzare su un letto: esattamente il contrario di quello che succede al povero Johnny Depp nel primo Nightmare, dove viene inghiottito dal letto e poi rigurgitato con una fontana di sangue talmente abbondante che il soffitto della stanza di sotto comincia a gocciolare.


Me lo aspettavo, ma è incredibile vedere come la pecca principale del film siano il trucco e l’aspetto di Freddy. Mi viene da ridere, perché avranno speso tempo e denaro in quantità inimmaginabili e il risultato è un grottesco incrocio tra un gatto e un castoro. Sarà che già la faccia di Jackie Earle Haley non è delle migliori (non me ne voglia, poveraccio, ma da struccato Englund è un uomo molto più bello) ma il trucco è praticamente identico a quello degli uomini gatto de I sonnambuli, con l’aggiunta di cicatrici da ustione e quant’altro. Per fortuna, almeno, il doppiaggio italiano ha dimenticato la S mutata in F a causa delle labbra fuse, o sarebbe risultato ancora più grottesco. Ma CACCA in abbondanza sugli adattatori italiani che hanno coperto i meravigliosi titoli di testa, scritti con il gesso da mano infantile, con delle banali scritte bianche e solo per tradurre due parole che non leggerà nessuno. Segnalo verso la fine del film una simpatica citazione da Pulp Fiction e, ahimé, una triste quanto prevedibile apertura per futuri seguiti. In definitiva, si poteva fare di peggio: preso come film a sé non sarebbe nemmeno troppo male, ma il vero Nightmare è inarrivabile.


Di Jackie Earle Haley, che interpreta Freddy Krueger, ho parlato qui.

Samuel Bayer è il regista della pellicola, che figura come suo primo film. Prima ha lavorato sui video di artisti del calibro di Garbage, Marilyn Manson, Cranberries, Metallica, Green Day, Offspring, DavidBowie, Blink 182, Smashing Pumpkins ed Iron Maiden. Americano, ha 48 anni e due film in programma, tra cui il seguito di Nightmare. Vorranno mica arrivare a toccare i 6/7 della vecchia versione? Freddy, ti prego, abbattili.


Rooney Mara interpreta Nancy. Americana, ha lavorato come comparsa in Urban Legend 3 e ha partecipato alle serie Law & Order e ER. Ha 25 anni e tre film in uscita, tra cui il remake di Uomini che odiano le donne, dove lei avrà il ruolo della divina Lisbeth Salander. La mia Sally interpretata da una così molla??? ORROREEE!!!


Kyle Gallner interpreta Quentin. Personalmente, visto che la sua carriera è appena all’inizio, lo ricordo solo nei panni del darkettino che finiva vittima di Megan Fox ne Il corpo di Jennifer (nel frattempo si è ingurgitato tutto il catering del set visto che è diventato gonfio come un batrace..), ma ha recitato anche in Il messaggero e in alcune serie tv come Il tocco di un angelo, Giudice Amy, Veronica Mars, Cold Case, Bones, Medium, Law & Order, The Shield e Smallville. Americano, ha 24 anni e sette film in progetto.


Katie Cassidy interpreta Kris. Niente di troppo eclatante nella carriera di questa giovane attrice americana, che ha partecipato a film come Cambia la tua vita con un click, Black Christmas – un Natale rosso sangue e a serie come Settimo cielo, Supernatural, Harper’s Island, Gossip Girl e Melrose Place (quello nuovo ovviamente). Ha 24 anni e due film in uscita.


Thomas Dekker interpreta Jesse. Americano, ha partecipato a film come Villaggio dei dannati e serie come La tata, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi: la serie, CSI, Settimo cielo, Dr. House, Heroes (nella prima serie era il migliore amico di Claire) e Terminator – The Sarah Connors Chronicles. A partire dal quinto episodio de Alla ricerca della Valle Incantata presta la voce al dinosauro Piedino e in un paio di seguiti che penso siano inediti in Italia ha doppiato anche il topo Fievel nonché un episodio de I griffin. Ha 23 anni e due film in uscita.


E ora un paio di curiosità. Il film era nato come prequel, e avrebbe dovuto narrare la storia prima che Freddy diventasse il mostro che è. Ovviamente ad un progetto simile il buon Englund avrebbe partecipato volentieri. Ovviamente, perché improvvisare basandosi magari su pochi materiali sparsi quando è molto più comodo rimaneggiare la pappa pronta e metter su un remake? No comment. Per quanto riguarda il cast, per il ruolo di Freddy era stato pensato anche Billy Bob Thornton (non male!!) ed era prevista anche una partecipazione speciale di John Saxon, che nel film dell’84 interpretava il padre di Nancy (personaggio peraltro scomparso nel remake…) ma alla fine non se n’è fatto nulla. Per la serie Tante volte il fato è strano: nel lontano 1984 Johnny Depp non era proprio andato a fare l’audizione per Nightmare, ma pare fosse lì solo per accompagnare… Jackie Earle Haley. Alla fine Johhny è stato preso, mentre il povero Haley è stato in stand – by per più di vent’anni! Ovviamente, parlando proprio del primo film, vi consiglio di vederlo, assieme al terzo capitolo (I guerrieri del sogno) e al “settimo” (Nuovo Incubo). Sono i migliori, e se poi vi appassionate nessuno vi vieta di vedere anche gli altri! Beccatevi ora il trailer del primo, vero Nightmare... ENJOY!





mercoledì 24 marzo 2010

Shutter Island (2009)

Mwahahaha mi viene già da ridere. La sfida postami dal buon Toto all’uscita del cinema è stata: “Scusa, ma come cavolo farai a recensire questo film senza rivelare nulla della trama e del finale??”. E’ una sfida che ho rimandato per qualche giorno, ma ora devo mettermi a scrivere qualcosa sull’ultimo film di Martin Scorsese, ovvero Shutter Island, tratto dal romanzo L’isola della paura, scritto nel 2003 da Dennis Lehane.


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La trama: Teddy Daniels è un agente federale, che viene mandato con il suo collega Chuck all’Ashecliff Hospital, una struttura psichiatrica specializzata nel trattamento di psicotici criminali di varia natura, sita su un’isola, Shutter Island appunto. Il motivo per cui i due sono lì è che una paziente è sparita, apparentemente senza lasciare traccia, ma il vero motivo che ha spinto Teddy ad accettare il caso è la speranza di trovare il piromane che ha ucciso sua moglie in un incendio, e che dovrebbe essere rinchiuso lì; da qui si dipana una trama fitta di complotti, allucinazioni, ambiguità e quant’altro.


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Detta così potrebbe essere semplice. In realtà in Shutter Island, sebbene avessi capito l’80% del finale già dopo due minuti di film, non c’è nulla di semplice. Poche volte infatti mi è capitato di trovarmi davanti un film così complicato, intrecciato, ambiguo, zeppo di nomi da ricordare e con mille possibili sviluppi della trama. Certo, non siamo ai livelli di Lynch, perché comunque il finale è comprensibile e “spiegato”, ci mancherebbe, ma in quanto ad attenzione richiesta allo spettatore siamo leggermente sopra alla media. Detto questo, il film rischia di perdersi un po’ troppe volte, addormentando il cervello di chi assiste alla proiezione piuttosto che attivarlo, e se non fosse per flashback, allucinazioni varie e qualche sprazzo di grottesca ironia qui e là (i dialoghi con i pazienti sono esilaranti…), il rischio sarebbe quello di provocare disinteresse, il che avrei detto che dovesse essere impossibile davanti ad un film di Scorsese.


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Ed effettivamente non sembra di vedere un film di Scorsese. A parte ovvi richiami a Cape Fear, il suo film forse visivamente più simile a questo (tanto che per un attimo ho creduto in un cameo di Robert DeNiro nei panni del piromane, quando invece avevo davanti la faccia sfregiata di Elias Koteas, CACCA su di me!!), non c’è nulla che richiami gli antichi fasti di uno dei miei registi preferiti. Se non fosse per alcune finezze registiche, in effetti, la paternità del film non sarebbe così palesemente Scorsesiana. I già citati flashback e le allucinazioni sono le uniche immagini particolari di un film altrimenti anonimo, scene di una bellezza incredibile anche se terribilmente crude: i corpi ammassati sotto la neve dei prigionieri nei campi di concentramento, di cui solo con il proseguire del film si riesce ad intuire l’orribile quantità; la morte del direttore dello stesso campo di concentramento, con Di Caprio che svetta su di lui come un novello BastErdo mentre dall’alto sembrano piovere documenti e fogli di carta, lo stesso lento movimento che viene ripreso nelle visioni in cui compare la moglie, coloratissime, vive e costellate di ceneri fluttuanti; ed altre toccanti immagini di cui non parlo per non perdere la sfida, immerse in una fotografia dai colori che richiamano quelli azzurrini dell’acqua. Scene come quelle fanno la gioia di ogni cinefilo, ma sembrano messe proprio per dare quel tocco d’autore alla pellicola, e stentano ad amalgamarsi col resto del film.


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Film che conta peraltro attori della madonna. Al di là di Leonardo di Caprio, che sembra avere sempre la stessa aria da bamboccione ben pettinato per tutto il film, “no matter what”, e al già citato Elias Koteas, ad un tratto spunta un inaspettato Jackie Earle Haley che sembra essersi portato dietro da Watchmen il personaggio di Rorshach senza maschera e poi ovviamente vedere Ben Kingsley in un personaggio assurdamente grottesco e caricaturale è sempre un piacere per gli occhi, così come è bello il cameo ambiguo di Max Von Sydow, che continua a non perdere smalto dopo millemila anni di carriera. Mark Ruffalo è una buona spalla, ma niente di troppo esaltante, e gli altri attori sono comunque buoni. E voi direte: ma che cavolo di recensione è? Eh, non posso davvero dire altro, se non che alla fine Shutter Island è un film che consiglio, magari non ai fan sfegatati di Scorsese che potrebbero rimanere delusi e piccati (come sono rimasta un po’ io in effetti…), però sicuramente agli amanti di un cinema che presuppone un po’ di sforzo mentale da parte del pubblico. Alla fine è un ottimo thriller, con un finale che consente di discuterne per parecchio, magari davanti a un gelato o a una birra.    


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Di Jackie Earle Haley ho già parlato qui, mentre per alcune notizie su Max Von Sydow potete guardare qua.


Martin Scorsese è il regista della pellicola, nonché il mio preferito dopo Tarantino e Burton, tanto che nel 2006 ho deciso di fare la tesi proprio su uno dei suoi film più belli, L’età dell’innocenza. Newyorkese ma con ovvie radici italiane, tra le sue pellicole ricordo con sommo piacere innanzitutto i meravigliosi Taxi Driver, Quei bravi ragazzi e Casino, poi a seguire le altre comunque pregevolissime opere: The Big Shave, Mean Streets, Fuori Orario, L’ultima tentazione di Cristo, Cape Fear – Il promontorio della paura, Il mio viaggio in Italia, Al di là della vita, Gangs of New York, The Aviator e The Departed (per il quale ha vinto un tardivissimo Oscar come miglior regista). Ha 68 anni e ben quattro film in uscita. 


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Leonardo Di Caprio interpreta Teddy Daniels. Attore che mi ha sempre fatto storcere il naso, da che era diventato l’idolo delle adolescenti di tutto il mondo (e quando ero adolescente anche io, intendiamoci, ma preferivo Bruce Willis!) all’epoca di Romeo & Giulietta e ovviamente Titanic, pare che ora abbia sostituito il buon De Niro come attore feticcio di Scorsese, con mio grande dispiacere. Non che non sia migliorato, in quanto a recitazione, negli ultimi anni, ma semplicemente non riesco davvero a farmelo piacere. Tra i suoi film ricordo Critters 3, La mia peggiore amica, Buon compleanno Mr. Grape, Pronti a morire, Poeti dall’inferno, La maschera di ferro, Gangs of New York, Prova a prendermi, The Aviator e The Departed. Ha partecipato anche ad alcuni telefilm a inizio carriera, come Santa Barbara, Pappa e ciccia, Genitori in blue jeans. Ha 36 anni e cinque film in uscita.


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Mark Ruffalo interpreta Chuck. Attore americano dalla faccia decisamente anonima, eppure bravo, lo ricordo in diversi film pregevoli tra cui i bellissimi Studio 54, Se mi lasci ti cancello e il meno bello Zodiac. Ha 43 anni e due film in uscita.


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Ben Kingsley interpreta il Dr. Cawley. Straordinario attore inglese, capace di immedesimarsi in un personaggio fino ad annullarsi completamente in esso (memorabile la sua interpretazione in Gandhi che non a caso gli ha fatto vincere un Oscar come miglior attore protagonista), tra i suoi film cito Schindler’s List, Specie mortale, il film tv Alice nel paese delle meraviglie (nei panni del Brucaliffo!), A.I. Intelligenza artificiale e Oliver Twist. Scopro ora che era tra i protagonisti di un film TV che ricordo ancora da bambina, Il segreto del Sahara, tra l’altro. Ha 67 anni e quattro film in uscita, tra cui quel Prince of Persia di cui ho visto già quattro o cinque volte il trailer al cinema.


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Elias Koteas ha un breve cameo nella parte del piromane Laeddis. Lo cito perché come attore mi piace molto e ho visto, a volte senza nemmeno esserne consapevole, un sacco di film interpretati da lui, tra cui Tartarughe Ninja alla riscossa, Senti chi parla 2, L’ultima profezia, Il tocco del male (due film che ho adorato), L’allievo, La sottile linea rossa, Lost Souls – La profezia, Sim0ne, Zodiac e Il curioso caso di Benjamin Button. Ha partecipato a telefilm come I Soprano, Dr. House, CSI New York e prestato la voce per alcuni episodi di American Dad. Canadese a dispetto del nome e del cognome, ha 49 anni e sei film in uscita.


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Michelle Williams interpreta Dolores, la moglie di Teddy. Comunemente denominata da me medesima “Porcellino biondo” a causa della prolungata partecipazione ad uno dei telefilm più inutili (ed inspiegabilmente di successo!) dello scorso decennio, ovvero Dawson’s Creek, del quale era una dei quattro losers protagonisti. Ha poi intrapreso una carriera cinematografica di tutto rispetto (mica perché era la compagna del defunto Heath Ledger? Noo….!) che conta titoli come Specie mortale, Halloween 20 anni dopo e I segreti di Brokeback Mountain, mentre per la TV la ritroviamo in episodi di Baywatch e Quell’uragano di papà. Ha 30 anni e due film in uscita.


Michelle Williams
 
Fa ridere pensare che per il ruolo di Ruffalo erano stati fatti i nomi di Robert Downey Jr. e Josh Brolin, peccato che entrambi si sarebbero mangiati Di Caprio in quanto a bellezza e presenza scenica, nonché, ovviamente, bravura. Inoltre il progetto avrebbe dovuto essere affidato alla premiata ditta Fincher/Pitt, che già ci hanno regalato gli splendidi Seven e Fight Club. Una simile accoppiata per questo film mi avrebbe incuriosita, rabbrividisco invece all’idea che avrebbe potuto metterci le mani Wolfgang Petersen, regista di colossali idiozie come Troy oppure banalissimi action come Air Force One (nonché di un film a suo modo poetico come La storia infinita…). Comunque se vi è piaciuto il film non vi dico di gettarvi subito a “provare” un Lynch, ma magari potrebbe interessarvi qualcosa come A History of Violence di Cronenberg, altrettanto complesso e molto, molto bello. E ora vi lascio, molto banalmente, al trailer del film. ENJOY!


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