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martedì 5 agosto 2025

Una pallottola spuntata (2025)

Domenica sera sono andata a vedere Una pallottola spuntata (The Naked Gun), diretto e co-sceneggiato dal regista Akiva Schaffer.


Trama: dopo l'apparente suicidio di un ingegnere informatico, l'agente di polizia Frank Drebin rimane coinvolto in una vicenda criminale che coinvolge la sorella del morto e il guru della tecnologia Richard Caine...


Se volete capire la differenza tra gli ZAZ (Jerry Zucker, Jim Abrahams, David Zucker, le menti dietro la trilogia originale de Una pallottola spuntata) e Seth MacFarlane, produttore del remake diretto da Akiva Schaffer, vi basta guardare in sequenza i due film omonimi, quello del 1988 e quello del 2025, come ho fatto io. Certo, il confronto è impari, andrebbe fatto tenendo in conto le opere realizzate all'apice della svogliatezza da entrambe le parti, ma anche così le differenze sostanziali non cambiano. Quello degli ZAZ è un umorismo universale e senza tempo, anche nei momenti di minor efficacia, radicato nei cliché storici della comicità demenziale e parodica, che hanno contribuito a sviluppare, ed è un giusto mix tra situazioni assurde veicolate dalle immagini in movimento e dialoghi surreali, con ovvie concessioni alla sfera sessuale e scatologica. Quello di MacFarlane è un umorismo di grana ancora più grossa, dove le concessioni diventano gag spesso infantili, e che fa ampio uso di un effetto nostalgia rabbioso, di un citazionismo a mitraglia che presupporrebbe una cultura nerd/pop smisurata; è un tipo di umorismo che adoro preso a piccole dosi, come per esempio nelle opere animate che hanno reso famoso MacFarlane, ma che mi lascia indifferente e anche un po' annoiata sulla lunga distanza, come è accaduto durante la visione dei suoi film da regista. Nel film di Schaffer, ciò si traduce, anche per colpa di un adattamento italiano fiacco, in un legacy sequel con tanti momenti di stanca, dove non si ride mai di cuore, neppure di fronte alle molteplici strizzate d'occhio a Una pallottola spuntata, di cui ricalca la trama aggiornandola (?, poi vi spiego perché ho messo un punto interrogativo) al gusto attuale. Frank Drebin Jr., come si intuisce, è il figlio del tenente Frank Drebin e, dal padre, ha ereditato l'invidiabile sicumera con la quale affronta ogni situazione nonostante un'incapacità e una stupidità congenite. Anche lui si ritrova ad avere a che fare con un caso che sembra uscito fuori da un film di James Bond, con tanto di machiavellico complotto ordito da un ricchissimo supercriminale apparentemente immacolato; anche lui si innamora di una femme fatale tenera e pasticciona, in qualche modo legata alle indagini in corso, facendo pace con una vita sentimentale fino a quel momento tragica. Questa è l'ossatura della trama, sulla quale Schaffer e gli altri sceneggiatori hanno innestato una serie di gag più o meno efficaci, davanti alle quali mi sono però spesso chiesta quale fosse il target del nuovo Una pallottola spuntata, da cui il punto interrogativo precedente.


I fan duri e puri di Una pallottola spuntata, ovviamente, hanno urlato allo scandalo, quindi li toglierei dall'equazione, perché dubito che il film fosse dedicato a loro. Le nuove generazioni sono un pubblico altrettanto implausibile, in quanto tantissime gag fanno riferimento a usi, costumi, gruppi e telefilm anni '90/inizio millennio, e rischiano di cadere nel vuoto anche con persone un po' più adulte, come la sottoscritta. Non fraintendetemi, il riferimento a Buffy the Vampire Slayer mi ha scaldato il cuore, ma non ho capito dove fosse l'ironia nella lunghissima sequenza dedicata al TiVo, e ho trovato molto cringe i dialoghi su Black Eyed Peas e Fergie, solo per fare un esempio, o la scelta di riproporre in maniera quasi filologica il "gioco delle ombre" porno di Austin Powers (lo so, Kevin Durand ha esordito proprio nel secondo film della saga, ma sono finezze da nerd). Spettatori di riferimento a parte, un altro problema del nuovo Una pallottola spuntata è Liam Neeson. Sulla carta, era la scelta perfetta, perché un candidato all'Oscar, da anni votato a una carriera di action "seri", poteva fungere da ottimo contrasto con le situazioni ridicole presenti nel film. Purtroppo, mentre Leslie Nielsen perdeva rarissime volte il suo aplomb e l'aura di uomo distinto venuto a trovarsi suo malgrado in un film comico, Neeson scivola spesso in un registro grottesco e caricaturale, e lo stesso vale per Danny Huston, con conseguenze nefaste su quel cortocircuito mentale che spingeva gli spettatori a ridere a crepapelle. All'interno di un cast all star, chi ne esce davvero a testa alta, confermando una rinascita che le auguro continui ancora a lungo, è Pamela Anderson, perfetta per il ruolo di Beth e unita a Neeson da un'alchimia reale, come si è poi visto sui vari red carpet, dove la coppia si è rivelata essere vera, nata proprio sul set. Forse per questo, forse per la presenza della topa impagliata, forse per dei titoli di coda che rispettano lo spirito dell'opera originale, forse per l'appuntamento con svolta horror (praticamente un film nel film), non sono riuscita a volere troppo male al nuovo Una pallottola spuntata. Non vi consiglio di spenderci dei soldi, né di guardarlo se la pellicola del 1988 è uno dei vostri capisaldi, ma quando uscirà in streaming magari vi servirà per passare una serata spensierata.   


Di Liam Neeson (Frank Drebin Jr.), Pamela Anderson (Beth Davenport), Paul Walter Hauser (Ed Hocken Jr.), Danny Huston (Richard Cane), CCH Pounder (Capo Davis), Kevin Durand (Sig Gustafson), Weird Al' Yankovic (se stesso) e Dave Bautista (se stesso) ho già parlato ai rispettivi link.

Akiva Schaffer è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Hot Rod - Uno svitato in moto, Vicini del terzo tipo, Vite da popstar e Cip e Ciop: Agenti speciali. Anche produttore e attore, ha 48 anni. 


Nel film compaiono anche il rapper Busta Rhymes, nei panni del rapinatore interrogato da Frank, e Priscilla Presley, che riprende il ruolo di Jane Spencer in un blink and you'll miss it tra i telespettatori dello spettacolo di capodanno. Una pallottola spuntata è il seguito del film omonimo e di Una pallottola spuntata 2½ - L'odore della paura e Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale quindi, se vi fosse piaciuto, recuperateli. ENJOY! 

martedì 25 giugno 2024

Inside Out 2 (2024)

Il giorno stesso dell'uscita mi sono fiondata al cinema per vedere Inside Out 2, diretto e co-sceneggiato dalla regista Kelsey Mann.


Trama: Riley è arrivata a 13 anni aiutata dalle sue emozioni, ma con l'arrivo della pubertà la sua testa si riempirà di nuovi, inquietanti elementi...


Inside Out
mi aveva rapito il cuore e la mente, e ancora oggi ritengo sia uno dei più bei film Pixar mai realizzati. Avevo un mix di aspettative e timori all'idea di un seguito, ma ho deciso comunque di dargli fiducia, perché mi interessava sapere come sarebbe cresciuta Riley. Introdotto da una bella botta di nostalgia, nella forma dello storico score di Michael Giacchino (che ovviamente mi ha spinta alle lacrime quando il film non era neppure ancora cominciato), Inside Out 2 inizia due anni dopo la fine del primo e ci mostra delle emozioni solide ed equilibrate, che lavorano in perfetta sintonia per fare di Riley un gioiellino di ragazza. "Io sono una brava persona" è il nucleo della personalità della protagonista, un nucleo che Gioia e gli altri cercano di preservare con tutte le forze, eliminando e nascondendo tutto ciò che potrebbe intaccarlo; le emozioni "base" non hanno, però, fatto i conti con la pubertà, che introduce altri destabilizzanti colleghi all'interno della mente di Riley. Invidia, Imbarazzo, Ennui e, soprattutto, la terribile Ansia, scuotono dalle fondamenta la semplice e dolce ragazzina, proprio nel momento di transizione tra scuole medie e liceo, quando un breve campo estivo di hockey diventa il fondamentale crocevia per determinare il futuro successo. In maniera non dissimile dal primo Inside Out (di cui ricalca anche la struttura narrativa e una serie di situazioni) anche il secondo capitolo contiene un importante monito a non ignorare né le emozioni né le esperienze negative, perché contribuiscono ad alimentare la complessità e la conseguente ricchezza del nostro carattere, facendoci crescere come persone, per quanto imperfette. L'esperienza evita che le emozioni ci governino e ci permette di controllarle e richiamarle secondo la nostra volontà, salvo inevitabili ricadute in momenti particolarmente stressanti o emotivamente soverchianti, com'è comprensibile per un individuo equilibrato. Nel suo percorso di crescita, l'adolescente Riley si riconferma così un personaggio col quale è facile empatizzare e in cui ci si può riconoscere, e lo stesso vale per Gioia, Tristezza e tutti i loro compagni, che crescono ed evolvono assieme alla loro "umana".


Forse perché l'Ansia è una mia costante esistenziale, mi sono riconosciuta parecchio in quel tarlo insinuante che parla senza sosta, non richiesto, scodellando una serie infinita di scenari mentali da incubo, e ho trovato la rappresentazione del passaggio tra infanzia e adolescenza molto realistica. A parer mio i realizzatori sono riusciti a renderlo molto angosciante, in virtù delle scelte sbagliate intraprese da Riley e per la visione da incubo di un nucleo positivo sempre meno luminoso; i richiami alla morte "figurata" e alla depressione sono palesi, inoltre ho apprezzato tantissimo la rappresentazione di un attacco di panico in piena regola, di quel momento in cui il cervello si blocca in una frenesia terrorizzata e senza via d'uscita. In generale, Inside Out 2 mi è sembrato ancora più dolceamaro del primo e alcune prese di coscienza, sia della protagonista che delle sue emozioni, mi hanno commossa parecchio. Per quanto riguarda la realizzazione, Inside Out 2 è bello quanto il suo predecessore. L'interazione tra mondo reale e mentale non presenta sbavature ed è molto emozionante, soprattutto è bello vedere l'evoluzione dei coloratissimi luoghi introdotti nel 2015, con interessanti aggiunte alla mente di Riley, funzionali alla sua crescita; l'idea di inserire una sorta di lago da cui si dipanano tutte le "ramificazioni" delle esperienze della protagonista è vincente, e si traduce in una miriade di splendide immagini. Passando ad argomenti più faceti, da appassionata (giuro) di La casa di Topolino, ho adorato, tra le tante parodie presenti all'interno del film, la presenza di un simil-Toodles che mi ha fatta piegare dalle risate in più di un'occasione, un colpo di genio forse un po' autoreferenziale, ma comunque sempre un colpo di genio. Anche il character design delle nuove emozioni è assai intelligente, con l'apice di preferenza personale raggiunto con Ennui, talmente molla e scazzata dalla vita da avere un modo tutto suo di muoversi senza spendere troppe, inutili, energie (viceversa, Invidia non mi ha detto nulla, e più che un vergognoso peccato capitale mi è sembrato il comprensibile, per quanto disperato e spesso sbagliato, desiderio di conformarsi a persone che si ammirano). Dopo il deludente Lightyear, nonostante non fosse sequel ma spin-off, la Pixar si è rimessa sul giusto cammino e ammetto di non vedere l'ora che esca un terzo capitolo di Inside Out che faccia luce sul terrificante mondo degli adulti!  


Di Maya Hawke (Ansia), Tony Hale (Rabbia), Diane Lane (Mamma), Kyle MacLachlan (Papà), Paul Walter Hauser (Imbarazzo), Frank Oz (Dave il poliziotto), Pete Docter (Rabbia di papà) e Flea (Jake) ho già parlato ai rispettivi link.

Kelsey Mann è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, è al suo primo lungometraggio e prima ha lavorato principalmente come storyboarder. E' anche animatore e doppiatore.


La doppiatrice originale di Ennui è Adèle Exarchopoulos, la protagonista di Vita di Adèle, mentre in Italia il personaggio è stato affidato a Deva Cassel, la splendida figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel. Se Inside Out 2 vi fosse piaciuto, recuperate Inside Out e Soul. ENJOY! 


domenica 6 giugno 2021

Crudelia (2021)

Pur essendo ancora traumatizzata da quell'obbrobrio di Maleficent ho deciso di dare una chance a Crudelia (Cruella), diretto dal regista Craig Gillespie.


Trama: dopo la morte della madre, la piccola Estella comincia a vivere di espedienti e furtarelli, almeno finché non viene notata dalla Baronessa, la stilista più famosa della swinging London. Lavorando per la Baronessa, Estella scopre gli oscuri segreti del suo passato e arriva a meditare vendetta...


Vai a sapere perché la Disney ha deciso di fornire delle "giustificazioni" alla cattiveria dei suoi villain, come se già non bastasse la ridda di figli adolescenti scemi che gli hanno appioppato con Descendants (tra l'altro Crudelia De Mon si è beccata credo il cretino peggiore, ma non è il caso di parlarne). Probabilmente la Casa del Topo, nonostante abbia ora per le mani il franchise di Star Wars e un intero universo supereroistico, quindi abbastanza materiale per realizzare film da qui alla fine del mondo, non sa più dove sbattere la testa per quanto riguarda le idee originali, e ha deciso di fornire delle fondamenta al fascino misterioso di queste creature oscure che ci "perseguitano" fin da bambini, questi personaggi che a 40 anni arriviamo anche a capire, poverelli, "circondati da idioti" come sono oppure costretti a subire la melassa grondante di varie principesse. Crudelia De Mon, in realtà, è un caso un po' particolare, in quanto spinta da vanesio desiderio di possedere una pelliccia di cuccioli di dalmata e, quindi, è già più difficile parteggiare per lei piuttosto che per una Maleficent o un'Ursula, ma è anche vero che ella è "demonio di classe che incanta con stile", modellata su Tallulah Bankhead, quindi affascinante e scazzato modello di vita a prescindere; la sua origin story non poteva dunque essere una robetta banale e stracciapalle come quella di Maleficent bensì qualcosa di cool, moderno, più vicino a un'idea alla Birds of Prey che ai recenti live action disneyani. A dire il vero, a un certo punto mi è venuto quasi da pensare che Cruella fosse la origin story di Vivienne Westwood, radicata com'è nel mondo della moda e impreziosita, letteralmente, dai costumi più belli e sfacciati visti quest'anno, e non è un caso che molti citino Il diavolo veste Prada visto che la fonte di tutti i mali della povera Cruella è una meravigliosa baronessa che darebbe filo da torcere a Miranda Priestly. Anzi, diciamocela tutta, La baronessa della Thompson dà parecchi punti alla Miranda della Streep ed è il capo maligno che tutte vorremmo essere almeno una volta nella vita. Ma torniamo a Cruella.


Nata come la versione gnocca di un gelato Pinguino, la futura signora De Mon (o De Vil. Parentesi aperta sull'adattamento. Ma porco belino, ho capito che Estella/Crudelia non funzionava, ma chi, in Italia, ha mai conosciuto il personaggio come Cruella?) è bipolare già nella capigliatura e fin da bambina è costretta a tenere a bada la sua indole caotica, di persona fuori dagli schemi ed anticonformista. Narrata attraverso la caustica voce narrante di un "io" futuro e già divenuto Crudelia, la storia di Estella sembrerebbe quella di Cenerentola, non fosse che al posto delle due sorellastre la piccola, una volta rimasta orfana, si ritrova accanto due amichetti sbandati (i futuri Gaspare e Orazio, qui Jasper e Horace) che la aiutano in qualche modo a superare infanzia e adolescenza tra un furtarello e una truffa, finché la fanciulla non diventa assistente della già citata Baronessa. Dotata di uno spiccato gusto per la moda e uno stile fuori dal comune, Estella potrebbe rapidamente scalare i vertici di un'azienda gestita fondamentalmente da una parassita di idee, non fosse che detta parassita è legata a doppio filo alla morte di sua madre; abbandonata quella che Estrella pensava fosse la sua vera personalità, quella remissiva e goffa, per riuscire a fare luce sui tanti misteri che la circondano la ragazza lascia quindi spazio a Cruella, il suo lato malvagio, dirompente e menefreghista, arrivando a poco a poco a scoprire, come già successo per il Joker di Joaquin Phoenix, che talvolta la nostra faccia "buona" è solo una maschera che utilizziamo per essere accettati dalla società, quella stessa società che ci mette con le spalle al muro e ci costringe a combatterla mostrandoci per quello che siamo: degli psicopatici senza se e senza ma. 


Dimenticatevi i cuccioli di dalmata, la perfidia senza ragione, l'immancabile fumo di sigaretta, perché questa Cruella sarà anche matta ma non compie nulla di particolarmente sconvolgente o irreparabile, anzi, paragonata alla Baronessa è un agnellino, ma almeno la sua cattiveria non è stata innescata dai futuri padroni di Pongo e Peggy (come invece succedeva in Maleficent, dove re Stefano veniva trasformato in un mostro spietato). Anzi, paliamo un po' dei dalmata. La pelliccia bramata viene spesso citata e un eventuale odio verso i cani a pois viene "stuzzicato" all'inizio sfruttando una delle scene di morte meno epiche e più esilaranti della storia della Disney, ma non c'è nulla che spieghi come mai in futuro una donna amante dei cani dovrebbe decidere di spellarli per puro piacere, a meno che non si voglia tirare in ballo la demenza senile. Allo stesso modo, non si capisce perché Jasper, connotato come possibile love interest della protagonista, a un certo punto si veda azzerare il Q.I. per avvicinarlo maggiormente alla sua controparte animata, quando per buona parte del film abbiamo davanti un bel ragazzo, intelligente, simpatico ed affettuoso. Fortunatamente, questi difetti o errori di continuity, chiamateli un po' come volete, non inficiano la fondamentale validità di una scanzonata commedia nera in perfetto stile Craig Gillespie, che smorza con una patina di black humour qualunque momento rischi di diventare strappalacrime e confonde lo spettatore con una girandola ricchissima di avvenimenti, colpi di scena, sfondamenti della quarta parete, colori e suoni. Emma Stone sarà anche perfetta (e si è portata dietro l'esperienza dell'interpretazione borderline in La favorita), Emma Thompson mai troppo lodata (anche lei ispirata dal personaggio interpretato nel suo ultimo film, E poi c'è Katherine), ma la vera bellezza del film sono i meravigliosi costumi, le stupende scenografie che fanno loro da scrigno e, ovviamente, una colonna sonora furbissima, perfetta per accompagnare ogni sequenza della pellicola nemmeno ci trovassimo davanti a una sfilata di moda. Sperando che prima o poi qualcuno decida di mettere in commercio tutte le mise indossate dalla Stone, vi invito a non essere schizzinosi com'ero io prima della visione e a dare una chance a questo Cruella, potrebbe sorprendervi. 


Del regista Craig Gillespie ho già parlato QUI. Emma Stone (Estella/Cruella), Emma Thompson (La baronessa), Paul Walter Hauser (Horace), Emily Beecham (Catherine) e Mark Strong (John) li trovate invece ai rispettivi link. 

Joel Fry interpreta Jasper. Inglese, ha partecipato a film come Paddington 2, Yesterday, In the Earth e a serie quali Il trono di spade. Anche produttore, ha 37 anni.


Le altre attrici in lizza per il ruolo della Baronessa erano Nicole Kidman, Charlize Theron, Julianne Moore e Demi Moore. Ovviamente, se Crudelia vi è piaciuto, consiglierei il recupero de La carica dei 101, La carica dei 101 - Questa volta la magia è vera e anche di Tonya, film questo da non propinare ai bambini, per carità. ENJOY!

venerdì 24 gennaio 2020

Richard Jewell (2019)

Non si può ignorare un film diretto da Clint Eastwood quando esce al cinema, soprattutto se, come questo Richard Jewell, è anche candidato all'Oscar per la migliore attrice non protagonista.


Trama: Richard Jewell, agente di sicurezza, trova una bomba durante una manifestazione al Centennial Park di Atlanta in occasione delle Olimpiadi ed evita così un conteggio delle vittime ancora più grave. L'FBI, tuttavia, lo accusa di essere l'attentatore...


Tutto il mondo è paese, e il paese, consentitemi di dirlo con volgarità, sta andando a puttane, lo ha sempre fatto. E' una cosa che il cinema ci sta mettendo sotto il naso da tanti anni, aprendoci gli occhi su come le istituzioni non sono poi così adamantine come dovrebbero essere e su come i media troppo spregiudicati facciano l'esatto contrario di quello che dovrebbe fare il buon giornalismo, ovvero informare, limitandosi al becero sensazionalismo quando va bene (sto pensando agli exploit del nostro adorato Capitone verde, che adesso s'è messo a molestare anche la gente al citofono) e a mettere in croce le persone quando va male. A Richard Jewell, guardia di sicurezza con qualche problemino a livello fisico e mentale ma convinto al 100% del funzionamento delle istituzioni, della polizia e del governo, è andata malissimo nel 1996, anno in cui ha scoperto che a farsi i fatti propri avrebbe potuto campare cent'anni, e pazienza se a rimetterci la vita sarebbero state 300 persone invece di un centinaio. Richard Jewell, ligio al dovere ed incredibilmente entusiasta, quell'anno ha scoperto una bomba al Centennial Park di Atlanta e ha giustamente dato l'allarme (cosa che ha ridotto sensibilmente il numero di vittime, che purtroppo ci sono state), per poi venire accusato dall'FBI e dai giornali americani di essere l'attentatore e vedersi così rovinata una vita già non facilissima. Il vecchio Clint, qui "solo" in veste di regista, non critica assolutamente la legittimità di un dubbio, ché Richard Jewell non è l'uomo più gradevole del mondo e nemmeno il più rassicurante: un po' megalomane, ligio al dovere e alla giustizia al punto da essere stato condannato per abuso di autorità, fanatico delle armi, ciccione, single, ancora in casa con mamma, dotato di atteggiamenti ambigui e già sotto consiglio di una bella valutazione psichiatrica, non è così scandaloso che l'FBI abbia potuto tracciare un profilo negativo a suo discapito. Quello che è scandaloso, invece, è che i media ci si siano buttati a pesce, cancellando con un colpo di spugna tutta la privacy e la dignità di quest'uomo e di sua madre, trasformandolo in tempo zero da "eroe" (altra bella esagerazione) a "mostro" da sbattere in prima pagina.


Non sono la più grande estimatrice di Clint Eastwood e non mi ritengo un'esperta né della sua poetica, né della sua cinematografia, diciamo che prendo ogni suo film come fosse un'opera a sé stante, per questo non mi addentro in confronti con altri film; tuttavia, la frustrazione provata guardando Richard Jewell è assai simile a quella che ho provato con Mystic River, un senso di rabbia impotente e di voglia di piangere causati da una sensazione di claustrofobia ed incredulità crescenti. Mi sono messa nei panni non tanto di Richard Jewell (come ho detto, empatizzare con il protagonista non è facilissimo, ci si ritrova spesso a guardarlo perplessi e sconsolati come la "voce della ragione" Sam Rockwell, con le mani che prudono dalla voglia di prenderlo a schiaffi) quanto della povera Bobi, la mamma magistralmente interpretata da Kathy Bates. Che cosa significa dover sopportare tutta quella pressione mediatica, venire additata come mamma di un mostro e non poter nemmeno andare in bagno senza timore di essere ascoltati dall'FBI, il tutto mantenendo intatta la fiducia verso un figlio che tutti vorrebbero vedere morto? Onestamente, non riesco nemmeno a pensarci. In questo periodo, lo ammetto, sono psicologicamente fragile ma il pianto di Kathy Bates mi ha spezzato il cuore e mi sono vergognata, perché con tutta probabilità se all'epoca avessi avuto interesse nella vicenda mi sarei schierata a favore di un'opinione pubblica impietosa, perché è troppo facile giudicare male chi è debole e disadattato come Richard Jewell. E' troppo facile assecondare il carisma di una giornalista spregiudicata, abbassare le orecchie davanti alla strafottenza degli agenti dell'FBI, farsi intortare, anche in senso buono, dalla parlantina di un avvocato che per fortuna ha saputo guardare oltre e che è quanto di più americano si poteva inserire all'interno di una sceneggiatura (dai, lo si perdona); è facile ma anche terribile perché, alla fine, anche se vorremmo essere dei granitici Bruce Willis, siamo tutti un po' Paul Walter Hauser e quello che è successo a Richard Jewell potrebbe succedere anche a noi. E chi sarà lì per raccontarlo con questo rigore senza sbavature, riuscendo ad emozionare senza suonare retorico, quando Clint Eastwood non ci sarà più?


Del regista Clint Eastwood ho già parlato QUI. Paul Walter Hauser (Richard Jewell), Sam Rockwell (Watson Bryant), Olivia Wilde (Kathy Scruggs), Jon Hamm (Tom Shaw) e Kathy Bates (Bobi Jewell) li trovate invece ai rispettivi link.


Jonah Hill avrebbe dovuto interpretare Richard Jewell ma alla fine è rimasto solo come produttore del film e lo stesso vale per Leonardo Di Caprio, a cui si pensava per il ruolo dell'avvocato. Se Richard Jewell vi fosse piaciuto recuperate il già citato Mystic River. ENJOY!


domenica 15 settembre 2019

E poi c'è Katherine (2019)

Giovedì sono usciti in tutta Italia un paio di film interessanti che, ovviamente, a Savona non hanno trovato distribuzione. Uno di questi è E poi c'è Katherine (Late Night), diretto dalla regista Nisha Ganatra.


Trama: un'operaia di origini indiane si ritrova a lavorare per Katherine Newbury, conduttrice di uno show comico che ormai ha ben poco successo.


Solitamente non indulgo in questo genere di commedie ma il trailer di E poi c'è Katherine era intrigante e a un certo punto è spuntato John Lithgow, motivo sufficiente per dare una chance al film che Mindy Kaling (comica americana già creatrice della sit-com The Mindy Project) si è ritagliata su misura per sé avendo in mente Emma Thompson come co-protagonista. Non mi sono pentita della scelta, devo dire. E poi c'è Katherine (solito, stupidissimo titolo italiano: "e poi" cosa, che Molly nella vita ha solo il lavoro?) è la tipica, innocua commedia made in USA sui self made men/women attualizzata grazie a continui riferimenti al movimento #metoo e allo slut-shaming tanto in voga in questo periodo, palesemente ispirata a Il diavolo veste Prada. Anche in questo caso abbiamo la stagista totalmente inesperta della realtà lavorativa in cui verrà a trovarsi, nella fattispecie il mondo dello showbusiness televisivo, che si riscoprirà ovviamente bravissima nel suo lavoro, tanto da riuscire a conquistare a poco a poco non solo i colleghi diffidenti ma anche la terribile "boss" che ha in odio tutto e tutti; il film segue il pattern tipico di questo genere di pellicola, col protagonista che affronta piccole difficoltà iniziali fino ad affermarsi, trovarsi davanti un ostacolo praticamente insormontabile, superarlo e infine ottenere definitivamente il successo, pattern in questo caso raddoppiato perché una forma di catarsi devono ottenerla sia Katherine che Molly, e in generale è permeato da un'atmosfera assai ottimista che viene ripresa anche dalle canzoni che compongono la colonna sonora. In contrapposizione a Katherine Newbury, comica affermata ma ormai "fossilizzata", formale e incapace di interpretare i gusti del pubblico, Molly è schietta e genuina, affronta la vita di petto e dice sempre quello che pensa, un esempio virtualmente molto positivo, peccato che nella realtà verrebbe davvero licenziata dopo cinque minuti. Ecco perché, molto democraticamente e in maniera piuttosto paracula, ai personaggi secondari vengono messi in bocca discorsi ragionevoli, frasi come "hai un carattere meraviglioso e hai ragione tu ma cerca di non essere sempre così schietta perché rischi di finire male", un sottile avviso per lo spettatore o spettatrice che dovesse sentirsi ispirato a imitare le gesta di Molly, perché la vita non è un film. Della serie: don't try this at work.


Nonostante un minimo di prevedibilità e questa mentalità cerchiobottista, E poi c'è Katherine è lo stesso un film divertente, spensierato e persino commovente. La Thompson non è disumana come Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada, il suo personaggio è tratteggiato con un minimo di sensibilità e vengono sottolineati tutti i lati deprecabili ma comprensibili della sua Katherine, tanto che sono anche riuscita a commuovermi non solo durante il confronto finale col marito malato (interpretato dal sempre amabile John Lithgow) ma anche davanti alla presa di coscienza della vecchiaia, dell'inadeguatezza, di un disprezzo per il prossimo che travalica il gender e non è maggiormente giustificabile (o INgiustificabile) solo perché si è donne e quindi normalmente vessate. Se Emma Thompson è una formidabile mattatrice che meriterebbe davvero un futuro nella stand up comedy (nonostante, sinceramente, la comicità USA non mi strappi mani nemmeno una minima risata) a supportarla non c'è solo la simpatica Mindy Kaling, incredibilmente verosimile nel suo ruolo di stagista sognatrice ed ottimista, e un signor attore come il già citato Lithgow, ma un intero cast di caratteristi di tutto rispetto, tra i quali spiccano il sempre adorabile Denis O'Hare e tutti i membri dell'esilarante, insopportabile staff maschile di Katherine. Parliamoci chiaro, come farebbe Molly: E poi c'è Katherine non è il film dell'anno e secondo me non merita nemmeno lo sbattimento di andare in una sala per vederlo proiettato su grande schermo, tanto più che i furiosi scambi di battute tra personaggi e i monologhi della Thompson rendono di sicuro più in inglese che in italiano, ma è stato acquistato dagli Amazon Studios quindi immagino entrerà presto nel catalogo Prime Video e siccome è divertente e piacevole vi consiglierei di non perderlo appena sarà disponibile!


Di Emma Thompson (Katherine Newbury), Mindy Kaling (anche sceneggiatrice della pellicola, interpreta Molly Patel), John Lithgow (Walter Lovell), Denis O'Hare (Brad) e Halston Sage (Zoe Martlin) ho già parlato ai rispettivi link.

Nisha Ganatra è la regista della pellicola. Canadese, ha diretto film che non conosco come Chutney Popcorn, Cake - Ti amo, ti mollo... ti sposo e The Hunters - Cacciatori di leggende. Anche produttrice, attrice e sceneggiatrice, ha 45 anni e un film in uscita.


Max Casella interpreta Burditt. Americano, ha partecipato a film come Ed Wood, A proposito di Davis, Blue Jasmine, Jackie e a serie quali I Soprano e Medium; come doppiatore ha lavorato in Leone cane fifone. Anche produttore, ha 52 anni e tre film in uscita.


Paul Walter Hauser interpreta Mancuso. Americano, ha partecipato a film come Tonya e BlackKklansman. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 33 anni e cinque film in uscita tra cui Cruella.


Ike Barinholtz interpreta interpreta Daniel Tennant. Americano, ha partecipato a film come Mordimi, Suicide Squad, The Disaster Artist, Bright e a serie quali Weeds e The Twilight Zone; come doppiatore ha lavorato ne I Griffin e American Dad!. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 42 anni e un film in uscita.


A dirigere il film avrebbe dovuto esserci Paul Feig ma impegni pregressi lo hanno costretto a rinunciare. Se il film vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Il diavolo veste Prada. ENJOY!

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