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martedì 11 ottobre 2022

Omicidio nel West End (2022)

Attirata dal cast, mercoledì scorso sono andata al cinema a vedere Omicidio nel West End (See How They Run), diretto dal regista Tom George.


Trama: durante i festeggiamenti per la 100esima rappresentazione di Trappola per topi viene ucciso un membro del cast. Un investigatore alcolizzato, affiancato da una giovane recluta, deve indagare sul misterioso omicidio...


Omicidio nel West End è un piccolo film che, purtroppo, rischia di passare inosservato in queste settimane di uscite veneziane, forse perché l'impianto giallo spinge lo spettatore a considerarlo troppo banale per vederlo in sala. In realtà, pur essendo confortevole quanto una coperta calda, soprattutto ora che si sta avvicinando l'inverno, la struttura di Omicidio nel West End si basa proprio sulla consapevolezza e sulla presa in giro della "banalità" dei gialli classici, quelli che hanno sdoganato il cliché di un omicidio all'interno di un luogo chiuso, con il colpevole smascherato dall'ispettore di turno dopo una riunione di tutti i sospettati, e ci gioca costruendo un'opera metacinematografica e metateatrale. Il luogo del delitto, infatti, è un teatro dove sta andando in scena Trappola per topi, un'opera di Agatha Christie realmente esistente (che, peraltro, è l'unica opera teatrale a non avere mancato uno spettacolo dal giorno di uscita, tranne nel periodo dei lockdown da Covid), e buona parte di ciò che accade nel corso del film viene anticipato in almeno due scene diverse dalla cinica voce narrante di un personaggio che non ama il genere e che, per questo, vorrebbe vederlo rinnovato fino a snaturarlo. Il piglio ironico dell'operazione, le cui atmosfere richiamano spesso il divertentissimo Signori, il delitto è servito, non sminuiscono l'intelligenza di una trama dove tutto torna perfettamente sul finale e che confida molto sulla memoria dello spettatore, prendendolo in giro per la disattenzione con cui, normalmente, ci si approccia ai film ("tanto ricorderanno solo gli ultimi 20 minuti" è una frase che mi ha uccisa dalle risate); inoltre, la sceneggiatura di Mark Chappell riesce, con pochissimi tratti, a rendere interessanti i due personaggi principali e a dare loro una personalità che non sia solo quella di "ispettore" e "agente inesperto".


Certo, un punto in più ai due protagonisti lo dà venire interpretati da due signori attori come Sam Rockwell e Saoirse Ronan, che insieme sono ben assortiti e hanno un'ottima alchimia, soprattutto conferiscono ai rispettivi personaggi delle sfumature malinconiche che concorrono a renderli ancora più tridimensionali. Purtroppo, a tal proposito, il vero difetto di un Omicidio nel West End visto al cinema doppiato in Italia è l'impossibilità di godere di tutti gli accenti originali che dovrebbero essere parte integrante non solo del divertimento dello spettatore ma anche della natura dei singoli personaggi, che messi tutti assieme formano un melting pot linguistico assai interessante. Noi, al solito, dobbiamo "accontentarci" di un mix assai riuscito di regia (e pensare che, fino ad oggi, il britannico Tom George ha diretto solo episodi di serie televisive), scenografie ricchissime di dettagli e fotografia che donano al film una vaga rassomiglianza ai film di Wes Anderson, anche se l'argomento e i personaggi non sono né abbastanza weird né intellettualmente superiori a noi comuni mortali, anzi. Mi scuso per il breve post ma, essendo un giallo, mi tocca mantenere il segreto su moltissimi aspetti, e limitarmi a consigliarvi di andare al cinema e godervi questo piccolo, divertentissimo Omicidio nel West End, soprattutto se amate Agatha Christie


Di Ruth Wilson (Petula Spencer), Adrien Brody (Leo Kopernick), David Oyelowo (Mervyn Cocker-Norris), Saoirse Ronan (Agente Stalker), Sam Rockwell (Ispettore Stoppard) e Shirley Henderson (Agatha Christie) ho già parlato ai rispettivi link.

Tom George è il regista della pellicola. Inglese, al suo primo lungometraggio, lavora anche come sceneggiatore e produttore. 


Harris Dickinson, che interpreta Richard Attenborough, era il figlio di Ralph Fiennes in The King's Man - Le origini. Omicidio nel West End era in cantiere già da anni e, all'epoca, il primo nome fatto per l'Ispettore Stoppard è stato Hugh Grant, affiancato da Keira Knightley come Agente Stalker. Ciò detto, se il film vi fosse piaciuto recuperate Cena con delitto - Knives Out e Signori il delitto è servito. ENJOY!

venerdì 24 gennaio 2020

Richard Jewell (2019)

Non si può ignorare un film diretto da Clint Eastwood quando esce al cinema, soprattutto se, come questo Richard Jewell, è anche candidato all'Oscar per la migliore attrice non protagonista.


Trama: Richard Jewell, agente di sicurezza, trova una bomba durante una manifestazione al Centennial Park di Atlanta in occasione delle Olimpiadi ed evita così un conteggio delle vittime ancora più grave. L'FBI, tuttavia, lo accusa di essere l'attentatore...


Tutto il mondo è paese, e il paese, consentitemi di dirlo con volgarità, sta andando a puttane, lo ha sempre fatto. E' una cosa che il cinema ci sta mettendo sotto il naso da tanti anni, aprendoci gli occhi su come le istituzioni non sono poi così adamantine come dovrebbero essere e su come i media troppo spregiudicati facciano l'esatto contrario di quello che dovrebbe fare il buon giornalismo, ovvero informare, limitandosi al becero sensazionalismo quando va bene (sto pensando agli exploit del nostro adorato Capitone verde, che adesso s'è messo a molestare anche la gente al citofono) e a mettere in croce le persone quando va male. A Richard Jewell, guardia di sicurezza con qualche problemino a livello fisico e mentale ma convinto al 100% del funzionamento delle istituzioni, della polizia e del governo, è andata malissimo nel 1996, anno in cui ha scoperto che a farsi i fatti propri avrebbe potuto campare cent'anni, e pazienza se a rimetterci la vita sarebbero state 300 persone invece di un centinaio. Richard Jewell, ligio al dovere ed incredibilmente entusiasta, quell'anno ha scoperto una bomba al Centennial Park di Atlanta e ha giustamente dato l'allarme (cosa che ha ridotto sensibilmente il numero di vittime, che purtroppo ci sono state), per poi venire accusato dall'FBI e dai giornali americani di essere l'attentatore e vedersi così rovinata una vita già non facilissima. Il vecchio Clint, qui "solo" in veste di regista, non critica assolutamente la legittimità di un dubbio, ché Richard Jewell non è l'uomo più gradevole del mondo e nemmeno il più rassicurante: un po' megalomane, ligio al dovere e alla giustizia al punto da essere stato condannato per abuso di autorità, fanatico delle armi, ciccione, single, ancora in casa con mamma, dotato di atteggiamenti ambigui e già sotto consiglio di una bella valutazione psichiatrica, non è così scandaloso che l'FBI abbia potuto tracciare un profilo negativo a suo discapito. Quello che è scandaloso, invece, è che i media ci si siano buttati a pesce, cancellando con un colpo di spugna tutta la privacy e la dignità di quest'uomo e di sua madre, trasformandolo in tempo zero da "eroe" (altra bella esagerazione) a "mostro" da sbattere in prima pagina.


Non sono la più grande estimatrice di Clint Eastwood e non mi ritengo un'esperta né della sua poetica, né della sua cinematografia, diciamo che prendo ogni suo film come fosse un'opera a sé stante, per questo non mi addentro in confronti con altri film; tuttavia, la frustrazione provata guardando Richard Jewell è assai simile a quella che ho provato con Mystic River, un senso di rabbia impotente e di voglia di piangere causati da una sensazione di claustrofobia ed incredulità crescenti. Mi sono messa nei panni non tanto di Richard Jewell (come ho detto, empatizzare con il protagonista non è facilissimo, ci si ritrova spesso a guardarlo perplessi e sconsolati come la "voce della ragione" Sam Rockwell, con le mani che prudono dalla voglia di prenderlo a schiaffi) quanto della povera Bobi, la mamma magistralmente interpretata da Kathy Bates. Che cosa significa dover sopportare tutta quella pressione mediatica, venire additata come mamma di un mostro e non poter nemmeno andare in bagno senza timore di essere ascoltati dall'FBI, il tutto mantenendo intatta la fiducia verso un figlio che tutti vorrebbero vedere morto? Onestamente, non riesco nemmeno a pensarci. In questo periodo, lo ammetto, sono psicologicamente fragile ma il pianto di Kathy Bates mi ha spezzato il cuore e mi sono vergognata, perché con tutta probabilità se all'epoca avessi avuto interesse nella vicenda mi sarei schierata a favore di un'opinione pubblica impietosa, perché è troppo facile giudicare male chi è debole e disadattato come Richard Jewell. E' troppo facile assecondare il carisma di una giornalista spregiudicata, abbassare le orecchie davanti alla strafottenza degli agenti dell'FBI, farsi intortare, anche in senso buono, dalla parlantina di un avvocato che per fortuna ha saputo guardare oltre e che è quanto di più americano si poteva inserire all'interno di una sceneggiatura (dai, lo si perdona); è facile ma anche terribile perché, alla fine, anche se vorremmo essere dei granitici Bruce Willis, siamo tutti un po' Paul Walter Hauser e quello che è successo a Richard Jewell potrebbe succedere anche a noi. E chi sarà lì per raccontarlo con questo rigore senza sbavature, riuscendo ad emozionare senza suonare retorico, quando Clint Eastwood non ci sarà più?


Del regista Clint Eastwood ho già parlato QUI. Paul Walter Hauser (Richard Jewell), Sam Rockwell (Watson Bryant), Olivia Wilde (Kathy Scruggs), Jon Hamm (Tom Shaw) e Kathy Bates (Bobi Jewell) li trovate invece ai rispettivi link.


Jonah Hill avrebbe dovuto interpretare Richard Jewell ma alla fine è rimasto solo come produttore del film e lo stesso vale per Leonardo Di Caprio, a cui si pensava per il ruolo dell'avvocato. Se Richard Jewell vi fosse piaciuto recuperate il già citato Mystic River. ENJOY!


martedì 21 gennaio 2020

Jojo Rabbit (2019)

L'avevo perso al TFF perché lo proiettavano nei giorni in cui non sarei stata a Torino, quindi è da novembre che aspettavo l'uscita di Jojo Rabbit, diretto e co-sceneggiato nel 2019 dal regista Taika Waititi, tratto dal romanzo Come semi d'autunno di Christine Leunens e candidato a 6 premi Oscar: Miglior Film, Miglior Attrice Non Protagonista (Scarlett Johansson), Miglior Sceneggiatura Non Originale, Migliori Costumi, Miglior Scenografia, Miglior Montaggio.


Trama: Johannes Betzler, dieci anni, è pronto ad entrare nella Gioventù Hitleriana e ha un amico immaginario importante, lo stesso Adolf Hitler. L'esperienza nei ranghi dei suoi coetanei si conclude con un incidente e, quel che è peggio, tornato a casa JoJo scopre che la madre nasconde una ragazza ebrea nella camera della figlia defunta.


Non so se sia il caso di definire "geniale" Taika Waititi, ché "genio" è un'altra di quelle parole di cui si arriva ad abusare molto volentieri, come "capolavoro"; certo è che il regista neozelandese è uno degli autori più particolari ed eclettici sulla scena cinematografica internazionale e il suo ultimo film, Jojo Rabbit, è una perfetta espressione di questo suo assurdo modo di fare cinema. Un po' commedia un po' tragedia, un po' satira demenziale un po' serissima tirata anti-odio e anti-guerra, contenitore all'interno del quale c'è spazio persino per il romanticismo, capace di saltare da un registro all'altro nel giro di mezzo fotogramma, con sequenze dove Benigni va a braccetto con Wes Anderson ma anche con Jim Abrahams o con l'Adam McKay di The Anchorman, Jojo Rabbit è un film fuori da ogni schema in grado di far ridere a crepapelle e piangere in egual misura. Dando per buono che tutto sia filtrato attraverso lo sguardo stralunato di Jojo, tenero bimbetto di 10 anni che si sforza di essere un vero nazista per compiacere il suo amico immaginario Hitler, abbiamo la possibilità di vedere sullo schermo tutta l'assurdità (spesso, giustamente, ridicola) di un fanatismo che rifugge ogni razionalità e preda le menti delle persone più ignoranti e malleabili, schiacciandone la personalità grazie a un mix di terrore, propaganda e bugie propinate ad hoc; se i personaggi di Rebel Wilson, Sam Rockwell ed Alfie Allen sono volutamente estremizzati (soprattutto nel pre-finale), sta di fatto che le idiozie di cui i nazisti si riempivano la bocca e l'aria fritta distribuita a manciate da Hitler non saranno state tanto meno assurde, basti "solo" pensare alla fregnaccia della razza pura che ha condannato un intero popolo allo sterminio. Jojo, piccolo coniglietto impaurito con la salda volontà di diventare una tigre nazista, si ritroverà a sbattere la faccia contro quelle stesse fregnacce nel momento esatto in cui scoprirà che la madre nasconde in casa nientemeno che un'ebrea, la giovane Elsa, e proprio nel periodo in cui il castello di carte dell'incontrastato potere nazista è in procinto di crollare.


Con la comparsa di Elsa, il film piano piano prende una svolta più drammatica, malinconica e sentimentale. Le surreali idiozie che per Jojo erano la norma, in primis i dialoghi con un Hitler sempre più infantile e sciocco, cominciano a rivestire sempre meno importanza mano a mano che la patina di "nazismo" viene cancellata a favore della reale personalità del bambino, suo malgrado affascinato dalla "nemica ebrea" che, sorpresa delle sorprese, non è così diversa da una qualsiasi altra ragazza, con la differenza sostanziale che Elsa ha conosciuto dolore e sofferenza, diventando molto più saggia, consapevole e matura. Un personaggio molto simile a quello della madre di Jojo, interpretato da una Scarlett Johansson mai così affascinante e dolce, la quale è costretta a superare tutto il dolore causato da una guerra che non ha portato gloria nemmeno al "popolo eletto" indossando un viso felice mentre cerca di insegnare al figlio cosa sia davvero importante nella vita. In questo clima quasi favolistico, all'interno di una realtà filtrata da colori e costumi vintage incredibilmente accattivanti, dove nessun personaggio, salvo forse Elsa, risulta davvero "realistico", l'ingresso a gamba tesa della morte è l'equivalente di uno schiaffo. Priva della levità di un passo dell'oca con cui ingannare un figlioletto devoto, la morte rappresentata in Jojo Rabbit fa ancora più male perché arriva inaspettata, senza fanfare, senza anticipazioni, senza scene madri a precederla; è gretta, stupida e fa male, come la guerra, a prescindere da chi sia a combatterla, e come l'odio, a prescindere da chi sia a darlo o a riceverlo. E' per questo che ritengo Jojo Rabbit un film meno frivolo, sciocco e paraculo di quanto non appaia a una prima occhiata. Vero, la scorrettezza di un Waititi che infila a tradimento un Heroes di Bowie sul finale è pari a quella già citata di Benigni e del suo passo dell'oca, eppure proprio quella levità e quelle risate grasse che accompagnano il film dall'inizio alla fine rendono la pellicola adatta anche ad essere vista da un pubblico di ragazzini (ovviamente accompagnati da adulti intelligenti) che potrebbero ritrovarsi a ragionare, vivere ricordi non loro ma neppure troppo distanti, tenere viva una memoria che non andrebbe mai fatta scomparire. Adorabile Jojo Rabbit, con quel tenerissimo ragazzino dalla faccia buffa, che sembra proprio un coniglietto, ti ho aspettato per mesi ma ne sei valso la pena!


Del regista e sceneggiatore Taika Waititi, che interpreta Adolf, ho già parlato QUI. Scarlett Johansson (Rosie), Sam Rockwell (Capitano Klenzendorf) e Stephen Merchant (Deertz) li trovate invece ai rispettivi link.

Rebel Wilson interpreta fraulein Rahm. Australiana, ha partecipato a film come Ghost Rider, Che cosa aspettarsi quando si aspetta, Cats e ha lavorato come doppiatrice nel film L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 40 anni.


Alfie Allen interpreta Finkel. Inglese, è stato Theon Greyjoy nella serie Il trono di spade, inoltre ha partecipato a film come Elizabeth, John Wick e The Predator. Ha 34 anni.


Se Jojo Rabbit vi fosse piaciuto recuperate La vita è bella e Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore. ENJOY!

martedì 8 gennaio 2019

Vice - L'uomo nell'ombra (2018)

Bestemmiando per essere dovuti andare fino a Genova a vederlo (probabilmente presenterò il conto al Multisala di Savona visto che, ridendo e scherzando, tra biglietto, autostrada, benzina e cibo abbiamo speso sui 25 euro a testa), domenica ho recuperato Vice - L'uomo nell'ombra (Vice), diretto e sceneggiato nel 2018 dal regista Adam McKay e fresco di un Golden Globe a Christian Bale.


Trama: la rapida ascesa di Dick Cheney, dai primi lavori con l'amministrazione Nixon fino alla carica di vicepresidente nell'ora più buia per gli Stati Uniti e l'intera società moderna.


Io adoro Adam McKay. Come ti fa capire lui le cose, senza insultare la tua intelligenza, nessuno mai. Anche questa volta, come ne La grande scommessa, l'autore sceglie di raccontare una pagina vergognosa di storia americana strappando amare risate al pubblico ma senza l'arroganza tipica del comico che crede di sapere tutto e di poter indottrinare l'audience, quanto piuttosto spingendo lo spettatore a ragionare, a ricordare, a rivivere sulla pelle determinati momenti e a riflettere su quanto diamine possano essere boccalone le masse. E intendo tutte le masse. Destra, sinistra, centro, apolitici, io per prima: siamo un branco di tacchini pronti ad inghiottire qualunque porcata ci venga propinata, basta solo indorarcela un po'. In mezzo a questo clima di idiozia perenne, chi prospera è ovviamente chi, zitto zitto, approfitta di ogni cedimento dell'apparentemente impenetrabile struttura socio-politica di un Paese o di ogni debolezza del proprio interlocutore, potente o inutile che sia, per farsi i propri interessi. Questo è il caso di Dick Cheney, "uomo nell'ombra" di buona parte della storia del Partito Repubblicano americano, machiavellica eminenza grigia nonché fruitore di cantonate madornali che hanno portato, per dirne una, a far sì che l'ISIS si ingrandisse fino a raggiungere i livelli odierni. Non è un caso che il bravissimo Christian Bale abbia ringraziato Satana, durante il discorso di accettazione del Golden Globe, citandolo come fonte d'ispirazione per l'interpretazione del personaggio perché, di fatto, il Cheney ritratto in Vice E' il diavolo tentatore, un maligno "pescatore di uomini" il cui animo torbido riesce a giustificare contemporaneamente patriottismo, sete di potere e menefreghismo, una creatura talmente abietta che al confronto Salveenee parrebbe Papa Bergoglio. Potrebbe anche non essere stato così, in effetti: McKay ce lo dice nel disclaimer iniziale, chiuso con un "abbiamo fatto del nostro meglio per ricostruire le cose, cazzo!" e ci/si prende in giro autocriticandosi nella geniale scena post credit, ma ciò non toglie che i fatti salienti del film siano provati da documenti incontrovertibili o, ancor peggio, da documenti mancanti e per questo ancora più sospetti. E poi, che Bush fosse un coglione lo avevamo capito tutti, quindi la seconda parte di Vice risulta ancora più verosimile.


Per rendere più digeribile la serie ininterrotta di colpi bassi che viene propinata allo spettatore, McKay sfrutta qualunque cosa, rendendo Vice - L'uomo nell'ombra un trionfo di sceneggiatura witty, montaggio dinamico e regia sopraffina. Per me, la sequenza in cui Cheney "pesca", letteralmente, Bush, riproposta in due diversi momenti del film, è già una delle più belle viste al cinema; altrettanto efficace, anche se magari più paracula, quella ambientata in un infernale ristorante mentre quella Shakespeariana renderebbe molto di più in lingua originale, sono sicura, ma unita a un compendio ininterrotto di didascalie, finti finali (il genio!), spezzoni di terribile vita reale, abbattimento della quarta parete e simulazioni di gradimento, concorre a garantire la bellezza di un film che assolutamente non andrebbe perso. Anche perché, diciamoci la verità, il parallelismo Cheney/Bush e Salvini/Di Maio mi è balzato alla mente più volte guardando Vice e mi sono sentita per questo ancora più male. Una sensazione che non ha soverchiato la gioia nel vedere un cast di prim'ordine come quello presente nel film. Christian Bale è fenomenale e, come ho scritto nel post dedicato ai Golden Globes, il mio unico rammarico è quello di non aver guardato il film in v.o. perché quella boccuccia storta mi avrebbe dato di sicuro parecchia soddisfazione e lo stesso vale per l'interpretazione di Sam Rockwell che, mi si dice, sfoggia un'invidiabile accento "bushiano" oltre che una somiglianza imbarazzante con lo sciocco presidente USA. Perfetti anche Amy Adams, ingrassatella ed imbruttita al punto giusto, e uno Steve Carell che sta rapidamente diventando uno dei miei attori preferiti. Insomma, l'anno "vissuto pericolosamente in Sala" non poteva cominciare meglio, almeno per me: Vice - L'uomo nell'ombra è un film grandissimo che vi consiglio spassionatamente, anche solo per farvi aprire un po' gli occhi sui meccanismi che muovono tutti i governi, anche quelli "del cambiamento", e le facce di merda che ne fanno parte. 


Del regista e sceneggiatore Adam McKay ho già parlato QUI. Christian Bale (Dick Cheney), Amy Adams (Lynne Cheney), Steve Carell (Donald Rumsfeld), Sam Rockwell (George W. Bush), Alison Pill (Mary Cheney), Eddie Marsan (Paul Wolfowitz), Justin Kirk (Scooter Libby), Jesse Plemons (Kurt), Bill Camp (Gerald Ford), Lily Rabe (Liz Cheney), Shea Whigham (Wayne Vincent), Naomi Watts (conduttrice del TG) e Alfred Molina (cameriere) li trovate invece ai rispettivi link.

LisaGay Hamilton interpreta Condoleeza Rice. Americana, ha partecipato a film come L'esercito delle 12 scimmie, Jackie Brown, Halloween - 20 anni dopo e a serie come Ally McBeal, Sex and the City, E.R. Medici in prima linea, Senza traccia, Numb3rs, Grey's Anatomy e House of Cards. Anche regista e produttrice, ha 55 anni e tre film in uscita.


Durante la fase di post-produzione il regista Adam McKay è stato colpito da un leggero attacco cardiaco e ha quindi deciso di includere nel film una ripresa in bianco e nero dell'operazione per inserire lo stent nel suo cuore, a mo' di partecipazione speciale. Bill Pullman avrebbe dovuto interpretare Nelson Rockefeller ma la sua parte è stata tagliata. Se Vice vi fosse piaciuto recuperate anche La grande scommessa. ENJOY!

lunedì 5 marzo 2018

Oscar 2018

Buon lunedì a tutti! Oggi è un giorno gioiosissimo, in Italia non è successo NIENTE mentre in America hanno finalmente consacrato il tessitore di sogni (e incubi) Guillermo del Toro come meritava da tempo. Bando agli indugi e parliamo un po' di questa novantesima notte degli Oscar, che sono riuscita stavolta a guardare in diretta perché con tutta la bellezza premiata non potevo davvero perderla! ENJOY!


Cominciamo con i premi, dovuti e meritati, a La forma dell'acqua. La favola di Del Toro ha portato a casa gli Oscar più ambiti, Miglior Film e Miglior Regia, assieme a quello per la Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora. Vedere ciccio Del Toro salire sul palco due volte e tributare omaggio a Spielberg, con tutta l'umiltà di un ragazzo messicano che MAI avrebbe pensato di trovarsi un giorno nel firmamento delle grandi stelle, mi ha sciolto il cuore di commozione. Uno sprone a inseguire i propri sogni fino a raggiungerli e una gioia per tutti noi che a Guillermo abbiamo sempre creduto!! (e grazie a Faye Dunaway e Warren Beatty per non avere fatto casini stavolta!)


Altro motivo di gioia, almeno per me, è la grandemente prevista vittoria di Gary Oldman come Miglior Attore Protagonista dopo la mostruosa interpretazione di Churchill. Lui era sicuramente contentissimo e ha dedicato l'Oscar a Churchill e a mammà, invitandola e mettere su il kettle per il the, da perfetto inglese, probabilmente erano invece meno contenti tutti gli altri coinvolti nella realizzazione de L'ora più buia, che ha vinto solo un altro premio, quello per il Miglior Make-Up.


Altro Oscar prevedibile ma molto gradito, quello a Frances McDormand come Migliore Attrice Protagonista per Tre manifesti a Ebbing, Missouri. L'attrice si è profusa in un discorso strepitoso, dove ha invitato Hollywood a parlare con le donne nei giorni seguenti ai bagordi, per ascoltarle e finanziarne i progetti. Speriamo in bene, via! Tre manifesti ha portato fortuna anche a Sam Rockwell, che ha giustamente vinto l'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista, finalmente (anche se un po' mi spiace per il collega Woody Harrelson, piccolino), per il resto il film di McDonagh partiva strafavorito in ogni categoria e invece è rimasto con un palmo di naso.


Uno dei motivi del "ridimensionamento" di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è da ricercarsi nel premio più inaspettato della serata, quello a Scappa - Get Out per la Miglior Sceneggiatura Originale. Ora, dite quello che volete ma, sorpresa a parte (non avrei scommesso un euro su questo risultato), io sono contentissima per Jordan Peele. Che un comico di colore sia riuscito ad imbastire una sceneggiatura in perfetto equilibrio tra horror, thriller e commedia e sia arrivato a conquistare l'Academy e il pubblico tutto (basta sentire le ovazioni che gli hanno tributato ad ogni nomination) mi riempie di speranze per il futuro del cinema in generale e dell'horror in particolare. Come ho scritto su Facebook, l'horror sta bene, vi saluta e Jason Blum mostra allegramente a tutti il dito medio. La Miglior Sceneggiatura Non Originale è finita tra le manine anziane del venerando e tenerissimo James Ivory per Chiamami col tuo nome, unica statuetta conferita al film di Guadagnino (Su TV8 hanno brindato. Dai, siete stati un po' ridicoli, ché di orgoglio italiano in quel film ce n'era davvero poco).


Torniamo di nuovo su sentieri più sicuri con l'Oscar per la Miglior Attrice Non Protagonista, finito come da programma alla meravigliosa Allison Janney di I, Tonia, motivo in più per vedere uno dei migliori film dell'anno quando uscirà tra qualche settimana.


Quest'anno ero abbastanza preparata anche sugli altri premi (salvo corti, documentari e film stranieri, ma prometto che recupererò Una donna fantastica, ennesima riprova dello strapotere sudamericano che ha governato questa notte degli Oscar) quindi mi sento di poterne parlare senza vergogna. La statuetta per Miglior Film d'Animazione è andata a Coco (ne sono felicissima, anche perché rumenta come Baby Boss non andava nemmeno presa in considerazione, eppure avrei visto benissimo tra i vincitori lo splendido The Breadwinner, di cui parlerò domani), che ha vinto anche quella per la Miglior Canzone, premio un po' meno valido, ché tra tutte le canzoni in gara Remember Me era davvero quella meno bella e toccante. Vabbé. A Blade Runner 2049 sono andati invece i premi per la Miglior Fotografia, davvero meritatissimo, e quello per i Migliori Effetti Speciali, altrettanto meritato, mentre a Dunkirk è stata riconosciuta la perizia nel campo del Montaggio e del Sonoro, per un totale di tre premi molto importanti ad un film che obiettivamente non meritava di più, mi spiace cari Nolaniani. Le briciole, piuttosto, sono andate al povero Il filo nascosto, premiato solo per i Costumi, davvero meravigliosi, però forse il film meritava davvero di più. Ma tanto Del Toro ha stravinto, checcefrega? E per quest'anno è tutto! ENJOY!

martedì 16 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017)

Fresco di quattro Golden Globe (Miglior Film Drammatico, Miglior Sceneggiatura, Frances McDormand Miglior Attrice Protagonista per un film drammatico, Sam Rockwell Miglior Attore Non Protagonista) è arrivato anche a Savona Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), scritto e diretto dal regista Martin McDonagh. Vediamo se mi ha colpita com'è successo con la stampa estera!


Trama: Mildred, madre di una ragazza stuprata mentre veniva uccisa dai suoi aguzzini, decide di affittare tre enormi cartelloni pubblicitari appena fuori Ebbing, la città dove vive, per dare una scossa al sonnolento corpo di polizia...



Se c'è una cosa che mi ha colpita enormemente guardando Tre Manifesti a Ebbing, Missouri (che, per comodità, da qui in poi chiamerò solo "Tre manifesti") è la capacità di Frances McDormand di comunicare tutta la rabbia, il dolore e l'umanità del suo personaggio alzando semplicemente un sopracciglio e stringendo le labbra in una fessura sottilissima. Il volto segnato dell'attrice, che ho imparato ad amare già ai tempi di Fargo, qui diventa la granitica rappresentazione di una donna che ha deciso di non fermarsi davanti a nulla pur di consegnare alla giustizia l'assassino (o gli assassini) della figlia o, meglio, di spingere la polizia a fare il proprio lavoro e dare una svegliata agli agenti mangiaciambelle. Mildred è una spietata macchina di caos, una madre incazzata che non accetta né la mancanza di prove, né il fatto che le indagini siano arrivate ad un punto morto dopo meno di un anno e come si può pensare di darle torto, di spingerla ad arrendersi perché "queste sono le leggi e non ci si può fare niente"? La sua protesta silenziosa ma implacabile, la decisione di dire le cose come stanno e scriverle sulla stessa strada dov'è morta la figlia a caratteri cubitali è comprensibile e, verrebbe da dire, è anche poco rispetto a quello che il suo dolore potrebbe spingerla a fare... però è abbastanza per sconvolgere gli equilibri di una piccola cittadina di provincia dove tutti si conoscono e dove non è facile per gli abitanti simpatizzare con una donna conosciuta per essere "peculiare", nonostante quello che le è capitato. Le parole di Mildred toccano personalmente lo sceriffo, figura di riferimento per tutti i cittadini, uomo integerrimo con un terribile segreto, e le persone bene di Ebbing ci mettono un secondo a trasformare la madre a cui hanno ucciso la figlia in una matta da ostacolare a tutti i costi, talvolta da minacciare, e la cosa assurda di Tre manifesti è la plausibilità di questo voltafaccia, avvallato dall'ignoranza gretta di poliziotti incompetenti e compaesani che magari non hanno mai sopportato né Mildred né la figlia Angela (la quale, non a caso, è finita nel dimenticatoio dopo pochi mesi). Non è un caso che gli unici alleati di Mildred, abitante di una cittadina ubicata in uno Stato di frontiera dove il razzismo è ben lungi dall'essere stato sradicato, siano i "freak" del paese o i diversi: messicani, neri, nani, gli unici a sostenere la donna fino all'ultimo sono loro, quasi la guerra di Mildred fosse una guerra dei reietti contro il potere costituito, quando invece la donna pensa (egoisticamente ma comprensibilmente) solo a sé stessa, senza regalare mai un sorriso o un gesto di conforto ai suoi aiutanti ma, anzi, andando avanti come uno schiacciasassi alla faccia di tutto quello che possa capitare a loro, alla sua famiglia, al figlio superstite.


Quella di Tre manifesti è una storia drammatica, eppure nel corso della pellicola si ride. E' un riso amaro, di cui ci si vergogna, perché si ride non coi personaggi (forse solo con lo sceriffo, nonostante la meschinità del suo tragico gesto di "vendetta") bensì DEI personaggi, peccando della stessa cecità degli abitanti di Ebbing. Si prenda ad esempio l'agente Dixon, interpretato da un Sam Rockwell a dir poco magistrale. Non mi è mai capitato di trovare sullo schermo un personaggio da odiare un minuto prima, per il quale provare un'immensa pietà quello dopo, fino ad arrivare a volergli bene anche se è scemo, un po' come fa lo sceriffo. Questa, se vogliamo, è la vera magia di sceneggiatura che ho avvertito guardando Tre manifesti, una pellicola che per altri motivi non mi ha convinta fino in fondo, troppo "superficiale" in alcuni punti (ma davvero un poliziotto può mandare all'ospedale un cittadino e farsi impunemente i fatti propri, persino nell'America di provincia Trumpiana? A che pro intimorire una persona se con la faccenda non si ha nulla a che fare, giusto per introdurre un "cattivo" più cattivo?) e melodrammatica in altri (sottolineare il senso di colpa di Mildred era necessario ma lo scambio di battute con la figlia l'ho trovato gratuito e agghiacciante), ma sicuramente in grado di definire personaggi sfaccettati e, come del resto accadeva già in In Bruges, impossibili da definire come positivi o negativi. La crociata di Mildred, l'ossessione per quei tre cartelloni rossi come il sangue e il fuoco, è giusta? Sì, assolutamente, soprattutto se la figlia è stata dimenticata. Ma anche no, perché "la violenza genera altra violenza" e bisogna pensare anche, e soprattutto, a chi rimane in vita. L'atteggiamento dello sceriffo è condivisibile? Sì, poveraccio, cosa ci si può fare se non esistono indizi? Ma a mettersi nei panni di Mildred verrebbe anche voglia di prenderlo a schiaffi. Dixon è deprecabile? Assolutamente sì ma le persone possono cambiare, anche gli imbecilli che non hanno ragione di esistere nel corpo di polizia, perché forse bastano una parola o un gesto gentili per stimolare anche i cervelli più bacati. Tre manifesti ha la lucidità di raccontare una storia tremenda, grottesca e sfaccettata come la realtà, una storia che non necessita di happy ending né di una conclusione definitiva, perché la vita non è mai lineare come viene dipinta nei film... e stavolta, anche la "quadratura" di In Bruges, lungi dall'essere risolutiva, porta a delusione e ulteriore perdita di speranza. Forse. Tra i tanti "dubbi" rimasti sul finale, c'è perlomeno la certezza di un cast di una potenza unica (a Woody Harrelson una nomination e un Oscar quando diavolo glieli diamo?) e della bravura di Martin McDonagh non solo come regista (il modo in cui si scopre il contenuto dei tre cartelli è angosciante, l'utilizzo di Chiquitita in una delle scene più tristi e grottescamente divertenti da standing ovation) ma soprattutto come scrittore di dialoghi, al punto che parecchie battute hanno rischiato di strapparmi l'applauso solitario nella sala affollata oltre a un paio di risate di cuore. Proprio lì', per inciso, rimarrà Tre manifesti, film a cui vorrò sempre bene anche in assenza di un colpo di fulmine vero e proprio.


Del regista e sceneggiatore Martin McDonagh ho già parlato QUI. Frances McDormand (Mildred), Caleb Landry Jones (Red Wilby), Sam Rockwell (Dixon), Woody Harrelson (Willoughby), Abbie Cornish (Anne), Lucas Hedges (Robbie), Zeljko Ivanek (Agente addetto alle comunicazioni col pubblico), Peter Dinklage (James) e Samara Weaving (Penelope) li trovate invece ai rispettivi link.

Kerry Condon interpreta Pamela. Irlandese, ha partecipato a film come This Must Be the Place, Dom Hemingway e a serie quali The Walking Dead, inoltre ha prestato la voce all'intelligenza artificiale Friday nei film Avengers: Age of Ultron, Captain America: Civil War e Spider-Man: Homecoming. Ha 35 anni e tre film in uscita.


John Hawkes interpreta Charlie. Americano, lo ricordo per film come Scuola di polizia, Scary Movie, Freaked - Sgorbi, Dal tramonto all'alba, Rush Hour - Due mine vaganti, Incubo finale, Identità, Miami Vice, Contagion e Lincoln, inoltre ha partecipato a serie quali Millenium, Nash Bridges, ER Medici in prima linea, Buffy l'ammazzavampiri, Più forte ragazzi, X-Files, 24, Taken, CSI, Monk e Lost. Anche musicista e produttore, ha 58 anni e tre film in uscita.


Il musetto antipatico di Kathryn Newton, che compare in un flashback nei panni di Angela, è destinato a diventare ricorrente in TV (è l'odiosa Amy del Piccole Donne prodotto dalla BBC, una splendida miniserie che vi consiglio di recuperare) e al cinema (è tra le protagoniste dell'imminente Lady Bird). Detto questo, se Tre manifesti a Ebbing, Missouri, vi fosse piaciuto, recuperate In Bruges - La coscienza dell'assassino e Fargo. ENJOY!

lunedì 8 gennaio 2018

Golden Globes 2018

Buon lunedì a tutti! Piccolo riassunto ignorante (come ogni anno) dei vincitori dei Golden Globes, con un'unica grande gioia (Guillermoooooo aléééééé!!!!!!) e quattro film pigliatutto da attendere col fiato sospeso, non tanto per gli Oscar ma perché si preannunciano davvero bellissimi! Ah, ho già detto "che peccato, niente Dunkirk!"? ENJOY!


Miglior film - Drammatico
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards in Ebbing, Missouri, USA, 2017)
E questa è la PRIMA pellicola da vedere assolutamente, consigliata persino da Zerocalcare in persona. Uscirà la settimana prossima, quindi per una volta la distribuzione italiana ci ha preso, e viene descritta nei poster come "il film che i Coen avrebbero voluto girare". Speriamo benissimo!!

Miglior film - Musical o commedia
Lady Bird (USA, 2017)
Coming of age? Io addoro i coming of age, anche quelli ambientati nei primi decenni del secondo millennio, un'epoca un po'... MEH. E poi l'ha scritto Greta Gerwig, altra garanzia di sicura validità! Purtroppo ci sarà da aspettare il giorno del mio genetliaco per vederlo uscire in Italia quindi temo che in occasione degli Oscar bisognerà diventare un po' creativi...

Miglior attore protagonista in un film drammatico
Gary Oldman in L'ora più buia
Molto ma molto bene. L'ora più buia è un film che sarei andata a vedere a prescindere, ora ho un motivo in più e confido che il caro Oldman nei panni di Winston Churchill sia molto convincente. In Italia uscirà il 18 gennaio, altro colpo intelligente della distribuzione, bravi.

Miglior attrice protagonista in un film drammatico
Frances McDormand in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri
Oh, ma quanto la amo, da sempre. Non vedo l'ora di ammirarla nei panni di madre coraggio impegnata a risolvere il caso dell'omicidio della figlia, so già che non sarà la solita interpretazione banale.


Miglior attore protagonista in un film musicale o commedia
James Franco in The Disaster Artist
Per quanto mi stia sulle balle da sempre Franco, non si può dire che non metta anima e corpo in tutto quello che fa. Sono molto curiosa di vedere il film sulla "pellicola più brutta di sempre"... e anche, ovviamente, di recuperare ciò da cui tutto ha avuto origine! Purtroppo, data di uscita italiana non ancora pervenuta.

Miglior attrice protagonista in un film musicale o commedia
Saoirse Ronan in Lady Bird
Adorabile Saoirse, sono molto ma molto contenta per questa vittoria e ovviamente aspetto di vedere il film!


Miglior attore non protagonista
Sam Rockwell in Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Rockwell è un attore che non mi dispiace ma in questo caso sospendo il giudizio fino alla settimana prossima, anche perché l'unico suo antagonista visto sul grande schermo quest'anno è stato Christopher Plummer e la sua interpretazione di Paul Getty, per quanto valida, a mio avviso non era nemmeno da candidare.

Miglior attrice non protagonista
Allison Janney in I, Tonya
Altra attrice che adoro. Purtroppo I, Tonya, storia della pattinatrice americana Tonya Harding, non ha ancora una data di uscita italiana quindi chissà quando avremo l'onore di vederlo...

Miglior regista
Guillermo del Toro
Non posso che esserne stra-felice. Guillermone sta facendo incetta di premi quindi mi vien da dire che The Shape of Water sarà un capolavoro meraviglioso e quando uscirà sarà una festa per tutti!!


Miglior sceneggiatura
Martin McDonagh per Tre manifesti a Ebbing, Missouri
E niente, questo Tre manifesti ha sbancato. E io non ho mai visto nulla sceneggiato da McDonagh, mannaggia. Conviene mettere in lista Sette psicopatici e In Bruges, giusto per farmi un'idea.

Miglior canzone originale
The Greatest Showman di Benj Pasek e Justin Paul, per il film The Greatest Showman
Boh, io con la musica non ci azzecco nulla e The Greatest Showman non l'ho visto. Accetto il giudizio, anche perché le canzoni di Coco non mi hanno granché entusiasmata.

Miglior colonna sonora originale
The Shape of Water di Alexandre Desplat
Bella regia e colonna sonora evocativa, un connubio che aDDoro e che aumenta ulteriormente le aspettative per il nuovo film di Del Toro!

Miglior cartone animato
Coco (USA 2017)
Non c'era storia, obiettivamente (anche se The Breadwinner vorrei vederlo). Coco è uno splendore e sfido chiunque a rimanere indifferente dopo averlo visto, che piacciano o meno i film d'animazione. Adesso aspetto l'Oscar!

Miglior film straniero
Oltre la notte (Aus dem Nichts, Germania/Francia, 2017)
Storia di vendetta con Diane Kruger come protagonista, il film uscirà in Italia a marzo ma come al solito non sono preparata sui film "stranieri" e non riesco a fare un commento intelligente. Non so neppure se potrebbe essere un film in grado di interessarmi...

La mia reazione davanti al mancato tributo a Dougie!
Due righe anche sulle serie TV, sulle quali come al solito non posso pronunciarmi visto che ne seguo pochissime. Innanzitutto CACCA. Cacca su chi non ha riconosciuto la bravura di Kyle MacLachlan e la natura mitica di Dougie preferendogli Ewan McGregor. Non si fa, signori. Male anche per le mancate vittorie di Susan Sarandon e Jessica Lange in Feud (ma per Feud in generale...) mentre The Handmaid's Tale, che ha portato a casa il Globe come miglior serie drammatica e per la migliore attrice, si riconferma LA serie da recuperare per il 2018, nell'attesa che esca la seconda stagione. E con questo è tutto... ci si risente per gli Oscar! ENJOY!

venerdì 10 luglio 2015

Poltergeist (2015)

Oooh, ci siamo arrivati, con il solito ritardo ma ce l'abbiamo fatta. Volevate sapere cosa ne penso di Poltergeist, diretto dal regista Gil Kenan? Molto bene, per l'occasione interverrà anche la Bolla dell'Altra Dimensione.


Trama: quando i membri della famiglia Bown si trasferiscono nella nuova casa cominciano a succedere cose molto strane ed inquietanti e la piccola Carol inizia a parlare con presenze invisibili che, a poco a poco, diventano sempre più invasive...



Guest post della Bolla dell'Altra Dimensione. Quella in cui il Poltergeist del 1982 non è mai esistito.

Questi ultimi anni hanno visto un proliferare di film aventi per protagonisti case infestate e spiriti più o meno demoniaci che decidono d'amblé di terrorizzarne gli abitanti. Di solito queste pellicole variano davvero poco le une dalle altre e Poltergeist, tratto nientemeno che da una vecchia idea di Steven Spielberg tenuta nel cassetto fino ai nostri giorni, non si distacca molto dalle centinaia di produzioni horror recenti appartenenti a questo filone apparentemente inesauribile ed arriva tragicamente in ritardo. La trama è consolidata (famiglia si trasferisce in casa infestata e uno o più membri vengono particolarmente ammorbati dalle entità maligne finché qualcuno non si decide a chiamare i Ghostb...ehm.. gli esperti del paranormale), gli spaventi sono altrettanto prevedibili e di conseguenza poco efficaci (a parte il pagliaccio. Anzi, I PAGLIACCI. Esseri maledetti!!!), regia ed effetti speciali non sono particolarmente esaltanti e molte sequenze sono state girate o in funzione di un'eventuale versione 3D oppure a mo' di omaggio verso i mockumentary che ancora non hanno smesso di andare di moda. L'unica cosa che distingue un po' Poltergeist dalla massa è la presenza di attori assai convincenti come Sam Rockwell, Jared Harris e una simpatica Jane Adams oltre alla decisione di spingere parecchio l'accelleratore sul pedale di un umorismo giocoso, che trasforma la seconda parte della pellicola in un'avventura solo leggermente inquietante, un tentativo di prendersi poco sul serio che consente allo spettatore di sorvolare sui mille WTF di cui è infarcita la trama. Come filmetto estivo Poltergeist è quindi più che perfetto ma se sperate di ricordarvelo il giorno dopo o di non confonderlo con tutti gli horror "a tema" che mensilmente invadono le nostre sale avete davvero sbagliato pellicola!


Post della Bolla. Quella che ha avuto la sfortuna di vedere sia Poltergeist che il remake.

Che bisogno c'era? No, davvero, mi dite che bisogno c'era di girare dopo 30 e pass'anni un remake di Poltergeist senza cambiare una virgola dell'originale e riuscendo (com'è possibile???) comunque ad appiattirlo e renderlo fuffoso? Perché una favola nera dove le presenze "estranee" si manifestavano a poco a poco tentando di comunicare con la piccola Carol come fossero stati dei novelli E.T. e tenendo in scacco protagonisti e spettatori fino all'inaspettata svolta horror/drammatica è diventata il solito horror nel quale tutti gli elementi inquietanti vengono sbattuti in faccia allo spettatore, sviscerati e spiegati con dovizia di particolari fin dalla prima scena? Nonostante l'impegno di Rockwell, un (im)perfetto ed umanissimo papà, e nonostante l'attualità di una famiglia in crisi economica e costretta a trasferirsi, non c'è possibilità di provare empatia per i Bowen, con la bambina dotata di poteri medianici e soprattutto il fratello traumatizzato dall'abbandono in un centro commerciale (really???), né per lo stereotipato e caricaturale gruppetto di parapsicologi capitanati da un pur bravo Jared Harris perché è tutto troppo telefonato, come se gli sceneggiatori avessero in mano un elenco di punti da rispettare e li cancellassero uno dopo l'altro. Dov'è il magone quando la mamma chiama disperata la piccola Carol, commuovendo tutti gli astanti? Dov'è il coraggio di quella stessa madre davanti al rischio di perdere l'adorata figlioletta? La caciara da videogioco sul finale è imbarazzante forse più dei mezzucci usati all'inizio per creare tensione nello spettatore e l'unico pregio che ha questo nuovo Poltergeist è quello di offrire una spiegazione plausibile alla presenza di un orrido pagliaccio nella stanza di un bambino. Il resto è solo inutilità, un'inutilità ancora più pericolosa perché rischia di convincere gli spettatori ormai stufi di questo genere di film che forse non sarebbe il caso di recuperare il vecchio Poltergeist. Non fatevi abbindolare e recuperate invece uno degli horror più belli degli anni '80, maledizione ai remake!!


 Di Sam Rockwell (Eric Bowen) e Jared Harris (Carrigan Burke) ho già parlato ai rispettivi link.

Gil Kenan è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto Monster House e Ember - Il mistero della città di luce. Anche compositore, ha 39 anni.


Rosemarie DeWitt interpreta Amy Bowen. Americana, ha partecipato a film come Cinderella Man, Margaret e La regola del gioco. Ha 44 anni.


Jane Adams interpreta la dottoressa Brooke Powell. Americana, ha partecipato a film come Mumford, The Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi e a serie come Oltre i limiti, Dr. House e CSI - Scena del crimine. Anche sceneggiatrice, ha 50 anni e un film in uscita.


Il piccolo Kyle Catlett, che interpreta Griffin, era il bambino protagonista di Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet mentre per il ruolo di papà Eric si era pensato inizialmente a Tom Cruise e Richard Armitage. Ormai lo sanno anche i sassi che Poltergeist è il remake di Poltergeist - Demoniache presenze, film che ha dato vita a Poltergeist II - L'altra dimensione, Poltergeist III e persino ad una serie TV dal titolo Poltergeist: The Legacy; se il film vi fosse piaciuto recuperate senza indugio il capostipite spielberghiano e aggiungete magari anche The Conjuring e The Others. ENJOY!

mercoledì 7 maggio 2014

Bollalmanacco On Demand: Moon (2009)

Torna l’appuntamento con il Bollalmanacco On Demand, quello in cui potete chiedermi di recensire i film che volete, ovviamente nei limiti della decenza. Torna anche il buon Rosario a sfidarmi con un altro interessantissimo film ovvero Moon, diretto e co-sceneggiato nel 2009 dal regista Duncan Jones. Il prossimo post On Demand sarà invece dedicato a Mister Hula Hoop. ENJOY!


Trama: in un futuro in cui l’energia terrestre viene estratta dalla Luna, l’operaio Sam è costretto a lavorare per tre anni da solo sul satellite, con l’unica compagnia del robot parlante GERTY. Il suo contratto è quasi scaduto e il ritorno a terra è imminente ma qualcosa comincia ad andare storto all’interno della base lunare…


Chi mi segue da qualche tempo sa che la fantascienza non è un genere che amo molto, tende ad annoiarmi e sono pochi i film ambientati nello spazio in grado di emozionarmi o inquietarmi, nonostante quel senso di claustrofobia che mi assale sempre, in misura più o meno maggiore. Moon, opera prima di Duncan Jones, un tempo conosciuto "solo" come figlio di David Bowie, è stata invece una graditissima sorpresa di cui cercherò di parlarvi in termini molto generali, senza rivelare nulla della trama. Girato con pochi mezzi e un budget sicuramente inferiore a quello dei vari blockbuster americani, interamente imperniato sulla fisicità disturbante di Sam Rockwell e pervaso da una gradevolissima atmosfera "artigianale", Moon è una pellicola che non si basa sul sensazionalismo ma racconta una piccola, terribile storia umana di solitudine, nostalgia, dolore e atroce dubbio, dove l'inquietudine ed il terrore della malattia fisica e mentale si insinuano a poco a poco sia nella mente del protagonista che in quella dello spettatore. Sam Bell è un uomo imperfetto, a tratti antipatico e poco gradevole, eppure, nonostante la trama sia leggermente confusetta soprattutto nella parte iniziale della pellicola, non possiamo fare a meno di seguire con partecipazione la sua vicenda, ad arrabbiarci con lui e commuoverci per tutto ciò che arriverà a conoscere del mondo buio e misterioso di cui è stato solitario prigioniero per tre lunghi anni.


Duncan Jones, arrivato dritto dalla pubblicità, ci offre un dramma a porte chiuse con pochissimi personaggi e gioca con le nostre conoscenze cinefile portando su schermo un robot parlante dotato di un occhio assai simile a quello di Hal-9000, che palesa i suoi "sentimenti" tramite l'uso degli smile e, attraverso la voce fredda e pacata di Kevin Spacey, interagisce con il suo interlocutore umano. Sam Rockwell, che non ho mai apprezzato particolarmente per una questione di "pelle", è semplicemente perfetto per il ruolo che gli è stato cucito addosso proprio per il suo essere imperscrutabile ed imprevedibile, un po' come la direzione che prende ad un certo punto Moon. Per quel che riguarda la realizzazione tecnica invece, leggendo qui e là alcune recensioni per capire cosa mi sarei trovata davanti ho scoperto che Jones è stato criticato per alcune "inesattezze" riguardanti tute, caschi, ambientazioni ed altri dettagli "spaziali". Io me ne intendo poco quindi mi sento di dire chissenefrega: il mio occhio profano coglierebbe giusto delle enormità come un colibrì che si libra leggiadro nell'aere in barba all'assenza di gravità o poco più e, come ho detto, Moon non necessita di effetti speciali da lasciare a bocca aperta come, per esempio, Gravity, perché gli bastano pochi dettagli apparentemente insignificanti (che diventano importantissimi col senno di poi) per conquistare totalmente lo spettatore. Detto questo, altro non mi sento di aggiungere o rischierei davvero di rovinare la visione a chi deciderà di dare fiducia a questa recensione risicata. Provare per credere, non ve ne pentirete!


Del regista e co-sceneggiatore Duncan Jones ho già parlato qui. Sam Rockwell (Sam Bell) e Kevin Spacey (voce originale di GERTY) li trovate invece qui.

I due attori protagonisti sono stati a dir poco capricciosi: Kevin Spacey ha accettato di dare la voce a GERTY solo dopo aver visto il film concluso, mentre per quel che riguarda Sam Rockwell il regista Duncan Jones ha dovuto praticamente creare un film ad hoc solo per poter lavorare con lui! Detto questo, se Moon vi fosse piaciuto recuperate 2001: Odissea nello spazio e Solaris. ENJOY!

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